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10° cap. COME SI DESTANO LE DOMANDE ULTIME. ITINERARIO DEL SENSO RELIGIOSO
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1. Lo stupore della “presenza” (139)
Se io spalancassi per la prima volta gli occhi in questo istante uscendo dal seno di mia madre, io sarei dominato dalla meraviglia e dallo stupore delle cose come di una «presenza».
STUPORE in:
Il che è una versione concreta e banale della parola «essere».
L’essere: non come entità astratta, ma come presenza che non faccio io, che trovo, una presenza che mi si impone.
ESSERE in:
Perciò il primissimo sentimento dell’uomo è quello di essere di fronte a una realtà che non è sua, che c’è indipendentemente da lui e da cui lui dipende.
Tradotto empiricamente è la percezione originale di un DATO.
La parola che traduce in termini totalmente umani il vocabolo «dato», e quindi il primo contenuto dell’impatto con la realtà, è la parola dono.
Ma, senza arrestarci a questa conseguenza, la stessa parola «dato» è vibrante di una attività, davanti alla quale sono passivo: ed è una passività che costituisce l’originaria attività mia, quella del ricevere, del constatare, del riconoscere.
L’accorgersi di una presenza inesorabile!
Io apro gli occhi a questa realtà che mi si impone, che non dipende da me, ma da cui io dipendo: il grande condizionamento della mia esistenza, se volete, il dato.
E’ questo stupore che desta la domanda ultima dentro di noi: non una registrazione a freddo, ma meraviglia gravida di attrattiva, come una passività in cui nello stesso istante viene concepita l’attrattiva.
La paura non è il primo sentimento dell’uomo.
Esso è una attrattiva; la paura sorge in un secondo momento come riflesso del pericolo percepito che quella attrattiva non permanga.
La religiosità è innanzitutto l’affermarsi e lo svilupparsi dell’attrattiva.
ATTRATTIVA in:
Se io nascessi con la coscienza attuale dei miei anni, e spalancassi per il primo istante gli occhi, la presenza della realtà si paleserebbe come presenza di «altro» da me.
Non esiste niente di più adeguato, di più aderente alla natura dell’uomo che l’essere posseduti per una originale dipendenza: infatti la natura dell’uomo è quella di essere creato.
La prima originale intuizione è, quindi, lo stupore del dato dell’io come parte di questo dato, esistente.
Prima vieni colpito, e poi ti accorgi di te che sei colpito.
È da qui che s’origina il concetto della vita come dono, in mancanza del quale non possiamo usare delle cose senza inaridirle.
2. Il cosmo (143)
L’uomo, una volta accortosi di questo essere reale, di questa inesorabile presenza con le sue diversità e il proprio io come sua parte, si accorge anche che c’è dentro in questa realtà un ordine; che questa realtà è cosmica (da “cosmos” greco che vuol dire appunto ordine).
Quindi lo stupore originale implica un senso di bellezza.
L’attrattiva della bellezza armonica.
BELLEZZA in:
3. Realtà provvidenziale (144)
Non solo l’uomo si accorge che questa inesorabile presenza è bella, attira, è consona a sé nel suo ordine: constata anche che essa si muove secondo un disegno che può essergli favorevole.
Il contenuto delle religioni più antiche coincide con questa esperienza di possibilità della realtà “provvidenziale”.
Queste sono le tracce di ogni religione antica:
il senso del divino come provvidenza.
4. L’io dipendente (146)
A questo punto, quando è risvegliato nel suo essere dalla presenza, dalla attrattiva e dallo stupore, ed è reso grato, lieto, perché questa presenza può essere benefica e provvidenziale, l‘uomo prende coscienza di sé come io e riprende lo stupore originale con una profondità che stabilisce la portata, la statura della sua identità.
IO in:
In questo momento io, se sono attento, cioè sono maturo, non posso negare che l’evidenza più grande profonda che percepisco è che io non mi faccio da me, non sto facendomi da me.
Non mi do l’essere, non mi do la realtà che sono, sono dato
È l’attimo adulto della scoperta di me stesso come dipendente da qualche cosa d’altro.
E quanto più io scendo dentro me stesso, se scendo fino in fondo, donde scaturisco? Non da me: da un altro…
Io sono Tu che mi fai.
La coscienza di sé fino al fondo percepisce al fondo di sé un Altro.
Questa è la preghiera: la coscienza di sé fino in fondo che si imbatte in un Altro.
L’io, l’uomo, è quel livello della natura in cui essa si accorge di non farsi da sé.
L’uomo è quel livello della natura in cui la natura diventa esperienza della propria contingenza.
Allora io non dico «io sono» consapevolmente, secondo la totalità della mia statura d’uomo, se non identificandolo con «Io sono fatto».
È da quanto detto prima che dipende l’equilibrio ultimo della vita.
Siccome la verità naturale dell’uomo, come si è visto, è la creaturalità,
l’uomo è un essere che c’è perché è continuamente posseduto.
E tutti i movimenti degli uomini, in quanto tendono alla pace e alla gioia, sono per la ricerca di Dio, di Ciò in cui è la consistenza esauriente della loro vita.
PREGHIERA in:
- All’origine della pretesa cristiana
- Perché la Chiesa
- Si può vivere così?
- Si può (veramente?!) vivere così?
5. La legge del cuore (148)
L’esperienza dell’io reca con sé la coscienza del bene e del male.
La coscienza di qualche cosa cui non si può rifiutare l’omaggio dell’approvazione propria oppure l’accusa.
Comunque venga applicata questa categoria del bene perché è bene, e del male perché è male risulta a noi inestirpabile.
Perché corrisponde ad una destinazione ultima, risponde al nesso con il destino.
CORRISPONDENZA in:
E’ il binario con cui Ciò che ci crea convoglia a sé tutta la nostra esistenza.
Il binario di un bene, di un giusto cui è legato il senso stesso della vita, della esistenza propria, del reale.
Anche un «pagano», il grande poeta Sofocle, nell’Antigone parlava dei «sacri limiti delle leggi non scritte e non mutabili».
Conclusione (150)
La formula dell’itinerario al significato ultimo qual è?
Vivere il reale.
L’unica condizione per essere veramente religiosi, è vivere intensamente il reale.
Quanto più uno vive il livello di coscienza, che abbiamo descritto, nel suo rapporto con le cose, tanto più vive intensamente il suo impatto con la realtà, e tanto più incomincia a conoscere qualcosa del mistero.
Quello che blocca la dimensione religiosa autentica, il fatto religioso autentico è una mancanza di serietà con il reale, di cui il preconcetto è l’esempio più acuto.
È segno degli spiriti grandi e degli uomini vivi l’ansia della ricerca attraverso l’impegno con la realtà della loro esistenza.
Il mondo, questa realtà in cui ci impattiamo, è come se nell’impatto sprigionasse una parola, un invito, facesse sentire un significato.
Questo è il valore della analogia: la struttura di impatto dell’uomo con la realtà desta nell’uomo una voce che lo attira a un significato che è più in là, più in su.
Questa parola sintetizza la struttura dinamica dell’impatto che l’uomo ha con la realtà.
REALTA‘ in:
INDICE LINKATO DEI CAPITOLI del Senso Religioso
Segue capitolo 11 del Senso Religioso: « Esperienza del segno»
autore – felino.tassi@gmail.com
