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11° cap. ESPERIENZA DEL SEGNO
Links ai singoli paragrafi
- Provocazione
- Il segno
- Negazione irrazionale
- Carattere esigenziale della vita
- «Tu», segno supremo
- Scoperta della ragione
- Aperture
1. Provocazione (153)
Innanzitutto è chiaro che lo stupore, di cui abbiamo detto, costituisce un’esperienza di provocazione.
STUPORE in:
La realtà afferra la nostra coscienza in maniera tale che questa pre-sente e percepisce qualcosa d’altro.
Perché questo? Dentro tali domande c’è come un’incognita strana: il mondo, il reale mi provocano ad altro, altrimenti uno non si domanderebbe perché.
Sono tutto perturbato da questo rapporto con il reale, e sospinto oltre l’immediatezza.
Una trascrizione poetica di questa tensione che la realtà opera nell’uomo è nella vibrante analogia dell’attesa, tema di una bella poesia
Dall'immagine tesa/Vigilo l'istante/Con imminenza di attesa -/E non aspetto nessuno:/ Nell'ombra accesa/Spio il campanello/Che impercettibile spande/Un polline di suono -/E non aspetto nessuno:/Fra quattro mura/Stupefatte di spazio/Più che un deserto/E non aspetto nessuno:/Ma deve venire,/Verrà, se resisto/A sbocciare non visto,/Verrà d'improvviso,/Quando meno l'avverto:/Verrà quasi perdono/ Di quanto fa morire,/Verrà a farmi certo/Del suo e mio tesoro,/Verrà come ristoro/Delle mie e sue pene,/Verrà, forse già viene/il suo bisbiglio. Clemente Rebora «Dall'immagine tesa».
2. Il segno (155)
Una cosa che si vede e si tocca, e nel vederla e toccarla mi muove verso altro, come si chiama? SEGNO.
Il segno quindi è una realtà il cui senso è un’altra realtà.
Ed è questo il metodo con cui la natura ci richiama ad altro da sé: il metodo del segno.
Non sarebbe umanamente adeguato partecipare a quel fenomeno esaurendone l’esperienza al suo aspetto immediato.
SEGNO in:
3 – Negazione irrazionale (155)
Di fronte a una indicazione stradale, a un bivio, pretendere di arrestare il senso della cosa all’esistenza del palo e della freccia sul cartello, negando l’esistenza di altro, non sarebbe razionale.
Non sarebbe umanamente adeguato partecipare a quel fenomeno esaurendone l’esperienza al suo aspetto immediato.
Analogamente non sarebbe umano affrontare la realtà del mondo, arrestando la capacità umana di addentrarsi alla ricerca di altro, così come in quanto uomini si è sollecitati alla presenza delle cose.
Sarebbe questo, come già detto, l’atteggiamento positivista: il blocco totale dell’umano.
4. Carattere esigenziale della vita (156)
La stoffa stessa della vita è una trama di esigenze:
Esigenza della verità:
cioè semplicemente l’esigenza del significato delle cose.
Il vero: il significato reale di ogni cosa sta nel suo percepito nesso con la totalità.
Quanto più l’uomo dettaglia seriamente la composizione delle cose, tanto più si esaspera nella domanda di quale ne sia il significato.
L’esigenza della verità implica sempre allora l’individuazione della verità ultima perché non si può veramente definire una verità parziale se non in rapporto con l’ultimo.
L’umanità di una società, la sua civiltà, è determinata dall’aiuto che l’educazione di essa dà a mantenere spalancata questa apertura insaziabile, attraverso tutti i comodi e gli interessi che prematuramente la vorrebbero chiudere.
Esigenza di giustizia:
(se una persona è condannata a morte, e muore innocente, una volta dimostrata la sua innocenza…) chi gli renderà giustizia? Forse riconoscendolo senza colpa? Non è una risposta a lui, è una risposta a noi stessi, è una pacificazione di noi stessi. Se non la si rende a lui, giustizia non c’è: la risposta è realizzazione di una esigenza di giustizia che è lui.
Esigenza di felicità: vale a dire compimento di sé.
(A questa esigenza chi potrà mai rispondere?) “Quid animo satis”?. Non sarebbe uno sguardo razionale ed umano alla esperienza di questa esigenza, se non leggendone l’implicato riferimento ad Altro.
Esigenza di amore:
Il brano di Romeo e Giulietta esprime sinteticamente l’apertura analogica del dinamismo dell’amore nell’uomo:
«Mostrami un’amante che sia pur bellissima; che altro è la sua bellezza, se non un consiglio ove io legga il nome di colei che di quella bellissima è più bella»
Shakespeare – Romeo e Giulietta
L’attrattiva di una bellezza segue una traiettoria paradossale: quanto più è bella, tanto più rimanda ad altro.
L’arte, quanto più è grande, tanto più apre, non conclude, ma spalanca il desiderio, è segno di altro.
Le esigenze umane costituiscono riferimento, affermazione implicita di una risposta ultima che sta al di là delle modalità esistenziali sperimentabili.
ESIGENZE ORIGINALI in:
5. “Tu” come segno supremo (160)
Se nell’impatto con l’uomo il mondo funziona come segno, dobbiamo dire che
il mondo “dimostra” qualcosa d’altro, dimostra “Dio” come segno, dimostra ciò di cui è segno.
Una realtà sperimentabile , il cui significato adeguato, vale a dire conforme alla umana esigenza, è qualcosa d’altro, è segno di questo altro.
È importante sottolineare l’analogia con l’espressione normale dei rapporti umani.
L’uomo non percepisce mai una esperienza di completezza come nella compagnia, nella amicizia, particolarmente tra uomo e donna.
La donna o l’altro, per la persona, costituiscono realmente altro: tutto il resto è assimilabile e dominabile dall’uomo, ma il tu mai.
Mai l'uomo percepisce e vive una esperienza di pienezza come di fronte al tu.
TU/tu in:
Qualcosa di diverso, per sua natura diverso da me, qualcosa di altro mi compie più di qualsiasi esperienza di possesso, di dominio, di assimilazione.
6. Scoperta della ragione (162)
Il vertice della conquista della ragione è la percezione di un esistente ignoto, irraggiungibile, cui tutto il movimento dell’uomo è destinato, perché anche ne dipende.
È l’idea di mistero.
Il mistero non è un limite alla ragione, ma è la scoperta più grande cui può arrivare la ragione: l’esistenza di qualcosa di incommensurabile con se stessa.
La ragione è esigenza di comprendere l’esistente: nella vita questo non è possibile; dunque fedeltà alla ragione costringe ad ammettere l’esistenza di un incomprensibile.
Questa affermazione costituisce il segno della piccolezza della nostra esistenza e nello stesso tempo il segno del destino incommensurabile, in-finito, della nostra esistenza, della nostra ragione, nel nostro essere.
Il mistero è intuito come realtà implicata dal meccanismo stesso del nostro io; blocco della ragione, ma segno della sua apertura senza fine.
Senza questa prospettiva noi rinnegheremmo la ragione nella sua essenza, come esigenza di conoscenza della totalità, e ultimamente come possibilità stessa di conoscenza vera.
Se non è possibile un nesso ultimo, una spiegazione ultima, se non è possibile uscire dalla misura dell’istante, allora non posso più stabilire nessun nesso, sono bloccato nel mio momento.
Tutto quanto l’umano tende a decadere immediatamente dentro una meschinità di cui il cinismo della cultura materialista oggi per quanto riguarda l’uomo è documentazione impressionante.
MISTERO in:
7. Aperture (165)
Certe frasi che si usano: Dio è bontà, Dio è giustizia, Dio è bellezza, sono piuttosto delle direzioni di partenza che, moltiplicate, arricchiscono il nostro presentimento di questo Oggetto ultimo.
Ma non possono essere definizioni, perché Dio è bontà, ma non è la bontà così come la conosciamo noi; Dio è amore, ma non lo è secondo la modalità nostra; Dio è persona, ma non come lo siamo noi.
È per quanto abbiamo detto che i termini, con cui tutta la tradizione religiosa autentica della umanità ha segnato il mistero, cioè ha parlato di Dio sono tutti termini negativi: infinito, immenso, non misurabile, ineffabile.
Però non sono termini privi di significato: sono termini che intensificano la modalità del nostro rapporto, accostano più al Mistero: sono aperture al Mistero.
DIO in:
INDICE LINKATO DEI CAPITOLI del Senso Religioso
Segue capitolo 12 del Senso Religioso: « La natura dell’interpretazione»
autore – felino.tassi@gmail.com
