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5° cap. IL SENSO RELIGIOSO: SUA NATURA (59)
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- Il livello di certe domande
- Al fondo del nostro essere
- L’esigenza di una risposta totale
- Sproporzione alla risposta totale
- Sproporzione strutturale
- Tristezza
- La natura dell’io come promessa
- Il senso religioso come dimensione
Osserveremo in questo capitolo il fattore religioso come l’aspetto fondamentale del fattore spirituale.
1. Il livello di certe domande (59)
“Perché vale la pena vivere?” – “Cosa è la realtà?” – “Perché il dolore?”
Il senso religioso coincide con quel radicale impegno del nostro io con la vita, che si documenta in queste domande.
Fin dai tempi più antichi uno dei paragoni più usati per identificare la fragilità e l’enigmaticità ultima della vita umana, è quello delle foglie, foglie aride cadute d’autunno.
Il senso religioso è lì, a livello di queste emozioni, dicevo, intelligenti e drammatiche, inevitabili.
DOMANDA in:
2. Al fondo del nostro essere (61)
Queste domande si attaccano al fondo del nostro essere: sono inestirpabili, perché costituiscono come la stoffa di cui è fatto.
Qualunque moto dell’uomo ha questa sorgente, ha questa radice energica, è secondario e dipendente da quest’ultima, originale, radicale enigmatica fonte.
3. L’esigenza di una risposta totale (63)
Qual è il senso della vita, in fondo in fondo, di che cosa è fatta la realtà? Per che cosa vale veramente la pena che io sia, che la realtà sia?
Sono domande che esauriscono tutta l’energia di ricerca della ragione.
Esigono una risposta totale, che copra l’intero orizzonte della ragione, esaurendo tutta la “categoria della possibilità”.
C’è una coerenza della ragione infatti, che non si arresta, se non arrivando a una esaurienza totale.
«Che giova all’uomo possedere tutto il mondo, se poi smarrisce il significato di sé? O che darà l’uomo in cambio di sé?»
Mt 16,26
Questo «sé» non è nient’altro che esigenza clamorosa, indistruttibile e sostanziale ad affermare il significato di tutto.
Ed è appunto così che il senso religioso definisce l’io:
il luogo della natura dove viene affermato il significato di tutto.
4. Sproporzione alla risposta totale (63)
Quanto più uno si addentra nel tentativo di rispondere a quelle domande, tanto più ne percepisce la potenza, e tanto più scopre la propria sproporzione alla risposta totale.
L‘inesauribilità delle domande esalta la contraddizione fra l’impeto della esigenza e la limitatezza della misura umana nella ricerca.
5. Sproporzione strutturale (64)
L’inesauribilità della risposta alle esigenze costitutive del nostro io, è così strutturale che ne rappresenta la categoria d’essere.
Il grande matematico Francesco Severi […] quando la sua ricerca giungeva ad un certo termine, l’oggetto dell’azione, la X, si spostava. Si potrebbe segnare così questo processo:

La R è l‘energia indagatrice dell’umana ragione e libertà; e la X il traguardo provvisorio sempre teso a un ulteriore incognita.
Senza ammettere questa “X” incommensurabile, senza ammettere la sproporzione incolmabile tra l’orizzonte ultimo e la capacità degli umani passi, l’uomo elimina la categoria della possibilità, suprema dimensione della ragione.
Poiché soltanto un oggetto incommensurabile può rappresentare un invito indefinito per una apertura strutturale dell’uomo.
La vita fame, sete e passione di un oggetto ultimo che incombe sul suo orizzonte ma sta sempre al di là di esso.
Ed è questo che, riconosciuto, rende l’uomo inesauribile ricercatore.
Per questo la filosofia deve avere quell’umiltà profonda d’essere tentativo tutto spalancato e desideroso di adeguamento, compimento, correzione:
deve essere dominata dalla categoria della possibilità.
E là dove manchi la categoria della possibilità è bloccato il passo.
Il passo è già predefinito dal progetto del potere o dal progetto del proprio interesse.
Una società ideologica infatti tende a congelare ogni vera ricerca, [ … ] non ha mai interesse che la ricerca sull’uomo sia libera, perché una ricerca libera sull’uomo è il limite più pericoloso al potere, è sorgente incontrollabile di possibilità di opposizione.
POTERE in:
6. Tristezza (67)
Alla presunzione del potere, carica di censure e di rinnegamenti, corrisponde nel singolo, nell’uomo reale, la grande tristezza, carattere fondamentale della vita consapevole di sé:
S. Tommaso la definisce: “desiderio di un bene assente”.
L’incommensurabilità dell’oggetto veramente cercato con la capacità umana di “presa” fa vivere innanzitutto l’esperienza di un possesso per sua natura sfuggente.
“Uno spron che quasi mi punge/Sì che, sedendo, più che mai sono lunge/Da trovar pace e loco“
Leopardi “Canto notturno..”
Essere consapevole del valore di tale tristezza si identifica nella coscienza della statura della vita e con il sentimento del suo destino.
Se la tristezza è scintilla che scatta dalla vissuta “differenza di potenziale” tra la destinazione ideale e l’incompiutezza storica, l’appiattimento di quella “differenza” – comunque avvenuto – crea l’opposto logico della tristezza, la disperazione.
TRISTEZZA in:
DISPERAZIONE in:
7. La natura dell’io come promessa (59)
«Ciò che l’uomo cerca nel piacere è un infinito e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di conseguire questo infinito” – “E’ una cosa grande il pensiero che nulla a noi sia dovuto: qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?»
C. Pavese “Il mestiere di vivere“
Forse non ha pensato che l’attesa È la struttura stessa della nostra natura, l’essenza della nostra anima.
Essa non è un calcolo, è data.
La promessa è all’origine, dall’origine stessa della nostra fattura.
Strutturalmente l’uomo attende; strutturalmente è mendicante: strutturalmente la vita è promessa.
ATTESA in:
L’orizzonte cui l’uomo arriva è come un segno di tomba; la morte è l’origine e lo stimolo a tutta la ricerca, perché l’insondabilità della domanda umana proprio lì trova la contraddizione più potente e sfrontata.
Ma questa contraddizione non toglie, bensì esaspera, la domanda.
8. Il senso religioso come dimensione (72)
«Il mistero dà fuoco e tensione ad ogni nostra parola»
Thomas Mann
Il senso religioso è la capacità che la ragione ha di esprimere la propria natura profonda nell’interrogativo ultimo è il locus della coscienza che l’uomo ha dell’esistenza.
Tale domanda inevitabile è di ogni individuo, dentro il suo sguardo a tutte le cose.
Perciò se si guarda a un uomo, una donna, un amico, un passante,
senza che eccheggi in noi il riverbero di quella domanda, di quella sete di destino che lo costituisce,
il nostro non sarebbe un rapporto umano, e tanto meno potrebbe essere un rapporto amoroso a qualunque livello: non rispetterebbe la dignità dell’altro, non sarebbe adeguato alla dimensione umana dell’altro.
La stessa domanda, però, nel medesimo istante in cui definisce la mia solitudine pone la radice della mia compagnia, perché significa che io sono costituito da un’altra cosa, sia pur misteriosa.
Tale compagnia è poi più originale della solitudine, in quanto quella struttura di domanda non è generata da un mio volere, mi è data.
"Uno sconosciuto è il mio amico, uno che non conosco / Uno sconosciuto lontano lontano. / Per lui il mio cuore è colmo di nostalgia. / Perché egli non è presso di me. / Perché egli forse non esiste affatto?
"Chi sei tu che ricolmi il mio cuore della tua assenza? / Che colmi tutta la terra della tua assenza? - (P. Lagerkvist - Poesie)
Conclusione (75)
Solo l’ipotesi di Dio, solo l’affermazione del mistero come realtà esistente oltre alla nostra capacità di ricognizione corrisponde alla struttura originale dell’uomo.
Se la struttura dell’uomo è questa domanda irresistibile e inesauribile,
si sopprime la domanda se non si ammette l’esistenza di una risposta.
Solo l’esistenza del mistero è adeguata alla struttura di mendicanza che l’uomo è.
Egli è insaziabile mendicanza e ciò che gli corrisponde è qualcosa che non è se stesso, che non si può dare, che non può misurare, che l’uomo non sa possedere.
MENDICANZA in:
Shakespeare
“...Il mondo senza Dio, sarebbe una favola raccontata da un idiota in un accesso di furore“.
Per ciò stesso che un uomo vive pone questa domanda, perché è la radice della sua coscienza del reale.
E non solo pone la domanda, ma vi risponde, affermando un “ultimo”.
Perché per ciò stesso che un uomo vive cinque minuti, afferma l’esistenza di un quid per cui valga la pena di vivere in fondo in fondo quei cinque minuti.
E’ il meccanismo strutturale della ragione, è una implicazione inevitabile.
Come l’occhio spalancandosi scopre forme e colori, così la ragione per ciò stesso che si mette in moto afferma un “ultimo”, una realtà ultima in cui tutto consiste, un destino ultimo senso di tutto.
L’affermazione della esistenza della risposta, come implicata nel fatto stesso della domanda può essere simboleggiata nella lettura della formula
A → A1
Che una cosa passi da una posizione a una diversa, significa che un «altro» (X) rende possibile il passaggio
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autore – felino.tassi@gmail.com
