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7° Cap. LA DICHIARAZIONE ESPLICITA (87)
Links ai singoli paragrafi
- Il primo affiorare di una esplicitezza
- Un contenuto di sfida
- La dichiarazione conclusiva
- La discrezione della libertà
Vediamo ora tre momenti in caratteristici in cui l’esplicitezza di Gesù si palesa.
1 – Il primo affiorare di una esplicitezza (87)
Negli ultimi tempi vediamo Gesù quasi installato nel portico del tempio a sfidare i farisei dalla mattina alla sera.
Gesù era sempre fuggito dai farisei, perché non lo prendessero.
Ora, invece, va a Gerusalemme, decisamente.
Gesù prende addirittura l’iniziativa di attaccare i farisei sul fronte della loro più alta competenza: l’interpretazione delle Scritture, di cui conoscevano ogni sottigliezza.
Benché ogni parola delle Scritture sembrasse non aver segreti per loro, la loro capacità interpretativa non bastava a controbattere Gesù.
Ma qualcosa di definitivo e di solenne deve essere giunto loro dal suo ragionare, perché da un certo punto non gli hanno fatto più domande.
Un inizio di esplicita risposta era dunque stato dato: la natura di Gesù si svela come divina.
2 – Un contenuto di sfida (89)
Gesù si rivolge a coloro che avevano simpatizzato per lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».
Obiettano a Gesù di essere sempre stati liberi (anche sotto una dominazione straniera o schiavi si sentivano liberi schiavi di Abramo).
E Gesù: «Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato».
«So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre».
«Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo: non sono venuto da me stesso, ma Lui mi ha mandato».
Gesù, continuando a discutere e ad accusarli in modo stringente dice chiaramente che:
«Tutte le loro pretese (figliolanza di Abramo e figliolanza di Dio) si infrangono contro il fatto che essi cercano di ucciderlo. Gesù parla e discute nella coscienza della sua totale unità con Dio».
R. Schnackenburg – il Vangelo – pag-382
E allora i simpatizzanti, che sono divenuti nel corso della diatriba sempre più estranei, sentendosi attaccati nel loro orgoglio religioso, passano a dar ragione a coloro che già si erano urtati con Gesù e lo accusano di essere posseduto da un demonio.
Ma Gesù percorre ormai fermamente la strada della autorivelazione: rifiuta le accuse e afferma qualcosa destinato ad aggravare ed aumentare lo scalpore e il clamore: «Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate. Io non cerco la mia gloria, vi è chi la cerca e giudica. In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola non vedrà mai la morte».
La reazione è violenta […]: «Chi pretendi di essere?».
La formulazione di questa domanda già denuncia il sospetto e la provocazione.
Insinua che Gesù si voglia parificare a Dio. Soltanto Dio è l’eterno Vivente e vivificante.
E Gesù pretende di risparmiare la morte agli uomini con la sua parola.
In questo modo egli usurpa un diritto riservato a Dio, e si pone al di sopra di tutti gli uomini a fianco di Dio.
Gesù spinge al massimo la sua provocazione: «Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno: lo vide e se ne rallegrò».
Ormai è chiara agli avversare l’insensatezza, la presunzione inaudita, assurda, di quanto Gesù sta dicendo.
Allora raccolgono pietre per scagliarle contro di lui, ma Gesù si nasconde e esce dal tempio.
La discussione, iniziata quasi per approfondire una simpatia e una curiosità, si conclude in una completa e drammatica rottura.
Vi sono affermazioni davanti alle quali è quasi come se il gioco egocentrico dell’animo umano fosse fatto esplodere.
Sono sfide alla ragione così come è vissuta, non certo alla ragione in tutta l’ampiezza del suo appetito conoscitivo.
3 – La dichiarazione conclusiva(94)
Dopo averlo molto sorvegliato, seguito per controllare il suo insegnamento, i capi religiosi si risolvono a decretare la pericolosità di Gesù.
Non risponde all’immagine del Messia che si aspettavano, si scaglia contro di loro, interpreti della Legge, distoglie il popolo dalla vera tradizione con insegnamenti sospetti, potrebbe attirare troppo l’attenzione dei romani.
Gesù viene arrestato e portato davanti al sinedrio per un giudizio.
E’ talmente viva l’esigenza di giustizia nell’uomo, che non si darà mai ingiustizia che non cerchi di porsi o imporsi senza almeno l’apparenza della giustizia, dimostrandone così la necessità.
Gesù, davanti al Sinedrio, fu oggetto di molte accuse, cui si erano prestati parecchi falsi testimoni, i quali però finirono per contraddirsi.
Il sommo sacerdote è alle strette, sa di dovere almeno formalmente ottenere qualcosa, e allora avanza l’ultima riserva per l’accusa.
«Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il figlio di Dio.» «Tu l’hai detto – rispose Gesù – anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo.»
Allora tutto il consiglio grida alla bestemmia e proclama Gesù reo di morte.
Evidentemente le autorità religiose del tempo riconoscevano in quella frase dell’uomo di Nazareth una identificazione con il divino, una pretesa sentita come confusione tra la realtà umana e quella divina, che giustificava l’accusa di bestemmia.
La condanna a morte di Gesù davanti al sinedrio fu per bestemmia,
così come fu esplicitata al governatore romano: «Perché s’è fatto Figlio di Dio».
4 – La discrezione della libertà (97)
I termini per decidere della pretesa cristiana sono così posti.
L’affermazione di Gesù è semplicemente un fatto, e i fatti fanno venire a galla l’atteggiamento di fondo del cuore umano, se cioè esso è chiuso o aperto di fronte al mistero dell’essere.
O ci si trova di fronte a una follia o quell’uomo, che dice di essere Dio, o è Dio.
Il problema della divinità di Cristo si riduce a questo: alternativa in cui penetra più che in ogni altra occasione la decisione della libertà.
Una decisione che ha radici recondite e collegate ad un atteggiamento di fronte alla realtà tutta.
La libertà non è rappresentata da scelte clamorose, esse non rendono ragione del dramma della nostra vita.
La libertà è quanto di più discreto esista.
Lo spirito assume una posizione originaria di fronte al reale e poi la sviluppa, e ne prende coscienza, nelle opzioni più gravide di conseguenze, solo dopo.
Di fronte al problema di Cristo si realizza la conseguenza della posizione primordiale, più intima e originale della nostra coscienza di fronte alla totalità degli esseri e dell’Essere.
LIBERTA’ in:
- Il senso religioso
- Perché la Chiesa
- Si può vivere così?
- Si può (veramente?!) vivere così?
- Il rischio educativo
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