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8° Cap. LA CONCEZIONE CHE GESU’ HA DELLA VITA
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- Premessa: una educazione alla moralità necessaria per comprendere
- La statura umana
- L’esistenza umana
- Una consapevolezza che si esprime in domanda
- La legge della vita
- Conclusione
1 – Premessa: una educazione alla moralità necessaria per comprendere (99)
PRIMO PUNTO
L’intimità personale si lascia comprendere nella misura in cui si rivela – e si rivela attraverso i “gesti” come attraverso dei segni.
Per cogliere e giudicare il valore di una persona attraverso i suoi gesti occorre una genialità umana.
Si tratta di una capacità psicologica più o meno sviluppata o più o meno favorita.
La compongono tre fattori:
- Una sensibilità naturale
- la completezza dell’educazione
- l’attenzione
SEGNO in:
- Il senso religioso
- Perché la Chiesa
- Si può vivere così?
- Si può (veramente?!) vivere così?
- Il rischio educativo
SECONDO PUNTO
La moralità è il rapporto tra il gesto e la concezione del tutto in esso implicato.
L’uomo infatti, si muove sempre per dimensione universale.
Eticamente tutto ciò si esprime come confronto vissuto di sé con un ideale che ci supera, quindi come umiltà che vive nello sforzo di migliorare sé e che si esprime nel desiderio sincero o, almeno, nel disagio per il proprio male.
Si tratta qui del sentimento proprio della creatura, cioè dell’essere in quanto dipendente, e si tratta della radice stessa della religiosità.
Così la più drammatica scelta della nostra libertà si colloca nelle profondità del nostro essere:
è scelta tra l’autosufficienza e la disponibilità.
Tra quella decisiva sfumatura di chiusura, che impedirà la verifica dei fatti, e impedirà quindi di capire e diventerà infine irreligiosità da una parte; e dall’altra una semplicità naturale vissuta che, nel tempo, darà i suoi frutti di consapevolezza e permetterà all’intelligenza e al cuore di spalancarsi ai fatti.
RELIGIOSITA’ in:
- Il senso religioso
- Perché la Chiesa
- Si può vivere così?
- Si può (veramente?!) vivere così?
- Il rischio educativo
TERZO PUNTO
Gesù nel Vangelo nota continuamente la necessità che abbiamo chiamato genialità morale per poterlo comprendere e osserva come l’abitudine a un atteggiamento autosufficiente, non disponibile, renda impossibile percepire il valore rivelatore di ciò che compie (persino davanti ai miracoli).
I due grandi miracoli: la guarigione del cieco dalla nascita (Gv 9,1-41) e la resurrezione di Lazzaro ( Gv 11,1-46).
In questi racconti sono vividamente scolpiti quegli atteggiamenti della libertà che rappresentano l’opposto di quell’apertura disponibile che siamo chiamati a favorire per poter giudicare la plausibilità della pretesa di Gesù.
Nel caso del cieco nato (i farisei) avevano avviato una specie di indagine sui fatti, di fronte alla resurrezione di Lazzaro decidono immediatamente di uccidere Gesù.
Anche noi, comunque, non ci sentiremmo mai capiti se non da qualcuno che abbia in sé qualcosa di noi.
Così per affrontare la concezione morale di Gesù, e per valutare la personalità che da essa traspare, occorre una umanità, una possibilità di corrispondenza con lui.
CORRISPONDENZA in:
QUARTO PUNTO
Grande è in questo la responsabilità dell’educazione: quella capacità di comprendere infatti, pur rispondente alla natura, non è spontaneità.
Se la sensibilità per la nostra umanità non è costantemente sollecitata e ordinata, nessun fatto, neppure il più clamoroso, vi troverà corrispondenza.
A Gesù dopo tre anni che compiva prodigi, chiedono un giorno un miracolo.
Chiedono un segno che travolgesse la loro libertà.
Invece per Dio l’umanità non è qualcosa da costringere, ma da “chiamare” nella libertà.
2 . La statura umana (103)
È nella concezione della vita che Cristo proclama, è nella immagine che Egli dà della vera statura dell’uomo, è nello sguardo realistico che Egli porta sull’esistente umano, è qui dove il cuore che cerca il suo destino ne percepisce la verità dentro la voce di Cristo che parla;
è qui dove il cuore “morale” coglie il segno della Presenza del Signore.
Il valore della persona (104)
Ogni uomo possiede un principio originale e irriducibile, fondamento di diritti inalienabili, sorgente di valori.
La persona gode di un valore e di un diritto in sé, che nessuno può attribuire o toglierle.
Il valore racchiude il motivo, lo scopo di un’azione, il “ciò per cui vale la pena vivere” o esistere.
Quindi, essere sorgente di valori significa avere in sé lo scopo del proprio agire.
Per tutto ciò Gesù dimostra nella sua esistenza una passione per il singolo, un impeto per la felicità dell'individuo che ci porta a considerare il valore della persona come qualcosa d'incommensurabile, irriducibile.
Il problema dell'esistenza del mondo è la felicità del singolo uomo.
Il motivo ultimo, infatti, che spinge a voler bene a sé e all’altro è il mistero dell’«io»; ogni altra ragione è a questa introduttiva.
PERSONA in:
L’originale dipendenza (105)
Su cosa si fonda (il valore della persona?)
Se non si ha chiaro su che cosa si fonda un valore, lo si misconosce senza rendersene conto.
L’evidenza ultima della vita, subito dopo il fatto che esiste, è che prima di aver vita non l’avevamo.
Perciò dipendiamo.
Cristo evidenzia nell’uomo una realtà che non deriva da dove l’uomo fenomenologicamente proviene, realtà che è rapporto diretto esclusivo con Dio.
Questo è il rapporto misteriosamente personale che riguarda anche il più piccolo essere umano.
Quell’irriducibile rapporto è il valore inaccessibile e inattaccabile da qualunque genere di influenza.Ora
tale rapporto, unico, in quanto è riconosciuto e vissuto è religiosità.
Ora Gesù, nella sua vita terrena, è come concentrato su questo problema.
Ciò significa che senza quel rapporto il singolo uomo non ha possibilità di avere un volto suo, indistruttibile, d’eterna durata; non ha cioè la possibilità d’essere persona, di rappresentare quindi un ruolo inconfondibile nel cammino del mondo, d’essere protagonista nel disegno totale.
È la scoperta della persona che con Gesù entra nel mondo: ed è la passione per essa che rende Gesù appassionato messaggero della dipendenza, unica e totale, del singolo uomo dal Padre.
La religiosità cristiana non sorge come gusto filosofico, ma dalla accanita insistenza di Gesù Cristo che vedeva nel rapporto con il Padre l’unica possibilità di salvaguardare il valore della singola persona.
La religiosità cristiana sorge come unica condizione dell'umano.
Gesù ha molto insistito su qualcosa che sconvolge i puristi: diceva
«ascoltatemi, vi conviene»
Gesù ci avverte di non farci ingannare su quel rapporto definitivo con Dio: esso, cioè la religiosità, conviene per salvare la propria persona.
La grandezza e la libertà dell’uomo derivano dalla dipendenza diretta de Dio, condizione per cui l’uomo realizzi e affermi sé.
La dipendenza da Dio è la prima condizione per l’interesse umano.
La dipendenza da Dio vissuta, cioè la religiosità, è la direttiva più appassionata che Gesù dà nel suo Vangelo.
DIPENDENZA in:
- Il senso religioso
- Perché la Chiesa
- Si può vivere così?
- Si può (veramente?!) vivere così?
- Il rischio educativo
3 – L’esistenza umana (109)
La religiosità in quanto tende a far vivere tutte le azioni come DIPENDENTI da Dio si chiama moralità.
È una ambiguità carica di menzogna una moralità che non parta da qualcosa che sia più dell’io, che non sia l’io: subdola forma per imporre sé stessi a tutti è l’identificazione del dovere con la propria coscienza.
Mentre la coscienza è il luogo dove si percepisce la dipendenza, un luogo dove emerge la direttiva di un Altro.
La libertà, quindi, è responsabilità, cioè risposta a un Altro.
Soltanto quest’ipotesi fonda la libertà di coscienza.
La libertà, infatti, è responsabilità, cioè RISPOSTA a un Altro.
RESPONSABILITA’ in:
4 – Un consapevolezza che si esprime in una domanda (111)
L’espressione della religiosità e della moralità in quanto coscienza della dipendenza da Dio si chiama preghiera.
PUNTO (A)
La preghiera è coscienza ultima di sé, come
coscienza di dipendenza costitutiva.
Essa rappresentava il tessuto del sentimento di sé che aveva Cristo.
PUNTO (B)
Nella preghiera risorge e prende consistenza l’esistenza umana.
Così insegna la persona di Gesù.
La dipendenza dell’uomo è continua, di ogni istante, di ogni sfumatura.
La vita si esprime, dunque, innanzitutto come coscienza di rapporto con chi l’ha fatta e la preghiera è accorgersi che in «questo» momento la vita è «fatta».
Stupore devoto, rispetto, soggezione amorosa in questo gesto di consapevolezza: ecco l’anima della preghiera.
Soltanto così la solitudine è eliminata: nella scoperta dell’Essere come amore che dona se stesso continuamente.
L’esistenza si realizza sostanzialmente come dialogo con la grande Presenza che la costituisce, compagno indivisibile.
non esiste nulla che facciamo da soli.
Ogni amicizia umana è riverbero dell’originale struttura dell’essere, e se lo nega rischia la sua verità.
L’atto di preghiera sarà necessario per allenarci a tale coscienza di ogni azione.
Per questo il più alto vertice della preghiera non è l’estasi, cioè una coscienza del fondo tale che uno smarrisce il senso del solito;
ma piuttosto vedere il fondo come si vedono le solite cose.
«Prega più che puoi» è la formula della coscienza di fronte all’Ideale;
è la formula della libertà per l’uomo in cammino.
ISTANTE in:
PUNTO (C)
Ma l’espressione compiuta della preghiera è di essere domanda.
In due luminosi e commoventi brani del Vangelo Gesù ha con forza definito la natura di domanda che è la preghiera, proprio come gesto di supremo realismo nel confronti della condizione umana: (La persona che importuna tardi un amico per avere del pane, [Lc 11,5-13] e la vedova che va insistentemente dal giudice [Lc 18,1-8]).
Se l’uomo oblitera ciò cui la preghiera dà consistenza, cioè la coscienza della totale dipendenza e dell’inevitabile stato di domanda, smarrisce sé stesso, rifiuta la salvezza.
Colui che ci fa, ci fa vita:
l’accorgersi di Colui che ci fa, coincide con la domanda che ci faccia vita.
Se la grande consapevolezza non si traduce in domanda, non è vera consapevolezza.
Il fenomeno del nostro bisogno – qualunque esso sia – ci richiama alla dipendenza da Dio: Gesù non misconosce qualsiasi domanda.
5- La legge della vita (117)
IL DONO DI SE’
Lo scopo dell’agire dell’uomo, se in ultima analisi è la sua completezza, o felicità, immediatamente però è servire il tutto di cui fa parte.
L’esistenza umana si snoda in un servizio al mondo, l’uomo completa se stesso dandosi via, sacrificandosi.
«Forse che fine della vita è vivere? Forse che i figli di Dio resteranno fermi con i piedi su questa miserabile terra? Non vivere ma, morire […] e dare in letizia ciò che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna! [….] Che vale il mondo rispetto alla vita? E che vale la vita se non per essere data?»
P.Claudel – L’annuncio a Maria
Questa è la grandezza dell’uomo: così come l’Essere che lo ha creato, la sua vita è di essere dono; egli è simile a Dio.
Così, il suo consumarsi deve divenire dono:
egli è l’unica creatura che può essere cosciente di questo elemento strutturale del reale.
La legge dell’esistenza umana è l‘amore nella sua realtà dinamica che è l’offerta, il dono di sé.
«Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» [Lc 9,24].
DONO DI SE’ in:
Ci viene così sottolineata la paradossalità di questa legge:
la felicità attraverso il sacrificio.
Per descrivere il meccanismo occorre guardare innanzitutto la sua funzione, il fine di esso. Ora,
la destinazione dell'io, essendo il tutto, la sua legge è darsi al tutto.
L’uomo, al di fuori della coscienza del tutto, si sentirà sempre prigioniero e annoiato.
Il fine della vicenda umana viene perseguito con i mezzi che si hanno a disposizione, con “ciò che si è”.
Due fattori :
- 1 – L’istintività. E’ ciò che mi trovo addosso, ciò che mi determina, mi stimola. Proprio da questo l’uomo è introdotto al servizio della realtà: da un complesso di dati da cui non può prescindere.
- 2 – Tale attrattiva, stimolo, impulso hanno un fine. Perciò il secondo fattore è La coscienza del fine proprio a questo fascio di istintività. L’ordinare l’istinto allo scopo, cioè al tutto, è il fondamentale dono di sé al tutto: è il cosiddetto dovere, la cui essenza, quindi, non può che essere amore, cioè consegna di sé. La risposta al problema della indissolubilità del matrimonio ha la stessa motivazione della verginità: la dedizione al «Regno dei cieli», il servizio al grande disegno.
Ma non è umano dare se stessi se non a una persona, non è umano amare se non una persona.
Il «tutto» in ultima analisi è l'espressione di una persona: Dio.
L’agire dell’uomo nel mondo si identifica, nel suo livello più cosciente con la preghiera.
In questo senso, non c’è nulla di profano, tutto è collaborazione, dialogo nel grande tempio dell’Essere, di Dio.
SACRIFICIO in:
IL DISORDINE UMANO (120)
L’uomo è di fatto incapace di vivere compiutamente la grande dipendenza di Colui che è la sua verità.
Invece di ordinarsi al tutto, tenta di ordinare il tutto a sé, invece di darsi, tenta di prendersi, invece di amare, di sfruttare.
E’ ciò che la tradizione cristiana chiama peccato originale.
Gesù ci ha insegnato che chi accetterà il suo messaggio di salvezza non potrà esimersi dall’affrontare questo problema di sincerità con se stessi, da questo realismo nel considerare l’uomo:
non si può essere se stessi da soli.
La compagnia, quella che poi si chiamerà la comunità cristiana, è essenziale al suo cammino.
Il che equivale a dire, una volta di più, che l’uomo non può realizzare se stesso se non accettando l’amore di un Altro.
PECCATO ORIGINALE in:
Confronta anche:
ESPERIENZA DEL RISCHIO in:
LA LIBERTA’ (122)
(A) – Alla libertà dell’uomo Cristo, deve corrispondere la libertà dell’uomo che continuamente lo accetti.
(B) – Ma che cosa è la libertà?
La libertà è capacità di infinito, sete di Dio.
La libertà è quindi amore, perché è capacità di qualcosa che non è noi, è un altro.
(C) – Durante la vita la libertà non ha a disposizione l’intero suo oggetto. E’ in divenire.
Quanto più intensa è la vita della libertà tanto più qualsiasi cosa è attrattiva.
Ma ogni oggetto, non essendo adeguato all’apertura della libertà, non la impegna tutta.
Qui è la possibilità di scelta della libertà che non è ancora tutta se stessa perché impegnata da attrattive inadeguate.
Ora, o essa riesce ad avvicinarsi al fine o, poiché inesorabilmente tende a ciò che la soddisfi di più, si ferma a ciò che la sazia maggiormente al momento.
In questo modo però si contraddice, essendo fatta per la completezza.
(D) – Chi fa il male si rende schiavo di una misura che non è quella per cui è stato fatto.
(E) – La libertà, quindi, è la capacità che l’essere cosciente possiede di realizzare completamente sé stesso.
LIBERTA’ in:
- Il senso religioso
- Perché la Chiesa
- Si può vivere così?
- Si può (veramente?!) vivere così?
- Il rischio educativo
6 – Conclusione (124)
Non è compito di Gesù risolvere i vari problemi, ma richiamare alla posizione in cui l’uomo più correttamente può cercare di risolverli.
Il compito di coloro che hanno scoperto Gesù Cristo – il compito della comunità cristiana – è proprio quello di realizzare il più possibile la soluzione degli umani problemi in base al richiamo di Gesù.
Non c’è nulla di più anticristiano che il concepire la vita come qualcosa di comodo e soddisfatto, come una possibile felicità contingente.
Nell’abbandono e nell’adesione a Gesù Cristo fiorisce un’affezione nuova a tutto che genera esperienza di pace, l’esperienza fondamentale dell’uomo in cammino.
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