Riassunto di “Perché la Chiesa”



E.Hopper 1935 (ingrandisci)

3° – Cap. SECONDA PREMESSA: DIFFICOLTA’ NEL CAPIRE IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE CRISTIANE (35)


  1. Accorgersi di una difficoltà
  2. Il medioevo dal punto di vista della diffusione di una mentalità
  3. L’umanesimo dal punto di vista della disarticolazione di una mentalità
  4. Il Rinascimento dal punto di vista di una natura intesa come fonte ultima dell’energia umana
  5. La difficoltà di un uomo concepito astrattamente: il razionalismo
  6. Il denominatore comune dei tre fattori descritti: l’uomo al centro?
  7. L’intensificazione di un atteggiamento fino all’attualità dello scientismo
  8. Conclusione

1 – Accorgersi di una difficoltà

Come  mai l’uomo di oggi è così poco facilitato a rendersi conto del significato di parole direttamente collegate all’esperienza cristiana?

Per rispondere vorrei riandare, sia pur brevemente, al formarsi storico della nostra perplessità moderna a riconoscere una religiosità della vita, e quindi un proposta che tenda a impostare la vita intera sulla signoria di Dio.

Tale estraneità coincide proprio con la difficoltà a considerare il religioso determinante di tutto. (Esempio degli scalatori).



2 – Il medioevo dal punto di vista della diffusione di una mentalità (37)

La cultura medioevale favoriva la formazione di una mentalità contrassegnata da una religiosità autentica, determinata da una immagine di Dio come orizzonte totalizzante di ogni umana azione, da una concezione di Dio come pertinente a tutti gli aspetti della vita, sottendente ogni esperienza umana, nessuna esclusa, e quindi come ideale unificante.

Questa sorta di invadenza di Dio nella vita è l’inevitabile conseguenza di un Dio concepito in modo adeguato.

«Una civiltà cristiana non è certamente una civiltà perfetta, ma è una civiltà che accetta lo stile di vita cristiano come normale»

(DAWSON – Cristianesimo e civiltà»)

L’esistenza di una diffusa mentalità religiosa dava agli individui l’educazione necessaria per possedere familiarmente un criterio, il quale, posseduto e assimilato, poteva essere applicato bene ma anche male, poteva essere origine di creatività, ma anche di atteggiamenti che è facile per noi uomini del XXI secolo giudicare iniqui, come le guerre o certi sistemi iniqui.

Nessun tipo di formazione nell’uomo può, del resto, garantire da queste contraddizioni rispetto ai pur giusti principi in cui si ispira. Anzi:

Dawson: «Vi è sempre una considerevole diversità tra i principi morali di una società e la pratica morale degli individui, e quanto più alti sono i principi tanto più ampio è il divario, cosicché dovremmo naturalmente aspettarci che il contrasto  tra i principi morali e il comportamento sociale sia maggiore nel caso del cristianesimo».

(Dawson)

Comunque una mentalità autenticamente religiosa è proprio ciò che nel Medioevo rendeva più facile l’adesione e la convinzione religiosa stessa: Dio era trattato e concepito per quello che veramente è, vale a dire la sorgente di ogni cosa, perciò la presenza suprema in qualunque aspetto della vita.

Nel medioevo era più difficile, come invece purtroppo appare più ovvio alla nostra mentalità moderna, immaginarsi Dio come qualcosa accanto alla vita concreta, con le sue preoccupazioni e i suoi impegni.


MENTALITA’ in:


3 – L’umanesimo dal punto di vista della disarticolazione di una mentalità (43)

A) – L’adeguata posizione di un problema

Il significato della vita – o delle cose pertinenti e importanti della vita – è un traguardo possibile solo per chi sia impegnato con la problematica totale della vita stessa.

Se un ambito o una mentalità forniscono spunto adeguato al porsi di un problema, questo potrà apparire con il concorso delle sue componenti essenziali e avviarsi più confortevolmente a essere risolto (come nel medioevo).

Se, al contrario, una mentalità e un ambito non forniscono gli elementi perché si avvii la dinamica di un dato problema in modo adeguato, bensì in modo fazioso o unilaterale, tale problema si affaccerà male allo sguardo e il soggetto umano sarà facilmente handicappato al riguardo.


B) L’avvio di un processo di disarticolazione (44)

Alle fonti della nostra difficoltà moderna a comprendere il linguaggio cristiano sta questo handicap (descritto nel paragrafo sopra).

Possiamo collocare l’inizio di un processo di disarticolazione di quella mentalità religiosa unitaria, capace di porre adeguatamente il problema religioso, nel corso del secolo XIV.

Ciò che importa è riconoscere che l’origine di quell’affievolimento di una mentalità organica per quanto riguarda il problema religioso pesca in una possibilità permanente dell’animo umano, in una possibilità triste di mancanza di impegno autentico, di interesse e di curiosità al reale totale.

«È nelle zone segrete della coscienza, attraverso l’oscura dialettica degli ideali e delle passioni, che si elabora il destino del mondo, e le forze nuove che fanno crollare gli imperi sono quelle stesse che ogni uomo affronta nelle tenebre del suo cuore complice»

(H.Daniel-Rops – Storia della Chiesa del Cristo)

Allora si dovrebbe dire che in un clima di maggiore ricchezza, in un otium più fruibile, l’istintività umana si fa strada, e via via si ideologizza fino a favorire un’aria di disimpegno con la globalità e l’incarnazione dei valori ideali che pur teoricamente si trattengono.

Un tale disimpegno contribuiva tanto più a disconnettere il clima sociale in quanto rendeva più inquietanti i contrasti nella vita della comunità civile.

All’interno di questa somma di circostanze sociali si delinea allora il profilo di una unità in via di disgregazione, cui l’Umanesimo darà un supporto culturale.


ISTINTIVITA’ in:


C) L’uomo frammentato in una molteplicità di ideali (pag.47)

Se non sarà Dio il riferimento di tutta la sua vita, senza esclusione di nulla, qualcosa di particolare occuperà il posto di Dio, che non sarà mai vuoto nel cuore dell’uomo.

L’ideale unico si frammenta in una molteplicità di ideali – estetici, politici, culturali e così via -, ognuno dei quali cattura l’energia umana con una sorta di dispotismo.

Con l’Umanesimo, dunque, non si è consumato alcun attacco o distacco dottrinale religioso: l’umanista non è contro Dio, ma l’interesse per cui vale la pena vivere non ha più a che fare con Dio, poiché non è più da Dio che sono unificati desideri e giudizi.

Resta dominante nell’Umanesimo, ed è la formula che meglio definisce il valore che viene attribuito alla vita, il gusto della gloria, la ricerca della Fama e della Fortuna: l’interesse fondamentale del vivere come interesse di una «riuscita».


D) L’esaltazione dell’uomo nella tradizione cristiana (pag.50)

La valorizzazione della persona che la tradizione della Chiesa propone è indicata nella idea cattolica di MERITO, quell’idea per cui basta un briciolo di tempo vissuto con intensità nei rapporti ultimi che lo determinano –  coscienza del destino e affezione al mondo nelle circostanze in cui Dio chiama – in proporzione a ciò un uomo vale.

In proporzione a ciò l’uomo “va in Paradiso”.

Una tale idea pone l’utilità dell’uomo nella coscienza che genera l’azione e basta, vale a dire nel riconoscimento umano della verità e nell’amore a essa.

La tradizione cristiana, così, spazza via l’idea di uomo inutile, di tempo senza senso, di azione puramente banale.

Ogni azione dell'uomo in questa prospettiva è per il mondo intero, assume una dignità cosmica.

In quest’ottica l’uomo è libero dalle circostanze, non è schiavo del caso per quanto riguarda il suo valore, può essere grande, può camminare verso la perfezione anche nelle peggiori condizioni o in quelle più umili.

La reale differenza sta nell’aver separato il vero destino dalla vita.

Dopo che insensibilmente questa rescissione dei nessi si è consumata, ogni elemento particolare può subentrare a quel riferimento ideale la cui integralità si è sbiadita e allontanata.


MERITO in:


4 – Il Rinascimento dal punto di vista di una natura intesa come fonte ultima dell’energia umana (52)

a) Una speranza irragionevole 

E’ stato introdotta nella realtà sociale storica un ottimismo ad oltranza sulle energie dell’uomo, che caratterizzerà tutta l’epoca moderna compresa quella contemporanea.

(Per) questa speranza poggiata interamente sulla misura e sull’operatività umana,

Il senso della vita si gioca nella valorizzazione di un particolare, nella esaltazione parziale di ciò in cui uno eccelle.

E, al limite, non importa di cosa si tratti.

Il risultato è che l’orizzonte del giudizio umano è occupato da un particolare mostruosamente ingrandito: l’equilibrio unitario della persona tende perciò a essere compromesso.

In fondo, riuscire significa in qualche modo incidere sulla vita sociale, realizzare qualcosa anche per l’umanità.

È il criterio dell’efficienza sociale (che esclude come valore chi non è efficiente…in tutti i sensi).

Tale disuguaglianza non differisce poi molto dalla situazione della società romana di duemila anni prima, quando la personalità dell’uomo si considerava compiuta solo nel caso del civus romanus, che mutuava perciò, dall’appartenenza a Roma il suo valore.

Come è diversa la visione proposta dalla tradizione della Chiesa, che abbiamo visto trattando del concetto di merito, dove l’uguaglianza tra gli uomini dipende dal fatto che il valore del singolo deriva totalmente dalla sua libertà!

In questo senso si sostituisce, all’irrazionalità assoluta dell’esaltazione di una forza che per caso si ha,

l’esaltazione di un istante che può essere vissuto dall’io nella libertà più piena, nella consapevolezza del suo essere “fatto ad immagine di Dio”(cioè del suo destino), in qualunque situazione.


PARTICOLARE in:


b) La ricerca di una sorgente dell’energia umana (54)

Di fronte a un cielo in cui Dio era divenuta una nuvola lontanissima, sembrò evidentemente più realistico guardare alla terra come sorgente di quell’energia capace di fare grande l’uomo (in un particolare).

È nell’epoca rinascimentale che questo sguardo trova il suo fondamento sistematico, la sua traduzione culturale nell’individuazione della sua fonte di energia: la natura, una natura ben presto panteisticamente intesa.

La natura non è più dunque segno di Dio, ma comincia a supplirne la presenza.

La natura, così, non è nient’altro che l’idea panteistica di Dio resasi immanente alla mentalità rinascimentale.

Se la natura è all’origine di tutto, tutto ciò che dalla natura proviene finirà con l’essere un bene, anche se non si adegua a forme morali codificate.

L’esplicitazione della istintività diviene un ideale etico, legittimato dalla supposto sintonia dell’istinto con l’ideale naturale.

Qui viene identificata la morale della spontaneità e si diffonde nella mentalità comune la difficoltà a capacitarsi che quanto è dettato dall’impulso possa anche essere un male per l’uomo.

In tale contesto un Dio che si spinga al dettaglio di dire: ”Questo non si può fare” viene percepito come un impedimento alla libera espansione dell’uomo, una inaccettabile intrusione ostacolante l’umana realizzazione.

Questa è la prima documentazione di un passo che in breve tempo diverrà strada verso un’ostilità al Dio cristiano proposto dalla tradizione.


c) La dimenticanza di un fattore della realtà  (56)

Tale ostilità è frutto di una persistente dimenticanza, dunque di una riduzione del reale.

«Fa’ ciò che vuoi, perché per natura l’uomo è spinto ad atti virtuosi»

Rabelais

Rabelais però dimentica qualcosa che la Chiesa, attraverso cui giunge fino a noi la persona di Gesù e quindi l’attualità del cristianesimo, non dimentica:

«Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio».

Romani 7,18ss

Esiste sì, dunque, una legge ideale scritta nel cuore [link a "Il senso religioso"] dell’uomo, ma occorre anche riconoscere, con Paolo, l’esistenza di un’altra legge che contraddice la prima.

Così si delinea la fisionomia di un uomo visto nella sua completezza.

Per questo la Chiesa ha sempre ribadito che l’uomo senza la grazia non può a lungo resistere senza commettere peccato mortale.

Molto realisticamente, l’uomo, senza l’aiuto gratuito di Cristo, non riesce a vivere a lungo senza farsi del male, senza andare gravemente contro se stesso.

Badiamo bene: l’uomo da solo, l’uomo come tale!

Il Rinascimento tende a censurare questa evidenza dell’esperienza umana, ambigua e contraddittoria all’origine, e tale censura, che come abbiamo visto è rappresentata nella frase di Rabelais, ha in qualche modo formato la mentalità dell’uomo moderno.

L'uomo è uno, ma diviso.

si tratta di ciò che la tradizione cristiana chiama «peccato originale».


5 – La difficoltà di un uomo concepito astrattamente: il razionalismo (60)

a) Una ragione che non ammette interferenza

Emerge, nell’epoca del razionalismo – a partire da un certo momento di maturità del Rinascimento -,un concetto ben preciso di ragione e di coscienza, che non ammette né interferenze né integrazioni dal di fuori.


[Ne “Il senso religioso”: «ragione»]


Se la coscienza è il luogo e il soggetto originario della verità – se l’uomo è «misura di tutte le cose» – e se la ragione è l’unico strumento della coscienza, non si può dalla ragione comunque uscire.

Tutto si racchiude entro i limiti della ragione, vero dio del mondo, manipolatore e creatore.

Il vero signore della natura non è lontano dall’uomo: è la sua ragione.

Se Dio c’è, per la mentalità razionalista, l’esauriente modalità della sua azione nel mondo sarebbe la ragione dell’uomo.

Ancora una volta, non è l’abolizione necessaria di Dio, ma è l’assoluta abolizione di ogni possibilità di liberazione del presente tramite un suo intervento eccedente l’orizzonte della creatività razionale.

2 annotazioni.

1) – La Chiesa cattolica propone esattamente ciò che da questa concezione della ragione viene considerata una arbitraria intrusione.

Essa propone cioè l’annuncio di un divino che si rende compagnia [link a "Il senso religioso"] al cammino dell’uomo.

Con tale compagnia, che è quella di Cristo, l’uomo sa con chiarezza e certezza ciò che è.

Ma per la mentalità formata dal razionalismo, una simile proposta […] è prigionia dello spirito e della mente.

Se verità è ciò che è dimostrabile dall’uomo, la prima cosa che viene esclusa a priori come non senso è che Dio possa intervenire nella storia dell’uomo.

Ma non è più libera la mente aperta alla possibilità di qualunque annunzio e disposto a verificarlo? «Che cosa è l’uomo? Un nulla capace di Dio».

2)- Il fervore per la ratio che scopre la sua corrispondenza con i dinamismi della natura […] consuma una nuova tappa dell’allontanamento di quel Dio dalla mentalità della gente.

E non è inutile ribadire che tale nuova tappa di allontanamento ha trovato via libera nella diffusione di una mentalità ormai non più esercitata, nel suo contesto sociale, all’integralità dei nessi tra l’uomo e Dio, e quindi alla visione globale dell’immagine del Dio cristiano.

«Quali furono i dati più generalmente ammessi? Il primato dell’uomo, considerato come il centro del mondo; dell’uomo, l’onnipotenza della ragione, considerata arbitra di tutto il pensiero e di tutta la condotta; di conseguenza il culto della scienza da una parte, e dall’altra l’affermazione che la morale naturale è sufficiente, e non ha bisogno né d’insegnamento divino, né di ricompense d’oltretomba».

Daniel-Rops – Storia della Chiesa del Cristo

RAZIONALISMO in:


RAGIONE in:


b) Due effetti del razionalismo sulla comprensione della Chiesa (pag. 64)

Il razionalista riduce il problema (Cristo) a idee già in lui formulate, a categorie di possibilità che egli stesso, sovrano di sé, stabilisce in modo tale che un problema lo si considera così come si vuole formularlo e non come esso si pone.

L‘atteggiamento protestante, di fronte allo stesso problema è una versione diversa dell’identico soggettivismo la cui radice è il sentimento.

L’uomo che decide esclusivamente attraverso la sua ratio, o attraverso il suo sentire, si condanna a una perdita di oggettività, che finirà paradossalmente per danneggiare sia la sua ratio che il suo sentire.

Lutero inizia così spasmodicamente l’altra faccia del moderno stato d’animo che si appoggia su cose non meramente intellettuali. Nel vero senso della parola suscitò il mondo moderno: distrusse la ragione e vi sostituì la suggestione.

Ecco come l’atteggiamento protestante compie il quadro: un impeto religioso che finisce col trovarsi congiunto al soggettivismo razionalista.


6 – Il denominatore comune dei 3 fattori descritti: l’uomo al centro? (66)

  • UMANESIMO : con il suo aspetto efficientista disarticolante una mentalità unitaria.
  • RINASCIMENTO: con il suo naturalismo
  • RAZIONALISMO: nella sua esaltazione dell’uomo misura di tutte le cose

Denominatore comune emergente da questi tre fattori è l’ESALTAZIONE A OLTRANZA DELL’UOMO.

L’uomo è al centro di tutto, non altro.


2 corollari

1) – Il primo ci rivela che l’«uomo» posto al centro di tutto è inteso astrattamente, e sarà diverso a secondo della concezione che lo proclama.

Così, al centro di tutto è conclamata l’umanità intera e non l’uomo concreto presente.

Ma l’umanità intera che cosa è? È una astrazione.

Il complesso dell’umanità è astratto, perché il soggetto umano individuabile è quello che dice «io».

E quando si dice «noi» non si può togliere nulla al fatto che l’insorgenza dell’umano sono «io», sei «tu».

È l’astrazione cui si è arrivati e si arriva a partire da una mentalità razionalista ossessionata dal bisogno di spersonalizzare ciò che ammira di più, tanto l’io quanto Dio.

Occorre pensare da persona, occorre mettere in gioco l’«io» senza del quale non si partecipa a nessun altra realtà personale, uomo o Dio.

Marx 21-6-1856: «Io mi sento di nuovo un uomo, perché provo una grande passione, e la molteplicità in cui lo studio e la cultura ci impigliano, e lo scetticismo con cui necessariamente siamo portati a criticare tutte le impressioni soggettive e oggettive, sono fatti apposta per renderci tutti piccoli e deboli e lamentosi e irrisoluti.

Ma l’amore non per l’uomo di Feuerbach, non per il metabolismo di Moleschott, non per il proletariato, bensì l’amore per l’amata, per te, fa dell’uomo nuovamente un uomo».

Marx in Lettere d’amore e di amicizia

L’uomo concepito astrattamente si rivela dunque una grande illusione, perché è con sé stessi che si deve vivere e con le proprie esigenze.


ESIGENZE in:


ESPERIENZA ELEMENTARE in:


2) -Se il fenomeno uomo non è strutturalmente inteso come qualcosa che riguardi l’«io», allora facilmente si parlerà di uomo e di umanità in connessione ad una logica di potere.

La parola «io» si perde nell’indistinto, se l’uomo viene identificato con la collettività, e, dunque, in ultima analisi si perde.

E questa collettività senza volto finisce per essere guidata da qualcuno che si pretende comunque fuori da quell’anonimato, con un volto preciso.

Conclusione

Il denominatore comune emergente dai tre fattori, indicati come determinanti la mentalità moderna, è l’esaltazione a oltranza dell’uomo, non però dell’uomo nella sua concretezza personale, ma dell’uomo, prima dimentico di fattori essenziali della sua realtà, poi inteso come contenuto di una concezione astratta, vittima designata dei giochi degli umani poteri.


7 – L’intensificazione di un atteggiamento fino all’attualità dello scientismo (69)

Tale esaltazione dell’uomo attraverso la sua ragione si andò incrementando come mentalità normale, divenne corrente di pensiero sempre più influente in ambito europeo.

La ragione conobbe stagioni di avanzamenti brillanti nel campo delle scienze e fu proprio alla scienza che la mente dell’uomo chiese di dare senso alle cose.

«I veri “lumi” l’intelligenza andò sempre più a chiederli alla scienza: ciò che questa non era in grado di spiegare doveva essere rifiutato senza discussione».

Daniel-Rops – Storia della Chiesa del Cristo

Un simile atteggiamento si chiama scientismo: una concezione del progresso scientifico che lo promuove a vero esclusivo incremento dell’umano e perciò come metro per valutare ogni forma di sviluppo.

Nei secoli successivi il razionalismo, nella sua espressione di scientismo, ha attraversato il tempo in forma di cultura ufficiale, e come una coltre batterica questa è quasi per osmosi passata nella mentalità della gente: si è creata una nuova mentalità generale.

Leggendo un certo tipo di letteratura filosofica e teologica della seconda parte dell’800 ci si trova di fronte a un ottimismo sconcertante sull’imminente destino di felicità mondiale.

«Il pensiero di questo mondo viene gradualmente liberato dalla superstizione e dal pregiudizio; i sentimenti sociali vengono purificati; i costumi lentamente volgono al meglio; le leggi vengono forgiate secondo i più perfetti concetti di giustizia»

W:Gladden – Ruling ideas of the Present

L’idealismo del (Movimento) Social Gospel, doveva essere sconfitto dalla storia stessa.

A denunciarne il carattere illusorio e utopistico aveva iniziato la Prima Guerra Mondiale.

La grande crisi economica d’una decina di anni dopo rivelò l’insanabile disagio in cui l’ottimismo era costretto dalla forza delle cose.

La Seconda Guerra Mondiale segnò il definitivo tracollo dell’utopia.

«Dal 1914 una esperienza tragica ha fatto seguito all’altra, come se la storia avesse avuto il compito preciso di sfatare le varie illusioni dell’uomo»

R.Niebuhr – Faith and History

Nonostante tutto, però, un tale clima di affidamento alla scienza giunge come mentalità generale fino a noi.

Lo scientismo si attesta sull’ultima parola cui il razionalismo avvia: è il concetto di progresso, vissuto come illusione di poter trasportare nel futuro realizzazioni di cui l’umanità è incapace nel presente.

Il significato esauriente dell’uomo e della storia sarebbe la ragione indefinitivamente applicata a dominare le cose. Non è questa una nota contro la scienza, ma una accusa alla pretesa della scienza come risolutrice del problema umano.

Così l’uomo, applicando la sua ragione come misura unica, nell’affanno di dominare la natura la distrugge e in questo modo distrugge se stesso, non può più vivere.

L’uomo senza Dio non ha più misura.

«Sarete come Dio» dice il serpente.

Non dice «Dio non c’è», ma insinua che Dio è inutile all’uomo.

La pretesa di poter far tutto restringe gli orizzonti della ragione umana, che finirà col dire: «solo quello che io posso fare esiste».

Ed è proprio questa riduzione di orizzonte che ci porta alla tappa conclusiva del nostro cammino dentro la difficoltà moderna a comprendere un discorso religioso autentico.


CONCEZIONE LAICISTA E RAZIONALISTA:


8 – Conclusione (75)

Dio, come si è detto, non è negato.

E ancor oggi è facile che si ammetta il Dio, l’Ente supremo, purché sia chiaro che con la realtà umana non c’entra.

NON SI NEGA Dio, purché sia accettato che l’uomo può fare a meno di Lui.

Questa mentalità derivata dal razionalismo, frutto tuttavia di una lunga disgregazione, in quanto è arrivata a ispirare la società intera in tutte le sue forme, in special modo quelle educativa, si chiama laicismo.

Per questo il laicismo è, implicitamente almeno, ateismo: vita senza Dio.

O meglio ancora, l’ateismo è l’atteggiamento più conseguente, teorico e pratico, del laicismo.

Comunque, un Dio che accetti di tenersi in disparte dalle vicende umane non è il Dio del messaggio cristiano, che è venuto a rendersi compagnia per l’uomo.

Un Dio perciò confinato al luogo di culto o della sagrestia è quel Dio inutile dell’antica tentazione e l’uomo che vi cede è tragicamente ridotto nelle sue possibilità.

Dio, se è tale, è dentro la vita, è la vita.


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