Riassunto de “Il rischio educativo”


quadro della sacra famiglia di Esteban Murillo
“Giocando con Gesù” di Bartolomeo Esteban Murillo – 1650 (ingrandisci)

IL RISCHIO EDUCATIVO


SPUNTI INTRODUTTIVI


  1. Un problema di metodo
  2. Dimensione personale e dimensione comunitaria
  3. Tempi e contesti nell’attuazione di un metodo

I – Un problema di metodo

1 – Nell’Italia degli anni 50: il sorgere di una intuizione (41)

Nonostante una situazione ottimale per il cristianesimo nel clima generale italiano:

  • Parrocchie efficienti con offerta ampia di catechismo
  • Religione obbligatoria a scuola
  • Tradizione salvaguardata
  • Messa festiva frequentatissima

C’erano almeno tra i giovani 3 fattori di rilievo:

  • Fede non motivata
  • Inincidenza scontata della fede sul comportamento sociale in generale e scolastico in particolare
  • Scetticismo diffuso che favoriva l’attacco alla religione e custodiva un disinteressamento che si riverberava immediatamente in una perdita di eticità

Due i  modi di porsi di fronte a questo fenomeno:

  1. Considerare che il cristianesimo come se avesse perso ogni forza persuasiva e determinante la vita di un giovane.
  2. Considerare che il fatto cristiano non veniva presentato e offerto in modo adeguato alle nuove generazione

Siccome la prima è inaccettabile apriva la seconda e faceva quindi emergere un problema di metodo:

  1. Di natura teorica: i contenuti della fede devono essere abbracciati ragionevolmente: devono essere esposti nella loro capacità di miglioramento ed esaltazione degli autentici valori umani.
  2. Di natura pratica: va verificata in azione. L’evidenza razionale può illuminarsi, fino alla convinzione, solo nell’esperienza di un bisogno umano affrontato dall’interno di una partecipazione al fatto cristiano: e tale partecipazione è un coinvolgimento nella realtà cristiana come fatto essenzialmente sociale e comunitario.

La prova del rischio

Si entra nel rischio quando si dice che è dall’esperienza che una convinzione può scaturire: non si tratta infatti di un feeling da evocare, di un’emozione pietistica da suscitare, ma di un impegno che non può barare; si è quindi alla mercé delle sabbie mobili di una libertà.

Senza affrontare la prova del rischio, educatore ed educando partirebbero entrambi da una finzione: un mistero supposto, riconducibile a evidenza oculare e una libertà immaginata come meccanicamente reattiva in corispondenza a ogni stimolo dato.


2 – Un cammino al vero tra chi educa e viene educato (44)

Il primo passo

Il primo modo di muoversi è quello di commuoversi, cioè di muoversi insieme alla Presenza che si è rivelata, alla Parola di Dio.

Dio è la nostra definitività nel senso pieno della parola.

Ora è esattamente questo che l’uomo non accetta.

Secondo la tradizione cristiana proprio qui si delinea la struttura del peccato: nel fatto di identificare la propria definitività con un idolo, cioè con una forma, con qualcosa di dominabile, di totalmente comprensibile, con qualcosa di costruito in modo tale da darci sicurezza.

Per questo il moralismo è idolatria.

Noi uomini tendiamo a fuggire via sia dalla contemplazione del fatto che la nostra definitività è il mistero di Dio, sia dall’evidenza del nostro peccato.

Occorre un aiuto per affrontare tale contemplazione e tale evidenza, occorre un sostegno per evitare passo passo la fuga.

Riconoscimento del Mistero: radice di tensione morale (46)

La moralità è tensione.

Dire che la moralità è tensione sta ad indicare una posizione sempre volta a qualcosa d’altro, disponibile ad essere corretta per penetrare maggiormente in una realtà più grande di noi.

Perciò siamo totalmente poveri, perché di fronte al mistero di Dio l’uomo è niente, e la sua consistenza è rapportarsi, obbedirlo istante per istante.

In nulla la nostra sicurezza se non nel Mistero (48)

La religiosità dell’uomo si gioca sul fatto che

La nostra sicurezza, il valore, il «ciò per cui vale la pena» è il mistero.

È il mistero che, nonostante noi viviamo continuamente l’idolatria delle nostre certezze, continuamente ci si offre fino a morire.

Correre esplicitamente il rischio di accettare la sfida di quella definizione di noi, di quel mistero che ci sollecita a riconoscerci fatti da Lui, è il cammino che educatore ed educando sono chiamati a percorrere insieme, ed è nel percorso comune, definito dalla meta decisiva del destino, che si impara come è fatta la strada.


3 – Da un metodo un movimento (49)

«Li amò fino alla fine».

Se c’è una possibilità di cambiamento per l’uomo è nella presenza nel mondo di pietà e misericordia senza fine.

Per la nostra mentalità è impossibile renderci conto di cosa veramente significhi dire: «La mia salvezza è Cristo», così impossibile “naturalmente” capire che la propria definizione è un altro.

Ma più acutamente è inconcepibile che il proprio cambiamento e il proprio diventare veri  e più leali  avvenga per la pietà e la misericordia di un altro.

Non è probabile né ovvio che in una società come la nostra si sia aiutati a comprendere queste cose, perchè non sono razionali nel senso naturalistico della parola: sono la somma ragione, vale a dire la partecipazione della coscienza della creatura alla coscienza di Dio.

Sinteticamente si potrebbe dire che il metodo di un movimento […] consiste nel cercare e contribuire a creare condizioni di vita che facilitino il cammino di questa comprensione.


II. Dimensione personale e dimensione comunitaria

1 – Inevitabilità storica dell’incarnazione di un valore (51)

Il nostro destino si gioca nell'istante e nel luogo in cui si sta vivendo, qui e adesso.

Il rapporto con il nostro destino, se non vuole ridursi ad affermazione astratta o a suggestione sentimentale, deve essere rapporto con un luogo che diventi traccia al destino stesso, a Cristo.

Questa traccia è in senso ampio la Chiesa di Dio, ma domandiamoci, di che cosa è fatta la Chiesa di Dio? Di uomini convocati.

Un’assemblea: costitutiva del nostro essere in quanto c’è il mistero di Cristo, ed educativa del nostro essere a identificarci sempre più con quel mistero.

Dunque quella traccia è fatta di gente chiamata allo stesso modo.

Un luogo da costruire (52)

Ciò che fa i muri di quel luogo, che rende possibile vivere il mistero e la Chiesa di Dio, si chiama fraternità, affezione reciproca.

Ma come si fa a vivere una fratellanza con gente che ultimamente non si è scelta?


2 – Una questione personale (53)

Se uno capisce che quel mistero è pietà e misericordia, allora cercherà di vivere pietà e misericordia e fratellanza come sua stessa natura, qualunque fatica implichi.

Affermarsi riconoscendo il valore dell’altro (53)

La pietà di cui si è così oggetto da esserne costituiti deve diventare soggetto.

Fatti di questa affezione essa deve diventare il nostro soggetto:

non si può agire se non in questa misericordia, a meno di tradire la propria natura più profonda.

Questo è l’amore: che la propria pienezza, la propria realizzazione è fatta coincidere con l’affermare l’altro.

Un lavoro personale sospesi a Dio (54)

Proprio il lavoro di far maturare in sé questa dimensione personale costruisce le mura dell’ambito che ospita per noi il mistero, attraverso cui il mistero ci raggiunge.

Ma è un lavoro personale che si può svolgere solo in una posizione che definirei «sospesa» a Dio.

Dobbiamo anche essere sempre pronti a riconoscere che le Sue forme non sono le nostre.

E scopriremo allora che le nostre forme si salvano solo dentro le Sue, altrimenti si corrompono.

Senza una educazione personale che ci assimili sempre più al mistero misericordioso che ci ha fatti e salvati, e senza la dimensione personale che nel solo mistero fondi la propria fiducia, non creeremo né apparterremo a nessuna realtà che voglia testimoniarlo.


3 – Una questione comunitaria (55)

Per un cristiano il valore della sua persona consiste nel Corpo di Cristo che cresce nel mistero di Cristo presente nella sua Chiesa.

Perciò uno realizza il suo valore se realizza la Sua Chiesa.

L’ospitalità è far sì che un altro sia parte del proprio vivere.

Rendere gli altri parte della propria vita è la vera imitazione di Cristo, che nella sua ci ha talmente ospitati da farci diventare membra del Suo Corpo.

Il mistero del Corpo di Cristo è il mistero dell’ospitalità della nostra vita nella Sua.

Origine di un brandello diverso di umanità (56)

All’interno di questa possibilità dell’ospitare in sé gli altri che Cristo ci dà è possibile anche che diventi visibile un «pezzo» di umanità diversa, dove finalmente l’uomo cominci a respirare tutto.

Questo inizio di terra diversa è parte del Corpo di Cristo, e tutta la passione della vita – qualunque cosa si facciam dal piantare un chiodo nella parete alla più grande responsabilità – tutto è perché questo pezzo di terra si dilati.


4 – Condizioni per una costruttività (56)

Non dobbiamo sottacere la fatica e il sacrificio di sé che tale tensione positiva verso tale acquisizione esige dall’individuo.

L’Eucarestia è un gesto di Cristo, ma è anche un gesto “mio” che si identifica con il gesto di Cristo, il quale a sua volta torna ad identificarsi con il “mio”.

Il sacrificio di sé coincide con l’offerta di un sé implicato nel riconoscimento che Cristo è tutto di sé, nell’accettarlo e cercare di comportarsi secondo questa coscienza  diversa creata ed educata da quel pezzo di mondo nuovo di cui sopra.

«Camminare umilmente col tuo Dio» (57)

«Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono

e ciò che richiede il Signore da te:

praticare la giustizia, amare la pietà,

Camminare umilmente con il tuo Dio

Michea 6,8

Ecco la trasformazione, l’arte suprema che è la santità.

La santità è abbracciare gli uomini e le cose trasformando questo cammino in un grido, un grido che proclama come la sostanza di tutto sia Cristo, come quell’abbraccio sia Suo e non nostro.


III – I tempi e i contesti dell’attuazione di un metodo (58)

1 – Ieri e oggi: l’educazione al rischio della libertà (58)

Negli anni 50\60 […] mi pare fosse favorita, sotto l’aspetto di una volontà critica, una sollecitazione all’uso della ragione.

Ma vi mancava vastamente una densità comunitaria che sostenesse tale esigenza critica e costituisse come ambito di verifica.

Nel contesto dell’epoca attuale le cose mi sembra si siano esattamente invertite.

Anche se vi è nel mondo giovanile una maggiore semplicità nella disponibilità della ragione, manca tuttavia, o non sa sostenersi, il gusto della ricerca razionale e la curiosità intellettuale.

Mentre d’altra parte si inspessisce il valore della compagnia come determinante anche la conoscenza, senza peraltro che si sia giunti ancora auna coscienza definita della presenza del fattore comunitario come elemento inerente all’atto di conoscenza del soggetto.

Una continuità di richiamo (59)

È ovvio che solo una continuità di richiamo può sperare di creare una forma educativa stabile e feconda.

Non è necessaria una coerenza ideale da parte del maestro, ma di una coerenza logica: deve rendere principio teorico un parametro per tutta la serie di giudizi che la vita richiede.

E’ una espressa e lampante logicità che colpisce la coscienza del giovane fissando i termini ideali fin dentro la stoffa della sua ratio.

L’educabilità: una continuità di richiamo (61)

Una vita che passando avanza in giovinezza, in “educabilità“, in “stupore” e commozione di fronte alle cose.

La giovinezza è caratterizzata dal sentimento di uno scopo, sentito come futuro fortunato di ciò che si sta vivendo.

E’ questo ad impedire la rigidezza che elimina la duttilità, la flessibilità e una certa freschezza nell’uso delle proprie forme.

Più precisamente: il residuo senso del mistero, che definisce senza definirlo, l’orizzonte e la prospettiva del vivere che genera una disponibilità – per così dire delle proprie membra – ad adattarsi a spazi nuovi, e lo stupore sempre inerente al senso del mistero fanno scaturire una inesausta sorgente di affettività in grado di muovere tutte le energie secondo una emozione ben nota all’adolescenza e alla prima giovinezza.

Soltanto che tale emotività nella vita che passa acquista una densità e una lucidità inimmaginabili prima, le quali rivelano alla personalità la dignità di affinità con il divino (mistero) chelo connota sostanzialmente.

A patto, è naturale, che diventi un esercizio – o ascesi – la “memoria” di questo ultimo senso del mistero: prospettiva adeguata in cui va collocato uno scopo degno della vita.


2 – Metodo che inizia a essere storia per alcuni (52)

Noto che nelle linee di metodo esposte mi sarebbe difficile discernere quanto sia specificatamente riferito all’adolescenza e alla giovinezza e che cosa sia da ritenere come spunto costante di un lavoro che accompagna tutta la vita.

Sarei tentato di dire che tra le due cose non c’è nessuna differenza.

Se non nella pazienza che occorre per la più acerba e fragile risposta giovanile e per l’umile dignità di tanta risposta adulta.

Nella gioventù prevale un carisma, nell’età adulta è già decisiva una storia e una tradizione.

Un augurio e una proposta (63)

«Vi auguro di non stare mai tranquilli»

(La provocazione che l’ideale per sua natura e funzione opera sul momento presente dell’individuo) è l’essenza di quella inquietudine che urge l’uomo a penetrare nell’ignoto, così che si può dire che tale ignoto è l’aspetto più affascinante della Grande Presenza.

I termini ragione, tradizione, verifica, presenza autorevole o provocante, costituiscono i termini relativi illuminanti i passi  di qualsiasi uomo che sia minimamente “morale”, che riconosce cioè alla propria vita un destino ultimo cui positivamente si riferisca tutta l’esistenza, in cui ogni passo – se ben osservato – è sproporzionato, e che, d’altra parte, in qualche modo “salvi” l’esistenza piena di bellezza e di miserabilità.

Indice linkato dei capitoli


La video conferenza inizia al decimo minuto

Don Carrón risponde alle domande di insegnanti e genitori che presentano esperienze in ambito educativo