
1° Cap. Dinamica e fattori dell’avvenimento educativo
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- Osservazioni preliminari
- La lealtà con la «tradizione
- L’autorità: esistenzialità di una proposta
- Verifica personale dell’ipotesi educativa
- Il rischio, necessario alla libertà
- Conclusione
I – Osservazioni preliminari(65)
1 – prima premessa
Educazione = introduzione alla realtà totale
La parola «realtà» sta alla parola «educazione» come la meta sta al cammino.
Educazione significherà lo sviluppo di tutte le strutture di un individuo fino alla realizzazione integrale, e nello stesso tempo l’affermazione di tutte le possibilità di connessione attiva di quelle strutture con tutta la realtà.
Possiamo senz’altro dire che un’educazione ha tanto più valore quanto più obbedisce a questa realtà, quanto più suggerisce attenzione ad essa, ne rispetta le pur minime indicazioni, in primo luogo l’originale necessità di dipendenza e la pazienza evolutrice.
2 – Seconda premessa
La realtà non è mai veramente affermata, se non si è affermata l’esistenza del suo significato a cui sottende il processo della educazione:
di esso si imbeve la coscienza dell’individuo nel primo stadio della sua introduzione al reale.
L’adolescente prende coscienza di sé e del significato totale della realtà che lo circonda.
È proprio per l’insufficiente sensibilità all’avvento di questa fase, nuova rispetto alla fanciullezza, o per la poca elasticità degli educatori nell’adeguarsi alle nuove esigenze, che si creano nella stragrande maggioranza dei casi quelle situazioni insostenibili, quelle ribellioni a prima vista incomprensibili o quelle acquiescenze conformistiche prive di convinzioni e di slanci, i sui riflessi pregiudicano tutta la futura fisionomia degli individui, e, di conseguenza, del mondo che essi creano.
È ovvio che questo deve essere chiaro all’educatore, in assenza di questo si assisterà a fenomeni di ribellioni, o peggio ancora ad acquiescenze conformistiche e di comodo che invecchiano l’umanità della persona precocemente.
II – La lealtà con la tradizione sorgente della capacità di certezza(68)
1 – Valore di principio
La tradizione funziona per il giovane come una specie di ipotesi esplicativa della realtà.
L‘accendersi di questa «ipotesi» è segno del genio;
offrirla ai discepoli è l’umanità del maestro;
L’aderirvi come luce nell’avventura del proprio cammino è la prima intelligenza del discepolo.
Il luogo primo in cui questo avviene è infatti la famiglia: l’ipotesi iniziale è la visione del mondo che hanno i genitori, o coloro cui i genitori demandano la responsabilità di educare i figli.
È importante osservare come il processo di dipendenza non debba risultare ottuso: un subire meccanico da parte del discepolo e un imporre sconsiderato da parte del maestro.
2 – Conseguenze della sua negazione (71)
Notevoli nella loro drammaticità paiono invece le conseguenze della negazione del principio esposto; negazione diffusa nella concezione razionalistica e laicista moderna per la quale la personalità sarebbe il termine di una spontaneità evolutiva.
a) In generale
Una personalità aumenta nella misura in sui si approfondisce una vera libertà di giudizio e una vera libertà di scelta.
Ora, per giudicare e scegliere occorre un metro, un criterio, e se esso non è l’affermazione di quella realtà originaria in cui la natura ci forma, allora l’individuo si illude di crearselo da sé e il più delle volte sarà abbandonato ad una reazione, o il soggiacere a una forza esterna sopraggiunta, un essere trascinati.
Si genera quella caratteristica incertezza che impaurisce il giovane, da natura inscritto in una ovvia esigenza di possibilità chiara.
Il risultato di tutto questo è poi quell’indifferenza e quel disamore, quella tremenda carenza di impegno con la realtà che assume così spesso aria di smarrita o amaramente distaccata derisione per ogni serio invito a quell’impegno.
Solo una educazione come introduzione alla realtà umana e cosmica, alla luce di una ipotesi offerta da una «storia» o «tradizione», può impedire sistematicamente nel giovane una partenza sconcertata e dissociata proprio per l’incoerenza o la manchevolezza con cui gli si propone la «verità» – cioè la corrispondenza tra le realtà e lui, il senso dell’esistenza.
b) Nella scuola
Innanzitutto l’insegnamento non si cura di offrire aiuto per l’effettiva presa di coscienza di una ipotesi esplicativa unitaria.
La predominante analiticità dei programmi abbandona lo studente di fronte ad una eterogeneità di cose e a una contraddittorietà di soluzioni che lo lasciano, nella misura della sua sensibilità, sconcertato e avvilito d’incertezza.
Il giovane studente manca, normalmente, di una guida che lo aiuti a scoprire quel senso unitario delle cose, senza del quale egli vive una dissociazione, più o meno cosciente, ma sempre logorante.
Lo scetticismo, più o meno larvato o clamoroso, diviene l’atmosfera dell’anima dello studente, aura sottile e rabbrividente, o nei più sensitivi bufera dispersiva o tempesta che schianta, comunque ne svuota ogni capacità di slancio.
Lo scetticismo non è poi un momento di passaggio.
Esso lavora uno stato d’animo di fondo che rimane determinante nello sguardo che l’individuo porterà sull’esistenza, e nelle motivazioni delle sue decisioni nei confronti di essa.
Lo scetticismo è un fondo d’animo che permane e che praticamente si supera nel fanatismo: nell’affermazione cioè intransigente unilaterale.
Sembrerà assurdo, ma la scuola «neutra» pare che tragga queste sole conclusioni dallo scetticismo che tende a generare: il fanatismo o il bigottismo, fanatismi pro, bigottismi contro; oppure indifferenza e qualunquismo.
La scuola ideologicamente qualificata […] può creare coscienze veramente aperte, e spiriti veramente liberi.
È proprio perché educa all’affermazione di un criterio unico, che essa può creare nel giovane un interesse intenso al paragone con le altre ideologie e una apertura sincerissima e simpatetica verso esse.
Non esiste apertura viva e vera simpatia se non derivano da una, magari inconscia, sicurezza universale.
c) Nella famiglia (81)
Il «qualunquismo» in famiglia è spessissimo, nell’anima del giovane, radice di uno scetticismo ancora più tenace a strapparsi che l’influenza deleteria della scuola neutra.
La lealtà con l’origine occorre sia innanzitutto dei genitori.
Coincide con la lealtà con sé stessi, dato che appunto essi rappresentano l’origine dei figli.
A nulla varrebbe aver dato la vita, senza aiutare instancabilmente i figli a riconoscere il senso totale di essa.
Conclusione
La lealtà con il dato, con la tradizione da cui di origina la coscienza dell’adolescente, è il nerbo centrale di ogni educazione responsabile.
In primo luogo essa fonda quel senso della dipendenza senza del quale la realtà viene violentata e manipolata dalla presunzione, o alterata dalla fantasia, o svuotata dalla illusione.
In secondo luogo essa abitua ad affrontare la realtà con quella certezza della esistenza della soluzione senza cui si inaridiscono la capacità di scoperta e la stessa energia creatrice di rapporti con le cose.
III – L’autorità: esistenzialità di una proposta (83)
I punti in cui la tradizione è più cosciente sono i responsabili ultimi dell’educazione dell’adolescente, il «luogo dell’ipotesi» per lui.
È questo il concetto autentico di autorità (auctoritas, «ciò che fa crescere»).
L’autorità è l’espressione concreta della ipotesi di lavoro, è quel criterio di sperimentazione dei valori che la tradizione mi dà; l’autorità è l’espressione della convivenza in cui si origina la mia esistenza.
L’autorità è in qualche modo il mio «io» più vero.
La funzione educatrice di una vera autorità si configura precisamente come «funzione di coerenza»: un permanente criterio di giudizio su tutta la realtà.
Dall’esperienza dell’autorità nasce quella della coerenza.
Coerenza è stabilità efficiente nel tempo, è continuità di vita.
In un fenomeno pazientemente evolutivo come quello dell’«introduzione alla realtà totale», la coerenza è fattore indispensabile.
In certezza esistenziale che non potesse continuare a riproporsi nella coerenza di una evoluzione, finirebbe con l’essere sentita astratta, un dato fatalmente subìto, ma vitalmente sviluppato.
(L'autorità) è potente educazione alla dipendenza dal reale.
Autorità innanzitutto, ne siano coscienti o non lo siano, sono i genitori.
La loro autorevolezza , inevitabile, è un fatto, e una responsabilità.
Tale fatto può venire da essi misconosciuto ma rimane.
Essi rappresentano nella vita dell’adolescente la permanente coerenza dell’origine con se stessa, che precede ed eccede da ogni parte il beneplacito dell’individuo.
Genitori e Chiesa sono per il cristianesimo la garanzia ultima della coerenza necessaria a ogni educazione.
Autorità è chiaramente anche la scuola in quanto si pone come prosecuzione e sviluppo dell’educazione data dalla famiglia.
In una scuola agnostica o «neutra» la mancata offerta di un significato fa sì che l’insegnante non sia più «maestro», e porta l’alunno a erigersi a maestro di se stesso e a codificare le impressione e le reazioni contingenti, con quella diffusa presuntuosità colma di impertinenza e di chiusi pregiudizi che sì spesso oggi sviliscono la schiettezza e l’apertura propria della giovinezza.
IV – Verifica personale dell’ipotesi educativa (87)
1 – Sua necessità
Occorre suscitare nell’adolescente
a) personale impegno con la propria origine
b) occorre che l’offerta originale sia verificata
c) ciò può essere fatto solo dall’iniziativa del ragazzo e da nessun altro per lui
Una delle caratteristiche più gravi di una personalità è la «forza della convinzione»: il flusso creativo, l’apporto costruttivo di una personalità dipende da essa, come continuità e solidità.
Ora, la convinzione deriva dal fatto che l’idea abbracciata viene scoperta in connessione vitale con le proprie situazioni, pertinente alle proprie esigenze e progetti.
La convinzione sorge come verifica in cui l’idea e la visione si partenza si dimostra chiave di volta per tutti gli incontri, profondamente riferita a ciò che vive e quindi luce risolutiva per tutte le esperienze.
Tutta la propria realtà personale si trova in corrispondenza con quell’idea originaria, che fungeva inconsapevolmente come ipotesi.
L’educazione vera ha il supremo interesse che il giovane si educhi a un paragone continuo non solo con le posizioni altrui, ma anche e soprattutto fra tutto ciò che gli capita e quell’idea offertagli.
L’urgenza di questa sperimentazione personale implica una sollecitazione instancabile alla personale «responsabilità» del giovane.
Essa deve diventare metodo di educazione.
Occorre che renda presente se stesso al valoro ideale «facendolo».
Non si può capire la realtà se non «ci si sta». Si capisce di essere perché si agisce.
Quanto più ci si impegna non le proprie energie vitali, tanto più ci si accorge che cosa si è.
Occorre allora un intervento dell’energia, della libertà.
Anche l’evidenza più geniale non diviene convinzione se l’«io» non familiarizza con l’oggetto, non gli dà tempo, non convive con esso: cioè non lo ama.
Il razionalismo moderno dimentica o rinnega la fondamentale dipendenza dell’io; dimentica o rinnega la grande, originale sorpresa che è l’evidenza.
Un ragazzo di prima liceo, dopo una discussione, definì così l’evidenza: l’accorgersi di una inesorabile presenza.
La mentalità moderna insegna, purtroppo, ai giovani a seguire le cose fino a una misura a essi comunque gradita, e poi basta.
La paura ad affermare l’essere sorge proprio da un mancato impegno con l’essere, sia che quella paura si traduca nel disinteresse in cui i più vivono, sia che si esprima nel «terrore ubriaco» di Montale.
Proviamo a pensare quanta intensità di solida adesione all’esistenza (dico all’esistenza e non a una interpretazione di essa) occorra per seguire tutta la voce della realtà nel suo richiamo analogico, fino ai valori personali, fino a Dio!
Se volessimo riassumere, dovremmo dire che psicologicamente la convinzione sorge
dalla scoperta che l’intelligenza propone come ipotesi unitaria, ma che l’amore verifica nella dedizione all’esistenza.
Elenco delle manchevolezze in materia di educazione religiosa:
- Assenza di Cristo dall’incontro con tutte le cose; con tutte le cose: forse la Sua pertinenza non viene neanche proposta! Il discepolo preferisce allora arzigogolare con l’intelletto, anziché accettare il mistero.
- Volersi impegnare dopo aver capito: vorrebbe dire di non impegnarsi mai
- Incuria con cui si segue il cambiamento di una certa età. Se dai 14 anni in poi, per quattro o cinque anni, insistentemente e sistematicamente il ragazzo non è aiutato a vedere la connessione tra il dato (tradizione) e la vita, le sue nuove esperienze creano le premesse perché egli assuma uno dei tre atteggiamenti nemici del cristianesimo
- Indifferenza perché sente tutto astratto rispetto ai suoi bisogni
- Tradizionalismo che consiste nell’arroccarsi per tenere fuori tutto (bigottismo).
- Ostilità: un Dio astratto è certamente un nemico.
2 – Sue condizioni (94)
La necessità che tutte le esigenze dell’umanità del giovane, che tutti gli incontri che egli compie siano messi a confronto con l’ipotesi educativa, esige delle condizioni.
La prima condizione – Suo ambiente
Prima condizione perché l’adolescente possa verificare la sua ipotesi, è che egli sia aiutato a impegnarsi secondo un ideale nel suo ambiente, perché è nell’ambiente che attinge spunti, sollecitazioni e alimentazione la trama di esperienze intime ed esteriori del ragazzo stesso, e quindi è soprattutto nell’impegno con l’ambiente che diverrà chiara la validità dell’educazione data.
Famiglia e scuola hanno, a questo proposito, responsabilità formative talmente gravide di conseguenze per le convinzioni del giovane, che a mala pena è concepibile la loro massiccia e spesso inconsapevole faciloneria.
Oggi più che mai l'educatore o il diseducatore sovrano è l'ambiente con tutte le sue forme espressive.
Perciò la crisi si profila in primo luogo come inconsapevolezza che rende gli educatori stessi collaboratori, magari incoscienti, delle deficienze dell’ambiente, e in secondo luogo come mancata vitalità nell’atteggiamento educativo che non fa combattere con sufficiente energia la negatività dell’ambiente, in quanto attesta tali educatori su posizioni schematicamente tradizionali, formalistiche, invece che portarli a rinnovare l’eterno Verbo redentore nello spirito della nuova lotta.
La seconda condizione – Comunità
La reale dipendenza da un senso totale delle cose esige psicologicamente che la verifica nell’ambiente non sia compiuta in modo solitario dal giovane.
Occorre che il suo modo di affrontare tutte le realtà sia vissuto comunitariamente.
La comunità è l’unità profonda che nasce dalla convivenza provocata da una comune struttura.
Nella nostra insistenza organizzativa noi confondiamo le associazioni con la comunità.
Noi pensiamo che si possa fare comunità come convergenza dal di fuori, come un accordo per fare una data cosa.
La comunità, proprio perché è essenziale convivenza, è dimensione interiore, è all’origine dei nostri pensieri e delle nostre azioni; altrimenti non è comunità ma calcolo.
Questa struttura «ontologica» della ricerca del vero è dal cattolicesimo fatta addirittura condizione di salvezza, presenza inesauribile del Significato tra gli uomini.
L'«autorità» stessa ha come funzione tipica la genesi di comunità.
La verifica di un valore è data dalla sua capacità di sostenere i rapporti, e prima di tutto i rapporti con le persone, tutte le persone.
Anche la scuola «neutra», nella sua assenza di preoccupazione ideologica unitaria, è incapace di generare vere comunità.
Terza condizione – Uso del tempo libero
Altra condizione di verifica educativa è l‘uso del tempo libero.
Il tempo libero è l’uso della più trasparente scelta dell’adolescente: dal suo uso egli stesso può documentare a sé il proprio «interesse» all’ipotesi educativa.
Il tempo libero è il punto in cui l’ideale più facilmente da «dovere» diventa «fascino», iniziativa esclusiva del giovane, responsabilità coscientemente, generosamente assunta.
Una educazione incapace di affascinare il giovane nel suo tempo libero è certamente angusta.
È il caso di molta catechesi intellettualizzante, che riguarda il tempo libero dei ragazzi solo come il momento in cui, abbandonati i richiami ideali, è possibile “tenerseli buoni“.
Occorre invece affrontare direttamente, senza infingimenti, il giovane con una seria proposta di impegno con i valori, proprio in quel tempo di cui lui solo può disporre.
I giovani intendono subito il richiamo, e restano o se ne vanno.
Ma, se restano, il compito educativo è seriamente impostato.
Attraverso l’impegno con l’ideale nel tempo libero, l’adolescente imparerà a perseguire la sua ipotesi anche nel restante tempo, ove la pressione di necessità e influenze contingenti rendono la cosa più difficile.
Ogni impazienza esigente negli educatori rivela astrattezza e non consapevolezza della evolutività sicura ma graduale del fenomeno educativo.
È il tempo libero lo spazio più facilmente autentico della personalità del giovane, e su questo occorrerà puntare per richiedere da lui un impegno generoso e personale con l’ideale.
3 – Sue dimensioni (99)
Come suscitare l’energia, come provocare quell’impegno di verifica dal quale solo nasce la convinzione?
Soltanto il grande, soltanto il totale, soltanto il sintetico animano l’energia umana nell’affronto del minuto e del quotidiano.
Quei contesti totali, quegli «ideali» chiamiamo «dimensioni».
a) Dimensione culturale
Esigenza di spiegazione totale della realtà (Dimensione culturale nel senso completo).
Motivo per impegnarsi a verificare l’ipotesi educativa deve essere che essa si propone come totale spiegazione di tutto, senso ultimo della vita, del mondo e della storia.
Ogni fideismo per cui la religione e la fede siano «al di fuori» di una «cultura» cosi definita, incapaci di rendere conto di ogni realtà o problema che emerga, lasceranno il giovane giustamente freddo se non ostile.
b) Dimensione della carità
Esigenza di una radicalità assoluta nell’amore (Dimensione della carità nel suo senso più genuino).
Amare è innanzitutto un modo di concepire sé; concepire sé come «convivenza», come ontologicamente legato al tutto.
Lo stesso gesto che crea me, crea tutto.
Il cristianesimo rende misterioso conto di questo fatto: l’origine dell’essere, il Dio, è convivenza, (Trinità).
Amore non è un sentimento, né un gusto, né un dare che non sia il dare sé: è concepirsi e accettarsi come unione; ciò sia ben chiaro nel richiamo che si lancia.
L’adolescente va richiamato a una purezza totale di motivi.
Specialmente certo sentimentalismo, molto in voga nel sollecitare il giovane, è sentito da lui come artificiosità, non-essenzialità, non-motivo.
c) Dimensione missionaria
L’esigenza di una totalità di orizzonti cui la propria umanità sia richiamata ad aderire (dimensione missionaria)
Che la misura di amare senza misura non è solo una frase famosa, ma assioma chiaro.
La carità è una legge senza confini, universale perciò cattolica.
In questa legge, porre un limite non è limitarla, ma abrogarla.
Occorre meditare che il richiamo cristiano è prima di tutto conquista del mondo nel senso evangelico: il Regno.
Avere il senso del Regno significa avere il senso missionario.
Dobbiamo vivere per l'universo, per l'umanità intera.
Limitare la propria apertura di convivenza è cercare di imporre una propria misura alla legge profonda dell’essere,
è scambiare il condividere con un tentativo di dominio.
L’illimitatezza è la sola risposta possibile per la sete di cui l’uomo adulto suo malgrado , l’adolescente per esigenza urgente e vissuta sono preda.
V – Il rischio necessario alla libertà (103)
Il metodo educativo di guidare l’adolescente all’incontro personale e sempre più autonomo con tutta la realtà che lo circonda, va tanto più applicato, quanto più il ragazzo si fa adulto.
L’equilibrio dell’educatore svela qui la sua definitiva importanza.
L’evolversi infatti dell’autonomia del ragazzo rappresenta per l’intelligenza e il cuore – e anche per l’amor proprio – dell’educatore un «rischio».
D’altra parte è proprio dal rischio del confronto che si genera nel giovane una sua personalità nel rapporto con tutte le cose; la sua libertà cioè «diviene».
L’appello alla tradizione può essere formulato in varia guisa, ma deve essere ben chiaro che il vero concetto di tradizione è quello di rappresentare valori da riscoprire in nuove esperienze.
L’esperienza deve farla il giovane stesso, perché questo rappresenta l’avverarsi della sua libertà.
A Dio, al mistero dell’Essere, a quella Misura che ci ha fatti, che ci eccede da tutte le parti e che non è misurabile, è a Questo che l’amore dell’educatore deve affidare lo spazio sempre più grande delle imprevedibili vie che la libertà dell’uomo nuovo apre al dialogo con l’universo.
Una educazione totalmente «autonomistica» lascia il giovane in preda ai suoi gusti, alla sua istintività, effettivamente privo di un criterio evolutivo, ma una educazione dominata dalla paura di un confronto dell’adolescente con il mondo, e mirante solo a preservarlo dall’urto, ne fa un essere a volta incapace di personalità nei rapporti col reale, o ribelle e squilibrato in potenza.
Il separare l’adolescente dal mondo, o anche il non aiutarlo e guidarlo nel confronto con il mondo, è causare per la coscienza viva di certi giovani, la scoperta amara della inesistenza di una adeguata direttiva per la vittoria del bene sul male.
Una educazione che accetti con vigilanza il rischio della libertà dell’adolescente è reale sorgente di fedeltà e di devozione cosciente all’ipotesi proposta e a chi la propone.
La figura del «maestro», proprio per la sua discrezione e rispetto, in un certo vero senso si ritira dietro la figura dominatrice della Verità Unica a cui si ispira.
Il suo insegnamento e la sua direttiva diventano dono di testimonianza, e proprio per questo si iscrive nella memoria del discepolo con una simpatia acuta e sincera.
VI – Conclusione (107)
Riepilogando le Linee metodologiche
- Ipotesi di senso totale della realtà: unica condizione di certezza per l’adolescente.
- Presenza di precisa e reale autorità, che è il luogo di tale ipotesi, unica condizione di coerenza del fenomeno educativo.
- Sollecitazione continua a una personale verifica dell’ipotesi proposta, unica condizione di una reale convinzione
- Rischio crescente ed equilibrato nel confronto autonomo tra l’ipotesi e la realtà nella coscienza dell’adolescente, unica condizione per la maturità della sua libertà.
Al termine del processo educativo che abbiamo tentato di esaminare nelle su direttive di fondo, l’adolescente si avvia alla fase matura della gioventù.
Lentamente, in un processo che solo una genialità assai attenta avrà potuto seguire ed impostare senza ritardi e forzature, l’educatore si è distaccato sempre più dal discepolo, sollecitandolo sempre più a un impegno e a un giudizio personali; lo ha introdotto nella realtà totale, dandogli il vivo senso della dipendenza da quella realtà e dal suo significato ultimo.
Ha forse l’educatore finito qui il suo compito?
Ovviamente no.
È invece l’inizio di un cammino nuovo, e proprio nella sua novità sta la radice di un maggiore nesso.
Ora educato ed educatore sono due uomini, sono due fra gli uomini: è il tempo di quella compagnia matura e forte che lega coloro che vivono una stessa esperienza nel mondo, che incontrano il richiamo dell’essere in ogni istante del loro cammino; è il tempo in cui si lavora insieme, fianco a fianco, per un destino che tutti riunisce.
Si avrà allora il miracolo altrimenti inattingibile di una vita che,
passando, avanza in giovinezza, in «educabilità», in «stupore» e commozione di fronte alle cose; di una energia creatrice che cresce su di sé senza disperdersi e logorarsi,
ma aderendo cordialissimamente a tutte le possibilità che l’esistenza produce; un tempo, insomma, che si lascia invadere dalla potenza dell’eterno, e ne viene instancabilmente fecondato
Indice linkato dei capitoli
La video conferenza inizia al decimo minuto

Don Carrón risponde alle domande di insegnanti e genitori che presentano esperienze in ambito educativo
