Riassunto de “Il rischio educativo”


Mary Cassat – carezze materne – 1897 (Ingrandisci)


  1. Passaggio critico
  2. Apertura dialogica
  3. Conclusione

I –  Passaggio critico(111)

1 – “Crisi” e “Critica” non coincidono con dubbio e negazione

La parola crisi (dal greco krino, vagliare) è normalmente sentita purtroppo, nella mentalità di oggi, in senso dubitoso e negativo, come se la crisi e critica automaticamente coincidessero con negazione, per cui di fatto la critica è eletta a motivo scandalistico, a ricerca delle cose da accusare.

La critica è innanzitutto l’espressione della genialità umana che è in noi, una genialità tutta protesa a scoprire l’essere, a scoprire i valori.

La parola crisi è piuttosto legata a un’altra parola, la parola problema: non «dubbio», ma «problema» che nella sua etimologia greca […] la parola problema indica infatti un porsi davanti agli occhi qualcosa.

Ognuno di noi nasce con un complesso di doti, che una parola magnifica riassume, la parola «tradizione».

La tradizione, (è) la dote con cui l’esistenza ci arricchisce alla nascita e nel primo sviluppo, deve essere posta davanti agli occhi, e l’individuo nella misura in cui è vivo, intelligente, vaglia ed esamina.

La tradizione «deve entrare in crisi», la tradizione deve diventare problema:

crisi significa dunque presa di coscienza della realtà di cui ci sentiamo formulati.

Si tratta innanzitutto, dunque, di una serietà di fronte al passato, dove la parola «passato» indica ciò di cui noi siamo stati fatti per affrontare il reale in cui ci inseriamo.


2 – Fedeltà e libertà di fronte alla tradizione (113)

In questo immenso coro di proposte, che costituisce la trama della nostra esperienza, l’uomo, per natura, è spinto a «paragonare» ogni singola proposta con quel complesso di evidenze, di esigenze, di strutture originali che costituiscono il suo essere.

La parola «crisi» infatti è più importante nella storia di un giovane, come fenomeno introduttivo a una collaborazione per la costruzione della società nuova, nella misura in cui essa diventi scoperta del senso della storia.

Può sembrare un paradosso, ma occorre per costruire la società nuova, innanzitutto prendere sul serio la vecchia, cioè la propria tradizione;.

[…] prendere sul serio il proprio passato significa impegnarsi con esso secondo le modalità che quello implica, per poterne risentire i valori e abbandonare quello che valore non è.

Fedeltà e libertà sono le due condizioni senza delle quali non c’è il senso della storia, perché la storia è una permanenza che si mobilita in versioni sempre nuove.

Senza questo esiste la fondamentale disperazione del sentimento dell’uomo d’oggi: il suo rabbioso ed accanito tentativo di risolvere tutta quanta l’ansia in una creazione totalmente diversa; e la creazione di un tipo totalmente diverso è una esasperazione pazzesca, è un mito maniaco.


3 – L’impegno con la tradizione cristiana (115)

Noi siamo stati fatti vivere dentro l’ambito di una proposta che per natura sua è la più grossa che l’uomo si possa aspettare.

Non esiste una proposta più grave di questa, più invadente di questa, quella di un uomo che dice: «io sono Dio».

Non esiste scampo di fronte a questa proposta: o la adesione che stabilisce un suo dramma preciso, il dramma dell’impegno e della santità, o la ricerca altrettanto gravida di conseguenze.

Urge perciò continuamente l’impegno con questa proposta, impegno che è innanzitutto condizione perché sia possibile una collaborazione all’avvenire della società.

Non siamo noi a definire che cosa occorra fare per potersi sentire a posto con la coscienza […] è la fisionomia stessa della proposta che ci impone il metodo da seguire.

Di fatto questa proposta cristiana coincide con una realtà umana intorno a noi; questa proposta ha un volto che, se non lo consideriamo, tradiamo; e questo volto è la comunità della Chiesa.

Solo un impegno intero di noi e della nostra vita con la comunità della Chiesa […] può costituire un confronto serio e generare una valutazione adeguata alla tradizione da cui veniamo.

Occorre vivere questa Realtà, cioè entrarvi dentro e paragonare tutte le sue movenze, tutti i suoi suggerimenti, tutte le sue direttive con le esigenze ultime della propria umanità; ed è nella misura in cui quei suggerimenti, quelle direttive, noi scopriamo risolutrici delle nostre autentiche esigenze di uomo e quindi valorizzatrici di queste, che si spalancheranno in noi, sempre più gravi e definitive, la adesione e la convinzione.

Essere «convinti» vuol dire essere «legati» in tutto il proprio io a qualcosa.

E c’è un’esperienza che quello che l’uomo scopre nel suo impegno «critico» con la tradizione cristiana in cui nasce tutto riassume, pur nella sua genericità: la consapevolezza di essere realizzato come persona, come singolarità e nello stesso tempo come solidarietà nel cosmo, come partecipazione amorosa al cosmo; una valorizzazione della propria autenticità personale e della propria funzione nel mondo.

È un impegno che – sia pure come ipotesi di lavoro, implica un buttare tutta la nostra vita dentro la comunità della Chiesa, un identificare la vita della comunità della Chiesa con la nostra vita: allora «vedi» cioè ci accorgiamo che cosa sia per noi.

È una reale «verifica» da compiere.


4 – L’impegno strumento della verifica (119)

Non esiste nulla di più importante del contribuire a rendere presente o a far vivere la comunità della Chiesa nel nostro ambiente, attraverso la «crisi» del nostro impegno.

L’unico modo per non vivere «alienati» in questa società, così terribile nei suoi strumenti di invadenza, è avere il senso della storia, vivere genuinamente la propria «crisi», impegnandosi adeguatamente con la tradizione in cui si è nati, con la proposta cristiana, ed è magnifico che questa proposta, unica fra tutte le altre, abbia un carattere così concreto, così esistenziale: sia una comunità nel mondo, un mondo nel mondo, una realtà diversa dentro la realtà, e non diversa per interessi diversi, bensì per il modo diverso di realizzare i comuni interessi.


II–  Apertura dialogica(120)

1 – Una idea di dialogo (120)

La novità viene sempre dall’incontro con l’altro:

è la regola con cui nasce la vita: noi esistiamo perché altri ci hanno dato la vita.

L’altro è essenziale perché la mia esistenza si sviluppi, perché quello che io sono sia dinamismo e vita.

Dialogo è questo rapporto con l’«altro», chiunque o comunque sia.

Ognuno di noi, proprio perché è un tipo con un determinato temperamento, è portato a sottolineare talune cose: il contatto con gli altri lo richiama ad altre cose o ad altri aspetti della stessa cosa, così il dialogo è funzione di quegli orizzonti di universalità e di totalità cui l’uomo è destinato.

Tutti apportiamo qualità e mezzi che se ben ordinati aiutano a concreare una maturità unitaria, una compiutezza.


2 – Condizione per il dialogo (121)

L’apertura senza limite, che è propria del dialogo come fattore evolutivo della persona e creativo di una società nuova, ha una gravissima necessità: non è mai vero dialogo se non in quanto io porto coscienza di me.

È vero che il dialogo implica un‘apertura verso l’altro, chiunque sia, perché chiunque testimonia o un interesse o un aspetto che avresti messo da parte, e perciò chiunque provoca a un paragone sempre più completo; ma il dialogo implica anche maturità di me, una coscienza critica di quello che sono.

Se non si tiene presente questo, sorge un pericolo gravissimo:

confondere il dialogo con il compromesso.

Ciò che abbiamo in comune con l’altro non è tanto da ricercare nella sua ideologia, ma in quella struttura nativa, in quelle esigenze umane, in quei criteri originari per cui egli è uomo come noi.

Apertura di dialogo significa perciò saper partire da ciò cui l’ideologia dell’altro o il nostro cristianesimo fanno proposta di soluzione, perché fra concezioni realmente diverse nulla è in comune, salvo l’umanità degli uomini che le portano come vessilli di speranza o di risposta.


3 – Situazione oggi (123)

Si tende a identificare come «democratico» il relativista, qualunque versione del relativismo viva, purché relativista: e si tende quindi a identificare come antidemocratico(intollerante, dogmatico) chiunque affermi un assoluto.

Per la nostra mentalità cristiana la democrazia è convivenza, è cioè riconoscere che la mia vita implica l’esistenza dell’altro, e lo strumento di questa convivenza è il dialogo.

Ma il dialogo è proposta all’altro di quello che io vedo e attenzione a quello che l’altro vive, per una stima della sua umanità e per un amore a lui che non implica affatto un dubbio di me, che non implica affatto il compromesso in ciò che io sono.

La democrazia, perciò, non può essere fondata interiormente su una quantità ideologica comune, ma sulla carità, cioè sull’amore dell’uomo, adeguatamente motivato dal suo rapporto con Dio


III–  Conclusione

Per costruire una nuova societa’:

  • Vivere nell’ambiente la comunità cristiana
  • scoprire finalmente che “crisi” e “critica” al proprio cristianesimo significa capire che è una proposta per tutta la vita almeno come ipotesi di lavoro.

Pronti ad essere agili e veloci ad abbandonare forme vecchie se le condizioni lo richiedono: non si mette vino nuovo in otri vecchi o pezze nuove su tessuto vecchio.

Indice linkato dei capitoli


La video conferenza inizia al decimo minuto

Don Carrón risponde alle domande di insegnanti e genitori che presentano esperienze in ambito educativo