Riassunto de “Il tempo e il tempio”

Matrimonio a Cana (ingrandisci)

3° capitolo – DIO E L’UOMO (77)


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  1. Le caratteristiche dell’uomo di questi tempi nuovi

Egli si serve di questa neghittosa pala che sono io, smangiata dal tempo, neghittosa, riluttante ad essere presa nelle mani, da quelle Sue due mani; essere presa sa quelle due mani è l’unico caldo della vita, l’unico caldo sicuro, che fa venire essere presa da quelle due mani è l’unico caldo della vita, l’unico caldo sicuro, che fa venire voglia di abbracciare tutti, con tutte le distinzioni possibili e immaginabili, ma, in fondo, ugualmente tutti.

Allora comprendere come sarebbe angoscia, se non fosse abbandono a quelle due mani che tengono questa pala che sono io.

«Senza di me non puoi fare niente».

Allora la memoria di Te è tutto, e questa memoria è mendicanza di Te.

Dobbiamo premere l’involucro di ogni ora delle nostra giornate: che si spacchi e si lasci riempire l’ora stessa di questo abbandono a Te, di questa certezza di Te, di questa attesa amorevolmente sicura, che è un amore tuo e un amore mio come certezza di attesa.


[79]

Quando giunge quello che portiamo noi  nel cuore, che, chissà come, a noi è stato dato, chissà come a noi nel cuore è rifluito; quando noi portiamo quello che abbiamo nel cuore, allora è giusto.

Questo nostro annuncio, questo nostro risveglio

è gridato al mondo intero;

al mondo intero, che è il mondo della casa, il mondo della famiglia, della nostra famiglia, il mondo del nostro movimento, il mondo della diocesi, della Chiesa locale, il mondo della Chiesa universale.

[80]

  1. Il Mistero che fa tutte le cose si è coinvolto con l’uomo. Il Mistero si è coinvolto con la nostra esperienza, è diventato fattore protagonista di questa storia, ed è Lui che ci ha chiamati per renderci protagonisti “con” Lui nella storia
  2. La cosa più tremenda che si possa concepire nella vita dell’umanità: che i protagonisti del messaggio che salva il mondo, i messaggeri di quell’uomo, proprio io e tu, quotidianamente, Lo dimentichiamo. Il tradimento fondamentale è la dimenticanza, la non memoria, l’andare contro il nostro titolo, che ci dà diritto e ci definisce nella società: “Memores Domini”.
  3. Il disegno del Padre è la misericordia, la parola impossibile. La letizia e la gioia – le altre parole impossibili – dipendono da essa: non dipendono dallo stato d’animo, ma da essa, dalla misericordia, da un Altro – da un Altro!. “Sia fatta la Tua volontà” che la Sua volontà è misericordia, è ricomponimento di tutto, è salvezza di tutto.

Questi sono i tre fattori dell’essere nuovo, dell’ontologia nuova che è entrata nel mondo storicamente.


[84]

Smemoratezza, la smemoratezza che si concreta ontologicamente – ontologicamente! – nel peccato.

Ma la misericordia di Dio è confermata come vittoriosa.

La morale nostra, la morale nuova qual è? «fac ut ardeat cor meum in amando Cristum Deumut sibi complaceam».

La prima caratteristica della moralità nuova è la totalità dell’esistenza implicate:

non possiamo mettere un bottone senza dirti «Ti offro».

Questa è la grande legge: rendere famigliare, quasi continuo, ovvio per lo meno, questo “Ti offro” in qualsiasi gesto, perché altrimenti non ha senso alcun gesto.

Amare è affermare un Altro, ogni azione lo affermi!

È la vita che diventa preghiera, la totalità dell’esistenza che diventa preghiera,

affermazione di Te. «In amando Cristum Deum» è l’unica legge, non esiste altra legge

[87]

Le caratteristiche dell’uomo di questi tempi nuovi (87)

1 ) Un sentimento assolutamente nuovo e affascinante di sé stessi.

Per cui non posso neanche essere frenato da tutto il male che ho fatto oggi o che faccio; non posso essere scandalizzato da nulla di quello che sono stato: tutto quello che ho fatto fino ad un istante fa «non è mai esistito».

«Mio non è ciò che appartiene a me, ma a ciò cui appartengo».

Kierkegard ne Diario del seduttore

Si direbbe la morte dell’io, invece è per possedere la vera vita dell’io: la vera vita mia sei tu.

Del resto il primo miracolo, il primo miracolo in senso assoluto è la scoperta del «tu».

Perché è il «tu» che porta dietro di sé la sagoma appena accennata della presenza dell’Infinito, dell’Eterno, di Gesù uomo.

È una autocoscienza diversa da quella che hanno tutti:

il mio io sei Tu, tutto ciò che è mio lo perché io sono Tuo.

2) – Il poeta Shelley: «Guardiamo al prima e al dopo, e ci struggiamo per ciò che non c’è».

C’è soltanto il Tu. Quel che c’è è soltanto il Tu, il Tu dell’Essere, di cui quella persona è l’espressione.

3) – Nella lettera a Diogneto (150 d.C.) l’autore cristiano scrive: «Hanno tra di loro un rispetto inconcepibile agli altri».

Respicio: rispetto, vale a dire, guardare una persona, una cosa, tenendone presente un’altra che dall’orizzonte domina come il sole.

Così io sono di un Altro: accettando che tu sia di un Altro.

Riconoscendo che tu sei di un Altro, io sono di un Altro.

————[91]

Il peccato è brutto, è brutto come un inganno.

Lettera (92)

Dalla lettera di una novizia una lezione acuta sull’origine cronologica e fisiologica del male.

«Oggi pensavo che la mancanza di fece non è mai rispetto alle dichiarazioni che facciamo di credere in Gesù Cristo come formulazione teorica [teoricamente Gesù Cristo è Gesù Cristo; è difficile che ci sia uno tra noi che metta in dubbio questo] ma manchiamo di fede tutte le volte che non crediamo alla promessa, cioè all’esperienza di bene che facciamo.

E finché rimangono dei precetti morali da seguire va tutto bene. Ma quando Lui dichiara di amarmi tanto, tanto da dare la vita per me, e da desiderarmi tanto da perdonarmi sempre, allora, in quel momento, quello che sembra una semplice riserva sull’esistenza concreta, riserva così facilmente comprensibile [per la nostra debolezza], si rivela, nel tempo, il luogo del “no” »

Il “no” è agli strumenti di cui Gesù si serve per arrivare a noi:

è  un atto reale di mancanza di fede nei confronti del testimone che mi viene incontro nel nome di Cristo.

Continua la lettera: «Perché dubitando di ciò, se mi impedisco di care credito al modo e al luogo di dare credito al modo e al luogo in cui deve accadere, in quale altro modo dovrei attenderLo».

Il contrario di questa reticenza è un impeto di arresa.

Questo impeto di “arresa” ti strappa, ti stacca da quel che sei; è un impeto tale che è come lasciarsi indietro i tuoi vestiti: nuda sei, nudo sei, cioè povero.

Povero: non ti importa se gli altri ridono, se gli altri si scandalizzano ed equivocano, non importa.

È un impeto di arresa che si chiama “povertà”,

meglio, il cui esito imponente, esistenziale, è la povertà.

Non sembra, ma l’amore alla povertà, l’accettazione ovvia della povertà, è l’indice che la reticenza non c’è, è l’indice che questo impeto di arresa c’è.

Ripugna all’uomo di oggi, è nefando il «Fac ut ardeat cor meum in amando Christum Deum ut sibi complaceam».

È una autocoscienza nuova, in cui il vero io è nell’essere posseduti;

è un rispetto nuovo per l’uomo, ignoto agli altri; è una densità dell’istante, del presente puro, che è l’istante contingente.

Padri del deserto: «Tu applicati a fare il bene e non temere la tua debolezza»: nella favorevole o sfavorevole circostanza.

E il primo bene è il riconoscimento di GESU’ senza riserva.

«Non temere la tua debolezza»: nella favorevole o sfavorevole circostanza.

Il presente, il tempo presente, l’istante presente è la verifica



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