Riassunto per appunti della “Vita di don Giussani”

Indice linkato dei vari capitoli

Capitolo 15

«Perché comunione è liberazione»

La nascita di CL e i primi anni Settanta

415

Bertazzi:

«Gli altri studenti pensano che bisogna liberarsi da ogni legame per essere liberi.

Noi abbiamo qualcosa cui rimanere attaccati per essere liberi».

416

Bertazzi:

«Rimanere, nel ’68, è stato una pura questione di affetto».

417

don Ventorino:

«(Nel 68) non siamo stati salvati da una intelligenza più grande che avevamo della questione, ma da una affezione più grande che avevamo verso di te (Gius.)»

«Avevo una gran confusione in testa, ma anche una certezza, non potevamo andare altri che da te»

«Quell’affettività era fondata sull’esperienza, era fondata razionalmente, anche se non si traduceva immediatamente in una chiarezza di giudizio sul presente di allora».

417

Nel novembre del 1969 all’Università Statale di Milano inizia a circolare un ciclostilato con una strana intestazione «Comunione e Liberazione»

417

Bertazzi:

«Mi venne in mente che noi volevamo parlare di due cose: la liberazione, ovvero l’istanza che condividavamo con tutti; e la comunione, ovvero ciò che secondo la nostra esperienza poteva realizzarla.

Comunione/liberazione: due cose cui tenere».

417

Bertazzi:

senza che sia stato programmato Comunione e Liberazione comincia a diventare un segno di riconoscimento:

«Gli altri avevano infatti, cominciato per primi a chiamarci quelli di, i gruppi di , riferendosi ai nostri stampati».

418

Giuss.: vedendo il ciclostilato: 

«Ecco noi siamo il nome che si sono dati gli universitari» 

esclama guardandolo. E continua:

«perché comunione è liberazione».

418

Giuss.:

«Più edificheremo la Chiesa più contribuiremo alla liberazione vera del mondo, correggendo continuamente l’illusione generale».

419

Giuss.:

«Una lettura vera dei bisogni può nascere solo dalla condivisione di essi, altrimenti la lettura diventa aprioristica “dettata “dalla teoria in voga”».

«Condividere il bisogno è l’unico modo per leggerlo, ma la lettura sarebbe realtà mondana se non partisse dalla tradizione cristiana»

«L’inizio della presenza dentro l’ambiente non è l’ambiente, ma qualcosa che viene prima» 

«L’annuncio non viene dalla nostra intelligenza nel dirimere le questioni, ma viene prima, è qualcosa che ci è dato e in cui ci troviamo dentro, da cui partiamo continuamente».

419

Cesana incontra Don Giussani da un registratore:

«Mi sono immediatamente informato chi fosse il signore che parlava, e mi dissero che era don Giussani»

420

Giuss.:

«Il punto in cui il discorso cristiano porta guerra a qualsiasi ideologia è la persona».

E questo perché:

 «la risoluzione del problema del mondo passa attraverso il rapporto Dio-singolo, cioè passa attraverso il fenomeno della persona.

La persona è il punto su cui cala il bolide divino per mettere a soqquadro per mettere a posto il terremoto del mondo».

421

Giuss.:

«Sembra quasi che non riusciamo a cogliere il contenuto nuovo».

Di fronte al compito di cambiamento del mondo bisogna che

«iniziamo NOI a cambiare».

Perché il cristianesimo è una realtà nuova: e invece

«sembra quasi che viviamo tra di noi senza vederci, non riusciamo a cogliere il contenuto nuovo che emerge tra noi perché non sappiamo ascoltarci».

422

Giuss.:

il movimento non avrà il suo esito dal favore delle circostanze,

«ma dalla verità delle nostre persone, non delle nostre strutture”.

422

Cl è appena nata, ma egli non pone la sua attenzione su questioni organizzative, bensì sulla liberazione che Cristo introduce nella vita di un uomo fino al punto di metterlo nelle condizioni di vivere una comunione con gli altri, e così (Giuss)

«si passa immediatamente in prima linea, immediatamente».

423

E’ raccontato l’incontro con don Zeno, fondatore della comunità di Nomadelfia.

424

Giuss. di Nomadelfia dice: 

«Il paradigma e l’esempio di Nomadelfia non stanno nelle forme di Nomadelfia, stanno in qualcosa d’altro.

L’essere figli di Dio avviene nella materia e quindi in tutta la realtà come unione globale.

E’ proprio questa totalità che è il centro del nostro discorso ed è questa totalità la grande parola di Nomadelfia»

425

è raccontato l’incontro con Hans urs von Balthasar

426

von Balthasar:

«Il presupposto della Chiesa è l’impegno di Dio nel mondo».

Il mondo infatti attende qualcosa

«che non può costruire da solo perché è al di là della misura con cui può ipotizzare, con cui può generare progetti, ed è al di là della sua immaginazione».

426

von Balthasar:

Cos’è il cristiano nel mondo?

«Uno che porta al mondo ciò che il mondo attende e che non sa: Cristo».

426:

von Balthasar:

«La Chiesa, cioè la realtà cristiana nel mondo non è innanzitutto la gerarchia ecclesiastica. La gerarchia ecclesiastica è come lo scheletro che la tiene su”.

426

Giuss.:

«La Chiesa contestataria che segno di salvezza può essere?».

Concordando con von Balthasar

«Il dovere che nasce per il cristiano, per la presenza del cristiano nel mondo, è realizzare la comunione».

427

Giuss.:

«Non sono le nostre esperienze che costruiscono l’unità, ma è quell’unità che costruisce la nostra esperienza.

Prima è un dato, un fatto che si pone: io sono delinquente e questo fatto mi si pone lo stesso.

Dio si coinvolge…. me lo trovo tra i piedi lo stesso, viene con me!».

427:

«La prima cosa da farsi per impegnarsi nel mondo non è fare o costruire ma accettare questo coinvolgimento che Dio ha fatto con noi”.

428:

Giuss: 

Cristo porta

«La risposta all’altezza dell’uomo, questa risposta tanto attesa quanto impossibile a prevedersi, a immaginarsi, perché è una risposta che viene dal di là dell’uomo; e tutto il gioco più vero degli umani rapporti è un simbolo, è un segno di questo”.

428

Giuss. citando von Balthasar:

«Nell’interno della storia non c’è figura di umanità capace di soddisfare la nostra speranza”.

428

Citando von Balthasar sul compito del cristiano:

«Dirigere la speranza verso l’oggetto della sua soddisfazione che è tra noi. Il fatto di Dio con noi – Cristo – che si manifesta più o meno velatamente o lucidamente, nell’impossibile esperienza dell’unità tra uomini, la comunione ecclesiale».

428

Giuss: Il cristiano non potrà che essere

«segno di contraddizione quando vorrà portare il mondo al di là dei fini previsti delle sue politiche e filosofie. Perciò questa è la figura dell’azione cristiana nel mondo : la testimonianza. perciò questa è la figura dell’azione cristiana nel mondo: la testimonianza».

428

E’ raccontato l’inizio del rapporto con Ratzinger

428

Ratzinger:

«…li incontrammo ( i ciellini) e passammo insieme una giornata.

Per me fu una scoperta interessante, non avevo mai sentito parlare di questo gruppo fino a quel momento.

E vedevo giovani pieni di fervore per la fede, niente a che fare con un cristianesimo sclerotizzato e stanco, e neppure con una idea contestataria – che considera tutto quello che c’era prima del Concilio come una cosa totalmente superata – ma una fede fresca, profonda, aperta, e con gioia di essere credenti, di aver trovato Gesù Cristo e la sua Chiesa.

E qui ho capito che c’è un nuovo inizio, c’è realmente una fede rinnovata che apre le porte al futuro».

429

Ratzinger ai vent’anni della rivista Communio:

«Dovremmo però presto riconoscere che una comunità non può costruirsi per mezzo di una rivista, ma che la comunità la deve precedere e la deve rendere necessaria, come accadde con Comunione e Liberazione».

430

Giuss: se Cristo è l’inizio di una vita nuova, allora tutta l’esistenza viene coinvolta.

430

Giuss.:

«Il tuo compagno di lavoro è tuo, non della comunità: è della comunità attraverso di te.

Sei tu che devi immaginarti come, sei tu che devi prendere iniziativa, inventare parole da dire, l’attenzione da prestare, l’amore da avere….il giocarsi personale non è scaricabile su nessuno.

Invece noi siamo schematici. La nostra presenza cristiana è ridotta a riunioni, riunioni, riunioni».

«Non sono contro le riunioni, ma contro lo schema astratto per cui siamo cristiani solo in riunione».

430

Giuss.:

«Tutte le ideologie prendono in considerazione solo l’uno e l’altro o l’altro dei nostri bisogni, così ci riducono a segmenti.

Insomma ci sottolineano tante verità ma tutte sono in funzione di una grande menzogna: lo schiacciamento della persona».

431

Giuss.:

«Non si può fare servizio al mondo, se non vivendo o compiendo l’azione in funzione del suo ordine, perciò, se non facendo la volontà di Dio, perché l’ordine del mondo è il disegno di Dio».

431

Giuss.:

«L’uomo non può camminare se non abbracciato, se non sostenuto da Gesù Cristo. Dio è venuto nel mondo proprio esattamente per prenderci e farci camminare».

432

Giuss.:

chiarisce che cosa c’entra la passione di Cristo con quello che sta dicendo:

«Quando sei al massimo dell’esasperazione, nel disprezzo di te e nel rifiuto della vita, accusandoti: “Io sono un verme strisciante” e chi trovi al tuo livello, al tuo basso livello? Trovi Dio, Gesù Cristo, volontariamente disceso con te al tuo livello»

433

Giuss. parla ai primi che entrano in monastero:

“Il miracolo non è una contraddizione con la dinamica degli avvenimenti, con il volto degli accadimenti, ma è una tale convergenza di indizi, di avvenimenti, piena di significato e che dà origine a qualcosa di non nostro.

Ma il miracolo non è per sé, bensì per costruire una storia, ed è segno che si è sulla strada di Dio”.

433

Giuss.:

«L’unità non è essere insieme a fare la stessa cosa, o parlare, ma è la saldatura che avviene nella misura in cui ci impegniamo a vivere il fatto di Dio nella nostra vita».

434

Giuss.:

«Il monaco è nella comunità cristiana l’indice della coscienza dell’uomo.

Perciò il monastero è nella vita della Chiesa l’esempio di un modo nuovo di ordinare la vita, attorno alla certezza che solo Dio salva».

Il monastero della Cascinazza «è un esempio di vita nuova, di una vita nuova, un pezzo del Corpo di Cristo», nel quale «l’unità tra i fratelli, cioè la vera amicizia di Cristo resa presenza, è il miracolo che noi guardiamo».

435

Giuss.:

«E’ il Signore che attraverso la circostanza conduce».

436

Giuss:

«E’ venuto un momento molto grave per il nostro movimento: è un momento in cui il nostro movimento non può più tollerare neanche un minuto in più una impostazione associazionista, associativistica».

Insiste:

«E’ venuto il momento in cui non possiamo più sussistere – nel senso che non possiamo più tollerarci – se le cose non nascono dalla vita, cioè dal basso, dal basso come vita cambiata».

437

Giuss.:

«Per la stragrandissima maggioranza della gente del movimento, la comunione si identifica con la somma di iniziative e con la somma dei rapporti.

Non è questa la comunione.

La comunione è una natura nuova mia, una natura nuova, una realtà nuova che è entrata nel mondo e che fa una natura nuova in me e perciò il rapporto con te deve nascere diverso».

437

Giuss.:

«La caratteristica peculiare del movimento è

prevalenza del fatto sulla dialettica e quindi dell’esperienza sul discorso».

438

Tappiste di VITORCHIANO:  inizio del rapporto

438

Madre Cristiana superiora:

«Un giorno anche lui (don Giussani) venne. Ci parlò della mendicanza»: quell’incontro «fu, almeno per me, definitivo per assumere una mendicanza come dimensione vera e feconda per tutta la mia vita».

439

Madre Cristiana ammette di essere debitrice a Giussani quando diceva:

«Obbedire non è imparare idee e criteri ed applicarli, ma è uno sguardo continuo verso chi sta generando la tua vita.

Il discepolo può essere anche colui che impara un discorso e lo ripete e, se è presuntuoso, lo interpreta a suo modo; il figlio è colui che riceve continuamente dal padre ciò che vive e, a sua volta, lo trasmette».

439

Madre Cristiana cita don Giussani:

«Nella gioventù contemporanea è come se la nascita non fosse presente, è come se i giovani non avessero ancora raggiunto la coscienza di questa dipendenza: vale a dire dell’essere stati voluti.

Perché il sentimento supremo è quello di essere voluti».

439

Monica: storia di una vocazione claustrale.

441

madre Monica : dovendo sintetizzare il rapporto fra Giussani e la sua vocazione sottolinea 3 elementi:

«il primo: la nettezza e l’integralità della sua proposta di fede era una preparazione naturale, per chi ne avesse il carisma, ad aprirsi a una vocazione di consacrazione a Dio solo, anche se lui non parlava poi molto di questo».

«Il secondo: il rispetto totale di don Giussani per la libertà della persona».

«il terzo: la cosa più importante che mi ha insegnato al tempo della verifica è stata la lectio divina sulla liturgia del giorno che diventava un modo di apprendere la teologia mediante l’anno liturgico».

443

Giuss.:

«QUALCOSA DI NUOVO può venirci solo da Cristo.

Ma  una volta che ci viene da Cristo, noi lo facciamo rifluire nei nostri rapporti, nei nostri sguardi, nelle sue mani che toccano, nel nostro cervello che agisce incuriosito, nel nostro cuore che vuole e che crea con la sua energia».

444

madre Rosaria ricorda la visita di don Giussani al monastero:

«Ci parlò della fede, con tono quasi dolente, evidenziando come fosse difficile incontrare comunità, anche monasteri, dove la fede fosse riconoscimento di Cristo presente e vissuta come comunione: in questo senso parlava di protestantizzazione della fede».

445

Giussani in una omelia nel monastero:

«La bellezza è la verità che si comunica a noi attraverso un’attrattiva, nell’anima nostra sorgono profondi discorsi e profonde esperienze di vita e può essere che noi tendiamo a fermarci a questo, a vivere la parola di Dio solo esteticamente.

Invece seguire la sapienza nuova coincide con la morte, la morte dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, del nostro modo di fare:

implica una rottura, una contrizione della nostra persona perchéi suoi pensieri non sono i nostri pensieri“».

447

Giussani durante la visita al monastero di Hinojo nella Pampa argentina:

«Cristo è uno che si è dedicato ai poveri, uno che è morto per l’umanità: quindi sforziamoci oggi di dedicarci ai poveri, di morire per gli altri; questa è imitazione morale, sforzo di copiare la figura e l’esempio di Cristo, ma l’annuncio cristiano è l’annuncio che Dio si è reso presente. Questo è il punto centrale della fede».

447

Giussani alle monache:

«la freschezza della fede vien proprio dalla mentalità nuova che abbiamo addosso senza che sia nostra, e che perciò ci rende molto liberi dalle situazioni interne ed esterne».

447

Giussani alle monache:

«il cristianesimo è una cosa che si snatura se non si incarna in uno spazio e tempo, se non fa del mondo un convento, e il convento è un pezzo di mondo già fatto da Dio».

Per questo don Giussani paragona il convento di clausura a un faro:

«L’estremo segno della vita in cui Cristo è tutto, nel modo di mangiare, nell’orario e nei rapporti».

448

Giussani alle monache:

«La missione è Cristo che muta il mondo mutando me; muta me e attraverso me muta le cose dove sono».

Perciò il monastero è per Giussani l’inizio e il segno per tutti gli uomini di un pezzo di realtà cambiata da Cristo.

450

Giuss. commentando gli inni di Vitorchiano:

«Può sembrare ironico perché noi non ci alziamo di certo alle 2 di notte come le monache di Vitorchiano.

Ma vegliare nella notte è vegliare nell’ottusità che è nel viso di tutti – di tutti – e che accidentalmente noi scopriamo anche sul nostro volto: la notte è questa ottusità, questa oscurità.

Nell’oscurità le cose non è che non si conoscano, ma si conoscono in modo infinitamente diverso e ridotto. Uno coglie le cose a tastoni…così tutta la gente vagola, vaga nel mondo….finchè …improvvisamente ecco che nasce il sole».

451

madre Cristiana dal convento di Humocaro Venezuela:

«Loro, figlie di don Giussani, hanno abbracciato il carisma monastico con una integrità, una capacità di fedeltà ed obbedienza che mi hanno sempre lasciata stupefatta e grata.

Ed oggi è ancora così.

Questo mi commuove.

Posso dire che noi abbiamo vissuto di lui».

453

Giuss.: di fronte alle molte perplessità degli ambienti ecclesiastici per la presenza di CL e per i suoi metodi scrive a Paolo VI:

«Santità tutto quello che da diciassette anni i miei più stretti collaboratori ed io, al di là dei nostri difetti, abbiamo cercato di fare è stato per appassionato amore alla Chiesa di Dio così come essa è, e per il grande desiderio che Essa rimobiliti le energie giovanili, proprio secondo la commovente direttiva data da Vostra Santità nel discorso del decennio».

459

Giuss. All’indomani dell’esito del referendum sul divorzio. La radice ultima di tale esito viene individuata in una duplice crisi: innanzitutto

«la vita cristiana non ha generato una espressione culturale adeguata e perciò non ha potuto resistere di fronte all’attacco del potere mondano»;

in secondo luogo,

«La mancanza e gli errori dell’educazione cristiana hanno reso il popolo troppo vulnerabile di fronte all’invasione della propaganda e inabile a un giudizio e a una scelta di fede;

In molti la fede non ha neppure suggerito il gesto sicuro e sostanziale dell’obbedienza all’indicazione autorevole» dei vescovi italiani.

«Quanto a noi» conclude la lettera «abbiamo invece seguito questo criterio».

460

Paolo VI:

«Non basta, soggettivamente, una fede vaga, debole ed incerta; una fede puramente sentimentale, abituale, fatta di ipotesi, di opinioni, di dubbi, di riserve; né basta, oggettivamente, una fede che accetta ciò che le piace, o che cerca di eludere le difficoltà rifiutando l’assenso a verità misteriose e difficili.

Dobbiamo saperci assicurati che la fede non umilia la ragione, ma la conforta alla certezza e alla comprensione, almeno parziale,  ma luminosa e felice, di verità superiori e vitali».


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