Libro di don Giussani “Alla ricerca del volto umano”

Indice linkato ai capitoli del libro
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- INTRODUZIONE
- 1a parte – PERCORSO DRAMMATICO
- Dove sta la consistenza dell’io – Resistenza e verità di sé – L’immagine compiuta – Appartenere: verità di sé – Vagliate tutto: il giudizio nuovo – L’ascesi: il dramma dell’affettività
- 2a parte – DECISIONE PER L’ESISTENZA
- Riconoscere l’evidenza del fatto – Una presenza da seguire – Una proposta da verificare – la verifica come pegno – L’affermazione dei valori e la pratica
- 3a parte – MORALITA: MEMORIA E DESIDERIO
- Punti essenziali per la formazione di una personalità cristiana
- 4aparte – LA PREGHIERA
- Preghiera: consapevolezza della dipendenza – Preghiera e spirito comunitario – Preghiera: memoria del fatto di Cristo
- 5a parte – LA SANTITA’ COME DESIDERIO DI VITA
- Il santo è un uomo – La coscienza dell’incapacità – L’affezione a Cristo – Parte di un popolo – Conclusione
- 6a parte – IL SENSO DEL PECCATO
- Le radici del peccato e definizioni del peccato – La dinamica del peccato – Conversazione su: il senso del peccato.
- CONCLUSIONE – LA CHIESA COME LUOGO DI MORALITA‘

Introduzione – (pag.9)
Il supremo ostacolo al nostro cammino umano è la trascuratezza dell'io.
Sembrerebbe ovvio che si abbia tale interesse, mentre non lo è per nulla: basta guardare quali grandi squarci di vuoto si aprono nel tessuto quotidiano della nostra coscienza e quale sperdutezza di memoria.
Infatti, i fattori costitutivi del “soggetto” umano non si colgono in astratto, non sono un “pregiudizio” ma risultano evidenti nell’io in azione, quando il soggetto è impegnato con la realtà.
Dietro la parola “io” c’è oggi una grande confusione, eppure la comprensione di cosa è il mio soggetto è il primo interesse.
Il mio soggetto è al centro, alla radice di ogni mia azione.
L'azione è la dinamica con cui entro in rapporto con qualsiasi persona o cosa.
Nulla è così affascinante come la scoperta delle reali dimensioni del proprio «io», nulla così ricco di sorprese come la scoperta del proprio volto umano.
E nulla è così commovente come il fatto che Dio si sia fatto uomo per dare l’aiuto definitivo, per accompagnare con discrezione, con tenerezza e potenza il cammino faticoso di ognuno alla ricerca del proprio volto umano.
La prima constatazione è che la confusione che oggi domina dietro la fragile maschera del nostro io viene, in parte, da un influsso esterno alla nostra persona.
Occorre tenere ben presente l’influsso decisivo che ha su di noi quello che il Vangelo chiama «il mondo» e che si mostra come il nemico del formarsi stabile, dignitoso e consistente di una personalità umana.
C’è un pressione fortissima da parte del mondo che ci circonda che influenza e finisce di ingombrare – come pregiudizio – qualsiasi tentativo di presa di coscienza del proprio io.
L’esito di tale oppressione o intimidazione è evidente: ormai la stessa parola “io” evoca per la stragrande maggioranza un che di confuso e fluttuante, un termine che si usa per comodità con pure valore indicativo (come «bottiglia» o «bicchiere»).
La conseguenza inevitabile e letteralmente tragica di tale confusione in cui si dissolve la realtà dell’io è il dissolvimento del termine tu.
Ma dietro la paroletta non vibra più nulla che potentemente e chiaramente indichi che tipo di concezione e sentimento un uomo abbia del valore del proprio io.
Siamo in una età in cui è favorita una grande confusione riguardo al contenuto della parola io.
La conseguenza inevitabile e letteralmente tragica di tale confusione in cui si «dissolve» la realtà dell’io è il «dissolvimento» del termine tu.
In ciò sta la radice ultima e apparentemente nascosta della violenza e della ricerca di potere che oggi determinano largamente i rapporti usuali tra le persone.
La confusione che altera i connotati del volto umano è l’apice di una crisi che ha origini storiche e, potremmo dire, esistenziali ben precise.
L'uomo si è eretto a misura di tutte le cose, ottenendo di ridurre tutte le cose secondo la misura delle sue capacità e del suo potere su di esse.
La figura del Santo è sostituita dall’uomo come “divo” teso a imporre la sua signoria in uno o più campi in una realtà intesa ormai in modo frammentario.
In tale frammentazione dell'esperienza, Dio è divenuto una realtà inutile.
La stessa presenza di Dio all’autocoscienza dell’individuo e alla sua avventura terrena ha iniziato a essere sentita ostile.
Di fatto l’epoca che è successa all’età chiamata medioevale è tutta tessuta di questa
pretesa dell'uomo di fare a meno di Dio.
Eliminato Dio come punto sorgivo e come legge del reale, la realtà è divenuta incomprensibile, sfuggente e in essa il fattore che dovrebbe esserne il punto di autocoscienza: l’io.
La ragione, per sua natura, avverte l’esistenza di uno scopo, della verità, ma tutto sembra oscurato, ogni ponte che l’uomo getta fra sé e quello scopo è destinato a fallire.
Se la realtà sembra sfuggire alla pretesa signoria dell’uomo, l’estrema risorsa dell’orgoglio è negarne qualsiasi consistenza, arbitrariamente considerare tutto alla stregua di una illusione e di un gioco.
Possiamo chiamare nichilismo ciò che oggi regna nel modo di pensare e di guardare imposto dalla cultura dominante.
L’incontro con l’avvenimento cristiano è da duemila anni l‘incontro con un fenomeno umano nel quale la passione per la scoperta del proprio volto e l’apertura alla realtà risultano “stranamente” desti.
I primi due che seguirono Gesù sulle rive del fiume Giordano sono i primi protagonisti, dopo Maria, di una misteriosa riconquista dell’umano.
Quell’episodio resta il più commovente del Vangelo.
Infatti si narra di un incontro preciso, storico, eppure nell’appunto che il discepolo detta al Vangelo quasi tutto è lasciato implicito..
Tale implicito inseguito diventa esplicito e ne è stata cambiata la vita di quei due pescatori, ma già la loro umanità e il loro cuore in quel primo decisivo incontro saranno stati percossi da un presentimento, da una iniziale netta evidenza: come quell’uomo non aveva mai parlato nessuno, come Lui non avevano incontrato nessuno.
Da allora seppur tradendolo e fraintendendo mille volte, non l’avrebbero più abbandonato, diventando “suoi”.
Da subito quella Presenza aveva immesso nella loro vita una urgenza di cambiamento, di compimento della propria umanità, così potente che la storia sarebbe mutata per la loro azione e la santità sarebbe entrata nel modo come inimmaginata esperienza di purità e fecondità umana.
La presenza di Cristo, infatti, e l’essere suoi immette nella vita una capacità di tendere a guardare e a trattare le persone e le cose tenendo conto di tutti i fattori in gioco: con un rispetto e una attenzione ai particolari e al destino.
In questo senso la moralità vera consiste, come la vera ragione, in una tensione all'apertura cosciente a tutti i fattori in gioco nel reale.
In un momento in cui il termine stesso di « moralità» è diventato una nebulosa, quando non addirittura un termine ipocriticamente e strumentalmente impiegato nella lotta per il potere, riscoprire in cosa consiste e come si forma una autentica tensione morale è compito tanto urgente quanto appassionante.
Un uomo si è detto Dio.
Non è più l’uomo che cerca di instaurare un rapporto con un Dio lontano,[…] è Dio che si fa compagno all’uomo nel modo più concreto e discreto possibile.
GPII nella Redemptor Hominis: «L’uomo rimane per sé stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso unitario se non incontra Gesù Cristo. Per questo è Cristo Redentore che rivela l’uomo all’uomo stesso».
Il cristianesimo, dunque, si presenta fin dal suo primo apparire nel mondo come un avvenimento.
«Il vero dramma della Chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole».
Giovanni Paolo I
In luoghi lontani, nelle più sperdute terre, rivive l’avvenimento cristiano, e anche nei luoghi soliti del lavoro e della famiglia, così spesso tragicamente “deserti” di umanità.
Quel che non esiste come esperienza presente non esiste:
essere contemporanei a Cristo è l'unica condizione perché inizi realmente la conoscenza di Lui come consistenza di tutte le cose (Col 1),
come inizio di un popolo nuovo (Gal 3), come criterio con cui affrontare la totalità dell’esperienza, e come origine di posizione culturale, di un punto di vista che permette di vagliare tutto e trattenere ciò che vale (Ts5).
La domanda che sorge e che misura la serietà e la passione con cui ogni uomo guarda la propria vita è: di che si tratta?.
Parte prima – Percorso drammatico
Indice linkato ai titoli e sottotitoli
- Dove sta la consistenza dell’uomo
- Resistenza alla verità di sé
- L’immagine compiuta
- Appartenere: verità di sé
- Vagliate tutto: il giudizio nuovo
- Ascesi: il dramma dell’affettività

DOVE STA LA CONSISTENZA DELL’UOMO
Dio destino dell’uomo (21)
Ma arrivare a cogliere ciò che è costitutivo per una immagine di uomo non è «un» punto di qualsiasi discorso, è «il» punto dove tutte le energie della nostra sensibilità, della nostra affettività, della nostra intelligenza convergono in una attesa di compimento.
« Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza».
(Gen. 1,1-6)
La narrazione biblica ci fa affrontare senza preamboli
la caratteristica della nostra natura che porta iscritto dentro di sé Dio come destino.
Il Signore è tutto non in forza di un nostro sentimento, perché “sentiamo” che è tutto; non in forza di un atto di volontà, perché “decidiamo” che sia tutto; non moralisticamente perché “deve” essere tutto, ma per natura.
Che il Signore sia il Signore perché ci costituisce, e determina la vita, è apparso evidente all’interno di un suo intervento nella storia, attraverso un suo svelarsi storico.
Dio ha svelato l’uomo all’uomo il volto del destino svelando Se stesso, ha fatto conoscere il nome del destino umano attraverso la Sua Presenza, è intervenuto Lui a ricordarci di essere il destino dell’uomo, l’«unum» capace di rendere umana la vita dell’uomo
E sarà nella storia una lunga vicenda di ridimensionamento dell'orgoglio umano, che invece proprio per quanto riguarda l’immagine del suo destino, proprio per quanto riguarda i fattori sostitutivi della propria fisionomia ha cercato da sempre di affermare se stesso come totalità autonoma.
Dio si rivela Signore dell’uomo attraverso la storia (22)
Dio per definire all’uomo concreto Sé in rapporto a lui, si è manifestato come padrone della storia.
Ciò che definisce il senso di sé in Abramo era quella voce, o quella Presenza, che gli aveva detto : «Parti dalla tua terra e vai……..verso la terra che ti indicherò».
L’immagine che adesso abbiamo cercato di rievocare è quella di un uomo che negli occhi, nel contenuto del pensiero, nel modo di affrontare i problemi, angustie, aspirazioni e paure aveva viva quella Presenza.
Dio si rende avvenimento, entra nella vita dell'uomo coinvolgendovisi, mettendosi insieme a lui.
Balza agli occhi come il progetto più realistico sulla vita di Abramo sia non il suo, ma il
progetto di un Altro.
Così Abramo proverà la familiarità con quella Presenza, che lo ha travolto e trascinato lontano da casa nell’episodio del querceto di Mamre (Gen. 18) in cui l’essere misterioso sarà come ospite da nutrire e servire, all’ombra dell’albero «nell’ora più calda del giorno».
Quella Presenza si rende realtà ineffabile di commensalità.
Che il Signore sia il Signore, cioè il senso della vita, appare come constatazione di esperienza che si realizza nella storia, nel tempo di una familiarità quotidiana, che è come un barlume, ma anche richiamo autentico, di quella primitiva consuetudine al divino cui accennano i capitoli iniziali del genesi.
L’uomo identificato dal rapporto con Dio (25)
Un altro importante riferimento di quell’immagine di uomo, che Dio ha voluto manifestare intervenendo nella storia per svelare sé stesso, si ritrova nella figura di Mosè.
Viene riproposto nella vita di Mosè questo fatto fondamentale per l’uomo: Dio da cui tutto deriva, rimarrebbe nella vaghezza e non determinerebbe la vita se non fosse Egli stesso entrato nella vita come Fattore di essa, un Fattore determinante che le dà significato, densità, valore.
Assistiamo alla resistenza di Mosè di fronte al compito per cui è stato scelto, attraverso l’incalzare delle sue obiezioni e le perentorie risposte da parte del Signore.
Mosè si rifiuterà e Dio si irriterà.
Gli promette l’aiuto di Aronne e la Sua continua Presenza finché l’uomo, vinto, accetta di essere uomo, cioè Suo, di Dio, cioè efficace e vero secondo la misura del disegno di Dio.
Invece per noi, nella pratica, nel corso della nostra esistenza, un’immagine d’uomo costituito dalla Presenza di un Altro, dalla compagnia di un altro, dalla signoria di un Altro è come una fiaba.
Eppure una madre che prende il bambino per mano non è una fiaba, è il veicolo della vita.
Dobbiamo almeno essere così sinceri da metterci sempre di fronte a questa alternativa: la Presenza e la Compagnia di Dio o è una fiaba o è la verità della vita, la verità dell'uomo.
Il Signore compagnia identificante per la vita di un popolo (28)
Si tratta della storia del popolo di Dio: Dio si è rivelato dentro quella storia, come
“compagnia” che determina anche il senso del cammino.
Lì è stato veramente il Signore della vita, della vita in quanto realtà che si muove dentro uno scopo, e così è storia .
(Deut. 6.15): «Perché il Signore tuo Dio sta in mezzo a te».
(Deut. 6.15)
Si può dire è una necessità per l’uomo che voglia vivere il nesso organico che lo lega alla sua origine e al suo Destino.
L’uomo vorrebbe contemplare la gloria di Dio come un istante fuori dal tempo,
ma Dio ribadisce la sua inaccessibilità e nello stesso tempo (manifesta) la Sua volontà di rapporto con la sua creatura, un rapporto la cui dinamica scaturisce da Lui stesso che interviene.
La scelta tra questo Dio geloso, che sta in mezzo al popolo, e “altro”, che potrebbe attrarre l’uomo, è una scelta radicale: tra la vita e la morte.
L’uomo ha due vie davanti a sé: con una si allontanerebbe dalla sua vera natura fino a morirne; con la seconda seguirebbe un Altro da cui la sua vera natura scaturisce e si assicura.
«Scegli la vita, così vivrai tu e la tua discendenza, […. ] poiché egli è la tua vita e la lunghezza dei tuoi giorni da passare sul suolo che Jahve giurò ai tuoi padri, ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe»
Dt 30, 11-20
Il metodo della rivelazione (30)
Che Dio si manifesti come il Signore della storia intervenendo nella storia, vuol dire che deve usare un particolare, perché la storia è fatta di particolari, e vuol dire che dio sceglie quel particolare..
Proprio questo particolare scelto, questo particolare con cui addirittura egli si identifica in un gesto d’amore, è eletto a dimostrare a tutti cosa è Dio, il Signore dell’uomo.
Dio non è per noi come una misteriosità che ci circonda nebulosamente da lontano, che interviene dall’esterno come clausola soffocante, come sbarre di leggi, prigione in cui essere ingabbiati, ma emerge dal di dentro, sorgente, compagnia profonda senza della quale non potremmo fare nulla.
Emerge da di dentro della nostra esistenza, perché ci costituisce e bisogna portarlo dentro le cose di cui la vita è fatta, perché altrimenti non sarebbe vita.
In questo modo siamo chiamati a sperimentare quale sia il senso dell’umano che la modalità del Suo svelarsi, la Sua presenza dentro l’esistenza storica ricorda e produce.

RESISTENZA ALLA VERITA’ DI SE’
Illusione di autonomia (33)
L’uomo fin dall’inizio tenta di snaturare la sua immagine di creatura fatta “nella somiglianza” di Dio, tende ad impostare la vita sulla sua misura.
E’ il tentativo di infinitizzazione dell’istante che pretende per sé stesso un valore eterno, mentre è l’inverso:
solo l’infinito può dare un valore eterno all’istante.
(Così) la reattività dell’istante diventa mentalità comune, è teorizzata, difesa, diventa insomma una menzogna generale. (leggere Ger. 2,2-5)
[…] È lotta fra sé e la misteriosa misura: è come se l’uomo dovesse camminare totalmente affidato a qualcosa che non corrisponde a nessuna misura umana, e trovasse gioia dopo che si è abbandonato; ma normalmente è fatica, resistenza e ribellione.
Dimenticanza (34)
È chiaro che la posizione dell'uomo è ribellione per poter affermare la sua reattività, la sua istintività.
Infatti l’uomo è quel livello della natura che cerca il significato, altrimenti non vive, si uccide: il male della vita, l’assenza di senso uccide.
Allora l’uomo cerca il significato sia con una gonfiatura giustificatrice, come nella messa in scena dell’ideologia, sia nel “lasciarsi andare” al piacere e alla soddisfazione.
Ma è tutto ciò è letteralmente “NULLA”…
Dov’è il Signore che ci ha tratti dal nulla, non per farci ridiventare nulla, ma per farci vivere?
Una tale dimenticanza definisce il vuoto dell’umanità. (leggere Ez, 16, 1-15).
Corruzione (36)
E da questo non possono che nascere abuso e irrazionalità.
È la scomparsa del buon senso e dell’intelligenza umana, è una scomparsa dell’essere umano. (leggere Ger. 2,27).
Ma nonostante questo la pretesa verso Dio viene mantenuta.
Alienazione (37)
In questa posizione l’uomo si distrugge, si consuma.
Ciò in cui aveva riposto fiducia lo divorerà.
Il tempo diventa nemico dell’uomo, perché quanto più il tempo avanza, tanto più brucia: infatti ogni cosa dimostra la sua irrealtà, la sua vanità.
O noi aderiamo secondo tutto l’essere del Dio vivo dentro la storia, come dentro una storia Egli stesso ci si è svelato e ci ha svelato a noi stessi, o siamo strumento altrui, strumento di chi è temporaneamente più forte.
Perché il tempo ci rende vaghi e sempre più fragili e sempre più investiti e invasi da una mentalità dominante.
Avere la percezione di questa resistenza alla verità di noi stessi come uomini, avere perciò il senso del peccato è la cosa pedagogicamente più importante della vita perché ci spalanca al Dio vero.
Il peccato è comportarsi come i signori della propria vita,
e riconoscerlo è avvicinarsi al fatto che la misura, il criterio, la signoria della vita è il mistero di Dio.
Attraverso l’insofferenza dell’uomo la misericordia di Dio (38)
Tutto nell’uomo è legato maledettamente alla sua reazione, e quella Presenza la contraddice, dentro la carne del proprio esistere e muoversi nel tempo e nello spazio.
Il contagio irresistibile del peccato d’Adamo, questo uomo che vive nella vita seguendo se stesso e ciò che vuole (mentre è fatto di Dio e il suo significato è Dio), si palesa tutto nell’avvenimento storico di Israele, avvenimento storico in cui Dio è coinvolto.
Senza l’elezione, senza Dio che diventa storia non si rivelerebbe che cos’è veramente l’uomo.
(L’uomo) così fatto per la vita deve morire!.
Dio nella storia rivela l’uomo nella sua divisione profonda fra quello che è – sete d’infinito – e la sua esistenza che cammina in contraddizione, perché
la sua norma non è il mistero, ma la sua vanità.
Il vertice del dirsi Dio ha questa suprema parola: misericordia, come se il Dio dicesse: «Nonostante tu sia così, ti amo; tu ti ribelli a me, ma io ti amo».
Misericordia e cambiamento (41)
Percepire la misericordia di Dio significa anche percepire la realtà del castigo.
E questa non è una contraddizione.
La parola castigo infatti è un nostro modo di dire che evoca la presenza di qualcuno che infligge una punizione.
Esso è una legge strutturale della realtà, nel senso che se l’uomo usa le persone, le cose e soprattutto se stesso non secondo la loro natura, il deterioramento della sua vita è inevitabile.
Ma nonostante tutto il peccato non ci definisce.
E allora nella Misericordia, nell’Essere come pietà, l’uomo come si colloca? In che modo può stare, con tutto il suo peccato?
Se l’uomo riconosce la misericordia, si accetta e si affida per essere cambiato da un Altro, all’Altro misericordioso.
Questo è il dolore di sè, che è vero dolore, ma carico di letizia.
L’uomo è lieto perché Dio vive.
E allora eccolo il miracolo della misericordia:
il desiderio di cambiare: questo definisce il presente nuovo dell’uomo peccatore.
Gente, quindi, dobbiamo essere che sta di fronte a Lui a mendicare di cambiare, dove questa domanda e decisione sono tutta l’espressione di noi ora.
L’uomo è fragile e cade sempre, la domanda diventa allora la struttura espressiva fondamentale del rapporto con Dio: la preghiera.
L’uomo incomincia la sua verità nel riconoscimento della sua miseria: allora è mendicante e la sua ricchezza è nella domanda e nella dipendenza.

L’IMMAGINE COMPIUTA
Imitare Dio (45)
Se siamo ad immagine Sua, il desiderio e la domanda sono l’inizio dell’imitare Lui, della tensione cioè a far diventare la nostra realtà simile alla Sua, a farci coinvolgere in quella struttura e in quella dinamica che è Lui.
La morale biblica non nasce propriamente da precetti, è una morale esistenziale, non filosofica, dedotta cioè dalla natura di una persona.
I precetti che Dio dà da seguire sono manifestazioni della Sua natura.
Il Dio biblico è un modello da imitare, ed è un modello storico, rivelatosi nella storia.
E di questo Dio che ha voluto manifestarsi nella storia di un popolo che cosa imitare?
La Bibbia descrive più volte la bontà e la pietà del Dio d’Israele e come questo sia unico nel panorama delle divinità adorate dagli altri popoli.
Così come ne descrive la giustizia [leggere i salmi (Am 2,6-12)(Os 11,14)(Os 11,7-8)(Mi 7,18)(Mi 6,8)].
Ecco la sintesi di tutti i precetti: vivere la pietà come tensione a riverberare il volto di Dio, eccheggiarne le fattezze.
Il culmine della giustizia, cioè l’imitazione di Dio, è la misericordia.
Pure la misericordia si può imparare, ed è l'unica forma possibile di imitazione di Dio.
L’imitazione propria di Dio non può essere nella sua capacità creatrice, nel dare cioè consistenza alle cose, ma nel comportamento di Dio con la sua creatura, nel suo comportamento esistenziale.
Seguire Cristo (48)
Per 12 ebrei vissuti in Palestina al tempo dell’impero romano, un Uomo tra di loro viveva il comportamento di Dio.
Dio ha fatto intravvedere il suo volto attraverso una storia;
ma il culmine, la totalità, la vera rivelazione di sé all’uomo l’ha fatta diventando uomo, cioè entrando come persona nella storia: Gesù Cristo.
Il significato di questo Figlio, di questo Verbo diventato carne è di svelare compiutamente l’amore di Dio.
Cristo è il nostro destino fatto presenza e compagnia,
il Verbo fatto carne, è il modo definitivo del Dio insieme a noi, è il modo definitivo dell’Alleanza che Egli aveva cominciato con il popolo.
Incontri paradigmatici (49)
(Leggere i vari episodi di incontri con peccatori) Passando dall’uno all’altro di quegli incontri, e di altri che si potrebbero rievocare, emerge dalla persona di Cristo come un «altro» mondo, che però è «questo» mondo, un altro modo di vedere le cose rispetto alle leggi in nuso, alle convenzioni, emerge un’immagine d’uomo che avvince, che è rimasta nei secoli anche per chi non ha fede perché è l’immagine vera dell’uomo: Dio, cioè la misericordia.
E infatti per la prima volta nella storia del mondo ciò che Dio è si definisce: amore è Dio, l’amore è la natura stessa di Dio, «Colui che non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore!».
Dio è il Dio dell’agape fraterna e della pace: e la parola amore tradotta per uomini peccatori che devono vivere accanto ad altri uomini peccatori, si traduce in misericordia, diventa esistenziale solo nel perdono e nella compassione.
«Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene. Se invece Cristo è in voi, il corpo è morto a causa del peccato, ma lo Spirito vive in grazia della giustizia. Se lo Spirito di Colui che resuscitò Gesù dai morti abita in voi, Colui che resuscitò dai morti Cristo Gesù renderà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi»
Rm 8,9-11
Caratteristica dell’amore rivelato (50)
Le caratteristiche dell’amore rivelatosi in Cristo possono essere riassunte in tre:
La prima è l’agape della Croce.
La prova storica che Cristo rivela l’amore, come il volto del Padre, è la morte in croce, non mortificazione ma amore “….mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rom. 5, 6-8).
«Da questo abbiamo conosciuto l’Amore: egli ha dato la sua vita per noi! Noi pure dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli».
1 Gv 3,16
La seconda consiste nel fatto che questo amore è per tutti.
Quest’orizzonte d’amore sembra anzi, come abbiamo visto, spalancato per i lontani, i diseredati fisicamente e moralmente. (Il samaritano Lc 10,25-37 — il figliol prodigo Lc15, 11-32).
E l’imitazione di Dio rivelato in Cristo spezza i quadri umani dell’amore.
(52) Un criterio la cui misura non è umana, un criterio che spezza le pieghe abituali del sentimento e del calcolo, una dimensione non nostra alla quale siamo chiamati a partecipare perché in fondo è l’unica veramente nostra, adatta a noi. (Mt 20, 1-16)
Ancora più concreta ed inequivocabile è la definizione di questo criterio nella 3a parabola, quella degli operai dell’11a ora: Matteo a raccontarcela è quasi violento nel metterci di fronte all’esistenza di un criterio diverso dal nostro.
(53) Questa rottura dei quadri umani dell’amore, questo allargamento di orizzonte che comprende tutti, e in particolare i più diseredati, è richiesto perché uno è il precetto di Gesù:
«..siate figli del Padre Vostro che è nei cieli, che fa sorgere il suo sole sopra i cattivi e sopra i buoni e fa piovere sui giusti e gli ingiusti… Perché se voi amate quelli che vi amano, quale premio meritate? Non fanno altrettanto anche i pubblicani?. E se salutate solo i vostri fratelli, che fate di speciale? Non fanno altrettanto i pagani? Siate dunque perfetti, come perfetto è il Padre vostro celeste» (Mt 5,45-48).
Mt 5,
«Siate dunque misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro»
Lc 6,27-36
(54) La terza caratteristica da sottolineare è che questo amore, come imperativo religioso è però amore con tutte le sue componenti umane: simpatia, tenerezza, generosità, servizio, comunicazione, con quella vibrazione umana che rende Gesù vicino a tutti e gli conquista il loro cuore. (Giov. 21,1-19 la pesca miracolosa),
Immaginiamo su quella lingua di spiaggia, in quell’ultima ombra che stava diventando sempre più chiara, quel gruppetto di uomini attoniti, di fronte a un Uomo risorto, così vivo, così uomo, così tempestivo e presente nella loro realtà concreta.
La legge dell’uomo nuovo (55)
Appare quindi il carattere di Cristo verso di noi: egli ci ama e ci chiama “amici”.
Ecco allora la grande conseguenza di questo rapporto che il “Dio con noi“ ha voluto stabilire con gli uomini: imitarlo, cioè rivivere il suo amore agli uomini.
(56) Questa imitazione di Dio, questa immedesimazione con Cristo, questo conseguente vicendevole amore non consistono in sentimenti che si coltivano nel fondo del cuore, ma in azione concreta.
(57) È un amore profondo alle anime che genera il senso del mutuo perdono, la sollecitudine per i poveri, la carità effettiva per il bisogno qualsiasi ben sapendo che i più poveri sono coloro in cui questo bisogno è stabile, ma che il bisogno emerge in molte forme, tempi in ogni vita umana.
(59) (L’inno alla carità Cor. 13, 1-7) L’ardita descrizione della carità traccia un ritratto d’uomo sconcertante: se la si segue passo passo ogni criterio di valore umano, e persino religioso, viene sconvolto per essere incardinato in una gerarchia dove tutto si annulla se non è rispettata la priorità ultima: ciò che Dio ci ha rivelato di sé stesso in Gesù Cristo, amore e misericordia, è legge perfetta, unica, che compie e dà senso ad ogni altra legge.
Conclusione (59)
Esiste ormai perciò nella persona di Cristo il soggetto di una profonda rivoluzione: l’uomo nuovo, l’uomo diverso, perché uomo vero.
Egli infatti è il primo uomo con la coscienza adeguata e perfetta che tutto il suo contenuto d’uomo è la Presenza del Padre.
Meditando alcuni fra i primi capitoli del Vangelo di San Giovanni (come il quinto, sesto, settimo e ottavo) si rinviene nelle parole del Cristo un pensiero dominante:
Lui fa quello che il Padre vuole, Lui vede il Padre, Lui non fa niente altro di quello che vede fare al Padre.
(60) Così è stata salvata la nostra vita: Dio ha mandato suo Figlio perché ci mostrasse che cos’è l’uomo, e perché in questo modo l’uomo fosse salvato.
Come aveva fatto con Israele, si è coinvolto con la nostra vita, ed è impossibile concepire un coinvolgimento maggiore di questo dell’Alleanza definitiva: è diventato cibo e bevanda.

APPARTENERE: VERITA’ DI SE’
Un vibrazione psicologica (61)
È caratteristica di questo tipo di soggetto nuovo che abbiamo evocato una particolare vibrazione psicologica che chiamerei
il sentimento dell’appartenenza a Cristo, un’appartenenza che si gioca nella sua presenza storica, nel suo Corpo che è la Chiesa.
Nessuno dunque si glori negli uomini, perché tutto appartiene a voi, Paolo, Apollo e Pietro, e il mondo e la vita, e la morte, e le cose presenti e future, tutto è vostro; ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio
1 Cor 3,21-23
Tale sentimento, o vibrazione psicologica, è l’espressione più immediata di una verità ontologica dell’uomo: l’uomo creato, fatto e salvato.
La coscienza di appartenere (62)
Dio, il creatore, si è reso visibile in Cristo e in questo modo ha reso visibile l’uomo a sé stesso, ha penetrato la sua esistenza proiettandola verso il suo destino.
E proprio questo è il difficile:
non tanto essere perfetti, cioè coerenti, ma essere sé stessi.
La vita e il tempo della vita ci sono dati per diventare più veri, sempre più noi stessi.
(63) Diventare sempre più veri significa cambiare la nostra falsa coscienza di essere padroni di noi stessi e arrivare alla consapevolezza di appartenere totalmente a un Altro.
Tale cambiamento non è, come potrebbe apparire alla mentalità odierna, mortificante per l’uomo, poichè egli è fatto per questo fin dall’origine.
«Se io accetto la mia dipendenza, è perché essa costituisce per me un mezzo per significare la mia domanda»
Roland Barthes in “Frammenti di un discorso amoroso“
La direzione di questo cambiamento – conversione – è verso la gioia.
Un uomo è forte, una personalità è attiva, un gruppo, un popolo sono creativi solo se sanno a chi appartengono.
(64) E il peccato si vive come dolore, non scoraggiamento o disperazione, quel dolore che insieme alla gioia è il segno grande dell’amore.
Nascere di nuovo (64)
È talmente “diverso” l’uomo che inizia a concepire il suo essere come appartenenza a un Altro, che Gesù ha detto a Nicodemo : « In verità in verità ti dico: nessuno può vedere il Regno di Dio se non nasce di nuovo».
« ….chi fa il male, odia la luce e non si appressa alla luce. Chi invece opera la verità, si avvicina alla luce, affinché appaia che le opere sue sono fatte secondo Dio»
Gv 3, 3-21
Quello che viene evocato in è realmente un fatto nuovo, un uomo nuovo.
(66) Cristo compie il disegno storico della rivelazione e chiedendoci di “nascere di nuovo” ci chiede di lasciarci ri-creare dal Padre attraverso di Lui che è presente per aiutarci in questo cammino di definitivo cambiamento,
Tutti noi apparteniamo al nostro Signore.
I rapporti che così si stabiliscono sono più profondi di quelli che nascono dalla carne, dal piacere, dall’interesse, dalla convenienza.
E il valore di ogni atto si stabilisce valutando se sia o no in funzione del disegno storico che Cristo incarna.
Allora anche le cose più minute della vita quotidiana acquistano dignità, hanno un loro orizzonte più vasto.
Il banale, infatti non è ciò che è piccolo o abitudinario, ma ciò che nega l’infinito, la dimenticanza di quel Dio di cui siamo.
Le condizioni del passaggio (67)
C’è però una condizione psicologico esistenziale di questo passaggio, di questa Pasqua che è il cammino a convertire la propria coscienza all’appartenere a Dio.
Passare dall’io come possesso di sé, come voglia e padronanza di se stessi al sentimento di appartenenza
è sacrificio, sembra di perdersi.
(68) Che il consistere della nostra vita sia riconosciuto appartenenza, significa quindi essere pronti a compiere un passaggio che è sacrificio.
(69) Riconoscere per esempio in un rapporto l’appartenenza a Cristo significa lasciare ciò che di questo rapporto è progetto nostro, aspettativa e pretesa nostra, abbandonare l’appartenenza di noi a noi stessi per quella di Cristo.
La promessa e la regola è che chi fa così ritrova fin d’ora cento volte tanto quello che ha lasciato.
Questa è l’implicazione umana della nostra speranza.
La speranza di un miracolo possibile (69)
Se apriamo la porta egli penetra e cambia, rivela la natura che ospita la presenza di Colui di cui siamo fatti.
Per questo chi vive tale presenza vive un’altra nascita, la nostra carne è fatta di Dio, è fatta per vedere Dio.
L’obiezione alla nostra carnalità, il peso insopportabile delle cose quotidiane, tutto questo deve essere continuamente trasfigurato e investito, sfidato dalla speranza cristiana.
Il primo passo è proprio la speranza della conversione fra la coscienza di appartenere a Cristo e le vicende di ogni giorno, perché tale speranza coincide con la possibilità di poter diventare veri uomini.
Cristo, ciò a cui apparteniamo, la nostra salvezza, è dentro i limiti delle cose quotidiane.
Cristo si ama nel limite e il limite per eccellenza è l’uomo che ci è accanto, chiunque sia.
Così inizia un mondo nuovo.
Si tratti di moglie, marito, figlio, collega o estraneo, la tenerezza con cui noi accostiamo l’uomo che ci è vicino.
Il genio cattolico è qui: il Signore cui apparteniamo rende la Sua presenza dentro il segno di ogni cosa, per cui tutto può rimanere meschino e risibile, ma il valore rivelatore e pedagogico di ogni cosa è più grande della breve immagine tutto ridurrebbe lo sguardo di un soggetto attaccato a sé stesso.

VAGLIATE TUTTO: IL GIUDIZIO NUOVO
La dignità culturale della compagnia di Cristo (71)
Appartiene di diritto alla compagnia di Cristo nella nostra vita questo aspetto di ricapitolare nella sua persona ogni significato di ogni storia, una dignità culturale unica perciò della sua presenza in ogni vita.
È come se Cristo dicesse:” Tutto quello che è accaduto è per me, la storia è per me. Io sono il senso della storia”.
La Sua compagnia e la sua Presenza decidono perciò della percezione che uno ha di sé e della realtà.
Incontrare la ragione del tutto in ogni particolare (72)
Sorprendiamo innanzitutto nel suo punto genetico questa che abbiamo chiamato dignità culturale della compagnia di Cristo.
È la luce che rischiara ogni uomo che viene in questo mondo.
Perché la realtà possa essere manipolata e quindi usata in modo più perfetto, più intenso, più adeguato all’uomo.
Tutte insieme le cose gridano verità.
E un uomo che si concepisce con una dignità culturale è portato a cercare la verità ultima delle cose.
Che lontananza paurosa, e quindi che solitudine arida noi sperimentiamo paragonando certi grandi spiriti con la mentalità che ci circonda, anche con quella che ha influenzato l’educazione cristiana di cui siamo stati oggetto.
Per questo la nostra fede è fragile e alla radice ha uno scetticismo che non riesce mai a far prevedere nulla di buono, nulla cioè in nome del quale si possa costruire qualcosa.
Per dividere, separare, delimitare e ridurre, come siamo arrivati a fare noi, cristiani della nostra epoca, deve proprio essere stato necessario un impegno costante di distrazione!
Se questa presenza è la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, se è il Verbo fatto carne, questa presenza allora decide la percezione che io ho di me stesso e della realtà tutta.
Allora la fede, il riconoscere la presenza di Cristo e il rinnovarla continuamente come contenuto del significato di sé, è incontrare la ragione del “tutto” dentro ogni esperienza umana.
E questo valore del tutto rende il tutto alla portata di tutti.
«Per questo ritenni di non sapere altro tra voi se non Cristo e Cristo crocifisso»
(1 Cor 2,2)
«Per questo stimai sterco tutto il resto per ottenere la conoscenza di Cristo»
(Fil 3,7)
Il messaggio cristiano infatti non si è basato su discorsi persuasivi di sapienza umana, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, cioè sull’avvenimento di Cristo che resta nella storia.
E il messaggio ci dice:
il significato della vita e della storia ci è stato comunicato da un avvenimento.
Dunque è legittimo dire con san Paolo: non conosco altro che questo avvenimento.
Cultura: introduzione alla realtà totale (75)
L’uomo spirituale è proprio colui che sta in compagnia di Cristo e può giudicare ogni cosa perché partecipa all’energia dello Spirito.
Questa è la cultura: l’introduzione della persona nella totalità del reale come senso nel quale ogni particolare acquista il suo valore.
Tale introduzione alla totalità del reale avviene continuamente tramite un giudizio, che l’affettività rende operativo, poiché l’affettività fa aderire alle cose, per cui esse vengono come plasmate alla luce del significato totale.
La cultura è dunque questa introduzione alla totalità del reale.
Ci troviamo di fronte anche alla definizione di educazione.
Infatti il fenomeno o il valore culturale altro non è che il fenomeno educato, svolto nella sua capacità e nella sua potenza.
In questo senso cultura ed educazione sono la stessa cosa.
Siamo chiamati a guardare tutte le cose con una Presenza dentro lo sguardo.
Perché avendo dentro l’occhio questa Presenza non mi si riduce il campo visivo che ha come oggetto l’altro, ma è un diverso ed esauriente modo di vedere “tutto” l’altro.
Vanificare la presenza di Dio è tentazione perenne dell'uomo proprio là dove, aderendo, scoprirebbe di essere salvato.
Ma il trasalimento o la paura derivano proprio dall’intuizione di essere chiamati a trasformarsi di fronte all’evidenza di una misura non propria.
E la salvezza è che l’uomo sia amato al punto che anche la sua miseria più grande è utilizzata per il significato del tutto.
La disciplina dell’avvenimento culturale (77)
In che cosa consiste questa disciplina?
“Seguire”(come il bambino con il papà) nel suo senso potente, da applicarsi all’uomo maturo, è ricordarsi continuamente del significato della vita, saper ricordare una Presenza, in quanto investe come forma del pensare e dell’affettività tutti i rapporti in cui l’uomo si esprime e si realizza.
Tanto più questa disciplina viene vissuta tanto più l’uomo si ritrova tagliata addosso una nuova mentalità, una mentalità capace di giocarsi nell’istante, secondo le varie connotazioni di tempo, spazio e condizionamenti.
La nostra posizione di fronte al mondo in tutte le sue espressioni, dentro il cammino anelante della totalità, attraversando passo per passo le situazioni concrete, i particolari in cui l’esistenza si svolge, è di vagliare ogni cosa in presenza di Cristo.
Il luogo dell’avvenimento culturale (79)
Ma il rapporto con Cristo è alla mercé della nostra immaginazione?
La risposta è che il Dio dei miracoli, Colui che ha impresso fin dall’origine la sua immagine nella sua creatura, Colui che ha compiuto la rivelazione di questa immagine in Cristo ci raggiunge anche oggi continuamente, ci investe, si rivela a noi di continuo dentro la storia che ha fatto e va facendo per noi, ci educa sempre.
Perché il genio del cattolicesimo è il Dio che si fa compagnia all’uomo in carne e ossa, dentro le contingenze del tempo e dello spazio.
“Dentro” nel senso più potente della parola, più letterale e metafisico, come ci insegna l’espressione del suo segno nel mondo: la Chiesa.
Ciò che ha scandalizzato i farisei, che scandalizza gli intellettuali di tutti i tempi: il Dio incarnato, identificato come presenza nel tempo e nello spazio, e NON con categorie metafisiche.
Il mistero di Cristo, dunque, ci raggiunge attraverso una trama di fatti concreti con cui ci colpisce, ci richiama, ci riprende, ci costruisce.
Cristo sarebbe lontano e perciò sarebbe vittima della nostra interpretazione se non vivesse nella Chiesa vivente; sarebbe totalmente soggettivato, in ultima analisi, come contenuto e come metodo, e sarebbe così per l’uomo inconoscibile se non ci si offrisse nel mistero del suo corpo presente nella Chiesa.
La Chiesa è l’umanità in quanto resa vera, unificata dalla presenza di Cristo attraverso quella energia ri-creativa che è il mistero dello Spirito della Pentecoste.
Così subito dopo l’avvenimento Pentecoste, fin dai primi tempi della storia cristiana, gli uomini che hanno desiderato vivere veramente l’annuncio che era stato loro fatto e ciò che avevano incontrato hanno osservato tutti una modalità molto semplice, banale.
Per realizzare questa loro volontà di serietà di fronte all’accaduto si sono messi insieme.
L’associarsi è da sempre il metodo con cui gli uomini hanno cercato di camminare verso il loro destino.
Così all’interno del fatto cristiano è attraverso questo unirsi, comunque in qualsiasi modo, ma sempre con la tensione al destino, che il mistero tutto di Cristo e della Chiesa toccava e tocca gli occhi, la bocca, le mani e il corpo, quindi il cuore, l’anima, l’intelligenza e la libertà di ognuno.
La fede come lavoro culturale ha bisogno di un luogo dove il giudizio della fede sulle cose e sugli avvenimenti sia un atteggiamento già in atto e sia possibile trasmetterlo.
E l’atteggiamento in atto è questo: Cristo è il giudizio e Cristo è qui, è la nostra compagnia.
Ma il lavoro non consiste nell’assorbire lo shock iniziale di una tale affermazione;
il lavoro culturale consiste nell’assumerlo come orientamento della propria persona,
nel guardarsi attorno e rivedere tutto alla luce immanente di ciò che ci viene trasmesso.

ASCESI: IL DRAMMA DELL’AFFETTIVITA’
Nell’orizzonte della misericordia di Dio (83)
Dio che si è rivelato nella storia come misericordia ha voluto che questa misericordia diventasse carne in Cristo e che questa carne nella storia si dilatasse in un corpo misterioso che è la Chiesa.
La misericordia di Dio è l’infinito orizzonte che dà forma agli spazi della nostra vita, un orizzonte nel quale può svolgersi l’appassionante lavoro del giudizio costantemente teso a cogliere i cenni di Dio nel mondo e nella nostra vita attraverso la compagnia di Cristo, un orizzonte nel quale si svolge anche un grandioso dramma.
Ciò che dà fisionomia alla vita, è la coscienza che essa appartiene a Qualcosa che c’è già.
E quel Qualcosa che già c’è è la Presenza di Cristo ri-creatore dell’uomo, che permane nella storia, dentro quel segno che ne è il corpo, la Chiesa, e la drammaticità che si realizza.
Non ci è richiesto di vivere dentro questo qualcosa che già c’è solo con la nostra intelligenza, ma anche con tutta la nostra affettività.
L'affettività è l'animo umano provocato ad aderire a qualcosa.
Il dramma è che l’uomo è chiamato ad aderire con tutta l’intelligenza e l’affettività di cui è capace al progetto di salvezza che Cristo è per il mondo; l’uomo è chiamato a questo per realizzare la sua umanità.
Cristo con la sua bontà ricreatrice utilizza perfino i detriti dei nostri sogni.
Se uno è cosciente di questo, il questo il dramma è in pieno svolgimento, poiché egli sa che si tratta di esistere, coinvolgendo tutti i particolari dell’esistenza a confronto con l’eterno, sa che si tratta di respirare, pensare, sentire come confronto con il destino, quel destino divenuto ormai presente, Cristo.
La drammaticità scatta laddove nell'uomo c'è questa spinta inesorabile, questa direzione.
Se questa direzione inesorabile manca alla nostra vita, la sete di felicità, l’inquietudine su di noi e sul nostro compimento diventano aridità, preda di delusioni e di scetticismo, e questo progressivo deserto dell’anima non vive alcun dramma e il sipario cala su un volontarismo e su un calcolo, su una solitudine: infatti il dramma implica la presenza di altro da sé.
Una drammaticità che evita la censura (85)
L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo, non soltanto secondo immediati, parziali criteri e misure del proprio essere, deve essere disposto ad affrontare il suo volto con tutta la sua inquietudine, incertezza, debolezza ed angustia.
L'uomo tende a censurare le noie, le fatiche, le debolezze, e le miserie.
Questa censura renderà sempre più arido e filiforme l’individuo.
Pietro avrebbe potuto cercare di dimenticare quell’increscioso episodio, sopire i suoi rimorsi in una energica attività……«e, uscito fuori, pianse amaramente».
La memoria delle parole di Gesù, suscitata dal suo sguardo, gli impedisce di dimenticare e comincia a cambiarlo, gli impedisce di dimenticare e comincia a cambiarlo, già lo cambia, già innesta il dinamismo della sua liberazione d’uomo.
Perché non ci si libera dalle proprie miserie censurandole, e il cristianesimo che non prescinde da una realistica presa di coscienza dell’umano, richiede che non venga mai operata alcuna censura, libera l’uomo attraverso il perdono, richiede caso mai il sacrificio.
Ma il sacrificio non è mai censura.
Nei sacrifici antichi si prendeva una vittima e la si offriva, si diceva alla divinità: «Te la dono».
L’offerta: gesto della umana liberazione (87)
Se l’accettazione del dramma della nostra vita, della presenza di quella spinta inesorabile al confronto con il destino, impedisce la consumazione sterile e solitaria della nostra energia,
il gesto dell'offerta compie la liberazione dell'uomo innestandolo sulla pianta prolifica della redenzione.
Un gesto sintetico di una moralità d'amore e di libertà, che vi viene espressa nella forma più perfetta.
Nella banalità apparente e nell’impotenza dell’istante
l’uomo afferma con una tale offerta in piena ragionevolezza la verità totale della sua vita.
I fattori dell’offerta (88)
1° – “Offrire” significa riconoscere che Cristo è la “substantia” di tutta la vita.
«Ti offro il disagio e l’incertezza dell’impiccio in cui mi trovo», questo innanzitutto vuol dire: «Riconosco che la consistenza e la sostanza, la stoffa dell’istante che sto vivendo sei Tu».
«Riconosco che ciò che dà verità allo studio, al lavoro, al problema nel quale mi dibatto è la tua Presenza».
E’ questo il vero riconoscimento di Cristo perché non è un Cristo astratto, ma il Signore che è dentro il tempo e non se ne va più.
2° aspetto fondamentale dello stesso gesto di offerta
è il desiderio che Egli si manifesti.
Infatti il desiderio che si manifesti è il desiderio della gloria di Dio nel suo assetto compiuto, nel suo realizzarsi totale, della fine del mondo.
La domanda: decisione del presente (89)
Nel consegnare a Dio che solo è misericordioso, che solo ci accetta come siamo, la realtà della nostra miseria, il nostro essere è pieno di domanda.
L’uomo, lo abbiamo visto, incomincia la strada della sua verità non eludendo la propria miseria, ma offrendola allo sguardo rigeneratore del Cristo.
Nell’orizzonte della misericordia che sappiamo fattore di tutta la vita, domandare significa mettere a frutto con realismo responsabile e creativo la propria natura di uomini di fronte a quell’amore che si è fatto incontrare nel tempo, nel presente, dove chiama e guida le sue creature con mille insospettati richiami.
«Quello che mi piace dell’esperienza è che si tratta di una cosa così onesta. Potete fare un mucchio di svolte sbagliate; ma tenete gli occhi aperti e non vi sarà permesso di spingervi troppo lontano prima che appaia il cartello giusto. Potete aver ingannato voi stessi, ma l’esperienza non sta cercando di ingannarvi. L’universo risponde il vero quando lo interrogate onestamente»
C.S.Lewis “Sorpreso dalla gioia“
Un risultato nel tempo (90)
Il desiderio reale di cambiare vive in seno a quell’offerta e a quella domanda continuamente rinnovata nel dolore provocato dal giudizio sulla nostra miseria.
Il dolore di Pietro quando si sentì guardato da Gesù.
Un dolore legato ad una sicurezza nuova che può anche far piangere, ma è come l’alba della gioia.
Questo è il cuore della nuova personalità morale che prima di Cristo l’uomo non avrebbe potuto immaginare, il cuore della vera ascesi cristiana.
L’ascesi cristiana ….. è l’espressione drammatica di un desiderio reale di cambiamento dominato dalla certezza che il cambiamento avverrà, anzi che sta avvenendo nell’offerta di sé e nella domanda di misericordia.
Il risultato di questo dramma dell’affettività è un risultato nel tempo, come la pianta e il frutto da un seme.
Un cammino che si chiama pazienza
«Nella vostra pazienza possiederete la terra» dice Gesù
Veramente immorale dunque non è chi non sbaglia, ma chi non avendo la memoria e la passione per Cristo non tende ad altro che a sé.
La radice dell’immoralità è non camminare verso qualcosa, l’essere fermi in sé stessi, anche se si è potenzialmente le creature più nobili del mondo.
Un uomo che cammina (91)
La vita è una dinamica, è per sua natura muoversi e l’ascesi cristiana, il centro della personalità morale del cristiano, è movimento nella direzione adeguata dell’umano.
Lo stato d’animo di quest’uomo in cammino è la pace.
L’esperienza della misericordia è piena del sentimento di ciò che siamo veramente, troppe volte conniventi col male, e nello stesso tempo pieni di stupore per la diversità della giustizia di Dio che ci abbraccia: Cristo che cammina con noi.
E la forma specifica di questa pace è la gratitudine, senza la quale neppure la pace è duratura.
La gratitudine infatti dice che l’Altro è tutto e dà tutto per me, è espressione di dolore e certezza, dinamismo inesauribile dell’homo viator.
Quest’uomo che cammina ha la capacità di ricominciare sempre, senza teorizzare e giustificare il male, mai, ma senza smettere di rialzarsi, mai né deluso né stanco.
«Chiunque ha questa speranza, si purifica come Egli è puro»
(1 Gv 3,3)
La speranza è una certezza nel futuro per una cosa presente
Perciò è la presenza di Cristo, resa nota dalla memoria, che ci rende certi del futuro.
Questa è l’ascesi dell’uomo nuovo di cui si parla nel Nuovo Testamento.
E la formula più bella del miracolo morale che quest’uomo dovrebbe rappresentare è in san Paolo quando dice: «Sperando contro ogni speranza» (Rm 4,18).
E l’ascesi è proprio questo: che diventi in noi familiare, nonostante tutto, la domanda della presenza di Cristo in ogni situazione della vita: a Cristo, presenza che salva.
A noi tocca camminare senza smettere di domandare.
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