Alla ricerca del volto umano

Parte quarta: Preghiera


Indice linkato ai titoli e sottotitoli

  1. Preghiera: consapevolezza di una dipendenza
  2. Preghiera e spirito comunitario
  3. Preghiera: memoria del fatto di Cristo

palazzo dario di monet a venezia
Claude Monet – palazzo Dario a Venezia 1908 (ingrandisci)

(1) – PREGHIERA: CONSAPEVOLEZZA DI DIPENDENZA

Punto 1 (141)

Elevatio mentis in Deum

Sant’Agostino a proposito della preghiera

Prendere coscienza di Dio significa accorgersi della propria originale dipendenza, non semplice dipendenza nel passato, nell’atto che ci ha creati, ma

dipendenza totale di ogni istante, continua, in ogni gesto.

L’uomo ideale, un uomo che completamente realizza sé stesso dovrebbe possedere questa consapevolezza ininterrottamente: “bisogna pregare sempre” ha detto Gesù:

«Prega più che puoi», è LA formula della coscienza di fronte all’ideale; ‘ la formula della libertà per l’uomo in cammino.

Punto 2 (142)

La coscienza di tale dipendenza, come un fiotto da sorgente, si traduce in domanda.

Domanda di essere, ecco a che corrisponde come atto di vita la preghiera: domanda di «essere» veramente, di attuare il vero io.

«Venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà»: il suo Regno, la sua volontà è esattamente, per quanto mi riguarda, l’attuazione di quell’idea con cui Egli mi ha creato.

Ogni preghiera, se vogliamo usare un’altra parola, è domanda di santità: «Venga il tuo Regno».

Punto 3 (144)

La preghiera chiede il Regno, che s’avveri innanzitutto «nell’io» il suo Regno, che l’io «sia» quel che deve essere, quello che Lui vuole

«Padre, se è possibile, passi da me questo calice, però non la mia, ma la tua
Volontà sia fatta
»

Una preghiera che non avesse implicita od esplicita questa clausola, non sarebbe domanda, ma tentativo di imposizione, di ribellione.

Sarebbe l’assurda pretesa di costringere Dio nella nostra misura.

Punto 4 (143)

La preghiera si avvera nell’umiltà di alcune condizioni materiali, “tecniche”.

  • «Dare un pezzo di tempo a Dio» è già in sé stesso preghiera. Questo pezzo di tempo staccato, «deciso» per Lui, simbolo della nostra dipendenza da Lui, può costituire in sé stesso una forma di preghiera.
  • Riempire questo pezzo di tempo con:
    • Il puro pensiero  svolto in mentale discorso è genuina orazione (meditazione). In particolare lo sguardo cosciente, fisso nell’attrattiva di una verità su Dio, o sulla persona stessa di Dio o su un simbolo che lo richiami, è la più alta forma di preghiera personale ( contemplazione).
    • Il parlare con Dio è pura genialità personale e può dar voce a qualsiasi interesse che l’io sente.
    • Il gesto accompagna sempre la coscienza di un’idea o sentimento: l’uomo è uno. Così anche nella preghiera la traduzione della coscienza interiore nell’attività e comportamento fisico può essere segno di pienezza.
  • Ma l’uomo è debole e incoerente. Si può comprendere allora il valore delle formule di preghiera (parole fisse) o del rito (gesti fissi). Ognuno sa per esperienza il valore valore tonico e ristoratore di un “Pater noster” detto lentamente: il Padre Nostro è la formula in cui si è fissata l’esperienza religioso di Gesù stesso, e non si può passarle vicino senza provarne il calore.

Conclusione

Una coscienza di dipendenza, che rifiutasse di diventare domanda, di incarnarsi nel tempo e di agire in esso, non sarebbe più preghiera, rapporto con l’Essere, sarebbe un cedere al nulla, un alibi per ogni negligenza di impegno.



barca a vela di monet
Monet – barca a vela – dipinto nel 1885 (ingrandisci)

(2) – PREGHIERA E SPIRITO COMUNITARIO

Punto 1 (147)

Una condizione umana che la preghiera assume è l’espressione comunitaria.

E’ convinzione magari inconsapevole e confusa di molte anime devote, le quali guardano alla preghiera in comune quasi esclusivamente come un limite, cui occorra adattarsi con la maggior buona volontà possibile, come ad una mortificazione della propria personalità, mortificazione inevitabile alla esistenza terrestre, mortificazione salutare come tante altre, ma sostanzialmente mortificazione.

Questo è profondamente errato.

La preghiera in comune non solo non è un limite all’esperienza della persona, ma la realizza al massimo.


Punto 2 (147)

Per comprendere bene occorre sperimentare la differenza che passa tra la collettività e la comunità.

a) Collettività.

Deriva sempre da una situazione che la persona subisce.

Ciò che determina e tiene insieme la collettività non è tanto la persona, l’io di chi vi partecipa, quanto qualcosa cui l’io si deve adattare per riuscire a vivere e ad esprimersi almeno un pò; è un “calcolo” la cui codificazione sociale è la legge.

La collettività è retta dalla legge, e il suo ideale è la giustizia, cioè quella misura, quel calcolo di equilibrio che permetta la convivenza dei singoli.

La condizione inevitabile della collettività è che l’individuo poco o tanto si sente delimitato, coartato.

b) Comunità.

In modo veramente opposto, nasce dall’Azione dell’io, dalla espressione della libertà personale.

È l’insieme dei rapporti creati con gli altri esseri dalle attività della coscienza personale e dalla energia fattiva della volontà personale.

Quanto più io sono cosciente e dinamico, tanto più io creo comunità, perché raggiungo un numero sempre più vasto di esseri.

La comunità è il campo della mia libertà in azione; la comunità è il mio io che si afferma.

In senso vero si può dire che la comunità è il mio “io” più grande..

E se tiene presente che per esprimersi la persona deve comunicare, cioè donare, e che perciò l’agire della libertà è essenzialmente amore, allora si può capire come la comunità sia il luogo del mio amore.

L’ideale della comunità non è più l’equilibrio della giustizia, ma la comprensione e l’assimilazione dell’amore.


Punto 3 (148)

Esemplificazione della messa festiva di precetto.

a) Stile collettivo.

Io vi entro interiormente isolato fra le mura del mio solito individualismo ed egoismo, che mi fa considerare indifferenti e potenzialmente ostili tutti gli altri cui non mi leghi interesse o istinto affettivo, io sono solo fra estranei.

In un simile caso l’assemblea sarebbe come tale un obbligo, una legge: il suo avvenimento sarebbe sentito come coartazione dello spirito spontaneo, come un limite, un’angustia che la pazienza e la devozione riescono a tollerare.

b) Stile comunitario.

Se io entro in quella Chiesa, mi raccolgo, raccolgo le energie della mia coscienza, mi richiamo chi siano quelli (presenti in Chiesa) per me, ed esclamo spalancando il mio cuore a Dio: «Dio accetto questi, tutti questi, perchè sono tuoi, sono miei, sono me, sono parte di me, io ti prego con loro, per loro, ..Padre nostro..».

Quanto più è matura la mia personalità cristiana, tanto più profondo e semplice, ovvio è questo gesto di consapevolezza e di dono, di carità.

La mia preghiera è comunitaria, ed io esperimento come il gesto che mi esprime davanti a Dio mai è così grande come allora.

Che se quella gente fosse tutta distratta, e si comportasse in modo inetto, allora per accettarla sono obbligato ad una consapevolezza maggiore e ad una dedizione più forte, cioè il mio gesto diventa ancora più espressivo, la mia personalità si realizza di più.

Punto 4 (151)

Quanto si è detto della Messa festiva si rende quotidianamente applicabile alle azione della vita liturgica.

E quanto più tale spirito è compreso e vissuto, tanto più l’azione liturgica  o il canto o l’officiatura corale si plasmano in bellezza e calore – in armonia – anche nel loro risultato esteriore, nel loro volto materiale.

Cristo è l’ideale di questa dimensione comunitaria vissuta: perché ogni suo atto di preghiera abbracciava tutti gli uomini nel tempo e nello spazio.

Cristo inscrisse nel suo gesto anche gli uccisori; il perdono è l'indice dell'onnipotente libertà della carità comunitaria.


Dolceacqua dipinta da Monet
Monet – il castello e il ponte di Dolceacqua-1884 (ingrandisci)

(3) – PREGHIERA: MEMORIA DEL FATTO DI CRISTO (153)

Punto 1 (153)

La fede è il riconoscimento della presenza tra di noi di un Altro come significato di sé.

Questo implica un cambiamento della coscienza di se stessi, per cui il soggetto che la nostra persona è nelle sue azioni si afferma affermando un Altro, cioè «Ubbidendo» a un Altro.

Questo cambiamento nella coscienza di sé, nel concetto di sé, è la “metanoia” evangelica, la conversione.


Punto 2 (153)

Accogliere questo, «riconoscere» in senso forte, esistenzialmente, questo che mi fa vedere la fede, vivere insomma la fede pur vivendo nella carne,

è la carità, è il rapporto di amore con l'Essere.

Dalla carità, che ci fa riconoscere Cristo, si generano azioni in cui la carità è legge.


Punto 3 (154)

Ora, perché io viva quella nuova coscienza di me bisogna che avvenga il silenzio in me, di me.

Il silenzio di sé è diverso dal non parlare, perché la coscienza non può non avere un contenuto, e perciò i problema non è il non parlare con le labbra, ma il riconoscere un nuovo contenuto di sé.

Questo nuovo contenuto di coscienza è, letteralmente, la memoria di Lui, di Cristo.

La memoria di Lui, cioè dei suoi gesti (fate questo in memoria di me), questa è la formula del silenzio.

Il silenzio non è dunque non parlare, ma guardare in faccia qualcosa d’Altro, è guardare i faccia i gesti di Cristo.


Punto 4 (155)

«Fate questo in memoria di me»: che cosa mai indica la parola “questo“?

Tutta la Sua vita è in quel gesto, partecipa di quel gesto che è grido efficace, per la salvezza del mondo e per la gloria di Dio: l’uomo salvo, l’uomo vivo è la gloria di Dio.

Se la Sua vita si esprime compiutamente così, la nostra vita è vita se è  partecipazione a quel gesto.

Non abbiamo professione più alta, se non la partecipazione a quel grido: in termine liturgico è la vita come offerta. «Padre veramente santo e fonte di ogni santità, santifica questi doni».

Il pane e il vino sono il segno di tutta la nostra espressione di vita; perciò è su di noi che la preghiera è detta; il pane e il vino sono segno del fatto che noi, nella totalità della vita, diventiamo il Corpo e il Sangue di Cristo, il suo Corpo come nuova creazione.


Punto 5 (155)

La preghiera è il contenuto proprio della vita, ed essa è coscienza, memoria dei Fatti accaduti, dei gesti di Cristo e delle loro conseguenze, del loro arrivo dentro la nostra storia e la nostra vita.

La differenza tra la preghiera come espressione della religiosità naturale e la preghiera del cristiano è che la preghiera del cristiano ha come contenuto una storia.

Tutta la nostra vita si recupera in quella storia.


Pinto 6 (156)

Per questo, se non vogliamo diminuire il rendimento del nostro impegno con l’Essere e deviare il nostro cammino, e sentire vacillare i passi a sfocare il contenuto dell’attrattiva, dobbiamo cercare di rendere la nostra preghiera adeguata, formulandola sullo schema delle preghiere che ci hanno lasciato i primi e i più grandi fra noi: il Magnificat della Madonna, il Benedictus di Zaccaria e il Nunc dimittis di Simeone.

E’ la struttura di questa preghiera che deve diventare struttura della nostra.

La liturgia è l'educatrice a questo tipo di preghiera: la liturgia, infatti, è tutta fatta di "memoria".


Punto 7 (158)

Tutte le azioni sono preghiera

se traggono la loro direttiva, la loro struttura dalla realtà dei Suoi gesti, da quella Memoria, cioè dalla preghiera liturgica che è il grande paradigma.

Cristo stesso ha fissato la struttura dell’espressione suprema della nostra personalità, la forma suprema della preghiera come Memoria: il Sacramento, di cui il Battesimo è l’origine e l’Eucarestia il fine.


Punto 8 (158)

Se l’espressione suprema della preghiera, e quindi della nostra persona, è il sacramento, vivere la nostra vita è realizzare, sviluppare il Sacramento.

Questa è la formula della nostra saggezza: vivere qualsiasi rapporto come Sacramento.

Vivere il Sacramento è vivere nel concreto dei rapporti la salvezza che è già data, che già possediamo e alla quale ci offriamo.


Punto 9 (159)

Per questo il sentimento dominante della vita del cristiano è che tale presenza si manifesti.

Non si vuol bene agli uomini e alle cose, non si vuol bene a Cristo, se tutto quanto di noi non aspira al realizzarsi di quella «gloria».

Se tutte le nostre azioni non tendono a svilupparsi come struttura, come dinamica sul paradigma sacramentale, il sacramento, questa novità dentro l’esistenza, pegno dell’eterno, non attingerà la nostra esperienza.


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