Alla ricerca del volto umano

Parte sesta: Il senso del peccato


  1. Le radici del peccato e definizioni del peccato
  2. La dinamica del peccato
  3. Conversazione su il senso del peccato

treno nella neve di monet
Monet – treno nella neve – 1875 (ingrandisci)

(1) – LE RADICi DEL PECCATO E DEFINIZIONI DEL PECCATO (191)

Punto 1 (1)

La nostra speranza personale su cosa poggia in realtà?

La risposta è importante, perché il peso della speranza, magari per la maggior parte del tempo della vita inconsapevolmente, sostiene però l’esistenza dell’uomo, genera quella tensione energica che permette di vivere.

Noi inconsciamente, in via normale,

poniamo la speranza nella nostra attività e non nel fatto di Cristo,

non giudichiamo e non sperimentiamo che, in concreto, ci salva Lui.

Dov’è dunque la nostra speranza? Dobbiamo prendere le parole di Paolo: «L’amore di Cristo», non come modo di dire, ma come l’unico fatto capace di dargli consistenza.

Quando noi mettiamo la speranza nella nostra vita normale non ci rendiamo conto che il nostro atteggiamento è grottesco.

La stessa santità infatti non va concepita come frutto della nostra attività, ma come dono, attivamente - questo sì - ricercato e desiderato, del fatto di Cristo

Ed è di fronte al fatto di Cristo che lo stesso riconoscersi peccatori diventa realistico e fecondo.

« Se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa. Se diciamo che non abbiamo peccato facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi».

Gv 1,8-10

Le radici del peccato dunque stanno nel voler rivolgersi a qualcosa d’altro come motivo di speranza, come ispirazione di azione.

Abbiamo dimenticato la legge di Dio che è il Fatto Suo nella storia, abbiamo dimenticato la fede e

abbiamo sostituito alla fede il nostro moralismo,

le predicazioni morali, come può predicare un saggio e prudente uomo di questo mondo.

Abbiamo convogliato le nostre energie ad erigere speranze nella nostra forza di volontà, e da questo misuriamo la dignità della nostra azione.

Il Fatto di Cristo, e non le nostre opere, è il termine di paragone.


Punto 2 (196)

Innanzitutto il peccato è la non fedeltà al FATTO di Dio

non al fatto che c’è Dio, ma a “quel” Fatto che Dio ha prodotto nella nostra vita, la non fedeltà a Dio che si è reso Fatto nella nostra vita.

Secondo un’immagine biblica il peccato è la dimenticanza di Dio.

La non fedeltà indica un effetto: il FATTO di Dio non determina la vita.

La dimenticanza indica la radice dell’infedeltà, quella tremenda distrazione la cui conseguenza è l’uomo stracciato, dissolto, distolto dal suo fine, errante qua e là.

Nella misura in cui non  è investita, determinata dalla Sua Presenza, resa Fatto nella nostra esistenza e storia, la nostra vita resta distratta, vuota.

Il peccato, da cui provengono la vecchiaia e la morte, sta nel non accettare che tutto quanto  ci accade sia per Dio, reso fatto nella storia – che tutto quanto sia in funzione dell’esistenza in Cristo.

La Bibbia dà altre due definizioni del peccato.

Una è nel terzo capitolo del Vangelo di Giovanni: il rifiuto della luce. La luce è ciò che rende vere le cose, che permette di guardarle nella loro realtà: è la verità delle cose.

La seconda è nelle parole del profeta Geremia e spiega il peccato come non ascolto della parola di Dio.

L’espressione “parola di Dio” secondo la mentalità biblica, è qualcosa che penetra nell’esistenza, perché attraverso essa Dio ha dato identità ad Israele e si è coinvolto con Lui.


la gazza di Monet
Monet – la gazza – 1867 (ingrandisci)

(2) LA DINAMICA DEL PECCATO – (203)

Punto 1 (203)

I comandamenti e la legge, secondo il valore biblico, non poggiano su un nostro concetto di dovere; sono invece l’impeto di un potere cui partecipiamo.

I giudizi, la legge del Signore, sono il Signore che interviene nella mia vita,

chiamandomi ad essere parte della storia del Suo popolo, mi mette insieme, e da qui scaturisce una nuova dinamica del comportamento.

Peccato è andar contro questo Fatto di Dio, cioè rifiutare il coinvolgimento con Lui.

Così il fariseismo è abolito alla radice.

Israele è un regno di sacerdoti, un popolo santo, perché si tratta di gente “presa dentro” il rapporto con Lui;

ed essere in questo modo «sacerdoti» è un fatto reale, non è una ingiunzione morale.

In questo senso le ore e i giorni, le date e gli avvenimenti hanno una importanza proprio nello svolgimento come vita morale.


Punto 2 (205)

Nei salmi chi è l’uomo chiamato ad essere santo? Colui che sta all’interno del rapporto storico con Dio, che si abbandona dentro quel fatto storico.

L’uomo deve sé stesso a Dio, non solo come origine naturale, ma anche in quanto da Lui riceve continuamente e sempre nella storia il suo significato,

attraverso gli avvenimenti in cui Dio lo implica.

L'uomo si trova immerso in un Fatto nel quale Dio si coinvolge con lui,

e l’unico atteggiamento umano è l’obbedienza, cioè il seguire quella grande compagnia.


Punto 3 (209)

Dio ci ha liberato, e in ciò consiste la nostra giustizia o la nostra ingiustizia; nell’accettare o il rifiutare tale Fatto.

E il dramma dell’uomo, la tentazione adamitica è l’erigersi a giudice di quel Fatto.

Ecco dunque la dinamica del peccato, la sostituzione del criterio inerente al FATTO operato da Dio, con il nostro criterio.


Punto 4 (211)

Questa è la vera dinamica del peccato che genera il castigo.

Rendere impossibile il manifestarsi e il generarsi di vita nuova per il fatto della morte e resurrezione di Cristo; sottrarsi insomma al fatto di Cristo, inizia un degeneramento dell’umano, cui  nella nostra epoca e nella nostra esistenza stiamo assistendo, là dove stiamo seguendo una logica riduttiva dell’umano, che alla fine arriva fino a negare l’uomo.

Fuori dal FATTO  di Cristo, infatti, non c’è l’affermazione dell’uomo, ma solo il suo essere sacrificato a una ideologia:

Questa è la potenza delle tenebre che domina il mondo.

Siamo noi, chiamati ad essere luce, che dobbiamo parlare e giudicare questo mondo, nonostante il peccato da cui siamo anche noi tentati e da cui tante volte vinti.

La Bibbia esprime il concetto di castigo con l’immagine del deserto.

Deserto: si potrebbe tradurre come il regresso della vita, il rendersi vano della vita.

Noi potremmo indicare un’altra parola sinonima e significativa, anch’essa usata nella Bibbia: la solitudine.

Perché la solitudine è realmente il regresso della vita, è la vanità dello sforzo, il vuoto dell’azione, che di per sé è invece è rapporto.

Il vuoto dell’azione sta proprio in questo: tu lanci l’azione e sei solo, non generi nulla.

Questa solitudine, a mio avviso, nella nostra vita morale si documenta secondo quell’atteggiamento nel rapporto con gli altri che si chiama indifferenza.

Tale indifferenza è un vuoto che viene inevitabilmente sostituito da forme diverse di affettività naturale e perciò puramente istintiva.

E’ nel nostro peccato, cioè nel nostro disinteresse, allontanamento o infedeltà al FATTO di Dio fra noi, la fonte dell’aridità nei rapporti con gli uomini.

A questa aridità collaborano i cristiani che presentano al mondo una morale cristiana che cristiana non è, ma solo moralismo.

Il FATTO cristiano, invece, fa amare l'uomo,

amare nel senso più autentico della parola, proprio

perché il FATTO cristiano vuol dire intimità, familiarità con Dio che è destino dell'uomo.


Punto 5 (215)

Una seconda immagine biblica per rappresentare le conseguenze del peccato è quella dell’esilio; l’arrendersi alle potenze straniere, di diventare schiavi.

L’arrendersi alle tenebre, al potere mondano: questa è alienazione della nostra fisionomia, alienazione della vita nuova portata da Cristo.

Ecco l’errore che possiamo commettere come cristiani.


Punto 6 (217)

Riprendere la strada abbandonata, “riprendersi” in una decisione rinnovata è la penitenza, o meglio la contrizione.

Occorre volgersi all’Altro, e riconoscerlo veramente.

E il riconoscere l’altro tra noi è riconoscere il grande FATTO  della nostra storia e della nostra vita: Gesù Cristo.

Per il cristiano il pentimento è riconoscere l’appartenenza ad un ambito in cui sta il FATTO che dà senso alla sua vita, e questa posizione, solo questa, lo rende umile, senza presunzione e nello stesso tempo senza disperazione.

Non esiste via di mezzo fra questa umiltà che scaturisce da una appartenenza rinnovata nel cuore e il fariseismo, che oscura con la menzogna teorizzando la propria deficienza o la propria disperazione.

Tale disperazione nella maggioranza della gente, che cammina senza forza e senza grandi drammi, si traduce nel vivere come animali, alla giornata, secondo un buon senso in cui affoga il bene e si insabbia l’impeto morale.

Dio mi salva, la parola di Dio, la memoria del suo FATTO, MI SALVA.

Quando mi scopro col peccato dentro, Lui mi riscatta, richiamandomi e riprendendomi attraverso quel contesto che è segno fisico della sua Presenza reale.

Allora rinasce l’unità di me stesso e l’energia del cammino.


vari disegni di Monet (ingrandisci)

(3) – CONVERSAZIONE SU IL SENSO DEL PECCATO (219)

Domanda: L’uomo inevitabilmente sperimenta lo scontro con la sua fragilità: ha quindi un primordiale senso del peccato?

L’uomo ha un primordiale senso del peccato in quanto intuendo in sé la misteriosità dell’oggetto della propria esigenza, percepisce il proprio modo di affronto della realtà come obbedienza ad essa: percepisce cioè che non lascia la propria azione modularsi e determinarsi alla sua luce.

Perché una propria “preoccupazione“, un “propria misura” inquietamente si impone.


Domanda: E qual’è il legame tra il senso del limite in questa sua più ampia accezione con la coscienza di una più precisa mancanza nei confronti di un rapporto personale con Dio, che definisce il senso del peccato nella versione cristiana? (220)

il legame è qualcosa che passa tra un presentimento o una percezione confusa e il momento in cui questa viene illuminata e precisata nei suoi fattori.

E’ l’opera della rivelazione. Due sono i fattori che la rivelazione infatti chiarisce.

  • Innanzitutto il cammino al destino come ordine, disegno, trama di passi pensata e voluta dall’amore potente di un Dio che è Padre. Tale chiarezza è nelle parole legge, comandi, precetti di Dio.
  • Il secondo fattore è la responsabilità dell’uomo, la capacità cioè che l’uomo ha di riconoscere la saggezza che lo supera, la verità che descrive il suo significato oppure la responsabilità di dimenticarlo, di emarginarlo, di sostituirlo con qualcosa fissato da sé; l’uomo ha la possibilità di esaltare una creatura al posto di Dio.

La chiarezza offerta dalla rivelazione fa capire come questa capacità di errore, di sovvertimento e corruzione può avvenire praticamente in singoli momenti magari molte volte ripetuti, o addirittura può essere teorizzata subdolamente o esplicitamente.


DomandaQual’è per la storia dell’umanità il significato più profondo del fatto che nella tradizione cristiana si parli di peccato originale? (220)

E’ un avvertimento della irrisolvibile incapacità che l’uomo con le sue sole forze ha di determinare i suoi passi dal destino vero, di adeguatamente aderire nelle sue azioni al significato ultimo di esse, comunque intuito: l’incapacità di fatto di obbedire alla verità.

La dottrina del peccato originale rende dunque attento l’uomo all’ambiguità originale e alla equivocità, alla lunga, dei risultati anche nelle sue intenzioni migliori.

Solo la misericordia di una potenza che non è dell’uomo, ma che diventa sua compagnia, può realizzare nell’uomo un cammino di bene.

Una mentalità laicista sente ripugnante questa immagine di debolezza e di incoerenza strutturale:

tanto quanto non può comunque spiegare l’impotenza fino alla disperazione che sottende ogni acuta e lucida percezione di sé che l’uomo ha.

La rivelazione è una grandiosa affermazione della serietà e della responsabilità umana; e anche una proclamazione dell’organica, profonda relazione che c’è tra uomo e uomo, e ne risulta quindi una insuperata affermazione dell’unità tra gli uomini come dimensione che definisce la fisionomia di ognuno.

E per ogni uomo esistente la responsabilità è ricondotta alla sua essenza, al suo cuore: quella di essere “risposta“, “corrispondenza” ad una Presenza che lo provoca, ad una compagnia sostanziale che gli si rivela come la sua consistenza.


DomandaLa Bibbia racconta che Caino, dopo aver ucciso Abele, fugge. Che cosa suggerisce questa immagine se la paragoniamo all’atteggiamento diffuso nella mentalità odierna riguardo all’essere o al sentirsi in colpa dell’uomo?(222)

Il valore della libertà può essere fondato soltanto dal rapporto dell’uomo con l’infinito,

dall’esistenza cioè dell’uomo di qualcosa che non derivi totalmente dalla tradizione biologica dei genitori e della razza; il valore della libertà può essere fondato solo dal fatto che nell’uomo esista qualcosa che è direttamente rapporto con Dio.

Nella mentalità odierna, lo smarrimento e la negazione del rapporto con Dio, costitutivo del cuore, eclissa cioè il valore della libertà, il suo vigore esistenziale, eclissa cioè la libertà come responsabilità.

I trends dominanti della psicologia moderna tendono a far diventare mentalità comune questa ignobile destituzione d’ogni dignità responsabile.


Domanda: «Una opinione comune ritiene che il cristianesimo abbia fatto pesare in modo mutilante sulle personalità il macigno oppressivo della colpevolezza, l’angoscia del peccato. A che cosa si deve addebitare questo?» (223)

È il fenomeno cristianamente orrendo del moralismo:

un Dio a misura d’uomo è un mostro che schiaccia l’uomo, e la sua parola non è creativa o rinnovatrice, correttrice, “redentrice”, ma un giudizio che “definisce“, cioè che “finisce“, “fa fuori” l’uomo peccatore.

Nel cristianesimo invece, «la verità vi farà liberi».

La prima verità è il riconoscimento del proprio limite cattivo, della propria incoerenza responsabile.

E di fronte a Dio “che non vuole la morte dell’empio, ma che viva“, questo riconoscimento è l’inizio di un respiro liberante, rende possibile quell’abbandono umile, lieto e colmo di speranza proprio della creatura originale.


Domanda: «Qual’è il senso positivo del peccato nella storia della salvezza?» (223)

Il peccato nella storia della salvezza ha un senso positivo in duplice modo.

  • L’esperienza in cui l’uomo verifica in modo supremo la propria inettitudine e debolezza e perciò incapacità ad essere da sé, la sua nullità. Ma Dio permette il peccato. All’uomo diventa esperienza il male, cioè l’incapacità di essere vero, di essere integralmente se stesso. Il peccato diventa così verifica inequivocabile, meno evitabile nel suo significato, dell’ultima inconsistenza umana.
  • Questa umiliante impossibilità del proprio cammino spinge l’uomo alla ricerca di ciò che lo guarisca dalla sua malattia mortale. Il senso positivo del peccato nella storia della salvezza consiste in questo: che di fatto il Verbo di Dio si è fatto carne per redimerci da esso. Il paradosso di sant’Agostino ha una evidenza innegabile: «O felix culpa».

Domanda: «Qual’è invece il significato del perdono cristiano?» (224)

La parola perdono è stata svuotata di significato nel linguaggio corrente, è diventata quindi indice di una debolezza perché per la società di oggi il valore dell’uomo sta nell’affermazione di sé identificato nel sentimento che più predomina nell’istante, perciò nella parzialità violentemente affermata: subisce una reazione, non costruisce l’ideale.

Il perdono cristiano è imitazione della luminosa e calma potenza con cui il Padre riscostruisce il destino delle sue creature sorprendendone e aiutandone il permanente ed essenziale desiderio del bene, di cui sono costituite, e che attraversa tutti i disastri della istericità dell’autoaffermazione presuntuosa ed impaziente.

Così il perdono è una onnipotenza che riedifica sull’ultima residua consistenza della libertà: 

«Perdona loro, Padre, perché non sanno quello che fanno».


Domanda«Al peccato e al perdono del peccato è legato nella tradizione cristiana il sacramento della confessione. C’è una saggezza in tale gesto istituito dalla Chiesa (225)

E quale saggezza!

Non è pentimento vero dell’errore, se questo non contiene quasi la necessità di dirsi all’esterno di sé, di gridarsi di fronte agli altri e al mondo.

Pur nella discrezione suprema, dentro la confessione il sacerdote, a cui l’uomo dice e grida sè stesso nel suo male, è la presenza di tutta la comunità ecclesiale.

Senza il segno di una oggettività, anche il perdono fluttua nell’incertezza, è legato alla volubilità dello stato d’animo.

In qualunque caso il perdono non è vera pace se non risuona come giudizio della comunità umana, segno di Dio.


Domanda: «Sarebbe comprensibile sbagliare ed essere perdonati una volta, due, tre ma poi chiunque direbbe: «Occorre unminimo di coerenza, è troppo comodo far sempre conto sul perdono di Dio». Che cosa dice a questo proposito il cristianesimo?» (225)

L’uomo nella sua fragilità è incapace di realizzare sé stesso,

vale a dire, a lungo non è capace di percorrere il suo cammino senza gravi contraddizioni con sé stesso.

Allora l’unica strutturale flessione giusta dell’uomo è il grido a Dio dal di dentro della possibilità del proprio male o dell’attualità del proprio male è la domanda del perdono e che la potenza del Signore renda attuale l’impossibile cambiamento.

Questo cambiamento è sempre miracolo di Dio, e grazia.

Il vero problema è che il grido sia esistenzialmente vero, cioè sincero: accettare continuamente la scomodità di questo è il primo livello del cambiamento.


Domanda: «Come il cristianesimo risponde all’insopportabilità di sé stessi che facilmente subentra nell’uomo quando dalla clamorosità della sua debolezza è costretto a guardare in faccia la sua miseria?» (227)

E' la grande occasione dell'amore, è la grande occasione dell'affermazione amorosa.

La verità dell’uomo non si riduce all’osservazione evidente della sua miseria, ma all’annuncio stupito ed esaltante che questa miseria è amata.

Questa Presenza amante, forte e fedele, più della volubile e vulnerabile fragilità che è la consistenza dell’uomo in se stesso, è scoperta come la vera ricchezza dell’uomo.

La Presenza di un Altro è quindi la consistenza dell’uomo: accettare questo, affermare questo è l’esistenza come amore.

La risposta, quindi, del cristianesimo all’insofferenza di sé stessi è umiltà, che diventa amore; è cioè un riconoscimento della propria miseria che si apre alla ricca Presenza di un altro e lo riconosce e ne gode, cioè diventa amore.

Domanda: «Come i peccati possono essere tolti?» (227)

Questa domanda mette in gioco tutta l’idea di salvezza cristiana.

Cristo è morto per liberarci dal nostro male.

L’infinito valore della vittima nell’economia misteriosa supplisce alla deficienza indicibile dell’uomo a due condizioni:

  • La prima è implicita nel grido di Cristo sulla croce: «Perdona loro, Padre, perché non sanno quello che fanno»: un amore comprensivo oltre ogni umana immaginazione realizza il recupero dell’uomo, appoggiandone la radice sul margine, anche infinitesimale, dell’ignoranza umana, dello scarto sempre esistente fra la consapevolezza della prossima cattiveria e la grande evidenza di Dio.
  • La seconda è che nel cuore dell’umano marasma, dell’umana debolezza, un grido si alzi a questa umanamente impossibile liberazione, possibile a Dio: “Signore abbi pietà di me“.

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