Riassunto di “Si può, (veramente?!), vivere così?”

3° capitolo – L’OBBEDIENZA

Indice linkato dei titoli

  1. Natura e ragionevolezza dell’obbedienza
  2. Mendicanza, non investigazione
  3. Commenti e dialoghi

1 – NATURA E RAGIONEVOLEZZA DELL’OBBEDIENZA

A – Cosa vuol dire obbedire (213)

Che il criterio dell’azione che compi non è quel che pensi tu, non è quel che senti tu, ma quel che dice un altro.

Se l’uomo agisce ubbidendo, anche questo agire deve essere razionale.

L’uomo deve agire per ragione altrimenti non è uomo.

Nell’attività dell’uomo c’è un’attività che si chiama obbedienza; perché deve essere razionale? Perché è un agire dell’uomo!.

Quando un gesto è obbedienza? Quando il criterio con cui agisco me lo dice un altro.

Definita così l’obbedienza sembrerebbe un rinnegamento di sé stessi.

(214) Un bambino cresce attraverso l’obbedienza.

In montagna se è una scalata nuova, si va bene se si obbedisce alla guida.

Io voglio innanzitutto farvi capire, chiodarvi in testa, che l’obbedienza è un fenomeno comune alla vita di tutti.

Per imparare occorre ubbidire, altrimenti uno resta chiuso in quel che sa già.

(215) L’obbedienza è un modo naturale di comportamento.

Vivere l’obbedienza, sinteticamente, viene significato dal verbo seguire, immaginativamente è seguire.


B – Quando è giusto seguire (215)

Il vero problema è: quando è giusto seguire? Prima di seguire, cosa occorre perchè sia giusto seguire, doveroso seguire?

La fede (216)

Questa risposta è molto più giusta di quanto tanti non riescano a capire, tant’è vero che abbiamo parlato di obbedienza nella parte dedicata alla fede.

Dico che è giusto seguire quando è ragionevole, quando ci sono delle ragioni.

Ci sarebbe una parola da aggiungere alla parola «ragione»: «adeguate».

Come si fa a capire quando si hanno ragioni adeguate per seguire?


Devo aver sperimentato che di questa persona mi posso fidare (217)

La ragione adeguata per seguire una persona, per obbedire a una persona è che – per quanto io possa conoscerne o avendone sperimentato già la compagnia o per quanto qualcosa già ne sappia, di quella persona – mi posso fidare.

(218) Per obbedire, perciò, bisogna innanzitutto rendersi conto del perché mi posso fidare di quella persona.


Ma che differenza c’è dalla fede allora? (218)

La fede è un giudizio: «di questa persona mi posso fidare».

L’obbedienza è una conseguenza pratica, di mossa, attiva: «Siccome mi posso fidare, la seguo».

Per questo dell’obbedienza si parla nella parte sulla fede.

L’obbedienza non è la fede! È la conseguenza etica, morale, cioè di comportamento che nasce dalla fede.

La fede è un giudizio.


C – Le ragioni adeguate per fidarsi (219)

Quando io obbedisco con ragione adeguata a una persona?

Quando vedo che è seria rispetto alla vita come significato.

Anche Kafka quando disse: « Lo scopo per forza esiste, ma non si sa la via» era serio. Altre risposte!

Quando anche lei segue.

Questo è un acuto indice di conseguenza o di corollario, ma non è la ragione.

Primo: è razionale seguire un altro, obbedire a un altro, quando mi comunica e mi rivela una concezione della vita e del suo destino che poggia tutta quanta sulle esigenze originali del cuore, che sono comuni a tutti gli uomini, quando fonda una concezione della vita che poggia sulle esigenze comuni del cuore umano. E poi?


Se penso alla mia esperienza, quello che mi persuade rispetto all’obbedienza è il vedere la gratuità dell’altro nel muoversi nei miei confronti. (220)

(221) Secondo: l’altro mi dice queste cose per una gratuità.

La gratuità è l’amore al destino dell’altro e basta; l’unico motivo per cui me lo dice è l’attaccamento al mio destino, alla letizia della mia vita e alla felicità da raggiungere.

Terzo: ti aiuta a superare tutto ciò che è contrario a queste esigenze; ti aiuta al sacrificio, cioè a quell’aspetto di coscienza per cui, aderendo alle esigenze del cuore, ti sembra di dover rimetterci qualcosa, ti sembra di dover perdere qualcosa.

(222) Aderire a sé stessi vuol dire seguire l’altro:

questo è un paradosso, è il paradosso che ha fatto cedere Eva.

Da quando c’è l’uomo, questo è il paradosso che è la prova della libertà: per essere me stesso devo seguire un altro.


Hai detto: «Allora obbedire è doveroso, come è dovere compiere il ragionevole». Detto così, è come alleggerire quell’accento con cui viviamo la parola virtù: non è più uno sforzo moralistico, non è più una fatica, c’è come una leggerezza (223)

La leggerezza con cui compiere il proprio dovere fa rimanere il dovere dovere, fa rimanere il dovere condizionato dal sacrificio e dall’impegno che esige, ma aggiunge qualche cosa che alleggerisce il cuore e che si chiama letizia, aggiunge all’immagine di doverosità una letizia che altrimenti non conosceremmo.


Io, sul lavoro ho chiesto a un mio amico di aiutarmi quando sbaglio. E lui mi ha detto: «No, di queste cose devi accorgertene da solo». E lì io mi sono sentito da solo perché… (223)

Quello lì non è uno da seguire.

Invece è in questa compagnia che il nostro amico si sentirà dire: «Qui sbagli», «Fa meglio qui» e non si sentirà mai dire: «Arrangiati!» come si è sentito rispondere.


Se un uomo ti chiede di obbedirgli dandoti ragioni corrispondenti alle esigenze del cuore, vuol dire che non ti fa la proposta di una concezione settaria (224)

Certo! Vuol dire che quello che ti comanda vale, o varrebbe per tutti gli uomini: non è la proposta di una concezione settaria, non è un tentativo di rapina.

Ti propone dei valori che vanno bene per tutti, farebbero p iù soddisfatti tutti.


Pensavo: però nella mia vita mi è chiesto di obbedire ad altri, per esempio, devo obbedire alla mia preside. Allora non è ragionevole ubbidire a lei? (224)

Potrebbe non essere ragionevole ubbidire alla tua preside, ma potrebbe essere ragionevole  obbedire alla circostanza che la tua preside incarna.

Io non sono d’accordo che in campo soprannaturale soltanto con Gesù entrano nel mondo questa intelligenza, questa disponibilità e questa generosità.

Ma è con Gesù che tutto questo si chiarisce.


2 -Mendicanza non investigazione (225)

(226) Che cosa è avvenuto nella vostre assemblee? Non domanda fu l’assemblea – fame e sete di qualcosa di più vero, che ci adempisse, che ci compisse, che ci alleggerisse il senso e il peso del nostro dovere, del nostro lavoro e del nostro sacrificio quotidiano;

non domanda ma investigazione!

Se volete una parola, la meno insultante di tutte: le vostre sono state investigazioni più o meno serie, scandagli….

la domanda è fatta con umiltà.

(227) L’umiltà tende le corde dell’anima, della ragione e dell’affezione, così che, appena c’è un accenno di ragione, voi la percepite, siete propizi, siete desiderosi di poterla accettare: comprendete, vi fa più ampio il respiro.

Dovete prepararvi all’assemblea. Chi non si prepara, non è degno di partecipare all’assemblea;

non capirà, capirà un centesimo di quello che potrebbe capire, perché non ha affezione: senza affezione non si può comprendere.

Prepararsi all’assemblea vuol dire pregare, quindi chiedere a Dio che si riveli, che venga, che risponda, che corrisponda, che io sia capace di stare lì irrigidito.

Perciò. Non venite all’assemblea come investigatori, che spesso traduce qualcosa di peggio: un preconcetto.

(228) Si chiama «scetticità» questa estrema figura dell’investigatore che sei tu, del piccolo “cimice” investigatore dell’infinito Iddio.

Invece il più piccolo cuore del più piccolo bambino riceve la luce dall’eternità.


3 – Commenti e dialoghi (228)

[110] «La fede è un atto di conoscenza, la libertà è condizione perché esso avvenga. Questo atto di conoscenza, come ogni atto di conoscenza, che sentimento genera? Che tipo di affettività genera? A ogni conoscenza consegue una affettività: che tipo di affettività consegue alla conoscenza della fede?»

Si può vivere così?

Mi puoi spiegare questa frase: «A ogni conoscenza consegue una affettività» (231)

(232)Occorre un desiderio del vero e del bello assoluto per interessarti veramente di tutto quel che accade, di tutto quel che passa davanti ai nostri occhi.

La conoscenza non è mai tale se non termina con una affezione.

La conoscenza è registrazione di una cosa in quanto c’è secondo uno shock, un affectus che ti produce; e in base a questo c’è poi tutto il gioco della libertà.


Che ad ogni conoscenza consegua una affettività è una evidenza. Ma perché oggi nessuno dice più così?  (232)

Perché oggi non si ha passione per l’essere, non si ha passione per il vivere, tant’è vero che non si mettono più al mondo neanche i figli; non si ha passione per il destino, non si ha passione per niente.

Si ha passione per i soldi: “l’usura, la lussuria e il potere”.

Lo stupore di fronte a una realtà bella della vita o della natura lascia nel cuore una gratitudine che è la virtù che inizia il cammino di tutte le altre virtù:

la gratitudine è l’inizio di tutte le altre virtù.

[112-113] «E’ entrato nel mondo come un uomo, uomo come gli altri.[…] Quello che incominciò a dire di nuovo, lo disse dentro l’antico: era un nuovo modo di vedere il mondo. Le parole erano le stesse: era un nuovo metodo di vedere le parole antiche. Insisto perché questa è la vita del cristiano, essere cristiani è questo: una novità che si apre sempre il varco dentro le parole antiche».

Si può vivere così?

Essere cristiani è questo: una novità che si apre il varco dentro le parole antiche, dentro i sistemi antichi che sempre hanno fatto vivere un uomo, dentro le abitudini solite dell’uomo.

(235) Il cristianesimo non si aggiunge alla vita, ma nasce dentro i meccanismi in cui la vita normalmente nasce.

Ed è qui la cosa spettacolosa: li trasforma, le stesse parole hanno un altro senso; come la parola sulla bocca di Gesù acquistava un altro senso quando la manna diventava il suo corpo.

[115] «Maestro, anche noi non comprendiamo quello che tu dici, ma se andiamo via da te, dove andiamo?»

Parole ragionevoli, che corrispondono alla realtà nostra, corrispondono alla realtà della nostra esperienza, secondo la totalità dei suoi fattori.

(236) La misura  del giudizio non può essere il loro (degli apostoli) giudizio, la loro misura, ma deve essere una misura di cui loro non sanno, che presentono con una certa venerazione: una misura misteriosa. .

[pag. 117] «La cosa giusta è quello che hanno fatto Pietro e gli altri suoi amici. L’hanno seguito lo stesso: «Anche se noi non comprendiamo, però nessuno parla secondo il cuore umano come te, perciò se andiamo via da te, da chi andiamo?».

Si può vivere così?

(237) Il sì di Pietro a Gesù è un atteggiamento affettivo che vince.

o amare sé stessi fino al disprezzo della vita, o amare Dio più di sé stessi.

Questo attaccamento affettivo è l’inizio del concetto di obbedienza,[…] che nasce dalla ragione.

(238) Una obbedienza in quanto detta una continuità alla vita, si impone come continuità della vita, si chiama «seguire».

Il verbo completo della parola “obbedire” è la parola seguire.


[pag.118] Seguire Cristo vuol dire avere gli stessi sentimenti di Cristo, gli stessi sentimenti che Cristo ebbe verso il Padre; seguire Cristo vuol dire assimilare, assumere lo stesso atteggiamento che Cristo ebbe presso il Padre.

Si può vivere così?

A me interessa capire che cosa significa «avere gli stessi sentimenti di Cristo», perché io desidero questo, ma è come se non riuscissi poi nella vita a farne esperienza, a tradurlo nella mia vita (238)

(239) L’interpretazione nostra dei sentimenti di Cristo è altamente equivoca tanto è vero che è il principio di Lutero.

Ciò che ha reso Lutero staccato, è stato il suggerimento di sostituire nella lettura del Vangelo e della Bibbia, la sua interpretazione alla interpretazione della Chiesa ufficiale, cioè del Papa.

Primo: il paragone deve andare non a quel che pensi tu, non a quello che ti dice la tal persona, ma a quel che dice la tal persona – che è la guida della comunità – quando parla in pubblico.

Voi capite che la coscienza della responsabilità che ho di fronte a una domanda che mi si porga in pubblico è molto più grande che se sto parlando con te singolarmente, personalmente.

(240) Secondo: dal paragone di quel che ti senti dire in pubblico e quello che ti senti dire in privato, può stabilirsi una luce di conferma che ti porta ad una sicurezza realmente pacifica, utile, creativa.

Terzo: (241) è giusto non quello che corrisponde al contenuto della tua esperienza immediata, ma alla esperienza più profonda della radice del cuore.

E’ giusto quello che corrisponde all’esperienza elementare più che a una reazione attuale del tuo cuore.

[pag. 119]Con che parola si può definire l’atteggiamento di Cristo verso il Padre? È quella che S. Paolo dice qualche riga dopo: «fatto obbediente fino alla morte». Simone e gli altri si son fatti obbedienti a Cristo anche di fronte all’incomprensibile.

(241) L’obbedienza di quell’uomo era alla sorgente di tutte le cose, al Padre.

Allora l’obbedienza degli apostoli a Lui, il seguirlo, costituiva realmente qualcosa di religioso: il valore dell’adesione della loro testa, della loro affettività a Lui era un valore misterioso.

(242)L’obbedienza dà gloria alla vita, immette nella vita delle categorie che altrimenti non ci sarebbero: per esempio, la gioia; o la categoria della gloria, che è la cosa che dovremmo scoprire alla fine dell’anno: il nostro scopo non è Gesù Cristo,

il nostro scopo è lo scopo di Gesù Cristo, lo scopo che aveva Gesù Cristo, la gloria del Padre

(che si affermava in tutti gli uomini che riconoscevano Lui).

(243) Obbedire è fare un’azione definita non da un tuo giudizio o da una tua decisione, ma definita dalla volontà di un altro.


[pag.121] L’obbedienza per noi, cioè il seguire il disegno di un Altro, il fare la sua volontà, è ragionevole in un solo caso; deve essere consapevole che in essa sta la riuscita della vita.

Si può vivere così?

Qualche settimana fa mi è stato suggerito di cambiare lavoro. Ho preso questa opportunità in seria considerazione. Volevo chiedere se questa è la consapevolezza della vita riuscita (243)

Prima osservazione:

(244) La riuscita della vita è se tu risolvi la domanda della felicità, della bellezza, della bontà.

Il problema che noi trattiamo è del senso della vita. Quanto più un problema è particolare, tanto più è secondario, tanto più la sua spiegazione è contingente.

Contingente, vale a dire può dipendere da quelle circostanze che potrebbero essere immediatamente variabili.

Ma non è variabile quello che il tuo cuore e il tuo destino sono.

Noi siamo chiamati a dirigerti in questo.

Seconda osservazione: ti conviene sempre porre le domande al parere della comunità.

Primo, sui particolari sei libera, e, secondo, di fronte a una persona, tu sei molto più libera, anzi, sei libera!

[pag. 122] – 2 . La vera obbedienza è una amicizia

Si può vivere così?

La virtù, cioè il comportamento giusto, l’adesione permanente,

la fedeltà propria dell’obbedienza, altro non è che la virtù dell’amicizia.

Lo segui perché corrisponde al tuo cuore, è appassionato al tuo destino.

Ma l’amicizia cos’è se non voler bene all’altro per il suo destino, volere il destino dell’altro.

L’obbedienza è la virtù di questo volere il bene dell’altro.

Quanto più segui chi ti vuole il tuo bene, tanto più sei te stesso: non ti “vendi” ma ti ritrovi.

Il soggetto dell’obbedienza è l’io di fronte al destino, l’atto obbediente rende l’io più io.


 L’obbedienza e la sequela sono la legge naturale con cui io divento me stessa, e questa è una cosa che mi dà conforto; quando sto con voi, infatti, non mi perdo. Però, nel presente, è come se io non mi giocassi, e così rimango sempre triste. (246)

Come per il bambino: non sono i comandi della mamma, ma la mamma è la presenza per il bambino!

E il bambino segue la mamma, aderendo a quel che dice, cento volte disobbedendo e due volte al giorno obbedendo, ma è attaccato alla mamma.

(248) (Analogamente) la moralità è l’adesione a una presenza connessa al nostro destino.

La moralità è la sorpresa di una Presenza a cui si aderisce in modo tale che tutta la vita tende ad essere concepita così da far piacere a quella faccia.

È una adesione amorosa ad una presenza.


[pag. 125] «Man mano che lo capisci, non dipendi più da chi te lo dice; man mano che te lo si dice, chi te lo ha detto è come se diventasse una cosa sola con te stesso: segui te stesso»

Volevo capire meglio cosa significa « seguire sé stessi» perché dall’esperienza che faccio, più capisco che quello che mi si dice corrisponde al mio cuore, più mi viene di attaccarmi a chi me lo dice. (249)

Se l’altro ti dà ragioni che corrispondono al tuo cuore, risposte che sono aderenti al tuo cuore, seguendo lui segui te stesso, perché ti conosci più di prima.

La spiegazione che ti è data, la ragione che ti è data, dilata la percezione di te stessa, dilata la tua autocoscienza, capisci più te stessa.

[125-126] E’ il desiderio di vivere che ti fa domandare: «come fai a farlo tu, come fai a realizzare quel che capisci».

Si può vivere così?

(250) Dov’è la difficoltà a questo punto? Tu chiedi continuamente una cosa che desideri sul serio. Quando avviene questo? Quando hai capito che quella roba lì ti interessa.

(251) Perciò primo deve aver identificato cosa è conveniente alla sua vita.

Secondo deve calcolare che, ragionevolmente, gli conviene non far certe cose e farne altre: gli conviene.

Se è in confusione allora ancora di più chiede.

Sono importanti due cose:

  1. Cos’è il bene per l’uomo? I soldi? Il gatto?…
  2. (252) Fissato quale sia il bene della vita è conveniente fare quello che questa cosa esige.

(253) Per interessarti di queste cose occorre un animo, un cuore, un po’ diverso: occorre essere più uomini degli altri, cioè avere il gusto del pensare e del riflettere. Oppure?

Essere semplici(253)

Essere semplici occorre per tutto.

Per la vocazione occorre quasi essere uomini diversi dagli altri, cioè più uomini, più umani degli altri.

Però nessuno ci tiene più ad essere più uomo degli altri. Non ci si pensa anche se si va in chiesa.


Cosa dici della perseveranza del desiderio che ci vuole per questa cosa?

Ecco, della perseveranza del desiderio dico che non è oggetto della nostra forza di volontà, come tutti credono.

È una grazia?

È piuttosto oggetto di una domanda, perché la grazia viene dopo la domanda.

Qual è la parte della libertà in questa grazia? La domanda!

(254) La grandezza della libertà dell’uomo sta nell’imperterrita domanda.

(255) Pensate che essere stati scelti per una vocazione vuol dire essere stati bloccati e investiti della preoccupazione per il significato del vivere, da un amore alla vita.

E infatti la vocazione che scopo ha?

Quello di interessarti di tutti, specialmente di quelli che guardano la vita senza senso: che tutti sentano la vita come una cosa utile.


Mi può spiegare meglio queste due dimensioni della persona: quella solitaria personale e quella comunionale?(257)

La dimensione comunionale è il termine portato dalla realtà umana vissuta da Cristo.

E’ nella naturalità di qualsiasi persona cercar l’appoggio di una compagnia, senza della quale la percezione solitaria del proprio essere non può che risultare ultimamente deprimente, non può che negare ogni creatività, soprattutto nega la possibilità di contentezza.

Il sentimento della contentezza è la condizione per cui il terreno umano può fiorire, può germinare per essere naturalmente fecondo.

È nella realtà soprannaturale, è nella realtà umana investita da Cristo, dove si è reso presente Cristo, dove è presente Cristo, che l’avvenimento dell’io supera la sua solitudine in tutti i sensi, come scopo stesso del vivere, dell’esistenza dell’io, e quindi della vita dell’io, della storia dell’io, del destino dell’io.

(258) È solo là dove diventa presente Dio fatto uomo, dove diventa avvenimento la presenza di Cristo, che questa compiutezza di risposta all’esigenza comunitaria diventa comunione, cioè dimensione dell’io:

non è io se non in comunione


L’affezione che sto vivendo è così grande che è come se volessi sempre stare con te e gli altri nostri amici; ma nello stesso tempo, se mi venisse chiesto di prendere ed andare, cioè lasciarvi, io andrei. (259)

Se questo destino è diventato uomo ed è tra di voi, ed è riconosciuto tra di voi, allora sì uscireste dall’università con la volontà di un conseguente rapporto che, se non è con chi è lì, sarà con chi è là, e voi vivrete la stessa vita che avete vissuto lì; allora sì non sentirete alcuna distanza.

C’è qualcosa di troppo serio, e il troppo serio, nella vita, non è la vita, che può avere la dignità di un fungo, ma è il Mistero che si dimostra nella vita, che si contesta delle circostanza della nostra vita.

Non c ‘è la comunione dell’io, ma di parti dell’io, parti in cui si può identificare il tutto: i soldi, i figli, ecc….se non c’è uno sfogo ultimo che si chiama destino, la televisione e i giornali possono persuaderti che puoi trattare i figli come vuoi, come con i soldi.

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