PARTE SECONDA – La speranza
Capitolo 4° – LA SPERANZA
Indice linkato dei titoli e sottotitoli
1 – Una speranza: sintesi (265)
Primo:
la vita dell’uomo ha dentro di sé una presenza:
la presenza delle persone e delle cose.
Queste presenze esercitano un’attrattiva, per cui l’animo dell’uomo parte coi desideri che costituiscono la molla d’ogni dinamismo.
Le attrattive di questa presenza suscitano gli ideali della vita: la bellezza, la verità, la creatività, il lavoro.
(266) Tutto l’attaccarsi che l’uomo fa a questi ideali e, perciò, la stima che porta ai suoi desideri, lo accecano sulla provvisorietà di essi: l’uomo non vede che tutti questi sono dei segni, dei segni lungo la strada.
Secondo:
(Accadde una presenza, la presenza del Verbo di Dio fatto uomo nelle viscere di Maria.
Si tratta della presenza di Colui di cui son fatte le persone e le cose.
Si tratta di Colui che ha creato il mondo, perciò tutte le realtà create sono segno di Lui, trovano la loro verità e il proprio compimento in Lui.
Le esperienze del vero, dell’amore, della fecondità, della costruttività son moduli per addentrarsi nell’esperienza del Suo Mistero: questo è l’ideale della vita dell’uomo dopo che Egli è venuto per rimanere fino al giorno della Sua gloria.
Ma
vivere questa attesa è la speranza d'ogni speranza.
Terzo:
Egli perciò entra a determinare tutti i nostri tentativi in cui la speranza umana cerca l’esperienza suprema, ultima, che rende cento volte più esaltanti gli anticipi che sono le umane esperienze proprie.
Una capacità di familiarità o amorosità con Cristo, un incremento del valore del lavoro, una esaltazione dell’affetto, un protagonismo storico come creazione del popolo di Dio: queste sono le conseguenze
Quarto:
l’errore rimane come dolore, non è un’obiezione.
Quinto:
(267) Il luogo di questo avvenimento è una compagnia ecclesiale.
2 – DIALOGHI (267)
Parole quali “speranza e libertà”, prima di iniziare quest’anno era come se mi fossero note, come se ne conoscessi i confini. Adesso diventano cose insondabili di cui non conosco il fondo. Però se da una parte fa nascere uno stupore grandissimo, dall’altra è come se chiamasse a raccolta tutte le mie facoltà. Penso mi sia capitata una cosa grande, ma è come se la responsabilità a volte mi pesasse.(268)
(269) «Son misteriose ed insondabili, ergo, Ti chiamo. Vieni Signore, e non permettere che io ritorni alla monotonia e alla insignificanza di tutti; anzi, fammi essere un cuore che non lascia tregua al cuore di nessuno».
Domandare – è la differenza del bambino dall’animale: chiede -, pregare, domandare, domandare di entrar sempre più nel Mistero, di affondare sempre più nel Mistero.
Se covi questo desiderio, il clima della tua vita diventa tutto diverso.
Domandare è la ricchezza di chi non ha niente.
Di nostro cosa abbiamo? La potenza di chi non ha niente è il domandare.
(270) Non esiste rapporto vero se non è domanda.
Comunque la speranza che nasce dalla fede, la proiezione del futuro, che viene dalla simpatia profonda per questa Presenza, è un buttarsi a capofitto in quella realtà, in quello spazio di mistero in cui il nostro essere potrà bere felicità da tutti i pori.
Anche io capisco che le parole, se prima per me erano definite, oggi sono più misteriose, ma questo non è un esito mio è l’esito di una sequela (270)
Non è un esito tuo perché occorre un potere infinito per creare questa possibilità, ma è anche un esito tuo perché hai detto sì.
Vedere è seguire: vedere e seguire sono sinonimi.
Tu conosci il Mistero come Mistero solo seguendo una presenza che ne abbia la chiave, solo seguendo una presenza che rappresenta il Mistero, che è segno del Mistero, che porta nel suo grembo il Mistero.
(271) Nascendo l’uomo dal Mistero – cioè da Dio – quello che è, è incommensurabile con quello che sa.
Se tu facessi un’analisi di quel che desideri e lo scrivessi su un foglio di quaderno fino al punto in cui non ti viene in mente più niente, proprio niente, il tuo cuore non sarebbe la somma di quei desideri segnati: è infinitamente debordante.
E il tempo rivela questo.
Cosa vuol dire seguire? Guardare. Giovanni ed Andrea Lo «guardavano» parlare.
Io vorrei capire cosa vuol dire esistenzialmente il desiderio della gloria di Cristo e come esso viene costantemente ridestato. (273)
«Il Tempo e il Tempio» è tutto sulla gloria di Cristo.
Qual è il senso della vita e del mondo? La felicità, la bellezza, la verità…ma la vita è inserita nella storia: qual è il senso della storia?
Perché non si può dire: la felicità, la verità, ma: la verità, la bellezza di tutti, di tutti gli uomini. è un altro mondo: questa è la gloria di Cristo.
(275) «Tutto il Lui consiste». Questo è lo scopo del mondo: che si riveli che cosa è il mondo.
L’apparenza diventa una immensa menzogna se non è segno di Lui.
La gloria di Cristo è il fenomeno per cui gli uomini riconoscono – per una grazia potente, per un dono potente – di che cosa son fatte le cose, gli uomini e le cose, di che cosa la realtà è fatta: è fatta di Cristo.
C’è una cosa evidente, la cosa più evidente di tutte, terribile, è che in questo momento tu non ti fai da te.
La gloria di Cristo è l’istante in cui un uomo capisce che tutto è fatto di Cristo; lo grida: si chiama testimonianza.
E’ il compito per cui uno è chiamato alla verginità, per cui tutti son chiamati alla verginità.
Ha definito la gloria di Cristo come la Sua manifestazione nella nostra vita quotidiana: come è possibile che questo avvenga? (276)
La gloria di Cristo è il riconoscimento di ciò che Cristo è per tutta la realtà; «Cristo tutto in tutto».
(277) La gloria di Cristo parte dal cuore del singolo: io e Tu, Tu, Signore.
Solo un lungo affiatamento con Lui, solo la fedeltà a pensarlo, la fedeltà a studiarlo, la fedeltà a conoscerlo, la fedeltà a sentirne parlare, la fedeltà alla compagnia che è tale se fatta in suo nome, fa diventare intima la cosa.
(278) Questo riconoscimento nasce dal cuore dell’uomo, dal cuore mio come dal cuore di Simone che dice: «Sì, Signore, io ti amo».
La testimonianza è lo strumento dell’accrescersi della gloria di Cristo, è lo strumento di cui Cristo si serve per comunicarsi agli altri.
È una realtà che si chiama popolo di Dio, l’insieme di coloro che Lo riconoscono, che riconoscono che in Lui tutto consiste, «Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, senza di Lui niente è fatto di ciò che esiste»: è un uomo, un uomo con questa potenza.
[pag. 151] «Se la fede è riconoscere una Presenza con certezza, la speranza è riconoscere una certezza per il futuro che nasce da questa Presenza».
Si può vivere così?
Perché a volte la speranza sembra più astratta della fede? Come invece c’entra, come ancor di più incide sul mio presente, sul mio istante presente? (281)
(282) La speranza è ciò per cui Cristo ha portato la croce: la fede fu la condizione per cui poté portarla,
il portare la croce è stata la speranza di Cristo.
Cambiare in speranza l’esperienza di sacrificio e di rinuncia è d’una concretezza sterminata,
tant’è vero che agli uomini è impossibile, eccetto a chi s’appoggia alla fede, a chi fa memoria di Cristo.
Ma quella che vale è la speranza, perché è nella speranza che ti mobiliti verso il destino.
Vorrei capire « la fede è condizione per portare la croce» (282)
La fede mi dice: «Dio ti ha creato ed è diventato uomo che si è messo insieme a te per accompagnarti nel tuo cammino al tuo destino».
L’effetto per cui si mobilita il presente ti fa compiere tutto quel che compi – ti deriva dalla fede, ti è reso possibile dalla fede.
È in questo cambiamento che tu ti muovi: «La fede senza le opere è morta».
In che senso la fede muore se non suggerisce una trasformazione, un cambiamento della vita (283)
La coscienza di questa Presenza ti dà la ragione completa, sempre rinnovata, che spiega la grande importanza dell’istante che tu vivi e non ti lascia accasciare da nessuna suggestione, e ti fa camminare verso il punto a cui sei incamminato: il punto a cui sei incamminato è la tua felicità, cioè è l’incontro con la gloria di Cristo.
Come faccio, quando sono a Parigi dove le circostanze sono più difficili al lavoro e in famiglia, ad aiutare la memoria per la speranza? (284)
«Io penso di non poter più vivere se non lo sentissi parlare».
Moehler
Gesù farà venire in mente a te cose da cui essere aiutata
(285) Per esempio, che la mattina, quando ti svegli, tu renda abituale in te come primo pensiero il pensiero di Colui che ti sta vicino, del Mistero che coincide con il segno.
E il segno lì è la sedia, il papà, la mamma….capisci? non c’è mai da disperarsi di nulla.
[152] «La certezza del futuro è basata su una cosa presente che riconosci con certezza; la certezza di un presente ti rende certo di un futuro»
Si può vivere così?
A me capita, rispetto al futuro, di provare a volte come un sentimento di paura di perdere le cose a cui più tengo.(285)
(286) Se vivi la compagnia come utopia, hai paura del futuro.
Se invece vivi la compagnia come luogo riconosciuto, dove la ragione e la libertà trovano la loro difesa, il loro appoggio, la loro esplosione allora no, anzi!
È una compagnia la cui certezza e la cui forza è Lui, è la sua presenza: allora non temi più nulla.
Prega Gesù: «Signore aiutami a non aver paura».
Aver paura vuol dire che l’incognito è più forte del Mistero: no, non può essere!
Non può essere matematicamente!
(287) Se la compagnia è guardata come luogo di rapporto con Cristo, allora la compagnia ti rende certo; se la compagnia non è guardata così, allora ti lascia povero uomo illuso: l’utopia.
Adesso nel disastro generale l’unica cosa che l’uomo può immaginarsi che gli dia conforto è il mettersi insieme.
Come diceva Eliot: «Accalcarci insieme gli uni e gli altri».
[156] «Abbiamo detto che la speranza è la certezza nel futuro che si appoggia sulla certezza di un presente. Ma un presente è veramente presente nella misura in cui tu lo possiedi.»
Si può vivere così?
Vuoi spiegare «La misura in cui tu lo possiedi?» (288)
Primo: il possedere umano è quando con la ragione uno afferra la realtà che ha davanti secondo la totalità dei fattori che solo la ragione può afferrare.
Secondo: lo strumento per possedere è l’affetto, l’affezione.
Volevo capire meglio che cosa è l’emozione (289)
L’emozione sottolinea o accusa un colpo alla testa.
L’affectus sottolinea l’emozione come qualcosa che investe il lavorio che la testa, come ragione, fa sulle cose; non l’abbandona mai, anzi, quanto più la ragione s’avvicina alla completezza, tanto più l’affezione si inarca, diventa grande.
Tant’è vero che è molto più sicura l’affezione che un uomo ha per la sua donna a 60 anni di quello che un giovane di 20 anni ha verso la sua ragazza.
L’emozione raramente è commovente, l’affetto sempre.
[156] «La speranza è la certezza nel futuro che si appoggia sulla certezza di un possesso già dato; “possesso”, perciò rapporto stretto, profondo con la tua persona; “già dato”, che ti viene da un altro, non lo conquisti tu»
La mia vita arriverà al compimento solo se si fonda su una presenza che riconosco e seguo. È nel seguire questa oggettività che è possibile la certezza, cioè l’atteggiamento positivo di fronte alla realtà?. (290)
C’è una certezza che nasce dal giudizio.
Giudizio vuol dire l’applicazione dell’intelligenza, della coscienza, della ragione a una determinata realtà per definirne la natura, l’essenza, il significato, ciò che essa è.
L’esigenza del vero porta in sé la stima e la gioia dell’evidenza.
(291) Però la certezza realmente c’entra anche con la compagnia: se una compagnia rispetta naturalmente le cose originali, favorisce una posizione positiva e perciò, istiga curiosità verso le cose.
Che cosa vuol dire certezza come posizione positiva?
Vuol dire che tu speri qualcosa: c’è dentro una speranza, una speranza naturale.
(292) Una positività di fronte alla vita, alla realtà, non la induciamo dalla compagnia, ma ci è dettata dalla natura: la compagnia ci rende più facile accettare questo, anche attraversando condizioni brutte: la compagnia ci aiuta a sostenere questa positività.
(293) Abramo credette sperando contro ogni apparenza di disperazione, contro ogni speranza.
La positività non nasce dalla compagnia, ma è solo nella compagnia creata da Cristo.
La prima conseguenza è una speranza inesorabile come ultimo senso del rapporto con le cose, come ultimo senso del cammino tra le cose: è una positività che vince ogni avversità che sperimenta.
(294) San Paolo dice la frase più rivoluzionaria di tutta la letteratura universale: «ogni creatura è bene».
Non esiste ideologia di qualsiasi tipo che possa ripetere questa frase; è solo la compagnia che nasce da Cristo che può dire questo.
Hai detto che ogni cosa è bene, che la realtà è tutta positiva. Ma che tutto quanto mi circonda sia positivo io non riesco a coglierlo. Comunque noto che in tutto questo, in fondo son contenta. (294)
Non puoi essere contenta di ciò che è male, di ciò che è di peso…
È forse questa contentezza il riverbero in lontananza della positività del reale?(295)
Certo!
Questa contentezza è il riverbero della positività del realtà.
È esattamente l’eredità, o la testimonianza, che Gesù ha lasciato agli apostoli prima di morire: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».
Se la posizione positiva di fronte alla realtà è un atteggiamento naturale, allora vuol dire che mantenerla è un problema di libertà? (295)
Giusto! È un problema della libertà: tocca a te…e qui è il punto dove si vede la fragilità della libertà.
Come è vero che la natura ci mette davanti alla realtà con la curiosità, è altrettanto vero che è come se fossimo incapaci di tenere questa posizione: molto più facilmente diventiamo scettici e smarriti, ipocondriaci e irosi, invece che lieti: questo dipende dalla libertà.
(296) Se vivo sinceramente e seriamente la compagnia creata da Cristo divento capace di far permanere questa positività, tant’è vero che sono sereno e lieto in tante circostanze in cui gli altri mi dicono: «Ma come fai ad essere così sereno e lieto».
[pag.161] «Il desiderio diventa sicuro di sé quando domanda, quando il desiderio diventa domanda. E la domanda si sostiene su una certezza nella risposta che la grande Presenza dà, perché la grande Promesso lo ha promesso».
Si può vivere così?
Se l’uomo nasce dal grande Mistero,
è sicuro quando si appoggia al Mistero da cui nasce,
cioè quando domanda che avvenga quello per cui il Mistero lo ha fatto, quello per cui il Mistero gli ha fatto insorgere domande e desideri.
(297) Il Mistero ti ha fatto concentrando il tuo io su alcune esigenze che si chiamano cuore.
Ma c’è una domanda che voglio fare io: cosa c’entra la speranza con il senso del destino?
La speranza è tanto più certa quanto più si identifica con una domanda al Mistero che t’ha fatto che avvenga ciò per cui t’ha fatto.
Dio ti ha fatto per la bellezza e la felicità che tu dentro il suo volto e, prospetticamente, dietro il Suo volto, se sei attento vedi.
Il Mistero coincide con il segno.
Noi andiamo a Dio attraverso dei segni che sono più o meno vicini a seconda che ci facciano più impressione o meno, che corrispondano più o meno.
Cosa vuol dire che il Mistero coincide con il segno?
Vuol dire che tu guardi una faccia per quello che essa veramente è nella misura in cui essa ti richiama alla sua essenza, alla sua natura: luogo dove diventa presente l’Eterno, il Mistero.
E quindi, se il Mistero è presente dentro la faccia, è anche presente – più presente! – dietro la faccia, come fuga all’infinito..
Riguardo alla domanda e alla coincidenza tra segno e Mistero: io sto facendo molta fatica nel lavoro e mi sto chiedendo: questo è il posto giusto per me? (298)
La santità è accettare che la cosa brutta o la cosa pesante, o la cosa controproducente – così mi sembra – che mi sta davanti sia il luogo o lo spazio dove il Mistero è presente a me; diventando così compagno cento volte di più che non per tutti gli altri, diventando compagno durante la giornata.
(299) Il Mistero che non coincida con il segno è proprio delle religioni dualiste: il Mistero è una cosa astratta, lontana, misteriosa, spirituale; mentre a noi quello che importa è il concreto.
E, invece, non possiamo stringere una mano amica se non stringendo il Mistero.
[162] «La grande Presenza ha dato la promessa che, nella misura in cui uno domanda sarà esaudito».
Si può vivere così?
È vertiginoso pensare che il punto di appoggio della certezza sia la domanda (300)
La domanda ha due valenze.
Ha da una parte la valenza del senso della nostra incapacità e debolezza.
Un’altra valenza è che questa nostra debolezza è amata da un Altro, è amata dalla grande Presenza.
(301) La mia certezza è fondata su una domanda a Uno che mi ama, a una Presenza che mi ama.
La certezza è fondata sulla Presenza.
Che cosa mi raccorda alla Presenza? La domanda.
Perché la certezza è data da una Presenza e non dal cuore? Perché soltanto la Presenza può sostenere questa certezza?(301)
Il problema è se questo Altro è veramente presente o no.
Tutto il fascino dell’esperienza cristiana sta qui: la scoperta che nella mia vita c’è un Tu, non tu, ma Lui – ci sei Tu. Su di Te io fondo tutta la mia certezza, la mia speranza è in Te.
Dalla speranza nasce l’amore; la speranza ha per oggetto il bene di sé.
La dinamica è uguale nella speranza e nell’amore: è il Tu che domina la vita, come nella fede.
Questa misteriosa Presenza può essere ipotizzata, può essere immaginata, può essere supposta.
C’è un avvenimento nella storia in cui uno dice: «io sono questa Presenza. io sono»
[163] «L’esigenza della felicità che ha il cuore dell’uomo si realizzerà secondo la forma che il Mistero della grande Presenza stabilisce; e questa forma non è nient’altro che la grande Presenza stessa, la forma di Cristo stesso»
Si può vivere così?
«La forma è Cristo stesso» : volevo capirla meglio proprio in riferimento alla forma della vocazione, quindi per aiutare una maggiore decisione su questa strada. (306)
Sì, la domanda è molto chiara, ma anche l’aspetto immediato della risposta credo sia altrettanto chiaro: «La tua felicità sono io» dice Dio e Dio è diventato uomo. «La forma della tua felicità sono io» dice Cristo alla Samaritana «Se tu bevi la mia acqua non ti vien più sete in eterno!».
(307) Giovanni ed Andrea l’hanno sentito dire: «Io sono il Dio che aspettate, io!» e sono rimasti sconvolti tanto che non si sono staccati più.
Si tratta della generazione di un popolo, di generazione di un tipo umano così diverso, diceva Paolo VI.
Nella miseria della nostra pusillanimità, noi saremo parte di questa razza umana diversa.
C’è una cosa che mi spaventa: il fatto di pensare che bisogna essere diversi per fare questa strada (308)
Non devi essere diversa: devi diventare più te stessa: non devi lasciare qualcosa di te, devi diventare più te.
Cosa fa avvertire questo?
Che fondamentalmente sei lieta. Lieta: non sei arroccata con tutti i tuoi archibugi a difendere la tua ira, il tuo parere, il tuo pensiero……
È una tentazione ciò che fa sentire il dover essere diversi?(308)
No, ti fa sentire di dover essere diversa l’ideale; è l’ideale che ti fa sentire di non essere a posto.
La tensione all’ideale ti cambia, cioè ti fa diventare più te stessa: più te stessa nel rapporto con te, con gli altri, con gli amici e coi nemici.
Non essere più capace di odiare è essere più te stessa, perché odiare ti disperde, ti lascia l’amaro e basta.
[164-165] Ma la misericordia del Signore sta proprio nella pazienza con cui ripete nel tempo le cose, ci fa riflettere nel tempo le cose. Prima penetrano il cervello e perciò non vogliono dire ancora quasi nulla, ma poi penetrano nel cuore e allora incominciano a voler dire qualcosa.
Si può vivere così?
Se c’è uno che ti vuol bene, che ha saputo queste cose per le quali l’incontro non è stato vano, è stato reale, non può guardarti e stringerti la mano senza dolorosamente pensare alla fatica che devi fare, e alla necessità che tu faccia per arrivarci; non per arrivarci – non ci arrivi tu – ma per lasciarti arrivare.
Se penso alla mia vita, oppure alle cose che devono accadere, spesso è come si ci fosse più spazio per l’incertezza che…(310)
No, più spazio per la fantasia che per la realtà. E la ragione è la coscienza della realtà, sì o no?
Si
Quello che diciamo è anche esperienzialmente sentito.
Sono esperienza per chi ha fatto una storia umana; sono astratti per chi non l’ha ancora fatta, come voi che avete soltanto brandelli di scontro con la realtà.
Quando sento dire “esigenza di felicità”, ho vergogna, perché capisco quel che pensano altri mentre io parlo di desiderio di felicità.
Il vero nostro nemico è che le nostre parole sembrano astratte.
(312) Siamo condannati all’accusa di usare parole astratte: siete voi privi di vita, non noi che siamo astratti.
Privi di storia siete, bambini! State attenti a come andate avanti altrimenti potete giungere alla mia età senza storia.
Che siamo senza storia vorrei capire se è solamente una questione di tempo, o se è proprio un tarlo, se quello che manca è una umanità (312)
«Il tempo senza senso non è tempo, è un momento di tempo che chiede significato» dice Eliot.
Storia c’è quando un momento di tempo veicola, porta con sé, rende presente a tutto, il significato del tempo di tutto.
Se questo momento ti manca, non avete più storia, ma avete semplicemente un orologio che misura le ore.
Mia madre ha una grave malattia. Come accettare che le risposte che mi vengono da questa compagnia a questo fatto non mi soddisfano? (313)
Dobbiamo rispondere amaramente come rispondiamo amaramente a noi stessi in questi casi, e sono tanti al giorno se si fa attenzione.
È perché non crediamo – se non per una emergenza rara, di circostanze rare,
noi non crediamo che il disegno del mondo è di Dio, è volontà di Dio.
Non crediamo in Dio, non crediamo esistenzialmente in Dio: Dio è un fattore della meccanica universale come il razionalismo dell’Ottocento.
[pag. 172-173] «I nemici di questa fedeltà nell’appartenenza, i nemici più rilevabili sono la discontinuità – in psicologia questa nevrosi si chiama ciclotimia: un giorno su, un giorno giù, la sera su, alla mattina giù….. – la discontinuità, dunque, e poi la fatica e il dolore»
La mezz’ora di silenzio: se sono lieta mi è meno difficile farla; mentre, quando sono giù, è più difficile.(314)
Puoi star qui e non esser contenta…in attesa di essere contenta!
Sei qui non perché sei contenta o non contenta: sei qui perché un Altro ti ha messa qui, ed è una obbedienza inesorabile; se non lo accetti tutta la vita perde di senso.
(315) Se non fai quello che ti è detto, se non segui, le cose si complicano; se tu segui, anche quando non hai voglia, non dico che ti viene la voglia in quel momento, ma la voglia ti ritornerà.
Seguire è essenzialmente il mettere piede su un passo di strada che non si conosce, tutto giocato sulla fiducia in chi ti sta davanti.
[pag. 173] «Riprendere a sperare dopo un nostro errore è un gesto così grande che il poeta Peguy lo definisce «il segreto mistero della speranza» perché il perdono del male è proprio un mistero. «Il segreto mistero che con acqua cattiva fa acqua pura e fa anime fresche con vecchie anime»: è la rinascita».
Si può vivere così?
Io volevo capire meglio quando dici che uno non deve fermarsi più di mezzo secondo sul proprio peccato (316)
Se un bambino come regola, dovesse star lì a rincrescersi per il piatto rotto che rompe, dovrebbe stare per 7 giorni a guardare il piatto rotto.
« Tutto questo non è mai esistito» (M.Mañara).
Il perdono di Dio è un atto creatore.
(317) Prendiamo coscienza del perdono di Dio, non dei nostri peccati.
[184] «Essere attaccati alla propria opinione esige la perdita della semplicità, l’introduzione di una presunzione e il prevalere della propria immaginazione sull’attesa che Dio ci ha destato nel cuore e che Cristo ci ha rinnovato, anzi ci ha precisato».
Si può vivere così?
Ma se non è secondo le nostre immagini l’esaudimento, come lo riconosceremo?. (317)
Se non è secondo le nostre immagini,
lo riconosceremo perché ci cambierà il cuore
e, perciò, ci cambierà la fantasia e l’immagine stessa: non si desidera più quello che si desiderava prima, cioè si desidera quello che si desiderava prima, ma in un altro modo, più grande:
il centuplo quaggiù.
Quei nostri pensieri cui siamo attaccati, maturando la nostra conoscenza di Cristo, il nostro affiatamento con Gesù, maturando la modalità della domanda, cambiano.
[198] «Agire dentro le cose, penetrare le cose, dalla presenza di Cristo, dalla presenza della Verità e dell’Amore infinito spinti a conoscere e ad amare le cose e le persone, quanto più uno vive questa indagine, tanto più sente gli altri, piccoli, poveretti….la verità è che sono tutti smarriti»
A me ultimamente mi è capitato di accorgermi che comincio a voler bene alla gente. A me interessa sapere se tutta questa gente si salva e come io posso essere testimonianza per loro, perché a me rende più contenta questa storia e mi sembra che un altro, se non si accorge di questo, non potrà mai essere contento. Però il fatto che immediatamente non si accorgano, a me lascia tristezza. (319)
Questa tristezza è normale per Gesù: infatti nel vangelo nono è mai detto che abbia riso.
Quello che hai detto è bello, Mariella: vivila questa tristezza, alimentala, prega Gesù che tutta la tua vita sia presa a rispondere al motivo di questa tristezza.
La vocazione ha chiamato la tua vita a partecipare alla croce e alla resurrezione di Cristo.
(320) Comunque questa tristezza è il segno chiaro e commovente del fatto che l’esser nati per la felicità non è un fenomeno che riguardi la singola persona: per sua natura implica la persona di tutti e il destino di tutti.
Se Dio è venuto a convogliare tutto al bene, non può essere la tristezza a definire il valore della vita: è una condizione della vita, non la definizione.
La definizione della vita è il destino di felicità eterna, è la gloria di Cristo.
Questa tristezza conferma che tu senti quasi per forza che l’uomo è fatto per la felicità.
Se l’uomo è fatto per la felicità, Dio gliela darà: si chiama speranza.
(322) La cosa insopportabile, Mariella, non è tanto che ci sia della gente che soffre, la cosa più ingiusta da tollerare, è che non sia riconosciuto Dio se diventa uomo.
(321) C’è un’unica cosa che ci rende veramente tristi è che Dio possa diventare uomo e non essere riconosciuto da coloro cui bussa alla porta.
3 – “Già similmente mi stringeva il core” (323)
(Lezione con l’amico Leopardi)
«Desiderii infiniti \ E visioni altere \ crea nel vago pensier \ per natural virtù, dotto concento\ …….Natura umana, or come, \ se frale in tutto e vile,\ se polve ed ombra si,tant’alto senti?\ se parte anco gentile \ come i tuoi moti e pensieri \ son così leggeri \ da sì basse cagioni e desti e spenti?».
Leopardi Da: “Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima”
(327) Primo: la sublimità del sentire è la prima caratteristica della poesia leopardiana.
La sublimità del sentire è questo grande interrogativo che nasce dal contrasto tra l’impeto di “desideri infiniti” e di “Visioni altere” che trovano nel cuore dell’uomo la loro terra propria e, dall’altra parte, questa improvvisa distruzione, questo annichilimento subitaneo che una banalità qualsiasi genera.
Quindi la sublimità del sentire è data da una specie di differenza di potenziale che c’è nell’uomo tra i «desiderii infiniti» che una cosa bella e amata e desiderata fa sorgere, e quello che l’uomo è, quell’annichilimento subitaneo che una banalità qualsiasi produce, «in nulla torna quel paradiso in un momento».
(329) La nobiltà dell’uomo rispetto a tutte le altre creature sta in questa possibilità che una banalità accenda e una banalità distrugga qualcosa per cui il cuore si stringe: per quanta poca nobiltà mantenga, non può non sentire questa sproporzione terribile, questa situazione misteriosa.
(330) Secondo: questa sublimità del sentire, se ha come contenuto la tragedia di una contraddizione quotidiana, è come una terra in cui scaturisca una esaltazione dell’uomo, l’uomo si esalta.
La sproporzione sentita diventa sorgente di meditazioni vaste,
cui il genio dell’uomo sa dare spazio di immagini e parole di musicalità, come in Leopardi (che non ha paragoni nella letteratura italiana).
Pur nell’esperienza contraddittoria, cui dà luogo, la realtà esalta l’anima dell’uomo e, in tale esaltazione, nasce un respiro sognante che domina tutta la nostra vita.
Quello che nasce dalla contraddizione, il no, è la risposta della testa, ma il cuore è uno struggimento, non è un no.
(331) «Dolcissimo, possente \ Dominator di mia profonda mente; \ Terribile, ma caro \ dono del ciel \; consorte \ ai lugubri miei giorni, \ Pensier che innanzi a me sì spesso torni. \ ………Di tua natura arcana \ Chi non favella? il suo poter tra noi | Chi non sentì? pur sempre \ Che in dir gli affetti suoi \ le umane lingue il sentir proprio sprona…\ Come solinga è fatta \ La mente mia d’allora \ …..tu quivi prendesti a far dimora! Ratto d’intorno intorno al par del lampo \ Gli altri pensier miei \ Tutti si dileguar. siccome torre \ In solitario campo, \ Tu stai solo, gigante, in mezzo a lei»
Leopardi nel “Pensiero dominante”
Che cosa, che idea, che parola, che nome, che cosa è degna d’esigere questo da noi? E’ Cristo!
Non esiste un’altra parola che possa sostituirla.
La donna o una preoccupazione politica, o una preoccupazione di soldi, o una preoccupazioni di arte, di esito in un concorso: per due settimane, per tre settimane, per tre mesi possono mantenere il ruolo di Cristo, detronizzandolo dal suo posto centrale, ma non possono resistere.
(332) «…Bella qual sogno \ Angelica sembianza, \ Nella terrena stanza, \ Nell’alte vie dell’universo intero, \Che chiedo io mai, che spero \ Altro che gli occhi tuoi vedere più vago? \ Altro più dolce aver che il tuo pensier?»
Leopardi “Il pensiero dominante”
E’ esattamente questo che abbiamo chiamato il “il sogno”.
Si può vivere di sogno? La sua brevità è assicurata e la contraddizione tragica di una catastrofe è pure assicurata: come il no, non è razionale.
“ «…Ahi finalmente un sogno \In molta parte onde s’abbella il vero \ Sei tu, dolce pensiero; \ Sogno e palese error»
“Pensiero dominante” Leopardi
(333) Terzo: Nella vita che cosa rimane, se tutto è un’esaltazione sognante che si riduce a una illusione, ad un inganno?
Di tutta la vita, di tutta la storia di ieri, dell’esperienza dell’altro ieri, di tutto rimane una “rimembranza acerba” cioè di dolore.
(334) Allora, in questa poesia, Leopardi ha una descrizione della sua età che sembra la proiezione della vostra.
Quarto: qui si apre però , per Leopardi, una improvvisa intuizione nell’inno ad Aspasia (fu la donna più amata da lui).
«Raggio divino al mio pensier apparve, \ Donna, la tua beltà. Simile effetto \ Fan la bellezza e i musicali accordi, \ Ch’alto mistero d’ignorati Elisi \ Paion sovente rivelar»
Leopardi “Inno ad Aspasia”
(336) (Nell’inno di “Aspasia”) la donna suscita nell’amante una immagine più grande di sé, e per questo ci è attaccato.
Essa non è la donna che ha davanti, bensì un’immagine il cui desiderio di essa si desta e si alimenta: l’«amorosa idea».
E Leopardi identifica questo in quello che gli deve dare la donna, e così diventa ingiusto, perché non può pretendere da essa quello che essa non può dare.
(337) Così l’uomo fa coincidere le sue eccessive attese con una donna che ha davanti, con ciò che ha davanti, mentre ciò che ha davanti rimanda ad altro che egli non sa, ma che attende e non sa neanche attenderlo.
Cristo è venuto per chiarire questo gioco:
«Tutto è segno di me, tutto parla di me».
Tutto ciò che è grande nella vita dell’uomo è profezia di Lui.
La speranza non è in quello che puoi afferrare, ma in qualcosa d’altro.
Qualcosa d’altro…così parlando una volta, una sera cupa, prodromo della passione disse: «Io sono la via, la verità e la vita»: io sono la bellezza, io sono la verità, io sono ciò che cerchi io sono ciò che il tuo cuore cerca.
(338) La speranza cristiana è la speranza del desiderio umano, ma nel suo contenuto porta un mondo diverso.
(339) La speranza cerca in questo mondo i primi sintomi, le prime tracce dell’altro mondo: tutto diventa il centuplo.
Bisogna seguire.
Mistero e segno coincidono:
il Mistero è la profondità del segno, il segno indica la presenza del Mistero profondo, la segnala ai nostri occhi alle nostre orecchie, alle nostre mani; il Mistero si rende esperienza attraverso il segno.
Le creature amate, stimate, che ci attirano, non sono un’indicazione di dove sia Cristo – la bellezza del mondo – ma sono luoghi dove Cristo si incarna per toccare te, per richiamare te, per essere servito da te, per essere amato da te, per essere utilizzato per il tuo contributo alla salvezza del mondo.
Seguire e guardare.
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