5 ° capitolo – LA POVERTA’
Indice linkato dei titoli e sottotitoli
1 – Povertà: sintesi (341)
(343) Tutta la storia della Chiesa raccoglie in una triplice tematica l’intera ricchezza morale dell’uomo.
Ricchezza morale dell'uomo vuol dire partecipazione al Mistero
in modo tale da immettere il Mistero in questo mondo, da rinnovare nella gente le cose sotto il suo impeto, sotto il suo impulso.
Obbedienza, povertà, verginità: sono le tre virtù, cioè i tre modi con cui la fede, la speranza e la carità – che costituiscono la vita dell’uomo nuovo – si traducono in gesti, in progetti, in riprese, in pianto e in gioia.
(344) La parola povertà è una delle tre, ma per capirla in modo tale da amarla, occorre una certa diuturnità, occorre un certo tempo.
La povertà, in tutte le sette o in tutte le religioni in cui viene citata o raccomandata, è per un disprezzo del mondo, per una affermazione spiritualistica del valore dell’uomo.
(345) L’esaltazione della povertà vera c’è soltanto nel cristianesimo ortodosso.
Perché non è un disprezzo di niente: è il non porre la propria certezze in niente che in un presente, la presenza di Cristo, che è di ogni giorno, di ogni nostro impegno con le circostanze.
Noi non tremiamo e temiamo, soltanto siamo un pò fragili e incerti nell’affermarlo, cioè nell’afferrarlo.
Vale a dire la povertà è una conseguenza del dilatarsi fino agli estremi confini della speranza. La speranza dilata i suoi confini fino all’estremità del mondo, fino alla soglia del cielo; la povertà è una conseguenza di essa.
Riassumendo la lezione (345): la povertà cos’è?
Non porre la speranza della felicità in un oggetto fissato da noi.
1 – La povertà:
(346) È la libertà dalle cose – anche dalle facce – che avviene come conseguenza della identificazione chiara di ciò da cui possiamo sperare la felicità, di quella Presenza da cui ci aspettiamo tutto, che è tutto: «Tutto per me Tu fosti e sei» diceva Ada Negri.
Come si fa ad averne sempre coscienza? Ripetendo gesti di coscienza.
E stando attenti al luogo in cui Cristo stesso ci desta la coscienza che è la compagnia vocazionale: attraverso l’autorità che non dovrebbe parlare se non provocandoci a questo.
(347) Libertà dalle cose: non libertà nel senso di indifferenza, è il contrario dell’indifferenza. È un appassionato aderire alla cosa, ma che non ti definisce: sei tu che la definisci, sei tu che agiti questa affezione; da te nasce, non sei “bloccato” da essa, come normalmente accade.
2 – La letizia
è il segno di questa libertà dalle cose.
La permanenza della coscienza, il maturare della coscienza, il fatto che questo diventa abituale ha come segno proprio la letizia. La letizia non fiorisce su un altro terreno.
3 – Coscienza della vera ricchezza:
E, nello stesso tempo uno si sente compiuto.
La letizia nasce esclusivamente sul terreno di questa coscienza di povertà.
La povertà è la coscienza della vera ricchezza: stabile, certa, che sfida l’eterno, sfida il tempo e lo spazio, e costruisce, con tutto costruisce.
Mi puoi aiutare a capire meglio il lavoro diuturno rispetto alla parola “povertà “(348)
Primo proposito:
per essere povero: riprendere continua coscienza di quello che si è, una sola cosa con Cristo; con Lui, figli del Padre. Devi volerlo! Devi desiderarlo!
«Rendimi cosciente di questo, ricordami questo il più possibile nella giornata».
È questa la preghiera! La preghiera è domanda dell’essere, cioè domanda di questo. Quindi riprendere coscienza, che non è automatico.
( 349) Secondo proposito:
la compagnia vocazionale è quella che, esprimendosi, ti richiama a questo.
Ti richiama lentamente che tutto ha questo significato, tutto è richiamo a questo, tutto.
(350) La compagnia vocazionale ti abitua a rendere ogni momento e circostanza di lavoro, di cammino, di silenzio, di gioco, di tempo che passa, sul tramvai, sul treno, richiamo alla verità del tuo io.
2 – Commenti e dialoghi (351)
[215] La non povertà si oppone alla speranza perché colloca la sicurezza nella felicità futura di un certo possesso che può essere presente o futuro…..la speranza è la certezza in Cristo che fonda la certezza nel futuro; si oppone alla speranza la certezza riposta in qualcosa che fisso io, presente o nel futuro.
Si può vivere così?
(353)La certezza nella felicità, perché questa è la speranza – l’oggetto proprio della speranza – è la totalità della soddisfazione del nostro essere, è la perfezione, è il compimento.
Puoi spiegare meglio il concetto di povertà legato all’istante? (354)
Se io sto facendo una cosa e sono libero, non sono attaccato: sono povero, libero nel senso di povero.
Sono dentro le cose che faccio con tutta la mente e con tutto il cuore, e quanto più sono intenso in questa immanenza, tanto più sono libero dentro, le faccio quasi cantando, c’è uno spazio per cantare.
In che senso il distacco nell’istante non diventa disinteresse alla cosa?(355)
Il distacco è per valorizzare la cosa.
Il distacco non solo non è indifferenza alla cosa, ma è l’unico modo per valorizzarla.
[216/217] «Dalla libertà delle cose, che la povertà porta con sé, nasce un sentimento che nessun altro ha se non chi è povero, cioè chi non fissa in determinate cose da lui scelte la speranza della sua vita. Uno può fissare la speranza della sua vita in una determinata cosa che Dio gli dà; se uno entra nel Gruppo Adulto, in quanto Dio gli ha dato questa vocazione e nella misura in cui è alla mercé della modalità che Dio usa e con cui Dio usa le cose»
[217] «Dalla libertà delle cose – che nasce dalla certezza che Dio compie – una condizione di letizia: è qui che la fede fa nascere la letizia»
Si può vivere così?
(358) La letizia è lo stato d’animo pieno di respiro e di libertà di uno che è certo della sua felicità.
Non esiste povertà se non è lieta.
Cosa significa che la letizia implica una comprensione dell’essere? (359)
Se uno percepisce le cose – tutto ciò che è – e innanzitutto la sua esistenza come qualcosa di dato, che un altro fa per un compimento e un destino di felicità, allora dominano gratitudine, certezza e fiducia.
È da questi sentimenti che fiorisce la corolla della letizia; senza gratitudine, senza certezza di felicità, senza fiducia in una presenza che rende possibile questo, non puoi esser lieta.
[217] La fede non fa nascere la letizia immediatamente, ma mediatamente, dalla fede nasce la speranza, nella speranza è la letizia perché la letizia non può essere guadagnata e vissuta se non nella certezza di un futuro…un sentimento è vero quando risponde a tutte le domande di tempo: spiega il passato, chiarisce il presente e assicura il futuro.
Si può vivere così?
« Risponde a tutte le domande di tempo»: io ho provato a farmi una immagine di questa cosa, ma è come se non ci riuscissi.(360)
(361) Per Giovanni ed Andrea quell’uomo spiegava il passato, chiariva il presente, perché rappresentava una evidenza così limpida, le parole essendo dette con una superiorità eccezionale persuasiva, e non avevano neanche il problema del futuro, tanto era risolto.
(362) Si può affrontare il futuro solo attraverso la tranquillità del presente.
È nel presente che si affronta il futuro.
Il passato è chiaramente redimibile nella chiarezza dell’oggi.
Dobbiamo abbandonarci all’amore intelligente, intelligentemente ricercato come modalità, soprattutto come precisione nel fissare il proprio oggetto nel presente.
La parola temporale più amica dell’eterno è la parola ora, non il futuro, ma ora.
(363) La gioia del futuro non può essere poggiata sulla nostra fantasia. Sarebbe una storditezza.
Adorate il presente, perché il contenuto del presente si chiama lavoro:
il contenuto del presente è il significato ultimo in quanto cerca – nella nostra mente, nel nostro cuore e nelle nostre mani – di dar forma ad un’azione presente.
(365) La speranza – da cui avviene la letizia e che realizza il cambiamento della nostra vita in quanto le nostre azioni vengono plasmate del significato ultimo inteso ed atteso – è solo quando tu affronti il tempo partendo da qualcosa che hai nel presente e che non è tuo; qualcosa più di te stesso, ma non è tuo.
È più di te stesso, è qualcosa che viene prima.
(366) È questo rapporto che può fondare la letizia del presente e la certezza del futuro.
(367) C’é un altro modo di vivere, di bere, di mangiare, di guardare l’uomo, di guardare la donna; c’è un altro modo!
Dove il passato può essere preso in braccio come un uomo prende il suo bambino piccolo, dove il presente è lieto di fronte ad una bara, e dove il futuro così gremito di oscurità diventa certo.
E tutto questo è il frutto della speranza, che ha le sue radici che attraversano tutto il passato e che sta ancora nel presente, domina il presente – per cui «il mio cuore è lieto perché Dio vive», e si sente, più di quanto si senta l’emozione per un innamoramento; ed è certezza del futuro.
(368) Preghiamo la Madonna, perché abbiamo ad essere benevoli verso il nostro passato, lieti del presente e certi del futuro, perché questi tre caratteri sono dell’uomo nuovo, come dice san Paolo della creatura nuova.
A padre Kolbe, mentre scendeva nella tomba, nulla mancava.
Siate pieni di abbandono, che vuol dire dono di sé e libertà dalle cose: il dono di sé ad un altro che è Gesù, e libertà dalle cose.
[221] «E’ questa povertà che rende liberi, pieni, attivi, vivi perché la legge dell’uomo – il dinamismo di quel meccanismo naturale che si chiama uomo – è l’amore, cioè l’affermazione di un Altro come significato di sé».
Si può vivere così?
(369) La povertà può definirsi anche con questa frase:
l’affermazione di un altro come significato di sé,
perché ti libera da ciò a cui ti appiccicheresti.
Io vorrei capirlo di più (370)
Cosa è l’amore? È affermare l’altro.
Affermare l’altro come significato di sé: non “il” significato di sé, ma “come” significato di sé, l’altro entra nel significato di me, cioè come appartenenza al significato di sé: tu appartieni alla definizione di me stesso; il tu appartiene alla definizione di me.
Per questo è amore. Ma se è affermazione dell’altro come significato di me,
il significato di me non sono io; è abbandono di me, è povertà.
In questo che stai dicendo, la libertà dove si situa?(371)
Si situa dappertutto. Dovunque l’uomo faccia una azione, lì si situa la tua libertà.
Affermare l’altro come significato di sé, significa che la
libertà c’entra nel rinunciare a sé come significato di sé, nell’accettare questo sacrificio supremo.
Hai detto che non è tanto affermare l’altro come “il” significato di me, ma “come” significato di me…è come se noi potessimo fermarci ad un’affermazione dell’altro come significato di sé (371)
Usare male una cosa vuol dire usare peggio ancora tantissime altre cose che sono connesse.
Per esempio, leggi fondamentali dell’essere cosciente come essere amoroso, come essere capace di amare, sono l’indissolubilità e l’unità del rapporto tra uomo e donna nel matrimonio:
una visione dell’altro senza il dovuto distacco, diventa la distruzione dell’indissolubilità e dell’unità, diventa la distruzione di leggi fondamentali.
Sono leggi senza le quali non c’è amore.
A me invece capita talvolta di vivere con noia…volevo chiedere se è una circostanza inevitabile,perché quando capita non posso farci niente.(372)
(373) La noia non è l’atteggiamento normale.
Per risolvere la noia bisogna capire qualcosa che viene prima, più semplice, più quotidiano.
Ogni cosa che si fa ha una ragione.
La ragione implica sempre una connessione tra il caffè latte e la vita della giornata.
Sempre la ragione è l’indizio di un rapporto tra quel che si fa e la totalità.
Anche se uno non ci pensa, quello che fa lo fa per una ragione.
(374) In secondo luogo, pur sapendo di andare a scuola, uno ci può andare malvolentieri.
Cioè, dal pensiero si passa a una scelta di attaccamento a cose che si fanno, a un fare, a cose e modalità che si privilegiano, istintivamente: se piace, piace!
Il giudizio si traduce in una affezione, nel prestarsi ad una cosa per usarla oppure per non usarla: uno sceglie.
(375) Primo:
L’uomo in un certo qual modo, conosce e riconosce lo scopo perché fa una cosa: il perché è una connessione intuita tra la cosa che si fa e la totalità del programma della propria giornata e del programma della vita.
Secondo:
Scegliere delle modalità concrete per cui uno usa delle cose: l’affectus è quell’impetus che fa usare le cose.
Normalmente l’uomo non riflette su di sé, ma fa queste cose coscientemente: senza riflettervi, ma coscientemente.
La noia è uno stato d’animo in cui uno è come se non sapesse ed è come se talmente non avesse voglia da non volere.
(376) La noia è l’assenza di sapere e l’assenza di sentire, cioè l’assenza di prendere e fare: l’affectus è prendere una cosa per fare.
Perciò la noia è l’anticamera della morte.
(377) «Tra il dire e il fare c’è di mezzo il domandare».
Il domandare mette a posto tutto appena si incomincia: dignità dell’impegno di fronte alla ragione, sincerità della ragione di fronte a ciò che accade e si sente, stimolo all’affettività perché si giochi.
Dopo il domandare cosa viene? Il tempo.
Domandare, evitarlo non si può. Evitare di domandare vuol dire evitare l’applicazione dell’intelligenza e dell’affetto a ciò che si è intravisto e contro cui non possiamo dire un bel niente.
( 223) Non si può conoscere se non nella povertà.
Se tu sei ricco dei tuoi preconcetti, delle tue ideologie, dei tuoi a priori, se sei imbarazzato da essi, non conosci più.
[224] «Senza un certo distacco non conosci, non usi e non godi; quanto più il distacco è appropriato, cioè proporzionato, tanto più usi e godi»
Vorrei capire quando e in che misura questo distacco è ragionevole(378).
Se tu guardi un quadro di 5 metri per 6, devi metterti a due metri.
(379) È lo stesso metodo: per afferrare, comprendere tutti i fattori in gioco e da questo spalto lanciarsi nell’avventura dell’eterna conoscenza, dell’infinita conoscenza – che vale per il mistero di Dio, come vale per il piccolo fiore del campo cui dà vita -, per realizzare questo scopo del nostro vivere cosciente e amante, bisogna distaccarsi.
[224] Un uomo non può godere la donna se non stando a una determinata distanza: altrimenti ne può godere, ma nel senso puramente istintivo del termine.
Si può vivere così?
Allora vorrei capire che rapporto c’è tra la povertà, per cui per conoscere occorre distacco, e la conoscenza del mio destino nel quale io investo tutti i fattori della mia personalità. (380)
Investendo tutti gli aspetti del sentimento di te, la nostra ragione arriva a identificare qualcosa che essa non può conoscere, che la supera, che essa deve affermare e abbandonare nello stesso tempo:
affermare senza la pretesa di poterla definire: vuol dire affermare l’essere, c’è!
(381) Devi distaccarti da esso perché sei troppo piccolo, non riesci ad abbracciarlo, non riesci a definirlo: questa è povertà.
(381) Se non si ritira di fronte alla donna che ammira, l’uomo la perde; se pretende di definirla, l’ha persa, la rovina, rovinando sé stesso.
Si sfiacca il rapporto con l’altro, se io pretendo di non essere soltanto gioioso della sua esistenza, ammirato della sua apparenza e tutto carico del presentimento della sua interiorità, della profondità del suo essere, perciò del Mistero che è in lui.
(382) Un fiore guardato scoprendo la prospettiva sterminata, infinita – infinita nel senso letterale della parola – della radice che lo fa consistere, nella prospettiva cioè del Mistero che in esso si esprime: questo è un possesso del fiore senza paragone più grande.
Questa seconda modalità fa essere l’uomo contento e carico di lode per ciò che esiste, lo fa essere religioso.
[224] «La povertà appartiene dunque al dinamismo della conoscenza, per cui occorre un distacco per vedere le cose e quindi usarle e goderne di più».
Si può vivere così?
Vorrei capire il nesso tra le due cose che ci hai detto: l’attaccamento come porta per conoscere l’essere e la necessità del distacco…quindi la povertà di gioca nella domanda. (383)
Per conoscere l’essere di una cosa, occorre prima di tutto riconoscerla parte di un disegno, parte del disegno di Dio: ha una radice che nasce dal Mistero, fatta di Mistero.
Perciò affermare l’altro è già un iniziale dimenticare sé stessi.
(384) E questa è povertà, perché riconoscere il significato di me non è in me stesso.
(385) L’uomo a questo resiste.
Non solo perché hai il peccato originale ti è difficile questo abbandono di te come significato di te, ma perché la società ha favorito questa menzogna.
Noi non siamo capaci: è solo nello Spirito di Cristo che si possono capire queste cose.
Perciò il domandare questo Spirito è la saggezza più acuta, dove si esprime il più acuto sentimento di sé stessi.
Si può dire che il distacco è essenziale per cominciare a capire che cosa è l’offerta?(385)
Sì, solo questo distacco può far offrire la cosa, può far offrire la presenza conosciuta, stimata e amata da Dio.
(386) Offrire a Dio cosa vuol dire? Riconoscere la parte inevitabile che quella presenza ha nel disegno universale e, perciò, riconoscerla come contesto del tuo io, della tua felicità.
«Non sapete che siete membra l'uno dell'altro?»
Ef 4,25
Nella compagnia l'immagine esatta NON è l'essere insieme, ma l'essere una cosa sola,
perché l’essere insieme gioca fino a un certo punto, ma l’essere una cosa sola gioca sempre.
Si può uscire dal confessionale oppressi dai propri peccati esattamente come si è entrati. La povertà che permette il distacco mi sembra sia la stessa che permette di distaccarsi dai propri peccati. (386)
Per una grande maggioranza la confessione non vale, non ha consistenza esistenziale, non incide sull’esistenza, perciò, tanto meno incide nella storia.
(387) Vado a confessarmi e prevale l’immagine di quel che ho fatto sulla grandezza e la certezza del perdono: il perdono non ricrea.
Soltanto lo stesso identico gesto della povertà può staccarmi da me stesso e farmi diventare ilare, perché Cristo è mio, Cristo è per me.
(388) Per andare via veramente liberi dai propri peccati dalla confessione non basta averli confessati: dipende dalla chiarezza, dalla affezione e dalla certezza che Cristo c’è e Cristo è il perdono.
Guadando Cristo dici: «Eppure io ti preferisco profondamente a qualsiasi altra cosa, eppure a te dico sì», questo libera.
L’immanenza della presenza di Cristo, se da una parte costringe a lasciare quello che si vorrebbe brandire, dall’altra permette di abbandonare ciò che si vorrebbe non fosse mai stato. (389)
L’immanenza di Cristo presente – che vuol dire Cristo riconosciuto presente – costringe, non nel senso meccanico, ma morale del termine: ti obbliga ad abbandonare quello che vorresti prendere.
(389) Gesù «immanente» vuol dire che è presente dentro il vivere.
E ci obbliga a lasciare ciò che si vorrebbe avere: i soldi, la salute, la ragazza, la carriera, l’onore, la sedia politica.
(390) Se in qualche modo non si percepisce l’immanenza del Dio presente, del divino presente, di un Oltre presente, di un Tu presente, si è legati a quel che si sente, non a sé: si ha disprezzo di sé vergogna di sé, ci si sente carogna, ma si è legatissimi a quel che si sente.
La povertà, perciò, comporta un modo di possedere, un modo di rapporto, un modo di possesso e di presa.
(391) La ragionevolezza è solo questo: il particolare in funzione del tutto.
Cristo ci invita alla povertà, cioè ci invita ad un rapporto di possesso che non si realizzi secondo quel che uno sente: allora l’universo intero che sostiene quella particolare cosa – perché ogni particolare è sostenuto dall’universo intero – sarebbe in funzione del tuo piacimento in quel momento.
Per questo, quando il piacimento è serio, e uno allora fa famiglia, l’universo grida: «Per sempre! Indissolubile!»
Gesù ha parlato della indissolubilità del matrimonio, vale per la verginità:
per spiegare l’indissolubilità del matrimonio, parla della verginità.
Volevo capire bene cos’è il distacco di cui parli (392)
Il distacco è il modulare il rapporto secondo quell’ordine che unisce la cosa alla totalità
e lo fa essere funzione dell’universo, cioè dell’intero disegno di Dio.
Altrimenti segui la tua reazione e non la destinazione oggettiva delle cose.
Vorrei capire cosa è la dinamica del desiderio nella povertà (392).
La dinamica del desiderio nella povertà è la domanda che, ciò per cui essa è necessaria, accada.
Per che cosa è necessaria la povertà?
Per conoscere e possedere: che questo possesso avvenga. In paradiso sarà il possesso di Dio, non un distacco per avere possesso!
Si può dire che la povertà applicata al conoscere è anche dire sì a Cristo prima che il capire?(393)
Il problema non è capire come Dio fa universo anche le più piccole cose
ma dir si sì prima di capire: e questo è il distacco.
Parlando della ragione, a che cosa corrisponde questo? Alla categoria della possibilità.
(394) Il sì detto prima di capire vuol dire disponibilità: la povertà è disponibilità.
È la disponibilità alla semplicità del cuore, questa è un ultima forma di povertà della conoscenza.
La legge generale, secondo la quale non si può capire se non si parte da una ipotesi positiva, diventa qui omaggio al Mistero e alla misteriosa bontà del Creatore: Egli è Padre anche se fa morire, Egli è Padre anche se castiga, Egli è Padre anche se fa venire i terremoti.
Questa povertà è l’aspetto supremo della povertà.
[224-225] «Dopo Dio e il firmamento, Chiara»…l’oggetto Chiara, agli occhi di Francesco era collocato nella grande compagnia dell’universo, non è questione di misura ma di compagnia e, ultimissimamente, di amore, cioè di abbandono di sé di dono di sé».
Si può vivere così?
(396) Rispetto vuol dire guardare una cosa dominato dalla presenza di un ‘altra.
Quel che ci domina è ciò che fa l’altra; il Mistero che fa te, domina te, ma mentre ti guardo, mentre ti penso.
Questo è il distacco, non sei mia.
E, infatti, tutto il mio rapporto con te s’esaurisce nell’affermare te, cioè nell’amarti.
Si può benissimo dire:
affermare l’altro come significato di sé, in quanto segno di ben altro, dell’infinito da cui la tua radice proviene.
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