TEMI de «Il Rischio Educativo»

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Lettera « M »


  1. Maestro/educatore
  2. Mentalità laicista nella scuola
  3. Messa
  4. Metodo
  5. Missione/dimensione missionaria
  6. Mistero
  7. Morale/moralità
  8. Moralismo è idolatria
  9. Movimento

MAESTRO / EDUCATORE

(69) Non può avvenire quel mirabile erompere di scoperte, quel mirabile seguito di passi e quella catena di contatti che definiscono lo sviluppo, l’educazione di un essere, cioè “la sua introduzione alla realtà totale“, senza una linea di significato che all’individuo in formazione si presenti adeguatamente solida, intensa e sicura.

E’ la natura che esige questo, con un’analogia perfetta in tutti i campi.

L’accendersi di questa “ipotesi” è segno del genio; l’offrirla ai discepoli è l’umanità del maestro; l’aderirvi come a luce nell’avventura del proprio cammino è la prima intelligenza del discepolo.

Il genio è testimonianza di una visione del mondo, e quindi sempre offerta di una ipotesi di vita.

E’ nell’educazione così concepita che l’avvenimento del genio trova giustificata la sua espressione, e il genio diventa maestro.

Solo un’epoca di discepoli può dare un’epoca di genii, poichè solo in chi è prima capace di ascoltare e di comprendere si alimenta una maturità personale che lo rende poi capace di giudicare e di affrontare, fino – eventualmente – ad abbandonare ciò che lo ha alimentato.

(86) In una scuola agnostica o “neutra” la mancata offerta di un significato fa sì che l’insegnante non sia più “maestro” e porta l’alunno a erigersi maestro di sé stesso e a codificare le impressioni e le reazioni contingenti, con quella diffusa presuntuosità colma di impertinenza e di chiusi pregiudizi che sì spesso sviliscono la schiettezza e l’apertura propria della giovinezza.

(107) Una educazione che accetti con vigilanza il rischio della libertà dell’adolescente è reale e sorgente di fedeltà e di devozione cosciente dell’ipotesi proposta e di chi la propone.

La figura del “maestro“, proprio per questa discrezione e rispetto, in un certo senso si ritira dietro la figura dominatrice della Verità Unica cui si ispira; il suo insegnamento e la sua direttiva diventano dono di testimonianza, e proprio per questo si iscrive nella memoria del discepolo con una simpatia acuta e sincera, indipendente – nel suo livello più profondo – dalle stesse sue doti.

Per cui abbiamo una gratitudine e un legame ineliminabile al maestro, e pure una convinzione indipendente da esso.

Equilibrio dell’educatore

(104) Il metodo educativo di guidare l’adolescente all’incontro personale e sempre più autonomo con tutta la realtà che lo circonda, va tanto più applicato, quanto più il ragazzo si fa adulto.

L‘equilibrio dell’educatore svela qui la sua definitiva importanza .

L’evolversi infatti dell’autonomia del ragazzo rappresenta per l’intelligenza e il cuore – e anche per l’amor proprio – dell’educatore un rischio.

D’altra parte è proprio dal rischio del confronto che si genera nel giovane una sua personalità nel rapporto con tutte le cose; la sua libertà, cioè “diviene“.

L’appello alla tradizione può essere formulato varia guisa, ma deve essere ben chiaro che il vero concetto di tradizione è quello di rappresentare valori da riscoprire in nuove esperienze. Se la storia e l’esistenza sono veicoli di valori da riscoprire in nuove esperienze, chi deve compiere la scoperta? il padre? Il maestro? No: perché in tal caso si tratterebbe di tradizionalismo.

L’esperienza deve farla il giovane stesso, perché questo rappresenta l’avverarsi della sua libertà.

E questo amore alla libertà fin nel rischio è soprattutto una direttiva che l’educazione deve tener presente.

…..a Dio, al mistero dell’Essere, a quella Misura che ci ha fatti, che ci eccede da tutte le parti e che non è da noi misurabile, è a Questo che l’amore dell’educatore deve affidare lo spazio sempre più grande delle imprevedibili vie che la libertà dell’uomo nuovo apre nel dialogo con l’universo.


MENTALITA’ LAICISTICA NELLA SCUOLA

(75) L’influsso della mentalità laicistica nella scuola è visibilissimo. Innanzitutto l’insegnamento non si cura di offrire aiuto per l’effettiva presa di coscienza di una ipotesi esplicativa unitaria.

La predominante analiticità dei programmi abbandona lo studente di fronte ad una eterogeneità di cose e a una contraddittorietà di soluzioni che lo lasciano, nella misura della sua sensibilità, sconcertato e avvilito di incertezza.

E tali eterogeneità e contraddittorietà non sono affatto sanate dall’impianto delle recenti indicazioni didattiche che quella analiticità vorrebbero sconfiggere, lottando contro i fenomeni più vistosi del nozionismo e della frammentarietà dei programmi.

(76) Il giovane studente manca, normalmente, di una guida che lo aiuti a scoprire quel senso unitario delle cose, senza del quale egli vive una dissociazione, più o meno cosciente, ma sempre logorante.

E’ sorprendente l’attualità delle osservazioni che si leggevano parecchi anni fa in un giornale studentesco, dove un ragazzo ha scritto così:

« Il vero aspetto negativo della scuola è quello di far conoscere l’umano attraverso i valori che troppo spesso tanto inutilmente maneggia: mentre in ogni azione l’uomo rivela la sua indole, appare ridicolo (o tragico) che vanamente di percorrano a scuola, attraverso lo studio delle varie manifestazioni degli uomini alcuni millenni di civiltà senza saper costruire con sufficiente precisione la figura dell’uomo, il suo significato nella realtà. la nostra scuola è impostata su un innaturale neutralismo, appiattitore di ogni valore [ … ]»

« Ma la cecità del nostro tempo assai di rado fa sì che la scuola sia chiamata al banco degli imputati quando veramente è rea: la si chiamerà perché non la si trova in grado di formare buoni tecnici o provetti specialisti; la si chiamerà per la questione del latino o per quella dei programmi d’esame per la maturità; non la si chiamerà perché non è riuscita a formare veri uomini, a meno che non capiti che questi non uomini commettano qualche “sciocchezza” grossolana e clamorosa come un episodio di intolleranza razziale».


MESSA

(57) D’altra parte il sacrificio di sé a Cristo è il contenuto del gesto più espressivo che si possa compiere come cristiani: la Messa.

L’Eucarestia è un gesto di Cristo, ma è anche un gesto “mio” che si identifica con il gesto di Cristo, il quale a sua volta torna a identificarsi con il “mio” gesto.

“Mio”: l’offertorio è un gesto “mio”, la comunione consuma e compie questo gesto “mio”.

Il sacrificio di sé coincide con l’offerta di sé implicata nel riconoscimento che Cristo è tutto di sé,

nell’accettarlo e cercare di comportarsi secondo questa coscienza, una coscienza diversa creata ed educata da quel pezzo di mondo nuovo di cui si parlava prima.


METODO

(43) (Prima ha scritto della inincidenza della fede sul comportamento sociale in generale e dello scetticismo che ne consegue) Una comunicazione e uno sviluppo del contenuto tradizionale era quindi legato sopratutto a un problema di metodo.

Due sono stati i cardini di questa intuizione

  • Il primo di natura teoretica: i contenuti della fede hanno bisogno di essere abbracciati ragionevolmente, devono cioè essere esposti nella loro capacità di miglioramento, illuminazione ed esaltazione degli autentici valori umani.
  • Il secondo cardine si può esprimere dicendo che quella presentazione deve essere verificata nell’azione, cioè l’evidenza razionale può illuminarsi fino alla convinzione solo nell’esperienza di un bisogno umano affrontato dall’interno di una partecipazione al fatto cristiano: e tale partecipazione è un coinvolgimento nella realtà cristiana come fatto essenzialmente sociale e comunionale …..

In tale metodo ovviamente si gioca un rischio nell’insistere sulla razionalità del progetto di fede: non può pretendere di essere una dimostrazione apodittica o matematica.

(50) Metodo del movimento

Per la nostra mentalità è impossibile renderci conto di cosa veramente significhi dire: “La salvezza è Cristo”.

Così come è impossibile “naturalmente” capire che la nostra definizione è un altro.

Più acutamente è inconcepibile che il proprio cambiamento e il proprio diventare veri è per la pietà e la misericordia di un altro.

……Sinteticamente dire che il metodo di un movimento come quello che è nato dai rilievi e dalle intuizioni che sono state ricordate all’inizio, consiste nel cercare e contribuire a creare condizioni di di vita che facilitino il cammino di questa comprensione.

Metodo fallace

(73) Non c’è infatti alcuna differenza pratica tra l’esposizione delle varie concezioni della vita che si vuole neutra e rispettosa di una supposta libertà di scelta e l’offerta, per interpretare tutto il reale, di una ideologia che per sua natura e per evidenza sperimentale non lo può abbracciare nella sua globalità.

Il metodo identicamente si fonda su di una illusione: da un lato quella di una spontaneità evolutiva della personalità che avrebbe quindi in sé stessa il criterio della sua maturazione, dall’altro la pretesa di ridurre l’orizzonte della realtà ad un punto di vista parziale, inglobando così di fatto all’interno della scelta il criterio di affronto di un reale che non può esservi contenuto.

Metodo diseducativo

(86) In una scuola agnostica o neutra la mancata offerta di un significato fa sì che l’insegnante non sia più “maestro” e porta l’alunno a erigersi maestro di sé stesso e a codificare le impressioni e le reazioni contingenti, con quella diffusa presuntuosità colma di impertinenza e di chiusi pregiudizi che sì spesso oggi sviliscono la schiettezza e l’apertura propria della giovinezza.

Qualora poi consti l’impossibilità e l’assurdità di un tale sistema, si ripiega sulla proposta all’adolescente della gamma la più varia possibile di autorità divergenti: il paragone fra tutte genererebbe nell’alunno una spontanea scelta del meglio, e una maturità di giudizio.

Non ripeto qui le ragioni (già sopra esposto che questo sia il metodo diseducativo per eccellenza).

Metodo educativamente più capace di bene

Il metodo educativamente più capace di bene, non è quello che vive di fuga dalla realtà per affermare separatamente il bene, ma quello che vive della promozione della vittoria del bene nel mondo.

“Nel mondo” significa nel confronto con la realtà intera, confronto “rischioso”, se così lo si vuol chiamare; ma meglio si direbbe “impegnativo”.

Il separare l’adolescente dal mondo, o anche il non aiutarlo o guidarlo nel confronto con il mondo, è causare per la coscienza viva di certi giovani, la scoperta amara della inesistenza di una adeguata direttiva per la vittoria del bene sul male.


MISSIONE (dimensione missionaria)

(102s) L’esigenza di una totalità di orizzonti cui la propria umanità sia chiamata ad aderire (dimensione missionaria).

Che la misura di amare sia amare senza misura non è solo una frase famosa, ma assioma chiaro.

La carità è una legge senza confini, universale; perciò cattolica. In questa legge, porre un limite non è limitarla, ma abrogarla.

Occorre meditare che il richiamo cristiano è prima di tutto conquista del mondo nel senso evangelico: il Regno. Avere il senso del Regno significa avere senso missionario. Dobbiamo vivere per l’universo, per l’umanità intera.

Limitare l’ambito del condividere, così come l’esistenza ce ne dà la possibilità, è rinnegare sé stessi – è peccato (cioè “difetto”, che nella sua origine latina vuol dire “venir meno”, “mancare”” di qualcosa).

Viene in mente il detto del Signore: “Chi fa il peccato è uno schiavo“.

Limitare, infatti, la propria apertura di convivenza è cercare di imporre una propria misura della legge profonda dell’essere, è confondere l’amore con il calcolo, è scambiare il condividere con il tentativo di dominio.

L’illimitatezza è la sola risposta possibile per la sete di cui l’uomo adulto suo malgrado, l’adolescente per esigenza urgente e vissuta sono preda.


MISTERO

(46) Il riconoscimento del Mistero: radice di tensione morale.

La parola mistero indica qualcosa di incommensurabile con noi; il che non vuol dire “diverso”, perché di molti aspetti, dentro di noi abbiamo il riverbero e l’eco.

Cristo è mistero

In nulla la nostra sicurezza se non nel mistero.

Tutta quanta dunque la religiosità dell’uomo si gioca nel riconoscere che il significato totale e unico della vita è il mistero di Dio.

Perciò il senso della vita eccede noi, è a noi enigmatico: la religiosità dell’uomo si gioca sul fatto che la nostra esistenza, il valore di “ciò per cui vale la pena” è il mistero.

In null’altro, neppure nell’osservanza di regole morali, perché il valore è il mistero cui partecipiamo rispondendo alla vocazione cristiana.

Neppure negli strumenti e nelle strutture che incarnano la nostra risposta dobbiamo arrestarci, riponendo in esse la nostra certezza e fiducia: la sicurezza è esclusivamente il fatto di seguirlo, perchè la consistenza della mia vita è Lui.

Noi tendiamo ad identificare persino Cristo con una forma mentale, immaginativa, e in ultima analisi sentimentale, mentre Cristo è quest’uomo che è mistero.

Un mistero che non resta lontano, che non è confinato nei cieli, ma che si para di fronte al nostro quotidiano nell’infimo particolare: al mangiare, al bere, al riposarsi, all’incappare in contrattempi fastidiosi.

E’ il mistero che si coinvolge nei rapporti con la gente, in casa, che ci affronta faccia a faccia nel preciso momento in cui ci piacerebbe fare qualcosa mentre dobbiamo fare qualcosa d’altro, che ci interpella e ci provoca nelle cose che più ci premono, negli interessi più cari.

E in tale provocazione ci viene ancora ricordato: “Le mie vie non sono le tue vie“. 

Ed è il mistero che, nonostante noi viviamo continuamente l’idolatria delle nostre certezze, continuamente si offre fino a morire.

«Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine»

Giovanni 13,11

Correre esplicitamente il rischio di accettare il richiamo e la sfida di quella definizione di noi, di quel mistero che ci sollecita a riconoscerci fatti da Lui, è il cammino che educatore ed educando sono chiamati a percorrere insieme, ed è nel percorso comune, definito dalla meta decisiva del destino, che si impara come è fatta la strada.

Aderire al mistero

(46) Il riconoscimento del mistero: radice di tensione morale

(47) Per aderirvi noi siamo sempre chiamati ad uscire da noi stessi, a trapassare l’accento con cui siamo portati a percepire la cosa.

Anche quando noi cerchiamo di aderirvi secondo l’immagine che la nostra intenzione cerca di rendere più pura, la più obbediente possibile, è sempre con un distacco da sé che quell’adesione si realizza, perché non possiamo pretendere da quello che facciamo di essere giusti.

E’ ancora la Sua misericordia di cui il nostro apparato ha bisogno per avere speranza e certezza di salvezza.


MORALE / MORALITA’

(16) La morale non è nient’altro che continuare l’atteggiamento in cui Dio crea l’uomo di fronte a tutte le cose e nel rapporto con esse, originalmente (come Dio lo ha fatto).

Moralità è una tensione

(47) La moralità è una tensione. Dire che la moralità è tensione sta ad indicare una posizione sempre volta a qualcosa d’altro, disponibile ad essere corretta per penetrare maggiormente in una realtà più grande di noi.


MORALISMO E’ IDOLATRIA

E Dio disse: “facciamo l’uomo ad nostra immagine e a nostra somiglianza

Genesi 1,26

(45) Dio è la nostra definitività nel senso pieno della parola, non finalistico, ma proprio come definizione di noi.

Ora è esattamente questo che l’uomo non accetta.

Tutto il problema religioso è qui, tutto il problema della dignità del vivere è qui, il problema della verità e della menzogna nella vita è solo qui.

Sovente si tende a ridurre la considerazione di noi stessi all’avere o al non avere assecondato certe leggi, e in base a questo si definisce sé stessi.

Secondo la tradizione cristiana proprio qui si delinea la struttura del peccato: nel fatto di identificare la propria definitività con un idolo, cioè con una forma, con qualcosa di dominabile, totalmente comprensibile, con qualcosa di costruito in modo tale da darci sicurezza.

Per questo il moralismo è idolatria: esso è in realtà un’impostura della tua vita morale ridotta a cercare certezze in ciò che si fa o in ciò che non si fa.

Dire che la definitività dell’uomo è Dio, al contrario, significa che la definizione dell’uomo e del suo destino è mistero.


MOVIMENTO

(50) Per la nostra mentalità è impossibile renderci conto di che cosa veramente significhi dire: “La mia salvezza è Cristo”, così come è impossibile “naturalmente” capire che la propria definizione è un altro.

Più acutamente è inconcepibile che il proprio cambiamento e il proprio diventare veri è la pietà e la misericordia di un altro.

….sinteticamente si potrebbe dire che il metodo di un movimento come quello che è nato dai rilievi e dalle intuizioni che sono state ricordate all’inizio, consiste nel cercare e contribuire a creare condizioni di vita che facilitino il cammino di questa comprensione.

Assetto teorico del movimento

(28) …..voglio sottolineare che se la fede non c’entrasse con la razionalità, non potrebbe c’entrare con la vita, perchè la razionalità è il modo di vivere tipico di ogni uomo.

Quanto ho detto ha centrato tutto l’assetto del movimento che Dio mi ha dato la grazia di vedere, e che ha preso origine dal gusto della razionalità, dal gusto della chiarezza di concepire la razionalità, dal gusto di riviverla continuamente nell’atto che si pone.

(29)…c’è questo misterioso, ma reale, sperimentabile fenomeno di una realtà che è segno di un’altra.

La fede è l'esaltazione del segno, del valore del segno.

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ABC DEF GILMN/OPQRS TUV