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Lettera « R »
Links ai singoli temi
- Ragione
- Razionalismo moderno (Vedi Concezione razionalistica)
- Razionalità
- Realismo pedagogico
- Realtà
- Regno di Dio
- Relativismo
- Religiosità
- Responsabilità
- Rischio/rischioso
- Rispetto
RAGIONE
(28) (Episodio del professore sull’America)…io ho un concetto di ragione per cui che ci sia l’America è razionalmente preferibile, razionalmente affermabile, adesso , da me. Per lui no (il professore). Sono più sicuro che l’America ci sia che neanche che lui sia davanti a me (anche se non l’ho mai vista).
Così introdussi il concetto di certezza morale. Con ciò voglio sottolineare che se la fede non c’entrasse con la razionalità, la fede non potrebbe c’entrare con la vita, perché la razionalità è il modo tipico di vivere dell’uomo.
Ragione di fronte alla fede
(25ss) (continua il racconto dell’episodio del primo incontro con i ragazzi e lo scontro con il professore sull’America).
Quanto detto ha centrato tutto l’assetto teorico che Dio mi ha dato la grazia di vedere, e che ha preso origine dal gusto della razionalità, dal gusto di riviverla continuamente nell’atto che si pone.
Somma ragione
(50) Per la nostra mentalità è impossibile renderci conto di che cosa veramente significhi dire: “La mia salvezza è Cristo”, così come è impossibile “naturalmente” capire che la propria definizione è un altro.
Più acutamente è inconcepibile che il proprio cambiamento e il diventare veri è per la pietà e la misericordia di un altro.
Non è né probabile né ovvia che in una società come la nostra si sia aiutati a comprendere queste cose, perché non sono razionali nel senso naturalistico della parola: sono la somma ragione, vale a dire la partecipazione della coscienza della creatura alla coscienza di Dio.
RAZIONALITA’
(21s) Dimostrare la razionalità della fede, implica un concetto preciso di razionalità.
Dire che la fede esalta la razionalità, vuol dire che la fede corrisponde alle esigenze fondamentali e originali del cuore di ogni uomo.
La Bibbia, infatti, invece della parola “razionalità” usa la parola “cuore“.
La fede dunque, risponde alle esigenze originali del cuore dell’uomo, uguale in tutti: esigenza di vero, di bello, di bene, di giusto (del giusto), di amore, di soddisfazione totale di sé che – come spesso sottolineo ai ragazzi – identifica lo stesso contenuto indicato nella parola “perfezione” (satisfieri, satisfeceri, in latino è analogo al termine perficere, perfezione: perfezione e soddisfazione sono la stessa cosa, come lo sono felicità ed eternità).
Quindi intendiamo per razionalità il fatto di corrispondere alle esigenze fondamentali del cuore umano, quelle esigenze fondamentali con cui un uomo – volente o nolente, lo sappia o non lo sappia – giudica tutto, ultimamente giudica tutto, in modo perfetto e imperfetto.
Per questo dare ragione della fede significa descrivere sempre più, sempre più ampiamente, sempre più densamente, gli effetti della presenza di Cristo nella vita della Chiesa nella sua autenticità, quella la cui sentinella è il Papa di Roma.
E’ il cambiamento della vita che, dunque, la fede propone.
(22) Un Dio che non c’entra con quello che ora, oggi, io sperimento, non c’entra in nessun modo: non c’è, è un Dio che non c’è, è un Cristo che non c’è, è un Corpo di Cristo che non c’è; sarà in testa ai teologi, ma non in me, non può essere in me.
La separazione del cielo dalla terra è il delitto che ha reso il senso religioso o, meglio, il sentimento religioso, vago, astratto,
come una nube che corre nel cielo e presto svaga, si fiacca e scompare, mentre la terra resta dominata – volenti o nolenti – ultimamente, come fu con Adamo ed Eva, dall’orgoglio, dalla imposizione di sé, dalla violenza.
(29) La fede viene proposta come la suprema razionalità.
La frase così espressa può essere criticabile, ma occorre intendere cosa si vuol dire.
La fede viene proposta come appoggiata al supremo vertice della razionalità: quando giunge al suo vertice nell’esame di una cosa, nel sentimento di una cosa, la nostra natura umana sente che c’è qualcosa d’altro.
Questo definisce l’idea di segno: la nostra natura sente che quello che vive, che quello che ha tra mano, rimanda ad altro.
REALISMO PEDAGOGICO
(66s) Il realismo pedagogico si specifica subito nel seguente modo: la realtà non è mai veramente affermata, se non è affermata l’esistenza di un significato.
Un significato per la realtà totale sottende allora il processo dell’educazione.
REALTA’
(65) Eine Einführung in die Wirklichkeit, introduzione nella realtà, ecco cosa è l’educazione.
La parola “realtà” sta alla parola “educazione“, come la meta sta al cammino.
La meta è tutto il significato dell’andare umano: essa non è solo nel momento in cui l’impresa si compie e termina, ma anche in ogni passo della strada.
Così la realtà determina integralmente il movimento educativo passo passo e né il compimento.
Una introduzione alla realtà totale
Jungmann
Così lo Jungmann precisa la sua definizione: educazione significherà infatti, lo sviluppo di tutte le strutture di un individuo fino alla loro realizzazione integrale, e nello stesso l’affermazione di tutte le possibilità di connessione attiva di quella struttura con tutta la realtà.
La linea educativa è così innegabilmente segnata in tutto il suo dinamismo essenziale: nelle sue aspettative, nelle sue modalità, nella sua trama di connessioni.
La realtà la condiziona e la domina – la condiziona dalle origini e la domina come fine.
Qualunque pedagogia, che conservi un minimo di lealtà con l’evidenza, deve riconoscere e in qualche modo attendere a questa “realtà“.
Possiamo senz’altro dire che un’educazione ha tanto più valore quanto più obbedisce a questa realtà, quanto più cioè suggerisce attenzione ad essa, ne rispetta le pur minime indicazioni, in primo luogo l’originale necessità di dipendenza e la pazienza evolutrice.
L’educazione è introduzione alla realtà totale
(109) Ora educato ed educatore sono due uomini, sono due fra gli uomini: è il tempo di quella compagnia matura e forte che lega coloro che vivono una stessa esperienza del mondo, che incontrano il richiamo dell’essere in ogni istante del loro cammino; è il tempo in cui si lavora insieme, fianco a fianco, per un destino che tutti riunisce.
L‘introduzione alla realtà totale rivela qui la sua ultima valenza: quella di educazione operata dagli uomini più generosi e geniali per introdurre a un’altra, più perfetta e dilatante educazione.
In questa nuova fase unus est magister vester, il mistero stesso dell’Essere, di cui l’adolescenza ci ha resi meravigliosamente, consapevolmente devoti.
Si avrà allora il miracolo altrimenti inattingibile di una vita che, passando, avanza in giovinezza, in “educabilità“, in stupore e commozione di fronte alle cose: di una energia creatrice che cresce su di sé senza disperdersi o logorarsi, ma aderendo cordialissimamente a tutte le possibilità che l’esistenza produce; un tempo insomma, che si lascia invadere dalla potenza dell’eterno, e ne viene instancabilmente fecondato.
REGNO DI DIO
(103) La carità è una legge senza confini, universale, perciò cattolica.
In questa legge porre un limite non è limitarla, ma abrogarla. Occorre meditare che il richiamo cristiano è prima di tutto conquista del mondo in senso evangelico: il Regno.
Avere il senso del regno significa avere il senso missionario.
Dobbiamo vivere per l’universo, per l’umanità intera.
Limitare l’ambito del condividere, così come l’esistenza ce ne dà la possibilità, è rinnegare sè stessi.
….limitare, infatti, la propria apertura di convivenza è come cercare di imporre una misura alla legge profonda dell’essere, è confondere l’amore con il calcolo, è scambiare il condividere con un tentativo di dominio.
L’illimitatezza è la sola risposta possibile per la sete di cui l’uomo adulto suo malgrado, l’adolescente per esigenza urgente e vissuta sono preda.
RELATIVISMO
(123) La notazione rilevante, perché il concetto di democrazia e il concetto di apertura, così come è portato da una prevalente mentalità fra noi, tendono a mortificare il concetto di dialogo.
Si tende ad identificare come “democratico” il relativista, qualunque versione del relativismo viva, purché relativista: e si tende quindi ad identificare come antidemocratico (intollerante, dogmatico) chiunque affermi un assoluto.
….da questa mentalità, o dal compromesso con essa, nasce quel tentativo di definire “spirito aperto” chi sia proclive a “mettere da parte ciò in cui si è divisi, e guardare solo ciò in cui si è uniti”, a mettere da parte la visone che si ha della vita, il che è gravido di equivoci.
….la democrazia non può essere fondata interiormente su una quantità ideologica comune, ma sulla carità, cioè sull’amore dell’uomo, adeguatamente motivato dal suo rapporto con Dio.
RELIGIOSITA’
(48) Tutta quanta la religiosità dell’uomo si gioca nel riconoscere il significato totale e unico della vita è il mistero di Dio.
Perciò il senso della nostra vita eccede noi, è a noi enigmatico:
la religiosità dell’uomo si gioca sul fatto che la nostra sicurezza, il valore, il “ciò” per cui vale la pena” è il mistero.
In null’altro, neppure nell’osservanza di regole morali, perché il valore è il mistero cui partecipiamo rispondendo alla vocazione cristiana.
Neppure negli strumenti o strutture che incarnano la nostra risposta dobbiamo arrestarci, riponendo in esse la nostra certezza e fiducia: la sicurezza è esclusivamente il fatto di seguirlo, perché la consistenza della mia vita è Lui.
Noi tendiamo ad identificare Cristo con una forma mentale, immaginativa e, in ultima analisi sentimentale, mentre Cristo è quest’Uomo che è mistero.
RESPONSABILITA’
Responsabilita del giovane
(88) Proprio perché è decisa nel proporre una visione delle cose, l’educazione vera ha supremo interesse che il giovane si educhi a un paragone continuo non solo con le posizioni altrui, ma anche è soprattutto fra tutto ciò che gli capita e quell’idea offertagli (tràdita).
L’urgenza di questa sperimentazione personale implica una sollecitazione instancabile alla personale responsabilità del giovane; perché se l’idea è proposta e una collaborazione è offerta dall’educatore, è solo il consapevole impegno del singolo che ne realizzerà il valore e ne sorprenderà la esistenziale validità.
La sollecitazione alla responsabilità personale è ben lontana dall’essere un richiamo astratto – accademico – a un principio, e più ancora è lontana dal diventare più o meno istigazione a sbarazzarsi di ogni tradizione; essa deve diventare metodo di educazione.
Non basta che il giovane senta presente sé stesso al valore ideale: occorre che renda presente sé stesso al valore ideale “facendolo”.
Responsabilità della scelta
(104) Occorrerà quindi da un lato metterlo sempre più a contatto con tutti i fattori dell’ambiente, dall’altro lasciargli sempre più la responsabilità della scelta, seguendo una linea evolutiva determinata dalla coscienza che il ragazzo dovrà essere capace di far da sé di fronte a tutto.
RISCHIO/RISCHIOSO
Il metodo educativo di guidare l’adolescente all’incontro personale e sempre più autonomo con tutta la realtà che lo circonda, va tanto più applicato, quanto più il ragazzo si fa adulto.
(43s) In tale metodo ovviamente si gioca un rischio nell’insistere sulla razionalità del progetto di fede: non può pretendere di essere una dimostrazione matematica o apodittica.
E si entra in rischio quando si dice che è dall’esperienza che una convinzione può scaturire: non si tratta infatti di un feeling da evocare, di una emozione pietistica da suscitare, ma di un impegno che non può barare; si è quindi sulle sabbie mobili di una libertà.
Ricordo una significativa affermazione di Hans Hurs Von Balthasar:
«Egli comprende che, per comprendere, deve realizzare la verità in maniera vitale. In questo modo egli diventerà discepolo. Egli si impegna, si affida al cammino».
Hans Huns von Balthasar
D’altra parte, senza affrontare la prova del rischio, educatore ed educando partirebbero entrambi da una finzione: un mistero supposto, riducibile ad evidenza oculare e una libertà immaginata come meccanicamente reattiva in corrispondenza di ogni stimolo dato.
(104) L’evolversi infatti dell’autonomia del ragazzo rappresenta per l’intelligenza e il cuore – e anche per l’amor proprio – dell’educatore un rischio.
D’altra parte è proprio dal rischio del confronto che si genera nel giovane una sua personalità nel rapporto con tutte le cose; la sua libertà cioè “diviene”.
……L’esperienza deve farla il giovane stesso, perché questo rappresenta l’avverarsi della sua libertà.
E questo amore alla libertà fin nel rischio è soprattutto una direttiva che l’educazione deve tener presente.
Confronto rischioso
Una educazione totalmente autonomistica, lascia il giovane in preda dei suoi gusti, alla sua istintività, effettivamente privo di un criterio evolutivo, ma anche una educazione dominata dalla paura di un confronto dell’adolescente con il mondo, e mirante solo a preservarlo dall’urto, ne fa un essere a volta a volta incapace di personalità nei rapporti con il reale, o ribelle e squilibrato in potenza.
Qui emerge penosamente chiaro il caso di molti educatori (famiglie e scuole) il cui supremo ideale sia di non rischiare assolutamente nulla.
Il metodo invece educativamente più capace di bene non è quello che vive di fuga dalla realtà per affermare separatamente il bene, ma quello che vive della promozione della vittoria del bene nel mondo.
“Nel mondo” significa nel confronto con la realtà intera, confronto “rischioso”, se così lo si vuol chiamare; ma meglio si direbbe impegnativo.
RISPETTO
Il separare l’adolescente dal mondo, o anche il non aiutarlo a guidarlo nel confronto con il mondo, è causare per la coscienza viva di certi giovani, la scoperta amara della inesistenza di una adeguata direttiva per la vittoria del bene sul male.
(34) ”Rispetto” etimologicamente vuol dire guardare una cosa “squadrandone” un’altra, tenendola presente con la cosa dell’occhio: guardare tutto ciò che c’è, percependo la presenza di un altro.
Insomma, uno può essere pieno di sbagli, di errori, di incoerenza, ma la sua vita da cristiano è la fede e la fede è questo: coscienza di una presenza dentro l’orbita di qualsiasi esperienza presente.
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