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TEMPO LIBERO
(98ss) Altra condizione di verifica educativa è l’uso del tempo libero.
Il tempo libero è il luogo della più trasparente libera scelta dell’adolescente: dal suo uso egli stesso può documentare a sé il proprio “interesse” all’ipotesi educativa.
Il tempo libero è il punto in cui l’ideale più facilmente da “dovere” diventa “fascino”, iniziativa esclusiva del giovane, responsabilità coscientemente, generosamente assunta.
Una educazione incapace di affascinare il giovane nel suo tempo libero (o peggio, una educazione che si riduca a sperare di potere, non si sa come, invogliare il giovane all’ideale, avallando un uso del tempo libero che non ponga in primissimo piano l’impegno coraggioso con l’ideale stesso) è certamente angusta, non adeguata umanamente.
E’ il caso di molta catechesi intellettualizzante, che riguarda il tempo libero dei ragazzi solo come il momento in cui, abbandonati i richiami ideali, è possibile “tenerseli buoni”.
Altri, più sensibili all’umanità dei ragazzi, sperano di poter cavare, da un tempo libero dedicato anzitutto allo svago, conseguenze di impegno con i valori.
Occorre invece affrontare direttamente, senza infingimenti, il giovane con una seria proposta di impegno con i valori, proprio in quel tempo di cui lui può disporre.
I giovani intendono subito il richiamo, e restano o se ne vanno. Ma se, restano, il compito educativo è seriamente impostato.
Attraverso l’impegno con l’ideale nel tempo libero, l’adolescente imparerà a perseguire la sua ipotesi anche nel restante tempo, ove la pressione di necessità e influenze contingenti rendono la cosa più difficile per lui.
Ogni impazienza esigente negli educatori, (scuola o famiglia) riguardo a questo passaggio è ingiustificata, rivela astrattezza e non consapevolezza della evolutività sicura, ma graduale del fenomeno educativo.
Sarà perciò fuori luogo il richiamare l’individuo all’impegno nel “dovere” scolastico, familiare, ecc…., come a una priorità in contrasto con una già vissuta dedizione ideale del tempo libero.
È il tempo libero lo spazio più facilmente autentico della personalità del giovane, e su questo occorrerà innanzitutto puntare per richiedere da lui un impegno generoso e personale con l’ideale.
TRADIZIONE
(16) In “realtà e giovinezza. La sfida” ho scritto:
”E’ la tradizione consapevolmente abbracciata che offre la totalità di uno sguardo sulla realtà, offre una ipotesi di significato, una immagine del destino”.
Uno entra nel mondo con una immagine del destino, con una ipotesi di significato che non è ancora svolta in libri: è il cuore, come dicevamo prima: “La tradizione infatti – prosegue il testo – è come un ipotesi di lavoro con cui la natura butta l’uomo nel paragone con tutte le cose“.
(68) La lealtà con la tradizione sorgente dalla capacità di certezza.
Valore di questo principio: se chiamiamo tradizione quel dato originario, con tutta la struttura di valori e significati in cui il ragazzo è nato, si deve dire che la prima direttiva per una educazione della adolescenza è la leale adesione a questa “tradizione.
Tale tradizione funziona per il giovane come una specie di ipotesi esplicativa della realtà.
Non ci può essere una scoperta, cioè un passo nuovo, un contatto con la realtà generato dalla persona se non per una determinata idea di significato possibile, idea più o meno clamorosamente riflessa, ma presente e attiva.
(74) Solo una educazione come introduzione alla realtà umana e cosmica, alla luce di una ipotesi offerta da una storia o tradizione, può impedire sistematicamente nel giovane una partenza sconcertante e dissociata proprio per l’incoerenza o la manchevolezza con cui gli si propone la verità – cioè la corrispondenza tra la realtà e lui, il senso dell’esistenza.
E, impedendo questo, solo tale educazione può lanciare normalmente la coscienza di un giovane nel confronto del reale con serenità e solidità.
(93) Se dai 14 anni in poi, per 4 o 5 anni, insistentemente e sistematicamente il ragazzo non è aiutato a vedere la connessione tra il dato (la tradizione) e la vita, le sue nuove esperienze creano le premesse perché egli assuma uno dei tre atteggiamenti nemici del cristianesimo.
- Indifferenza, per cui sente come astratto tutto ciò che non entra in contatto diretto con l’esperienza;
- Il tradizionalismo, nel quale la gente più buona e meno vivace si arrocca rigidamente per non guardare ciò che sta fuori e per non sentirsi turbare la propria fede;
- L’ostilità, perché un Dio astratto è certamente un nemico, del quale, come minimo, si può dire che ci fa perdere tempo.
Il metodo decisivo, per impedire a una certa età certi atteggiamenti, sta nell’aiutare la sperimentazione di ciò che è stato dato, che deve essere posto al confronto con ogni cosa (questo “ogni” è importante nel confronto, ché altrimenti si cresce unilaterali e schematisti).
(104) L’appello alla tradizione può essere formulato in varia guisa, ma deve essere ben chiaro che
il vero concetto di tradizione è quello di rappresentare valori da riscoprire in novità di esperienze.
Chi deve compiere tale scoperta? Il padre? Il maestro? No: perché in tal caso si tratterebbe di tradizionalismo.
L’esperienza deve farla il giovane stesso, perché questo rappresenta l’avverarsi della libertà.
(112ss) Ognuno di noi non esisteva. Perciò ognuno di noi è formulato da un antefatto, un complesso che lo costituisce, che lo plasma.
La parola problema si riferisce a questo fenomeno fondamentale per una novità dell’esistenza di ognuno e nella vita del cosmo umano: la tradizione, la dote con sui l’esistenza si arricchisce alla nascita e nel primo sviluppo, deve essere posta davanti agli occhi, e l’individuo nella misura in cui è vivo, intelligente, vaglia ed esamina.
La tradizione deve entrare in crisi, la tradizione deve diventare problema: crisi significa dunque presa di coscienza della realtà di cui ci sentiamo formulati.
113 – Questa è la prima condizione per la conoscenza di sé stessi e prima condizione per un attacco critico al mondo e alla realtà, proprio perché la condizione per un attacco critico è la presa di coscienza degli strumenti, delle strutture in cui faremo via via gli incontri della vita.
Fedeltà e lealtà di fronte alla tradizione.
Quanto più uno vive, quanto più uno è acuto e vivace, quanto più uno ha intelligenza e sensibilità, tanto più la sua vita è tramata da incontri e ogni incontro è una proposta di affermazioni, o cose, o persone o avvenimenti.
(114ss) L’osservazione fatta prima della critica come positività, come genialità e non distruzione, non come grettezza ma come intelligenza, come apertura pronta a riconoscere la corrispondenza, non lamentosa di quel che non trova, ma tutta gioiosa di quel che trova (perché si vive di quel che si trova, ed è morte il fissarci su quel che non si trova) tale osservazione è innanzitutto da tener presente di fronte alla tradizione.
La parola crisi è infatti più importante nella storia di un giovane, come fenomeno introduttivo a una collaborazione per la costruzione della società nuova, nella misura in cui essa diventi scoperta del senso della vita.
Può sembrare un paradosso, ma occorre per costruire davvero la società nuova innanzitutto prendere sul serio la vecchia, cioè la propria tradizione; ma prendere sul serio la tradizione significa impegnarsi con essa secondo le modalità che essa implica. –
L’impegno con la tradizione cristiana.
(115) Il punto di partenza di questa crisi, di questo impegno con la tradizione da cui l’avvenire può venir fuori è la nostra situazione.
Noi siamo stati fatti vivere dentro l’ambito di una proposta che per natura sua è la più grossa proposta che l’uomo di possa aspettare.
Non esiste un proposta più grave di questa, più colossale di questa, quella di un uomo che dice: “Io sono Dio”.
Questo uomo continua nella storia, invade la geografia e il tempo fino a giungere a me.
Il fatto che questa proposta continuamente mi venga ridotta, mi sollecita continuamente almeno al dovere della ricerca.
Perciò stesso che siamo nati in un clima cristiano, in una tradizione, non c’è una cosa che possa essere trattata indipendentemente da essa.
Urge perciò continuamente l’impegno con questa proposta, impegno che è innanzitutto condizione perché sia possibile una collaborazione all’avvenire della società.
Caratteristiche dell’impegno con una simile proposta sono quelle che la proposta esige.
Non siamo noi a definire che cosa occorre fare per potersi sentire a posto con la coscienza; non possiamo essere noi, con una iniziativa della nostra fantasia, a determinare la modalità della verifica che dobbiamo fare, ma è la fisionomia stessa della proposta che ci impone il metodo da seguire.
Di fatto questa proposta cristiana coincide con una realtà umana intorno a noi; questa proposta ha un volto che, se non lo consideriamo, tradiamo; e questo volto è la comunità della Chiesa.
117 – il volto di questa proposta muta, ma essa permane una, l’unico mistero della Chiesa, visibile, sensibile.
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