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Lettera «C»
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- Capire
- Carisma
- Carità
- Certezza morale
- Chiesa
- Coerenza
- Compagnia
- Comunità
- Concezione razionalista e laicista moderna
- Continuità di richiamo
- Conversione
- Convinzione
- Coscienza di sé
- Crisi
- Cristianesimo
- Criterio per giudicare
- Critica
- Cultura
- Cuore
CAPIRE
(127)..….è l’errore implicito nella solita frase “fare esperienze” ove “esperienza” diventa sinonimo di “provare”.
Ciò che caratterizza l’esperienza è il capire una cosa, lo scoprirne il senso.
L’esperienza quindi implica intelligenza del senso delle cose.
E il senso di una cosa si scopre nella sua connessione con il resto, perciò esperienza significa a che cosa una determinata cosa serve al mondo
CARISMA
(23) «Noi ebrei non diamo il regno dei cieli agli uomini, ma vogliamo che Dio torni a regnare sulla terra»
Elio Toaf
Questa è esattamente la caratteristica del carisma con cui abbiamo percepito e sentito il cristianesimo, perché il cristianesimo è “Dio in terra” e la nostra opera, tutta la nostra vita, ha come scopo la gloria di Cristo, la gloria dell’uomo Cristo, dell’uomo-Dio Cristo.
La Gloria di Cristo, è una cosa temporale, del tempo, dello spazio, della storia, nella storia, al di qua dell’ultimo limite, perché al di là ci pensa solo Lui a farsi gloria: coincide con l’eterno di là, ma di qua, se io non lo, servo, la sua gloria è minore.
CARITA’
Carità
(103) (Dimensione missionaria) la carità è una legge senza confini, universale; perciò cattolica.
In questa legge, porre un limite non è limitarla è abrogarla.
Occorre meditare che il richiamo cristiano è prima di tutto conquista del mondo nel senso evangelico: il Regno.
Avere il senso del Regno significa avere il senso missionario.
Dobbiamo vivere per l’universo, per l’umanità intera.
Limitare l’ambito del condividere, così come l’esistenza ce ne dà la possibilità, è rinnegare sé stessi – è peccato (cioè “difetto”) che nella sua origine latina vuol dire “venire a mancare” di qualcosa.
Viene in mente il detto del Signore:
“Chi fa peccato è uno schiavo“
Giovanni 8,34
Limitare infatti la propria apertura di convivenza è cercare di imporre una propria misura alla legge profonda dell’Essere, è confondere l’amore con il calcolo, è scambiare il condividere con un tentativo di dominio.
L’illimitatezza è la sola risposta possibile per la sete di cui l’uomo adulto suo malgrado, l’adolescente per esigenza urgente e vissuta sono presa.
Dimensione della carità
(102) L’esigenza di una radicalità assoluta nell’amore (dimensione della carità nel suo senso più genuino).
Amare è innanzitutto un modo di concepire sé; concepire sé come convivenza, come ontologicamente legato al tutto.
Lo stesso gesto che crea me, crea tutto: per cui tutto è parte della mia esistenza.
Il cristianesimo rende misterioso conto di questo fatto:
l’origine dell’essere, il Dio, è convivenza (TRINITA’).
Amore non è innanzitutto un “sentimento” non è un “gusto” né è un dare che non sia il dare sé: è concepirsi e accettarsi come unione; ciò sia ben chiaro nel richiamo che si lancia.
L’adolescente va richiamato a una purezza totale di motivi.
Specialmente certo sentimentalismo, molto in voga nel sollecitare il giovane, è sentito da lui come artificiosità, non essenzialità, non-motivo.
CERTEZZA MORALE
Don Giussani ai suoi primi studenti durante una discussione con il prof. di filosofia
(28)……….state attenti al vostro professore, perché può indurvi ad avere un concetto di ragione per cui affermare che c’è l’America senza averla vista non è razionale, mentre affermare uno che sta davanti agli occhi è razionale. Sono più sicuro che l’America ci sia (senza esserci mai stato) che neanche lui sia davanti a me
Così introdussi il concetto di “certezza morale“. (29) Non ci sono appena la ragione debole e il nichilismo: c’è questo misterioso ma reale fenomeno di una realtà che è segno di un’altra.
La fede è l’esaltazione del segno.
CHIESA
Chiesa
(85) Questa naturale funzione del richiamo continuo e coerente al senso ultimo di ogni cosa è nel cristianesimo valorizzata al massimo dalla Chiesa (madre di tutti credenti).
Essa rappresenta nel suo ambito più vasto e comprensivo la continua sorgente dell’ipotesi in cui i genitori cristiani generano i figli.
Genitori e Chiesa sono per il cristianesimo la garanzia ultima della coerenza necessaria a ogni educazione.
La Chiesa è congregazione
(51) Il rapporto con il nostro destino, se non vuole ridursi ad affermazione astratta o suggestione sentimentale, deve essere rapporto con un luogo che diventi traccia del destino stesso, a Cristo.
Questa traccia è in senso ampio la Chiesa di Dio, ma, domandiamoci, di che cosa è fatta la Chiesa di Dio? di uomini convocati.
“Ecclesia est quaedam congregatio“
san Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae III, q.8,art.4
“La Chiesa è congregazione“, una assemblea, come anche il significato letterale della parola ecclesia indica.
Un’assemblea: costitutiva del nostro essere in quanto c’è il mistero di Cristo, ed educativa del nostro essere a identificarci sempre di più con quel mistero.
Dunque quella traccia è fatta di gente chiamata allo stesso modo.
Ma la gente sta in uno spazio, così come vive in un determinato tempo, e spazio e tempo si chiamano luogo, ambito.
Il rapporto con Cristo passa attraverso della gente che insieme crea dei rapporti, che ha bisogno di stanze, sedie, finestre, pentole e minestra, letti per dormire, che ha bisogno insomma di tutto ciò che occorre alla vita.
Ecco il modo per cui la Chiesa di Dio non si riduce ad andare a Messa quando lo si ritenga opportuno (e non si riduce quindi a qualcosa di astratto)!
COERENZA
(84s) La funzione educatrice di una vera autorità si configura precisamente come “funzione di coerenza“: una continuità di richiamo ai valori ultimi e all’impegno della coscienza con essi; un permanente criterio di giudizio su tutta la realtà; una salvaguardia stabile del nesso sempre nuovo tra mutevoli atteggiamenti del giovane e il senso ultimo totale della realtà.
Dall’esperienza dell’autorità nasce quella della coerenza.
Coerenza è stabilità efficiente nel tempo, è continuità di vita.
In un fenomeno pazientemente evolutivo come quello dell’introduzione alla realtà totale, la coerenza è fattore indispensabile.
Una certezza originaria che non potesse continuare a riproporsi nella coerenza di una evoluzione, finirebbe con l ‘essere sentita astratta, un dato fondamentalmente subito, ma non vitalmente sviluppato.
Senza la compagnia di una vera autorità ogni ipotesi rimarrebbe tale, ci sarebbe solo una cristallizzazione, oppure ogni iniziativa rinvierebbe in nullal’ipotesi originaria.
D’altro canto, la coerenza, se è la presenza continua di un senso totale della realtà, al di là di ogni gusto momentaneo e parere capriccioso dell’individuo, è potente educazione alla dipendenza del reale […] essi (i genitori) rappresentano nella vita dell’adolescente la permanente coerenza dell’origine con sé stessa, la dipendenza continua con un senso totale della realtà, che precede ed eccede da ogni parte il beneplacito dell’individuo.
Questa naturale funzione del richiamo continuo e coerente al senso ultimo di ogni cosa è nel cristianesimo valorizzata al massimo dalla Chiesa (madre di tutti i credenti).
Coerenza ideale
(60) E’ ovvio ancor oggi che solo una continuità di richiamo può sperare di creare una forma educativa stabile e quindi feconda.
Mi pare però si debba in aggiunta osservare che per ottenere questo esito non si tratti innanzitutto di coerenza etico pratico dell’educatore, bensì di coerenza logica, o meglio di coerenza ideale nell’educatore stesso, per cui soprattutto il richiamo di principio dimostra di saper diventare riferimento per tutto lo svolgersi del vivere.
Se il maestro richiama il principio teorico tralasciando di renderlo parametro per i giudizi particolari che la vita richiede, anche l’eventuale sua coerenza morale non è letta dai giovani come documentazione della possibilità di applicazione del principio e quindi come verifica della sua validità reale.
E’ una espressa logicità che colpisce la coscienza del giovane fissando i termini ideali dentro la stoffa della sua ratio.
COMPAGNIA
Compagnia vocazionale
(57) Se uno sente la sua compagnia vocazionale come un piccolo pezzo di umanità nuova che incomincia a svelare, a diventare segno del mistero per cui Cristo è la sostanza di tutto, se non si sente così ogni cosa con cui si viene a contatto ogni giorno, come si fa a vivere sospesi al mistero e a rendergli perciò gloria e testimonianza?
Come si potrebbe diventare quell’artista supremo che è chi nel mondo fa vibrare il volto di Cristo, e rende ciò che tocca, nel modo con cui lo tocca, segno della sua Presenza misteriosa?
Compagnia di una vera autorità
L’autorità è il qualche modo il mio “io” più vero.
Senza la compagnia di una vera autorità ogni ipotesi rimarrebbe tale, ci sarebbe solo una cristallizzazione.
COMUNITA’
(96s) La reale dipendenza da un senso totale delle cose esige psicologicamente che la verifica nell’ambiente non sia compiuta in un modo solitario e perciò indipendente e astratto dal giovane.
Occorre che il suo modo di affrontare tutte le realtà sia vissuto comunitariamente.
Poche cose sono così ripetute come questa parola e poche sono così mal vissute e innanzitutto malcomprese come questa parola.
La comunità è l’unità profonda che nasce dalla convivenza provocata da una comune struttura.
Nella nostra insistenza organizzativa, noi confondiamo le associazioni con le comunità.
Noi crediamo che si possa fare la comunità come convergenza dal di fuori, come accordo per fare una data cosa.
La comunità proprio, perché è iniziale convivenza, è dimensione interiore, è all’origine dei nostri pensieri e delle nostre azioni; altrimenti non è comunità ma calcolo.
La comunità è un modo di concepire le cose, è un modo di affrontare il problema dell’essere, come dello studio, come della storia, dell’amore.
La comunità, insomma, è un modo con cui ci si accosta a tutte le cose.
In ogni impresa umana veramente educativa la dimensione comunitaria è presente.
Basti pensare alla comunità originaria e decisiva per l’educazione, la famiglia.
Nessun grande genio educatore si mosse mai senza immediatamente generare comunità.
Il senso dell’universale genera, inesorabilmente, il senso della comunità.
Una ipotesi di senso totale veramente vissuta non può che presentarsi come comunità.
Questa struttura ontologica della ricerca del vero è dal cattolicesimo fatta addirittura condizione di salvezza, presenza inesauribile del Significato tra gli uomini.
L’autorità stessa ha come funzione tipica la genesi della comunità (plantatio Ecclesiae).
E qui sovviene il ricordo di tanta impostazione educativa, magari religiosa, sia in famiglia che altrove.
Essa non riesce a formare personalità veramente aperte e intimamente coscienti dei valori che affermano.
Ché la verifica di un valore è data dalla sua capacità di sostenere i rapporti, e prima di tutto i rapporti con le persone, tutte le persone.
Comunità della Chiesa
(117) Di fatto questa proposta cristiana (quella di un uomo che dice “io sono Dio“), coincide con una realtà umana intorno a noi; questa proposta ha un volto che, se non lo consideriamo, tradiamo; è questo volto la comunità della Chiesa.
Solo un impegno totale di noi e della nostra vita con la comunità della Chiesa, con questo mistero di Dio nel mondo, con questa emergenza continua, indefettibile della proposta di Cristo attraverso i secoli, può costituire un confronto serio e generare una valutazione adeguata della tradizione da cui nasciamo.
Il volto di questa proposta muta, ma essa rimane una, l’unico mistero della Chiesa visibile, sensibile Realtà.
Occorre vivere questa Realtà, impegnare tutti noi, con questa Realtà, cioè entrarvi dentro e paragonare tutte le sue movenze, tutti i suoi suggerimenti, tutte le sue direttive con le esigenze ultime della propria umanità; ed è nella misura in cui quei suggerimenti, quelle direttive, quelle iniziative noi scopriamo risolutrici delle nostre autentiche esigenze di uomo e quindi valorizzatrici di queste, che si spalancheranno in noi, sempre più gravi e definitive, l’adesione e la convinzione.
Non è dunque solo studiare la teologia o fare associazione, ma è tutto, è tutta la vita, perché la proposta ci arriva, ci raggiunge come nuova vita, la nascita di un uomo nuovo.
Essere “convinti” vuol dire essere “legati” in tutto il proprio io a qualcosa: saremo dunque legati a tutti a quella Realtà; quella Realtà diventerà noi e noi ci sentiremo quella Realtà.
CONCEZIONE RAZIONALISTICA E LAICISTA MODERNA
(71) Notevoli nella loro drammaticità paiono invece le conseguenze della negazione del principio esposto (introduzione alla realtà totale attraverso l’autorità e la tradizione); negazione diffusa nella concezione razionalistica e laicista moderna per la quale la personalità sarebbe un termine di una spontaneità evolutiva, senza che occorra una regola o guida oltre sé stessi – senza cioè che ci sia qualcosa da cui veramente dipendere: tutto ciò che sta fuori dal proprio io non sarebbe che pura occasione per reazioni totalmente autonome.
Una simile posizione inceppa e sfasa la personalità in formazione. Una personalità infatti aumenta nella misura in cui si approfondisce una vera libertà di giudizio e una vera libertà di scelta.
Ora, per giudicare e scegliere occorre un metro, un criterio, e se esso non è l’affermazione di quella realtà originaria in cui la natura ci forma, allora l’individuo si illude di crearselo da sé e il più delle volte sarà abbandono a una reazione, o il soggiacere a una forza esterna sopraggiunta, un essere trascinati.
Gli avvenimenti o le affermazioni fenomenicamente nuovi, più sollecitatori di un istinto o di una proclività, meno incomodi per inerzia, più violentemente impressionanti, più affascinanti come modalità di proposta: questi prevarranno automaticamente come criteri per il giovane.
La pretesa autonomia della scuola laicista vive di fatto come alienazione di sé in ogni istante, come abdicazione continua di una vera iniziativa, per cedere ad una violenza, che non scandalizza più solo perché tragicamente furtiva.
(73) L’esperienza di politicizzazione dei giovani ha dato la misura di un giusto bisogno, ma ha anche mostrato che l’ipotesi ideologica che si pretende esplicativa di tutta la realtà riduce gravemente l’esigenza del giovane, il quale si trova alla mercé della stessa indecisione e dello stesso scettico svuotamento che erano stati risultati da una impostazione educativa carente di chiara ipotesi interpretativa del reale.
(75s) Nella scuola l’influsso della mentalità laicista è visibilissimo.
Innanzitutto l’insegnamento non si cura di offrire aiuto per l’effettiva presa di coscienza di una ipotesi esplicativa unitaria.
La predominante analiticità dei programmi abbandona lo studente di fronte ad una eterogeneità di cose e a una contradditorietà di cose e ad una contradditorietà di soluzioni che lo lasciano sconcertato e avvilito di incertezza.
Questi fenomeni (nozionismo e frammentarietà dei programmi) rivelano un vuoto che è come una malattia solo in parte diagnosticata e quindi solo in parte curata, cosicché, come spesso accade nelle terapie parziali, il paziente prova nuovi sintomi di disagio che purtroppo finiscono con l’assomarsi ai precedenti.
(76) Il giovane studente manca, normalmente, di una guida che lo aiuti a scoprire quel senso unitario delle cose, senza del quale egli vive una dissociazione, più o meno cosciente, ma sempre logorante.
(90) Anche l’evidenza più geniale non diviene convinzione se l’«io» non familiarizza con l’oggetto, se non si apre con attenzione e con pazienza all’oggetto, non gli dà tempo, non convive con esso: cioè non lo ama.
Il razionalismo moderno dimentica e rinnega la fondamentale dipendenza dell’io; dimentica o rinnega la grande originale sorpresa che è l’evidenza.
Un ragazzo di 1a liceo, dopo una discussione definì così l’evidenza: l’accorgersi di una inesorabile presenza.
Il razionalismo di oggi dimentica o rinnega che vivere è condividere questa presenza, che perciò c’è una compagnia da accettare lealmente e intensamente, se si vuol vivere con intelligenza.
La mentalità moderna insegna, purtroppo ai giovani a seguire le cose fino ad una misura ad essi comunque gradita, e poi basta.
Per cui questa “presenza” è affrontata come spunto per affermare proprie preoccupazioni, propri schemi: non per essere seguite fedelmente fino in fondo.
Così, là dove quella presenza non corrisponde a predeterminate preoccupazioni, il fuoco di fila dei “se” e dei “ma” fa così spesso da copertura a una mancanza di disponibilità e di genuino amore al vero e al bene.
CONTINUITA’ DI RICHIAMO
(59S) Nel capitolo primo (“dinamica e fattori dell’avvenimento educativo”) si insiste sull’importanza della funzione educatrice, definendola “funzione di coerenza“.
A questa espressione si affiancano altre che evocano, connessa a tale funzione, un “continuità di richiamo” e un “permanente criterio di giudizio” quale salvaguardia stabile del nesso” […] tra i mutevoli atteggiamenti del giovane e il senso ultimo.
E’ ovvio che ancora oggi che una continuità di richiamo può sperare di creare una forma educativa stabile e quindi feconda.
Mi pare però si debba in aggiunta osservare che per ottenere questo esito non si tratti innanzitutto di coerenza etico-pratica dell’educatore, bensì di coerenza logica, o meglio, di coerenza ideale nell’educatore stesso, per cui soprattutto il richiamo di principio dimostra di saper diventare riferimento per tutto lo svolgersi del vivere.
Se il maestro richiama il principio tralasciando di renderlo parametro per i giudizi particolari che la vita richiede, anche l’eventuale sua coerenza morale non è letta dai giovani come documentazione della possibilità di applicazione del principio e quindi come verifica della sua validità reale.
E’ una espressa logicità che colpisce la coscienza del giovane fissando i termini ideali dentra la stoffa della ratio.
CONVERSIONE
(74) La natura costruisce il singolo uomo con un materiale preciso, in una situazione precisa, con una determinata struttura, con una caratteristica sua movenza, e lo getta nell’universale paragone con questa formula iniziale; l’umana coscienza riplasma poi nel lavoro originale della sua libertà e della sua intelligenza il proprio dato di partenza; ma è soprattutto svolgendo questo dato con rispetto che lo può riplasmare con avveduta saggezza ed energia personale.
Diceva Newman che tutte le conversioni non sono altro che la scoperta più approfondita di quello che già prima veramente si voleva.
Ogni vera conversione è un approfondimento.
Lo strano concetto di novità, che è in voga dimentica come ogni esperienza di vera novità, quindi conquista, è necessariamente un paragone con qualcosa che rimane, ché altrimenti non sarebbe novità, ma dissoluzione in polvere.
L’affermazione laicista (che riduce gravemente l’esigenza del giovane) pare gravemente ambigua proprio perchè il vero confronto esige una consapevolezza di sé, uno sviluppo intenso del dato originario che costituisce il primo fondamento della coscienza.
E le imprese di un uomo saranno tanto più personali, cioè “scelte” razionalmente, quanto più saranno avvedute dei dati da cui devono partire e delle strutture di cui devono fare uso.
CONVINZIONE
(87) Per rispondere in modo adeguato alle esigenze educative dell’adolescenza non basta proporre con chiarezza un significato delle cose, ne basta una intensità di reale autorità in chi lo propone.
Occorre suscitare nell’adolescente personale impegno con la propria origine; occorre che l’offerta tradizionale sia verificata; e ciò può essere fatta solo dall’iniziativa del ragazzo.
Una della caratteristiche più gravi di una personalità è la “forza della convinzione“: il flusso creativo, l’apporto costruttivo di una personalità dipende da essa, come continuità e solidità.
Ora, la convivenza deriva dal fatto che l’idea abbracciata o ricevuta viene scoperta in connessione vitale con le proprie situazioni, pertinente alle proprie esigenze e progetti.
La convinzione sorge come una verifica in cui l’idea o la visione di partenza si dimostra chiave di volta per tutti gli incontri, profondamente riferita a ciò che vive, e quindi luce risolutiva per le esperienze.
Tutta la propria realtà personale si trova in corrispondenza con quell’idea originaria, che fungeva inconsapevolmente da ipotesi, a cui tutto l’essere dell’uomo viene fatto devoto dalla sua validità via via sperimentate.
(92) Se volessimo riassumere, dovremmo dire che psicologicamente la convinzione sorge dalla scoperta che l’intelligenza propone come ipotesi unitaria, ma che l’amore verifica nella dedizione dell’esistenza.
Perciò per aiutare l’avvenimento della convinzione, una educazione deve da una parte proporre chiaramente, decisamente un unitario senso delle cose, e dall’altra instancabilmente spingere ili giovane a confrontare con quel criterio ogni incontro, a impegnarsi cioè in una personale esperienza, in una verifica esistenziale.
Proviamo a pensare all’importanza enorme che tutto ciò deve avere per una convinzione religiosa.
(117s) Occorre vivere questa Realtà, impegnare noi tutti con questa realtà, cioè entrarvi dentro e paragonare tutte le sue movenze, tutti i suoi suggerimenti, tutte le sue direttive con le esigenze ultime della propria umanità; ed è nella misura in cui quei suggerimenti, quelle direttive, quelle iniziative noi scopriamo risolutive delle nostre autentiche esigenze di uomo e quindi valorizzatrici di queste, che si spalancheranno in noi, sempre più gravi e definitive, l’adesione e la convinzione.
Non è dunque solo studiare teologia o fare associazione, ma è tutto, è tutta la vita, perchè la proposta ci arriva, ci raggiunge come nuova vita, la nascita di un uomo nuovo.
Essere convinti vuol dire essere “legati” in tutto il proprio io a qualcosa: saremo dunque legati tutti a quella Realtà; quella realtà diventerà noi e noi sentiremo quella Realtà.
La convinzione sorge come verifica
(87) Occorre suscitare nell’adolescente personale impegno con la propria origine; occorre che l’offerta tradizionale sia verificata; e ciò può essere fatto solo dall’iniziativa del ragazzo e da nessun altro per lui.
Una delle caratteristiche più gravi di una personalità è la “forza di convinzione“: il flusso creativo, l’apporto costruttivo di una personalità dipende da essa, come continuità e solidità.
Ora, la convinzione deriva dal fatto che l’idea abbracciata e ricevuta viene scoperta in connessione vitale con le proprie situazioni, pertinente alle proprie esigenze e progetti.
La convinzione sorge come una verifica in cui l’idea o la visione di partenza si dimostra chiave di volta di tutti gli incontri, profondamente riferita a ciò che vive, e quindi luce risolutiva per la esperienza.
COSCIENZA DI SE’
(121) L’apertura senza limite, che è propria del dialogo come fattore evolutivo della persona e creativo di una società nuova, ha una gravissima necessità: non è mai vero dialogo se non in quanto io porto coscienza di me.
E’ dialogo, cioè, se viene vissuto come paragone tra la proposta dell’altro e la coscienza della proposta che rappresento io, che sono io: non è dialogo, cioè, se non nella misura della mia maturità nella coscienza di me.
Per questo se la “crisi”, nel senso di impegno per un vaglio della propria tradizione, non precede logicamente il dialogo con l’altro, in quella misura io resto bloccato dall’influsso dell’altro, oppure l’altro che respingo provoca un irrigidimento irrazionale nella mia posizione.
Quindi è vero che il dialogo implica apertura verso l’altro, chiunque sia, purché chiunque testimonia un interesse o un aspetto che avresti messo da parte, e perciò chiunque provoca a un paragone sempre più completo; ma il dialogo implica anche una maturità in me, una coscienza critica di quello che sono.
CRISI
(111s) “Crisi” e critica non coincidono con dubbio e negazione. La parola crisi (dal greco krino, vagliare) è normalmente sentita, per la mentalità di oggi, in senso dubitativo e negativo, come se crisi e critica automaticamente coincidessero con negazione, a ricerca delle cose da accusare, delle realtà cui obiettare: è questo, evidentemente, un concetto miope (o gretto!) di crisi, di critica.
La critica innanzitutto è l’espressione della genialità umana che è in noi, una genialità tutta protesa a scoprire l’essere, a scoprire i valori.
(112) La parola crisi è piuttosto legata ad un’altra parola, la parola problema: non “dubbio”, ma “problema” che nella sua etimologia greca ci indica infatti il porsi davanti agli occhi qualcosa.
Ognuno di noi nasce con un complesso di doti, che una parola magnifica riassume (è un’altra parola che l’etimologia fa sentire nella sua bellezza), la parola “tradizione“.
La tradizione, la dote con cui l’esistenza ci arricchisce alla nascita e nel primo sviluppo, deve essere posta davanti agli occhi, e l’individuo nella misura in cui è vivo, intelligente, vaglia ed esamina.
La tradizione deve entrare in “crisi“, la tradizione deve diventare problema: crisi significa dunque presa di coscienza della realtà di cui ci sentiamo formulati.
(113) Si tratta innanzitutto, dunque, di una serietà di fronte al passato, dove la parola “passato” indica ciò di cui noi siamo stati fatti per affrontare il reale in cui ci inseriamo.
Questa è la prima condizione al mondo e alla realtà, proprio perché la condizione per un attacco critico è la presa di coscienza degli strumenti, delle strutture in cui faremo via via gli incontri della vita.
(114) L’osservazione fatta prima della critica come positività, come genialità e non distruzione, non come grettezza ma come intelligenza, come apertura pronta a riconoscere la corrispondenza, non lamentosa di quel che non trova, ma tutta gioiosa di quel che trova (perché si vive di quel che si trova, ed è morte fissarci su quello che ancora non si trova) tale osservazione è innanzitutto da tener presente di fronte alla tradizione.
La parola “crisi” infatti è più importante nella storia di un giovane, come fenomeno introduttivo a una collaborazione per la costruzione della società nuova, nella misura in cui essa diventi scoperta del senso della storia.
(121) Non è mai vero dialogo se non in quanto io porto coscienza di me.
E’ dialogo, cioè, se viene vissuto come paragone tra la proposta dell’altro e la coscienza della proposta che rappresento io, che sono io: non è dialogo, cioè, se non nella misura della mia maturità nella coscienza di me.
Per questo se la “crisi“, nel senso di impegno per un vaglio della propria tradizione, non precede logicamente il dialogo con l’altro, in quella misura io resto bloccato dall’influsso con l’altro, oppure l’altro che respingo provoca un irrigidimento irrazionale nella mia posizione.
CRISTIANESIMO
(36) Il cristianesimo è un evento: bisogna sottoporgli la vita, la vita intera nell’istante.
Nell'esperienza di un grande amore tutto diventa avvenimento nel suo ambito
Romano Guardini
…..così all’avvenimento cristiano bisogna sottoporre l’intera storia della nostra vita.
…….l’idea del cristianesimo come avvenimento – perciò la grande legge per cui capire la fede, siccome essa è l’ “accusa” di un evento, di un avvenimento, non una parola o un pensiero, è partecipare all’evento stesso, adeguatamente per quanto si è capaci e domandando a Dio di renderci capaci -, entrambe queste cose favoriscono quello che adesso sembra essere la parola più ponderosa e grave del problema religioso: “l’ecumenismo”.
Per sua natura il cristianesimo è ecumenico e la fede cristiana è ecumenica; pretendendosi verità, non solo non ha paura di accostamenti, ma da ogni incontro innanzitutto estrae quel che è vero, ciò che è già suo, costruendo il proprio volto nella storia con questa magnanimità per cui tutto ciò che incontra guarda l’aspetto vero, lo esalta, dice se è giusto, se è buono, se è vero.
E si costruisce con tutto ciò che si incontra, non esclude nulla, non giudica nulla: afferma ciò che le è stato dato, afferma ciò che è.
(124) Due cose sono fondamentali per la costruzione di una società nuova: vivere nell’ambiente la comunità cristiana, scoprire finalmente che “crisi” “critica” al proprio cristianesimo significa capire che il cristianesimo è proposta a tutta la vita (vivere ogni interesse secondo il suggerimento delle comunità cristiane), perciò almeno come ipotesi di lavoro, per un impegno di tutta la vita.
Portare in questo lavoro una attenzione e una apertura totale, una libertà di spirito che ci permetta di esprimere in modo vivo il tuo cristianesimo, di tradurlo magari in forme nuove, abbandonando immediatamente, se le cose lo richiedono, la forma vecchia con prontezza e l’agilità, cui accennava Gesù, quando nel Vangelo dice che il cristianesimo e la vita che Egli ha portato è come vino sempre nuovo e non si mette il vino nuovo negli otri vecchi, né il panno nuovo e lo si mette sull’antico, perché allora peior scissura fit, cioè andrebbe peggio di prima.
Il cristianesimo è ecumenico
(93s) Per sua natura il cristianesimo è ecumenico e la fede cristiana è ecumenica; pretendendosi verità, non solo non ha paura di accostamenti, ma ad ogni incontro innanzitutto estrae quel che è vero, ciò che è già suo, costruendo il proprio volto nella storia con questa magnanimità per cui tutto ciò che incontra guarda l’aspetto vero, lo esalta, dice se è giusto, se è buono, se è vero. e si costruisce con tutto ciò che incontra, non esclude nulla, non giudica nulla: afferma ciò che le è stato dato, afferma ciò che è.
Nemici del cristianesimo
(93s) Se dai 14 anni in poi, per 4 o 5 anni, insistentemente e sistematicamente il ragazzo non è aiutato a vedere la connessione con il dato (“la tradizione”) e la vita, le sue nuove esperienze creano le premesse perché egli assuma uno dei tre atteggiamenti nemici del cristianesimo: l’indifferenza, per cui sente come astratto tutto ciò che non entra in contatto diretto con l’esperienza; il tradizionalismo, nel quale la gente più buona o meno vivace si arrocca rigidamente per non guardare ciò che sta fuori e per non sentirsi turbare la propria fede; l’ostilità, perchè un Dio astratto è certamente un nemico, del quale, come minimo, si può dire che ci fa perdere tempo.
Il metodo decisivo, per impedire a una certa età tali atteggiamenti, sta nell’aiutare la sperimentazione di ciò che è stato dato, che deve essere posto a confronto con ogni cosa (questo “ogni” è importante nel confronto), ché altrimenti si cresce unilaterali e schematisti.
Proposta cristiana
(118) La proposta cristiana ci appare come comunità che ci invita a vivere una vita: “vieni e vedi“.
Noi – quasi come Nicodemo – avremmo la tentazione di obbiettare: “Sarà possibile?” ma la replica non muta:” Vieni e vedi“, cioè “Seguimi e Vedrai“.
E’ un impegno che -sia pure come ipotesi di lavoro, potremmo dire – implica un buttare tutta la nostra vita dentro la comunità della chiesa, un identificare la vita della comunità della Chiesa con la nostra vita: allora “vedi”, cioè ci accorgiamo che cosa sia per noi. E’ una reale “verifica” da compiere.
Criterio per giudicare
(18) …..quel che gli ha messo sulle spalle la tradizione, con i desideri del suo cuore: il criterio ultimo del giudizio, infatti, è in noi, altrimenti siamo alienati. E il criterio ultimo che è in ciascuno di noi, è identico: è esigenza di vero, di bello, di buono.
Al di qua o attraverso tutte le differenze possibili e immaginabili con cui la fantasia può giocare su queste esigenze, queste fondamentalmente rimangono identiche nelle mosse, anche se diverse per i connotati delle circostanze dell’esperienza.
(71) Una personalità aumenta nella misura in cui si approfondisce una vera libertà di giudizio e una vera libertà di scelta.
Ora, per giudicare e scegliere occorre un metro, un criterio, e se esso non è l’affermazione di quella realtà originaria in cui la natura ci forma, allora l’individuo si illude di crearselo da sé e il più delle volte sarà abbandono a una reazione, o il soggiacere a una forza esterna sopraggiunta.
CRITICA
(18ss) La nostra insistenza è sull’educazione critica: il ragazzo riceve dal passato attraverso un vissuto presente in cui si imbatte, che gli propone quel passato e gliene dà le ragioni: ma egli deve prendere questo passato e queste ragioni, mettersele davanti agli occhi, paragonarle con il proprio cuore e dire: “E’ vero “, “Non è vero”, “dubito”.
E così, con l’aiuto di una compagnia (senza questa compagnia l’uomo è troppo alla mercé delle tempeste del suo cuore, nel senso non buono ed istintivo del termine), può dire “Sì” oppure “No!”. Così facendo prende la sua fisionomia di uomo.
(19) Abbiamo avuto troppa paura di questa critica veramente. Oppure, chi non ne ha avuto paura, l’ha applicata senza sapere che cosa fosse, non l’ha applicata bene.
La critica è stata ridotta a negatività, per ciò stesso che uno fa problema di una cosa che gli è stata detta. Io ti dico una cosa: porre un interrogativo su questa cosa, domandarsi:” E’ vero?” è diventato uguale a dubitarne.
L’identità tra problema e dubbio è il disastro della coscienza della gioventù.
Il dubbio è il termine di una indagine, ma il problema è l’invito a capire ciò che ho davanti, a scoprire un bene nuovo, una verità nuova, cioè ad averne una soddisfazione più carica e matura.
Senza uno di questi fattori: tradizione, vissuto presente che propone e dà ragioni, critica […] il giovane è foglia frale lungi dal proprio ramo, vittima del vento dominante, della sua mutevolezza, vittima di un’opinione pubblica generale creata dal potere reale.
Noi vogliamo – e questo è il nostro scopo – liberare i giovani: liberare i giovani dalla schiavitù mentale, dalla omologazione che rende schiavi mentalmente dagli altri.
(111) Crisi e critica non coincidono con dubbio e negatività.
La parola crisi (dal greco krino, vagliare) è normalmente sentita, per la mentalità di oggi, in senso dubitativo e negativo, come se crisi e critica automaticamente coincidessero con negazione, a ricerca delle cose da accusare, delle realtà cui obiettare: è questo, evidentemente, un concetto miope (o gretto!) di crisi, di critica.
Educazione alla critica
(17ss) La vera educazione deve essere una educazione alla critica.
Fino a 10 anni il bambino può ripetere ancora: “L’ha detto la mamma, la maestra”.
Perché? Perché, per natura, chi ama il bambino mette nel suo sacco, sulle spalle, quello che di meglio ha vissuto nella vita, quello che di meglio ha scelto nella vita.
Ma, ad un certo punto, la natura dà al bambino, a chi era bambino, l’istinto di prendere il sacco e di metterselo davanti agli occhi (in greco si dice pro-ballo, da cui deriva l’italiano problema).
Deve dunque diventare problema quello che ci hanno detto! Se non diventa problema quello che ci hanno detto, non diventerà mai maturo e lo si abbandonerà irrazionalmente o lo si terrà irrazionalmente.
(18) Portato il sacco davanti agli occhi, ci si rovista dentro. Sempre in greco, questo “rovistarci dentro” si dice krinein, krisis,da cui deriva critica.
La critica perciò, consiste nel rendersi ragione delle cose, non ha un senso necessariamente negativo.
Dunque il giovane rovista dentro il sacco e con questa critica paragona quel che vede dentro il sacco, cioè quello che gli ha messo sulle spalle la tradizione con i desideri del suo cuore: il criterio ultimo del giudizio infatti, è in noi, altrimenti siamo alienati.
E il criterio ultimo, che è in ciascuno di noi, è identico: è esigenza di vero, di bello e di buono.
La nostra insistenza è sulla educazione critica: il ragazzo riceve dal passato attraverso un vissuto presente in cui si imbatte, che gli propone quel passato e gliene dà le ragioni; ma egli deve prendere questo passato e queste ragioni, mettersele davanti agli occhi, paragonarle con il proprio cuore e dire: “E’ vero”, “dubito”.
E così con l’aiuto di una compagnia (senza questa compagnia l’uomo è troppo alla mercé delle tempeste del suo cuore, nel senso non buono ed istintivo del termine), può dire: “Si” oppure “no”. Così facendo, prende la sua fisionomia di uomo.
(19) Abbiamo troppa paura di questa critica, veramente. Oppure, chi non ne ha avuto paura, l’ha applicata senza sapere che cosa fosse, non l’ha applicata bene.
La critica è stata ridotta a negatività, per ciò stesso che uno fa problema di una cosa che gli è stata detta.
Io dico una cosa: porre un interrogativo su questa cosa, domandarsi: “E’ vero?”, è diventato uguale a dubitarne.
L’identità tra il problema e il dubbio è il disastro della coscienza della gioventù.
Il dubbio è un termine di indagine (provvisorio o no), ma il problema è l’invito a capire ciò che ho davanti, a scoprire un bene nuovo, una verità nuova, cioè ad averne una soddisfazione più carica e più matura.
Senza uno di questi fattori: tradizione, vissuto presente che propone e dà le ragioni, critica, il giovane è povera foglia frale lungi dal proprio ramo, vittima del vento dominante, della sua mutevolezza, vittima di una opinione pubblica generale creata dal potere reale.
Noi vogliamo, questo è il nostro scopo, liberare i giovani: liberare i giovani dalla schiavitù mentale, dalla omologazione che rende schiavi mentalmente dagli altri.
CULTURA
(38) La cultura è un principio da cui si cerca di spiegare tutto il resto, così come si può, costruendo come si può.
Il principio per cui abbracciamo tutto, l’origine di questa magnanimità è Cristo presente tra noi, Cristo sperimentato tra di noi: la fede.
Così comprendiamo come la fede cristiana è entrata nel mondo di allora, dove imperava la pax romana, ma dove l’uno era lontanissimo dall’altro e dove la legge dei rapporti era la violenza – poco o tanto era violenza – il cristianesimo è entrato portando la eirene, pace.
Perché Cristo è la nostra pace, e questo è ciò a cui aspiriamo di più. Come promessa e anticipo. Promessa dell’eterno: la pace là dove conviviamo.
Ecumenismo è il nostro vero concetto di cultura
(38) Veritas Domini manet in aeternum.
1 Pietro 1,25
Ciò che è vero rimane vero per sempre
Questo è il nostro concetto di ecumenismo, e in questo ci sentiamo profondamente discepoli del card. Martini, perché è a questa magnanimità che ci richiama in tutto quel che dice.
Ma anche perché “ecumenismo” è il nostro vero concetto di cultura.
La cultura è un principio da cui si cerca di spiegare tutto il resto, così come si può, costruendo come si può.
Dimensione culturale
(101) L’esigenza di una spiegazione totale della realtà è la dimensione culturale nel senso più completo.
Motivo per impegnarsi a verificare l’ipotesi educativa deve essere che essa si propone come totale spiegazione di tutto, senso ultimo della vita, del mondo e della storia.
Ogni scetticismo ed enciclopedismo per cui la cultura sia solamente congerie di materiali, incapace di una vitale spiegazione di ogni brano di realtà; ogni conseguente fideismo per cui la religione e la fede siano “al di fuori” di una cultura così definita, incapace di rendere conto di ogni realtà o problema che emerga, lasceranno il giovane giustamente freddo, se non ostile.
CUORE
(15s) Educazione, quindi, dell’umano, dell’originale che è in noi, che ognuno si flette in modo diverso, anche se sostanzialmente e fondamentalmente, il cuore è sempre lo stesso.
Infatti, nella varietà delle espressioni, delle culture e delle consuetudini, il cuore dell’uomo è uno: il cuore mio è il cuore tuo, ed è il medesimo cuore di chi vive lontano da noi, in altri paesi o continenti.
La prima preoccupazione di una educazione vera e adeguata è quella di educare il cuore dell’uomo così come Dio l’ha fatto.
Morale non è nient’altro che continuare l’atteggiamento in cui Dio crea l’uomo di fronte a tutte le cose e nel rapporto con esse.
(21) Mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita e, quindi, dimostrare la razionalità della fede, implica un concetto preciso di razionalità.
Dire che la fede esalta la razionalità, vuol dire che la fede corrisponde alle esigenze fondamentali e originali del cuore di ogni uomo.
La Bibbia, infatti, invece della parola razionalità, usa la parola cuore.
La fede dunque risponde alle esigenze originali del cuore dell’uomo, uguale in tutti: esigenza di vero, di bello, di bene, di giusto (del giusto), di amore, di soddisfazione totale di sé che – come spesso sottolineo ai ragazzi – identifica lo stesso contenuto indicato dalla parola perfezione (satisfacere o satisfieri in latino è analogo al termine perficere, perfezione: perfezione e soddisfazione sono la stessa cosa, come lo sono felicità ed eternità).
Quindi, intendiamo per razionalità il fatto di corrispondere alle esigenze fondamentali del cuore umano, quelle esigenze fondamentali con cui un uomo – volente o nolente, lo sappia o non lo sappia – giudica tutto, ultimamente giudica tutto in modo imperfetto o in modo perfetto.
Per questo dare ragione della fede significa descrivere sempre di più densamente , gli effetti della presenza di Cristo nella vita della Chiesa nella sua autenticità, quella la cui “sentinella” è il Papa di Roma. E’ il cambiamento della vita che, dunque, la fede propone.
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