TEMI de «Il Rischio Educativo»

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Lettera « G »


  1. Genio
  2. Giovani/giovinezza
  3. Gloria di Cristo

GENIO

…..(68) Tradizione funziona per il giovane come una specie di ipotesi esplicativa della realtà. …..

(69) L'accendersi di questa ipotesi è segno del genio;

offrirla ai discepoli è l’umanità del maestro; l’aderirvi come a luce nell’avventura del proprio cammino è la prima intelligenza del discepolo.

Il genio è testimonianza di una visione del mondo, e quindi è sempre offerta a una ipotesi di vita. E’ nell’educazione così concepita che l’avvenimento del genio trova giustificata la sua espressione, e il genio diventa maestro.

Solo una epoca di discepoli può dare un’epoca di genii, poiché solo in chi è prima capace di ascoltare e di comprendere si alimenta una maturità personale che lo rende più capace di giudicare e affrontare tutto, fino – eventualmente ad abbandonare ciò che lo ha alimentato.


GIOVANI /GIOVINEZZA

(15) L’idea fondamentale di una educazione rivolta ai giovani è il fatto che attraverso di essi si ricostruisce una società: perciò il grande problema della società è innanzitutto educare i giovani (il contrario di quello che avviene oggi).

(61s) “Come continuare ad essere giovani”? La risposta ha attinenza con quello che – trattando del tempo maturo in cui è educatore ed educato vivono una stessa esperienza del mondo lavorando “insieme” fianco a fianco per un destino che tutti riunisce – ho chiamato:

Una vita che, passando, avanza in giovinezza, in educabilità, in stupore e commozione di fronte alle cose

Dovendo indicare la formula di questa continuità di giovinezza mi balzano alla mente ancora oggi questi elementi.

La giovinezza è caratterizzata dal sentimento di uno scopo, anche non precisato, ma almeno sentito come futuro fortunato di ciò che si sta vivendo.

E’ questo ad impedire la rigidezza che elimina la duttilità, la flessibilità, una certa freschezza nell’uso delle proprie forme.

Più precisamente: il residuo senso di mistero , che definisce senza definirlo l’orizzonte e la prospettiva del vivere, che genera che genera una disponibilità – per così dire delle proprie membra – ad adattarsi a spazi nuovi, e lo stupore sempre inerente al senso del mistero fanno scaturire una inesausta sorgente di affettività in grado di muovere tutte le energie secondo una emozione ben nota all’adolescenza e alla prima giovinezza.

Soltanto che tale emotività nella vita che passa acquista una densità e una lucidità inimmaginabili prima, le quali rivelano alla personalità la dignità di affinità col divino (mistero) che la connota sostanzialmente.

A patto, è naturale, che diventi esercizio – o ascesi – la “memoria” di questo ultimo senso del mistero: prospettiva adeguata in cui va collocato uno scopo degno della vita.

(108) Al termine del processo educativo che abbiamo tentato di esaminare nelle sue direttive di fondo, l’adolescente si avvia alla fase matura della gioventù: la famiglia e la scuola devono aver ormai svolto l’essenza del loro compito formativo, devono aver messo il giovane nella condizione di fare ormai il cammino con le proprie energie. Lentamente, in un processo che solo una genialità assai attenta avrà potuto seguire e impostare senza ritardi e forzature, l’educatore si è distaccato sempre più dal discepolo, sollecitandolo sempre più a un impegno e a un giudizio personale; lo ha introdotto alla realtà totale, dandogli il vivo senso della dipendenza da quella realtà e del suo significato ultimo.

Incertezza dei giovani

(72) La pretesa autonomia nella concezione laicista vive di fatto come una alienazione da sé in ogni istante, come abdicazione continua a una vera iniziativa, per cedere a una violenza, che non scandalizza più perché solo tragicamente furtiva.

A lungo andare le conseguenze sul carattere stesso dei giovani sono gravissime.

Dover camminare senza indirizzo preciso è sentito come una dispersione di tempo dalla sensibilità di una coscienza viva.

Si genera allora quella caratteristica incertezza che impaurisce il giovane, da natura inscritto in ovvia esigenza di possibilità chiara, oppure lo confonde come di fronte ad una ambiguità, o comunque lo impazientisce perché l’indecisione dell’offerta gli pare istintivamente contradditoria al richiamo essenziale delle cose – che è richiamo ad immediata adesione -.

Il risultato di tutto questo è poi quell’indifferenza e quel disamore, quella tremenda carenza d’impegno con la realtà che assume così spesso aria smarrita o amaramente distaccata decisione per ogni serio invito a quell’impegno.


GLORIA DI CRISTO

(23) Questa è esattamente la caratteristica del carisma, perché il cristianesimo è “Dio in terra” e la nostra opera, tutta la nostra vita, ha come scopo la gloria di Cristo, la gloria dell’uomo Cristo, dell’uomo-Dio Cristo.

La gloria di Cristo è una cosa temporale, del tempo, dello spazio, della storia, nella storia, al di qua dell’ultimo limite, perché al di là ci pensa solo Lui a farsi gloria; coincide con l’eterno di là ma di qua, se io non lo servo la Sua gloria è minore.

Se tu non fai sacrifici, non preghi come devi e non fai il tuo dovere, è minore la gloria di Cristo.

Padre Motta, uno dei direttori spirituali di Giussani in Seminario

Il concetto che io potessi rendere minore la gloria di Cristo mi umiliava.

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