A–B–C–D–E–F–G–I–L–M/N–O–P–R–S–T–U–V
Lettera «P»
Libro “Il Senso Religioso” di don Luigi Giussani
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Paragone
(Vedi anche confronto)
(8) La natura lancia l’uomo nell’universale paragone con sé stesso, con gli altri, con le cose, dotandolo – come strumento di tale universale confronto – di un complesso di evidenze ed esigenze originali, talmente originali che tutto ciò che l’uomo dice o fa da esse dipende.
(13) Se si vuole diventare adulti senza essere ingannati, alienati, schiavi di altri, strumentalizzati, ci si abitui a paragonare tutto con l’esperienza originale.
(29) Il «bernoccolo» dell’umanno vuol dire avere molta umanità in sé; e allora sì che scopro fino a che punto posso fidarmi della tua umanità.
È come se l’uomo facesse un paragone veloce con sé stesso, con la propria esperienza elementare, con il proprio cuore, e dicesse: fino a qui corrisponde, e perciò è vero, mi posso fidare.
(53) Allora se misurare vuol dire paragonare il tutto con una sua parte, eretta a unità di misura, vuol dire che il tutto è divisibile, che misurabile è ciò che si può frazionare.
(120)
La libertà è il paragone con il destino: è questa aspirazione totale al destino.
(125) (..c’è un quid in me che non deriva da alcun fattore delle fenomenologia sperimentabile). Qui si fonda e si spiega il diritto fondamentale alla libertà di coscienza, alla capacità e al dovere quindi di giudicare ed agire secondo un ultimo proprio paragone con la verità e il bene.
(177) La curiosità nel bambino o nell’adulto è apertura piena di affezione positiva.
Questa curiosità non è che una originale simpatia con l’essere, con la realtà, quasi una ipotesi generale di lavoro con cui la natura sospinge l’uomo all’universale paragone.
Parola
(80) (un asino con le ali ecc..) ma quelle frasi avrebbero un difetto ancora più grave: esse non costituiscono neanche una immagine, sono pure parole, puro suono.
(102) Ci sei dunque dipendi da qualcosa di Ultimo; per negarlo, devi negare questo «Tu» che è la parola più secondo natura emergente dalla profondità delle tue origini.
(119) La definizione delle parole più importanti della vita, se viene determinata dalla mentalità comune assicura la schiavitù totale, l’alienazione totale.
(151) Il mondo, questa realtà in cui ci impattiamo, è come se nell’impatto sprigionasse una parola, un invito, facesse sentire un significato.
(203) Se deve essere veramente una rivelazione, come parola in più di quello che il mondo già dice al nostro cuore indegno, e alla nostra intelligenza indagatrice, deve essere una parola comprensibile all’uomo.
Ma Dio, tradotto in termini comprensibili, non sarebbe idolatria?
Nonostante che sia tradotta in termini umani, il risultato della rivelazione deve essere l’approfondimento del mistero come mistero.
Parole
(21) (Giussani agli alunni del suo primo giorno di scuola):
«Come potete giudicare della fede e della ragione senza prima aver cercato di rendervi conto di che cosa esse siano? Usate parole del cui significato non avete preso possesso»
(115) L’esperienza deve essere veramente tale, cioè giudicata dalla intelligenza, altrimenti la comunicazione diventa blaterare o vomitare lamenti.
(119) La definizione delle parole più importanti della vita, se viene determinata dalla mentalità comune assicura la schiavitù totale, l’alienazione totale.
Le parole sono dei segni con cui l’uomo identifica una determinata esperienza: la parola amore individua una determinata esperienza, la parola libertà individua una determinata esperienza.
L’esperienza è descritta innanzitutto dall’aggettivo corrispondente, perché l’aggettivo è la descrizione veloce e sommaria di una esperienza vissuta.
Così per capire che cosa è la libertà noi dobbiamo partire dall’esperienza che abbiamo del sentirci liberi.
La libertà si annuncia esperienza nella nostra esistenza come realizzazione di un bisogno o realizzazione di una aspirazione, come compimento.
Particolare
(190ss) Se l’uomo pretende la definizione del significato globale non può che cadere nella esaltazione del suo punto di vista, di un punto di vista.
Non potrà che pretendere la totalità per un particolare.
Un particolare del tutto viene pompato a definire la totalità.
Allora questo punto di vista cercherà di far star dentro la sua prospettiva ogni aspetto della realtà.
E siccome è un particolare della realtà, questo far rientrare tutto dentro di esso non potrà che far rinnegare o dimenticare qualche cosa; non potrà che ridurre, negare o rinnegare il volto completo e complesso della realtà.
(191) La natura dell’uomo nella sua statura ultima, identificherà il significato totale della sua vita con qualcosa di comprensibile a sé.
Se è all’interno della esperienza del mio comprensibile è un particolare che viene esaltato a spiegare tutto.
Pretendere di essere la misura di tutto, in fondo che cosa vuol dire? Pretendere di essere la misura di tutto, vale a dire pretendere di essere Dio.
(192) Questo particolare nel quale la ragione identifica la spiegazione di tutto, la Bibbia lo chiama idolo.
Qualcosa che sembra Dio, ha la maschera di Dio, e non lo è.
(193) Quanto più si tenta di spiegare tutto con l’idolo, tanto più si capisce che esso non è sufficiente.
Gli idoli non mantengono le loro promesse e le loro pretese totalizzanti.
Nella misura in cui gli idoli sono esaltati l’umano viene meno.
È l’abolizione della persona, della responsabilità dell’umano.
Tutta la colpa sarebbe della struttura: l’idolo oscura l’orizzonte dello sguardo e altera le forme delle cose.
(194) L’ideologia costruita sull’idolo è per sua natura totalizzante, altrimenti non potrebbe tentare una politica vincente.
Se si tratta di ideologie entrambe totalizzanti non possono non generare uno scontro totale.
Così si spiega perché per la Bibbia l’origine della violenza come sistema di rapporti, cioè della guerra, è l’idolo.
Questo particolare dell’esperienza che viene selezionato, scelto ideologicamente come il significato del tutto, è come la rana di Esopo che si gonfia per diventare un bue, si gonfia fino a scoppiare.
Questo è il simbolo della violenza della guerra.
C’è un’altra osservazione importante da fare.
L’uomo realizzerà l’identificazione del Dio con l’idolo, scegliendo qualcosa, come abbiamo già visto, che capisce lui: perché qui è il peccato originale, la pretesa di identificare il significato totale con qualcosa che l’uomo comprende.
È come se l’uomo sostenesse: « Ciò che c’è è dimostrabile dall’uomo, ciò che non è dimostrabile dall’uomo non c’è».
Passato
(13) Se c’è un’esperienza di maturità umana è proprio questa possibilità di addentrarsi nel passato, di accostarsi al lontano come se fosse vicino, come parte di sé.
Perché ciò è possibile? Perché questa esperienza elementare è sostanzialmente uguale in tutti, anche se poi sarà determinata, tradotta, realizzata in modi diversissimi, apparentemente perfino opposti.
(49) Il valore religioso unifica il passato, il presente, futuro e, nella sua autenticità, è profondamente amico e valorizzatore di ogni sfumatura del passato, così come è pronto a qualunque rischio per il futuro ed è per il presente indomito, insonne, vigile, secondo l’espressione del Vangelo.
(51ss) Per affondare il nostro sguardo nel passato, lontano e vicino, da che punto partiamo? Dal presente.
Questo appena percettibile presente che da un certo punto di vista ai nostri occhi appare un nulla, un istante soppesato meno affannosamente appare così carico e colmo di tutto quanto ci ha preceduto!
Nella misura in cui io sono me stesso, io sono ricco di tutto quello che mi ha preceduto.
(52) «Presenza» suggerisce tutto il dinamismo che pulsa nell’istante e che proviene come materiale dal «passato» e, come misteriosa iniziativa, dalla libertà.
L’uomo per capire i fattori di cui è costituito deve partire dal presente.
Sarebbe un grave errore di prospettiva partire dal passato per conoscere il presente dell’uomo.
Se colgo ora i fattori della mia esperienza di uomo, posso proiettarmi nel passato e riconoscere gli stessi fattori ravvisabili nelle pagine di Omero, Virgilio e Dante, e questo confermerà l’unità grande della stirpe umana, diventerà realmente esperienza di civiltà che cresce e che si arricchisce.
(57) Se dunque in questo presente appaiono due fattori irriducibili (materia e anima) e se rivolgendomi al passato devo notare che rifacendo il cammino all’indietro, i due fattori sembrano meno visibili fino a confondersi, sarà precisamente questo fenomeno cui dovrò trovare una spiegazione, ma a partire dall’affermazione dei due dati che nell’istante presente sorprendo
.
(102) L’unico calore, infatti, che può rendere costruzione il passato nel presente, è il riconoscimento di una pienezza di intelligenza e di amore, di significato in quel fondo da cui sgorghi, così come esige la totalità dello sguardo della umana scienza.
(109ss) Lo smarrimento del significato, come conseguenza dello svuotamento o della riduzione delle domande, porta conseguenze culturali gravi.
L’uomo perde il controllo di sé, della interezza dei suoi fattori.
La prima conseguenza è la rottura con il passato, la seconda la solitudine dell’uomo concreto, e la terza è l’eliminazione della libertà proprio come caratteristica antropologica e sociale.
(110) Lo smarrimento del significato quindi porta una depressione della personalità: la depressione della personalità sfoca il senso del passato.
L’uomo, laddove il significato del suo vivere, la risposta a quelle domande, fosse smarrito,non si può dire che giocherella con il mondo, perché è troppo drammatica e ultimamente tragica la vita […]; ma possiamo usare la parola già citata: «reagisce»; l’uomo reagisce.l’uomo reagisce.
Il criterio del suo nesso con la realtà è la reattività, la reazione.
La reattività come criterio di un rapporto taglia i ponti con la ricchezza della storia e della tradizione, cioè taglia i ponti con il passato.
(111) La reattività blocca il nesso con la storia, taglia i ponti con tutto ciò che è stato convogliato fino a quel momento.
(112) Questa distruzione del passato oggi si ha il coraggio di metterla come ideale.
È una alienazione generalizzata.
Ma, se si sfoca il senso del passato e il presente appare e si afferma come pura reattività, si inaridisce anche la fecondità del futuro.
Perché con che cosa fabbrichiamo il futuro? Con il presente.
(113) Infatti […] la reattività dell’istante mi costringe a riconoscere che io per reagire ora devo usare una cosa che mi hanno dato nel passato: la mia carne, le mie ossa, la mia intelligenza, il mio cuore.
Perciò la forza della costruzione futura è l’energia, la immaginatività, il coraggio del presente, ma la ricchezza viene dal passato.
È il momento misterioso in cui questa ricchezza del passato viene concepita, riconcepita, in una immagine che da essa è provocata, da essa è resa possibile, ma che filtra attraverso questo mistero della originalità del mio presente, secondo quanto abbiamo già osservato, della mia libertà.
La mia libertà essendo sempre un presente.
Ma il contenuto è nel passato, la ricchezza è nel passato.
Uno scrittore del Samizdat, cioè della letteratura clandestina sovietica:
«Noi sappiamo bene che la falsità di tutte le rivoluzioni sta nel fatto che esse sono forti e concrete nel condannare e nel distruggere, ma sono assolutamente deboli e astratte nel costruire e nel creare».
Sono, cioè, impotenti, impotenti di fronte al futuro, perché hanno tagliato i ponti con il passato, negandosi così di vederlo come tessuto connettivo di quel presente cui tengono tanto.
(114ss) Ma questo sfuocarsi del senso del passato, che inaridisce la fecondità del futuro, riduce in modo vorticoso la fecondità del futuro, il dialogo e la comunicazione umana.
Il passato infatti è l’humus in cui getta radici il dialogo.
Che cosa c’è di più caloroso, come espressione comunicativa della mia personalità, se non ciò che io ricordo del passato.
Dialogo e comunicazione umana hanno radici nella esperienza: infatti l’aridità, la flaccidità della convivenza, la convivenza della comunità, da cosa dipende se non dal fatto che troppo pochi possono dire di essere impegnati nella esperienza, nella vita come esperienza?
È il disimpegno della vita come esperienza che fa chiacchierare e non parlare.
(115)
- L’esperienza è custodita dalla memoria […] perché io non posso dialogare con te, se la mia esperienza non è custodita da me, protetta da me.
- L’esperienza deve essere veramente tale, cioè giudicata dalla intelligenza […] sempre paragonando il contenuto espressivo in base alle esigenze costitutive della nostra umanità, in base alla «esperienza elementare», perché l’esperienza elementare è l’intelligenza in atto nella sua essenza.
Lo smarrimento del significato sfoca, annulla la personalità perché la personalità parte come coscienza di un significato che permette il possesso, vale a dire l’ordinamento al significato della totalità degli elementi in cui si imbatte, dell’incontro secondo tutta la sua realtà.
L’annullamento della personalità sfoca a sua volta il senso del passato, perché il presente viene abbandonato alla reattività, la reattività taglia i ponti con la tradizione, la storia, inaridisce l’impeto verso il futuro come fecondità.
(116) L’attrattiva del vivere viene dal passato.
(117) L’attrattiva consistente nel presente viene dalla ricchezza del passato, altrimenti si assottiglia enormemente, come è sottile e arida l’attrattiva di una pura reattività.
La vecchiaia a vent’anni e anche prima, la vecchiaia a quindici anni, questa è la caratteristica del mondo di oggi.
Paura
(55) La realtà intera dell’io come appare dall’esperienza non è riconducibile interamente al fenomeno della corruzione; l’io non esaurisce la sua consistenza in ciò che di lui si vede e constata morire.
C’è qualcosa nell’io di non-mortale, di immortale!
Parlo di coraggio perché è rilevabile nell’uomo un debolezza grande per cui gli occorrerà un sostegno che lo conforti nella paura endemica che lo colpisce, in quanto l’immagine totale della sua vita è tentata di giocarsi nel suo aspetto visibile e materialmente sperimentabile.
(135) Sinjaskij in Pensieri improvvisi:
«Non bisogna credere per tradizione, per paura della morte oppure per mettere le mani avanti o perché qualcuno che comanda e incute timore, oppure ancora per ragioni umanistiche, per salvarsi e fare l’originale. Bisogna credere per la semplice ragione che Dio esiste».
(141) E’ ben superficiale ripetere che la religione sia nata dalla paura.
La paura non è il primo sentimento dell’uomo.
Esso è una attrattiva; la paura sorge in un secondo momento come riflesso del pericolo percepito che quella attrattiva non permanga.
Tu non hai paura che vengano meno cose che non ti interessano, hai paura che vengano meno cose che prima ti devono interessare.
La religiosità è innanzitutto l’affermarsi e lo sviluppo dell’attrattiva.
La paura è un’ombra che cala come seconda reazione.
Temi di perdere qualcosa, quando anche solo per un attimo l’hai avuta.
(182) Solo una grande forza di volontà potrebbe far superare una paura di affermare l’essere.
Ecco la vera definizione dell’esperienza del rischio: una paura di affermare l’essere perché è estranea alla natura.
Questa paura dunque sarebbe vinta dallo sforzo di volontà, cioè dalla forza della libertà; ma essa è altamente improbabile.
C’è in natura un metodo che riesce a darci questa energia di libertà che si fa superare, attraversare la paura del rischio:….il fenomeno comunitario.
(200) Siccome uno non può vivere cinque minuti senza in qualche modo affermare un quid ultimo, per il quale valga la pena vivere cinque minuti, l’inesorabile esigenza e urgenza del significato, genera come un ansia, una paura o un terrore, e nel terrore l’uomo è mal consigliato.
Ed è spinto a indentificare l’assoluto, il sicuro con qualcosa di sperimentato nella sua esistenza, a identificare ciò per cui vale l’ultima pena con qualche aspetto, con l’aspetto più rassicurante della sua esperienza.
Il dio diventa idolo.
Peccato originale
(181)
E’ uno iato, un abisso, un vuoto tra l’intuizione del vero, dell’essere data dalla ragione e la volontà: una dissociazione tra la ragione, percezione dell’essere, e la volontà che è affettività, cioè energia di adesione all’essere (il cristianesimo indicherebbe in questa esperienza una ferita prodotta dal «peccato originale»).
Per cui vede le ragioni ma non si muove.
Non si muove, cioè manca della energia di coerenza: di coerenza non nel senso etico di comportamento conseguente, ma nel senso teorico di adesione intellettuale al vero fatto intravvedere dalle ragioni.
È questa coerenza che inizia l’unità dell’uomo.
La coerenza resta così l’energia con cui l’uomo prende sé stesso e aderisce, si incolla, a ciò che la ragione gli fa vedere.
Invece avviene una spaccatura tra la ragione e l’affettività, tra la ragione e la volontà: questa è l’esperienza del rischio.
(192) E’ la suggestione del peccato originale.
Non è vero che c’è qualcosa che tu non puoi misurare; ma se tu ti decidi a farlo, se tu parti per questa avventura, «conoscerai il bene e il male e sarai come Dio»(Gen. 3, 1-7).
(194) L’uomo realizzerà l’identificazione del Dio con l’idolo, scegliendo qualcosa, come abbiamo già visto, che capisce lui: perché qui è il peccato originale, la pretesa identificare il significato totale con qualcosa che l’uomo comprende (genesi dell’idolo).
Pensare-pensiero
(4) S. Agostino in Soliloquia I,III,8:
«Io cerco per sapere qualcosa non per pensarle».
Se infatti sappiamo una cosa, possiamo dire anche di pensarla; ma sant’Agostino ci avverte che non è vero il contrario.
Pensare qualcosa è la costruzione intellettuale, ideale e immaginativa, che noi operiamo in proposito; ma sovente concediamo troppo privilegio a questo pensare, per cui senza rendercene conto – addirittura giustificando l’atteggiamento che sto per definire – proiettiamo sul fatto ciò che ne pensiamo.
L’uomo sano invece vuole sapere come un fatto sia: solo sapendo come è, e solo allora, può anche pensarlo.
(11) Ritengo del resto che, come il panteismo dal punto di vista cosmologico, l’anarchia dal punto di vista antropologico costituisca una delle tentazioni grandi e affascinanti dell’umano pensiero.
(55) Queste due realtà con caratteristiche irriducibili postevano essere chiamate in diversi modi: le hanno chiamate materia e spirito, corpo e anima.
(56) C’è una obiezione diffusa all’esistenza nella persona umana di queste irriducibili realtà.
Si tratta dell’obiezione «materialista».
Osserviamo questo grafico:
esso descrive la traiettoria di una vita umana nel suo aspetto immediatamente visibile.
La vita umana, come ogni altra vita animale, nasce da un elemento maschile e un elemento femminile e appare nei suoi primi sviluppi descrivibile ed analizzabile come ogni altra vita animale.
La differenziazione del duplice fattore si evidenzia solo dopo.
«Vedete dunque –direbbe il materialista – che quanto appare dopo, cioè spirito, intelligenza, pensiero, amore, è una flessione del dato materiale iniziale. Anche il cosiddetto spirito è frutto della materia, l’uomo è per sua natura materia».
(57) L’uomo coglie se stesso solo nell’istante presente.
Se dunque in questo presente appaiono due fattori irriducibili e se rivolgendomi al passato devo notare che, i due fattori sembrano meno visibili fino a confondersi, sarà precisamente questo fenomeno cui dovrò dare una spiegazione, ma a partire dall’affermazione dei due dati che nell’istante presente sorprendo.
(58) È perfettamente sperimentabile, e quindi razionalmente sostenibile, una unità composta di due fattori irriducibili fra loro, ma nella quale l’emergere del secondo fattore è condizionato a un certo punto del primo.
(81) In Cronache di filosofia italiana Garin raccomanda che il pensiero sia: «Senza impossibili voli iperurani […] ché l’uomo è certo il centro e il signore del mondo, ma a condizione [..] di dar corpo e consistenza a quel suo libero signoreggiare».
Che libero signoreggiare è quello per cui puoi pensare secondo la mentalità del potere, altrimenti ti emarginano dalla società e, se possono, ti mandano in manicomio, come in Russia!
(136) Wittgenstein in Tractatus:
«Il senso della vita, cioè il senso del mondo, possiamo chiamarlo Dio….pregare è pensare al senso della vita».
(146) Se un fiotto di sorgente potesse pensare, percepirebbe al fondo del suo fresco fiorire una origine che non sa che cosa è, è altro da sé.
(161) (Un uomo che diventa grande da solo in una isola) non può pensare assolutamente a una donna, non riesce a figurarselo.
[….]..penserebbe: «C’è qualcosa nell’universo, nella realtà, c’è qualcosa che corrisponde a questo bisogno, alla mia esigenza, e non coincide con niente di ciò che posso afferrare, e non so che cosa è».
(178) Iraticello nel romanzo di Graham Greene «La fine dell’avventura» (a un positivista di fronte alla morte):
«Ma a questo punto mi pare di essere io più libero pensatore di lei! Perché mi sembra più libero pensiero l’ammettere tutte le possibilità, piuttosto che precluderne qualcuna».
(201) Insomma è inevitabile che l’uomo a un certo punto identifichi con la propria immagine l’assoluto.
Così la storia del pensiero umano è come una grande documentazione di questa caduta realizzata, in modo esplicito o implicito, teorizzato o praticato, stabilito in una teoria o vissuto in un momento, in un’ora particolare.
All’estremo della esperienza della vita, all’estremo della coscienza sofferta e appassionata dell’esistenza si sprigiona, malgrado l’uomo stesso, questo grido della umanità più vera, come una implorazione, una mendicanza; si sprigiona la grande ipotesi che non si possa «fare il passaggio con qualche più solido trasporto, con l’aiuto cioè della rivelata parola del dio» (Platone inFedone).
In termini propri si chiama ipotesi della rivelazione.
(205) L’impossibilità di una rivelazione è il dogma fondamentale del pensiero illuministico, il tabù predicato da tutta la filosofia liberale e dai suoi eredi materialisti.
Perfezione
(120) Seguendo l’indicazione dell’esperienza, è chiaro che la libertà si presenta a noi come la soddisfazione totale, il compimento totale dell’io, della persona o come perfezione.
Vale a dire la libertà è la capacità del fine, è la capacità della totalità, è la capacità della felicità.
(127) L’antipotere è l’amore: il divino è l’affermazione dell’uomo come capacità di libertà, cioè come irriducibile capacità di perfezione.
(159) La terza categoria (dopo la verità e la giustizia) è quella della felicità vale a dire del compimento di sé: con parole analoghe, della totale soddisfazione, il riverbero psicologico del compimento; o della perfezione, il riverbero ontologico della realizzazione di sé..
Persona
(6) Che tipo di fenomeno è l’esperienza religiosa?
Essa è un fenomeno che attiene all’umano, pertanto non può essere trattata come un fenomeno geologico o meteorologico.
È qualcosa che riguarda la persona.
Allora come agire?
Poiché si tratta di un fenomeno che avviene in me, che interessa la mia coscienza, il mio io come persona, è su me stesso che devo riflettere.
(32s) C’è una unità profonda, c’è una relazione organica fra lo strumento della ragione e il resto della nostra persona.
La ragione è immanente a tutta l’unità del nostro io, è organicamente relata, per questo in presenza di un dolore fisico non si utilizza bene la ragione, o in presenza di rabbia o deluzione per l’incomprensione altrui.
La ragione non è un meccanismo disarcionabile dal resto di questo cavallo che è l’uomo in corsa per la sua strada; essa è profondamente correlata e organicamente relazionata al resto dell’io.
(33) Qualcosa accade che tocca la persona, una emozione, una commozione.
Dilatiamo l’osservazione, generalizziamola: qualunque cosa intervenga nell’orizzonte di conoscenza della persona produce una invitabile, irresistibile reazione proprio nella misura della vivacità umana di quella persona.
La parola che indica questo stato d’animo, questa reazione, questa emozione, questo essere toccati dalla cosa che accade si chiama sentimento.
(35) L’interesse dei significati.
Stiamo parlando di quel tipo di oggetti in cui la nostra persona si gioca alla ricerca di un significato di sé o quel tipo di oggetti che si propone alla nostra persona come pretesa di significato per essa: il problema del destino, il problema affettivo, il problema politico, mi sembrano le categorie cui si può ricondurre questo tipo di oggetti della conoscenza.
Quanto più una cosa interessa l’individuo, quanto più, cioè è valore («val la pena» per la vita della persona), e quanto più è vitale (quanto più cioè interessa la vita), tanto più potente genera una stato d’animo, una reazione di antipatia o simpatia, tanto più genera «sentimento», e tanto più la ragione è condizionata da questo sentimento per la conoscenza di quel valore.
(46) Se l’esperienza religiosa è una esperienza, non possiamo che partire da noi stessi per guardarla in faccia e coglierne gli aspetti costitutivi.
Partire da se stessi è realistico quando la persona è guardata in azione: è osservata cioè nell’esperienza quotidiana.
Non esiste infatti un «io» o una persona astratta da una azione che compie, eccetto che dorma.
Allora il «materiale» di partenza non sarà più un preconcetto su di sé, una immagine artificiosa di sé, una definizione della propria persona magari mutuata dalle idee correnti e dalla ideologia dominante.
(50) La tradizione è quella complessa dote di cui la natura arma la nostra persona.
(52) Tanto più uno è persona, è uomo, quanto più abbraccia e vive l’istante presente tutto ciò che l’ha preceduto e lo circonda.
(103) (Mito del progresso) Secondo questa ultima posizione la vita ha un senso tutto positivo, ma si nega che questo senso abbia verità per la persona.
La dinamica spirituale della persona e il meccanismo evolventesi della realtà sociale sono finalizzati a questo futuro, e il fenomeno nel suo complesso viene indicato con quella parola estremamente equivoca: il progresso.
Quelle domande costituiscono la mia persona, si identificano con la mia ragione e coscienza: la loro soluzione, l’avverarsi del suo significato deve toccare me, riguarda direttamente me.
Una risposta non è data se non è data a me.
(110) Che cosa caratterizza il «giocare» con un oggetto?
Che il nesso tra la persona e l’oggetto è determinato da un fine non adeguato, perciò non è intelligente, non è ordinato, controllato e convogliato.
(120) E’ chiaro che la libertà si presenta a noi come soddisfazione totale, il compimento totale dell’io, della persona o come la perfezione.
(123) Uno dei più grandi giuristi romani, Gaio, distingueva tre tipi di utensili che il civis, cioè l’uomo con tutti i diritti, poteva possedere: gli utensili che non parlano e non si muovono, utensili che non parlano ma si muovono, utensili che si muovono e parlano, gli schiavi.
V’è assenza totale della libertà come essenziale dimensione della persona.
(124s) Solo la Chiesa nella sua tradizione difende il valore assoluto della persona, dal primo istante del suo concepimento fino all’ultimo momento della sua vecchiaia anche decrepita.
In base a che?
In un solo caso questo punto,
che è l’uomo singolo, è libero da tutto il mondo, è libero, e tutto il mondo non può costringerlo; in un solo caso questa immagine di uomo libero è spiegabile: se si suppone che quel punto non sia costituito dalla biologia di suo padre e di sua madre, ma possegga qualche cosa che non derivi dalla tradizione biologica dei suoi antecedenti meccanici, ma sia diretto rapporto con l’infinito, diretto rapporto con l’origine di tutto il flusso del mondo, di tutto il «cerchio», con quella X misteriosa che sta sopra il flusso della realtà, cioè Dio.
(125) Ecco il paradosso: la libertà è la dipendenza da Dio.
L’uomo – l’uomo concreto, io, tu – non c’era, ora c’è, domani non sarà più: dunque dipende.
O dipende dal flusso dei suoi antecedenti materiali, ed è schiavo del potere; o dipende da Ciò che sta all’origine del flusso delle cose, oltre esse, cioè da Dio
(140) Il primissimo sentimento dell’uomo è quello di fronte a una realtà che non è sua, che c’è indipendentemente da lui e da cui dipende.
Tradotto empiricamente è la percezione originale di un dato.
Un uso totalmente umano di questa parola «dato», nel senso che uno vi applica tutte le implicazioni della sua persona, tutti i fattori della sua personalità, la rende viva: «dato», participio passato, implica qualcosa che «dia».
La parola che traduce in termini totalmente umani il vocabolo «dato», e quindi il primo contenuto dell’impatto con la realtà, è la parola dono.
(158s) (Racconto di un uomo giustiziato e ritenuto innocente dopo alcuni anni).
Chi gli renderà giustizia? Chi la renderà a lui?
Se non la si rende a lui giustizia non c’è: la risposta è realizzazione di una esigenza di giustizia che è lui.
L’esigenza è una domanda che si identifica con l’uomo, con la persona. Senza la prospettiva di un oltre la giustizia è impossibile.
(165)Certe frasi che si usano […] non possono essere definizioni, perché Dio è bontà, ma non è la bontà come la conosciamo noi; Dio è amore, ma non secondo la modalità nostra; Dio è persona, ma non come lo siamo noi.
(193) Quanto più si tenta di spiegare tutto con l’idolo, tanto più si capisce che esso non è sufficiente.
Gli idoli non mantengono le loro promesse e le loro pretese totalizzanti.
Nella misura in cui gli idoli sono esaltati, l’umano viene meno.
È l’abolizione della persona, della responsabilità dell’umano.
Tutta la colpa sarebbe della struttura: l’idolo oscura l’orizzonte dello sguardo e altera la forma delle cose.
Eliot in Cori da «La Rocca»:
«Essi cercano sempre di evadere
Dal buio esterno e interiore
Sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno
avrebbe bisogno di essere buono.
Ma l'uomo che è adombrerà
L'uomo che pretende di essere»
Personalità
(7s) vorrei precisare che la parola «esperienza» non significa esclusivamente «provare»: l’uomo sperimentato non è colui che ha accumulato «esperienze» – fatti sensazioni – facendo, come si dice, di ogni erba un fascio.
Tale accumulo indiscriminato genera spesso distruzione e vanificazione della personalità.
Ciò che caratterizza l’esperienza è il capire una cosa, lo scoprirne il senso.
L’esperienza quindi implica intelligenza del senso delle cose.
Un giudizio esige un criterio in base al quale viene operato.
Qual’è il criterio che ci permette di giudicare ciò che vediamo accadere in noi stessi?
(8) Questo viene «dato».
Ora, che questo criterio sia immanente a noi non significa che ce lo diamo da soli: è attinto dalla nostra natura, vale a dire ci viene dato con la natura.
Il criterio per giudica quella riflessione sulla propria umanità deve dunque essere immanente alla struttura originaria della persona.
Tutte le esperienze della mia umanità e della mia personalità passano al vaglio di una «esperienza originale» primordiale, che costituisce il volto nel mio raffronto con tutto.
Ciò che ogni uomo ha il diritto e il dovere di imparare è la possibilità e l’abitudine a paragonare ogni proposta con questa sua «esperienza elementare».
(32) C’è una unità profonda, c’è una relazione organica fra lo strumento della ragione e il resto della nostra persona.
L’uomo è uno, e la ragione non è una macchina che si può disarcionare dal resto della personalità per farla agire da sola come il meccanismo a molla di un giocattolo.
La ragione è immanente a tutta l’unità dell’io, è organicamente relata, per questo in presenza di un dolore fisico non si utilizza bene la ragione, o in presenza di rabbia o delusione per l’incomprensione altrui.
(47) (Se qualcuno alla ragazzina dicesse): «io ti voglio bene», quella stessa sera già scoprirebbe di essere diversa di quanto lo scoramento del mattino aveva fatto pensare.
Provocati in un coinvolgimento, i fattori della sua personalità sono venuti a galla.
(51) Se la tradizione viene usata così criticamente (passata al vaglio della esperienza elementare), essa diventa fattore di personalità, materiale per un volto specifico per una identità nel mondo.
(53s) Una volta che fossi partito dal presente per sorprendere nei suoi valori costitutivi l’esperienza umana, allora lo studio del passato illuminerà sempre più questo sguardo che porto a me stesso.
Ma prima di accedere all’enigma del passato devo avere tra le mani, sia pure accennati i fattori luminosi della mia personalità presente.
Ad una attenta riflessione sulla propria esistenza l’uomo scopre nel suo presente due tipi di realtà.
- Un tipo di realtà che egli ritova in se stesso, è lungo o largo, pesante o leggero, quantitativamente descrivibile. Diciamo una parola precisa: misurabile. Questo genere di fenomeno che si è rivelato misurabile e divisibile si mostra ad una attenta analisi intrinsicamente mutevole. È la materialità.
- Se l’uomo però è totalmente impegnato in quell’istante di riflessione su di sé, noterà nel suo «io» un tipo di contenuto che non si identificherà con ciò che finora abbiamo descritto. Non mutevoli si riscontrano dunque idea, giudizio, decisione. Sono fenomeni il cui contenuto di realtà non è misurabile, divisibile.
(56) C’è una obiezione diffusa sull’esistenza nella persona umana di queste due irriducibili realtà: si tratta dell’obiezione materialista.
Si tratta comunque di una obiezione che può scaturire facilmente in ciascuno di noi nella misura in cui la personalità non sia ancora frutto di un lavoro, come cammino verso la verità.
Osserviamo questo grafico:
Esso descrive la traiettoria di una vita umana nel suo aspetto imemdiatamente visibile.
La vita umana, come ogni altra vita animale, nasce da un elemento maschile e un elemento femminile e appare ai suoi primi sviluppi descrivibile ed analizzabile come ogni altra vita animale.
La differenziazione del duplice fattore si evidenza solo dopo.
Il materialista farebbe notare però che ogni espressione, che appaia libera dalle posizioni del tempo e dello spazio e che quindi si stacchi da quella linea orizzontale, che indica il livello di vita materiale, trae comunque origine dallo stesso punto ed è quindi una manifestazione semplicemente più scaltrita del dato materiale.
Ma volendo reagire razionalmente alla posizione materialista, anzitutto riveliamo una contraddizione con l’esperienza.
Se, infatti, come abbiamo visto, l’esperienza mostra in me l’esistenza di due tipi di realtà irriducibili l’uno all’altro, non posso farli coincidere perché spiegare la differenza sopprimendola significa forzare, violentare l’esperienza, significa investire l’esperienza di un preconcetto.
(83) Se si svuotano di contenuto quelle domande che costituiscono appunto l’espressione del meccanismo essenziale, il motore della nostra personalità, in che cosa potrà consistere una energia che ci faccia agire?
L’energia che ci fa agire si riduce a una affermazione di sé.
Lo strumento dell’affermazione di noi stessi è la volontà: perciò si può trattare solo di una energia, di una affermazione volontaristica.
(103) Ma c’è una obiezione radicale (alla teoria di sottometterci al “progresso”).
Le domande fondamentali segnano l’emergere della natura proprio della dimensione personale dell’uomo, della originalità irriducibile della sua personalità.
Queste domande costituiscono la mia persona, si identificano con la mia ragione e coscienza, sono il contenuto della mia autocoscienza: la loro soluzione riguarda direttamente me.
Una risposta non è data, se non è data a me e per me.
Le domande sono il mio io: e nella soluzione progressista l’io non ha risposta, è alienato.
Si tratta di una soluzione non adeguata ai fattori iin gioco, irragionevole.
(109s) Lo smarrirsi del significato tende all’annullamento della personalità: la personalità dell’uomo acquista densità e consistenza proprio come esigenza, intuizione, percezione e affermazione del significato.
(110) Senza che ne venga afferrato il significato, una cosa resta estranea a noi.
Lo smarrimento del significato porta a una depressione della personalità: la depressione della personalità sfoca il senso del passato.
Laddove il significato del suo vivere, la risposta a quelle domande, fosse smarrito,[…] l’uomo reagisce.
Il criterio del suo nesso con la realtà è la reattività, la reazione.
La reattività come criterio di rapporto taglia i ponti con la ricchezza della storia e della tradizione, cioè taglia i ponti con il passato.
(113ss) Quanto più uno è potente come personalità, tanto più è capace di recuperare tutto il passato; quanto più uno è bambino tanto più si dimentica del prima; e non è capace di usarlo anche laddove se ne ricordi.
(114) Che cosa c’è di più caloroso, come espressione comunicativa della mia personalità, se non ciò che io ricordo del passato?
(115) Lo smarrimento del significato, perpetrato nell’uno o nell’altro degli atteggiamenti elencati, sfoca, annulla la personalità, perché la personalità parte come coscienza di un significato che permette il possesso, vale a dire l’ordinamento al significato della totalità degli elementi in cui si imbatte, dell’incontro secondo tutta la sua realtà.
L’annullamento della personalità sfoca a sua volta il senso del passato, perché il presente viene abbandonato alla reattività, la reattività taglia i ponti con la tradizione, la storia, inaridisce l’impeto verso il futuro come fecondità.
(129) Quanto più uno ha personalità ed è ricco di sapere, tanto più di fronte a qualsiasi incontro immediatamente sente configurarsi in sé stesso una determinata chiara immagine, idea, giudizio.
Inevitabilmente sorge dunque un preconcetto di fronte a qualsiasi cosa.
Il senso cattivo del termine «preconcetto» è là dove l’uomo si metta di fronte alla realtà proposta, avendo quella reazione come criterio di giudizio, e non soltanto come condizionamento da superare in una apertura di domanda (confronta quando abbiamo detto circa la moralità del conoscere).
(140) (La percezione originale di un dato). Un uso totalmente umano di questa parola «dato» nel senso che uno vi applica tutte le implicazioni della sua persona, tutti i fattori della sua personalità, la rende viva: «dato», participio passato, implica qualcosa che «dia».
La parola che traduce in termini totalmente umani il vocabolo «dato», e quindi il primo contenuto dell’impatto con la realtà, è la parola «dono».
(182s) La dimensione comunitaria rappresenta non la sostituzione della libertà, non la sostituzione della energia e della decisione personale, ma la condizione dell’affermarsi di essa.
Non è l’humus che sostituisce l’energia irriducibile, la «personalità» incomunicabile del seme: l’humus è la condizione perché il seme cresca.
La comunità è la dimensione e la condizione perché il seme umano dia frutto.
Pigrizia
(47) Da questo uno capisce di esistere – di vivere – dal fatto che pensa, sente e compie simili attività.
Un uomo pigro in modo serio e grave è in condizioni tali da non capire sé stesso, o da poterlo fare con molta difficoltà. (Solo l’azione scopre il talento).
Popolo
(114) Ma lo sfuocarsi del senso del passato , che inaridisce la fecondità del futuro, riduce in modo vorticoso il dialogo e la comunicazione umana.
Il passato è l’humus in cui getta le radici il dialogo.
È uno dei concetti fondamentali di Solzenicyn che egli esprime in modo affascinante ovunque, quando parla del popolo russo come di una realtà in cui «La memoria del popolo è ridotta a pezzi».
Ora la memoria di sé ridotta a pezzi vuol dire l’impoverimento, l’intristimento, l’assottigliamento, l’inaridimento dell’«io».
La memoria del popolo è ridotta a pezzi, per cui il popolo è un agglomerato di gente «costretta alla incomunicabilità, perché impedita a ricordare» dice ancora il poeta russo.
Positivismo
(151) Il positivismo che domina la mentalità dell’uomo moderno esclude la sollecitazione alla ricerca del significato che ci viene dal rapporto originario delle cose.
Il positivismo esclude l’invito a scoprire il significato che ci vien rivolto proprio dall’impatto originario e immediato delle cose.
Vorrebbe imporre all’uomo di fermarsi a ciò che appare.
E questo è soffocante.
(156) Non sarebbe umano affrontare la realtà del mondo, arrestando la capacità umana di addentrarsi alla ricerca dell’altro, così come in quanto uomini si è sollecitati alla presenza delle cose.
Sarebbe questo, come già detto, l’atteggiamento positivista: il blocco totale dell’umano.
(172s) L’atteggiamento positivista è come quello di uno che, in posizione da miope, portasse l’occhio a un cm dal quadro e, fissando un punto dicesse: «Che macchia!»; ed essendo il quadro grande potrebbe percorrerlo cm per cm, esclamando ad ogni mossa «Che macchia!».
Il quadro apparirebbe come un insieme senza senso di macchie diverse.
Ma se arretrasse di tre metri vedrebbe il dipinto nella sua unità, nella prospettiva esauriente, e direbbe: «Ah ho capito! Che bello!»”.
(173) La misura positivista sembra guardare il mondo con una miopia grave.
(187) (Ulisse alle Colonne d’Ercole) Infranse la saggezza e andò oltre.
Andar oltre era nella sua natura di uomo, decidendolo si sentì veramente uomo.
Questa è la lotta tra l’umano, cioè il senso religioso, e il disumano, cioè la posizione positivista di tutta la mentalità moderna.
Positività
(177ss) Atteggiamento originale, sigillo nativo impresso all’uomo dalla natura, è l’atteggiamento dell’attesa come domanda.
Nel bambino tutto ciò è curiosità: attesa e domanda.
Nell’uomo è attesa e ricerca.
Una reale ricerca implica sempre come ipotesi ultima la risposta positiva: altrimenti uno non ricerca.
L’atteggiamento in cui la natura formula l’uomo di fronte al realtà è un atteggiamento positivo.
La curiosità nel bambino o nell’adulto è apertura piena di affermazione positiva.
Questa curiosità non è che una originale simpatia con l’essere.
(178) La posizione del dubbio rende incapaci di agire.
Se uno parte da una ipotesi negativa, anche se qualcosa c’è non trova; se uno parte da una ipotesi positiva, se qualcosa c’è può trovare, se non c’è non troverà.
L’ipotesi positiva è una opzione, una scelta.
L’educazione della libertà deve essere educazione alla opzione per la positività di partenza.
Non esiste niente di più patologico e improduttivo che il dubbio sistematico
(179) Tutti i «ma»; «se»; «però»; «forse»…. Con cui si cerca di intaccare la positività del processo di rapporto io-realtà sono un fuoco di sbarramento, cortina fumogena per proteggere la ritirata dell’uomo dall’impegno con la realtà stessa.
Possesso
(43) Il povero è chi non ha nulla da difendere, chi è distaccato da ciò che sembra avere, così che la sua vita non è per affermare il proprio possesso.
(68) L’incommensurabiltà dell’oggetto veramente cercato con la capacità umana di «presa» fa vivere innanzitutto l’esperienza di un possesso per sua natura sfuggente.
(76) La vita (senza Dio) sarebbe «una favola», uno strano sogno quindi: discorso astratto o immaginazione esasperata; «raccontata da un idiota»: perciò senza capacità di nessi, a segmenti spezzettati, senza un ordine vero, una possibilità di previsione; «in un accesso di furore»: dove cioè l’unica metodologia del rapporto è violenza, ossia illusione di possesso.
(110) Un uomo potrebbe anche giocare con una macchina senza averne il possesso.
Ma non ne avrebbe la capacità di possesso, se non in quanto ne avesse afferrato il significato.
Senza che ne venga afferrato il significato una cosa resta estranea a noi.
(115) Lo smarrimento del significato annulla la personalità, perché la personalità parte come coscienza di un significato che permette il possesso, vale a dire l’ordinamento al significato della totalità degli elementi in cui si imbatte, dell’incontro secondo tutta la sua realtà.
(126) Così, ad esempio, non esiste niente, nei rapporti tra uomo e donna, tra ragazzo e ragazza, più temuto ed odiato, inconsciamente, che una religiosità autentica nell’altro o nell’altra, perché è limite al possesso, è sfida al possesso.
(161) Mai l’uomo percepisce e vive una esperienza di pienezza come di fronte al «tu».
Qualcosa di diverso, per sua natura diverso da me, qualcosa d’ altro che mi compie più di qualsiasi altra esperienza di possesso, di dominio, di assimilazione.
(201) …i rapporti con cui l’uomo si butta alla ricerca e al possesso del «tu», vale a dire degli altri, delle altre persone, tutto questo è affrontato da un proprio punto di vista, secondo una propria misura, e non secondo la misura che deriva dal nesso con l’assoluto.
Potere
(13) Se si vuole diventare adulti senza essere ingannati, alienati, schiavi di altri, strumentalizzati, ci si abitui a paragonare tutto con l’esperienza elementare. […] di norma infatti tutto viene affrontato secondo una mentalità comune: sostenuta, propagandata da chi nella società detiene il potere.
(42) In un ambito mentale come quello creato dal potere, e dallo strumento supremo del potere che è la cultura dominante, proviamo a pensare che cosa ne sia riguardo a Dio, alla religiosità, o al cristianesimo dalla seconda metà dell’Ottocento in poi.
Tutti cresciamo stipati di opinioni al riguardo, entrate quasi per osmosi o per violenza più aperta, imposte dall’ambiente: dover dare giudizi veri su questi problemi, che strappo impone, che faticosa libertà esige, per rompere l’attaccamento alle impressioni già riportate!
(67) Là ove manchi la categoria della possibilità è bloccato il passo.
Il passo è già predefinito dal progetto del potere o dal progetto del proprio interesse.
Una società ideologica infatti tende a congelare ogni vera ricerca: usa il potere che detiene come strumento per contenere tale ricerca entro certi limiti di realizzazione e di manifestazione.
Una dittatura non ha mai interesse che la ricerca dell’uomo sia libera, perché una ricerca libera sull’uomo è il limite più pericoloso al potere, è sorgente incrollabile di possibilità di opinione.
Laddove l’umile senso della riformabilità essenziale dell’umano concepire non ci sia, la metamorfosi è avviata: la filosofia diventa ideologia.
E la metamorfosi si compie nella misura in cui può essere considerato «normale» che la concezione che si ha della vita tenda a imporsi.
Così entra in scena la violenza del potere.
Alla presunzione del potere, carica di censure e di rinnegamenti, corrisponde nel singolo, nell’uomo reale, la grande tristezza, carattere fondamentale della vita consapevole di sé, «desiderio di un bene assente» diceva S. Tommaso.
(118s) L’individuo si trova sempre più vulnerabile dentro il tessuto sociale in balia delle forze più incontrollate dell’istinto e del potere.
Voglio richiamare una questione di metodo, perché se io dicessi che cosa è la libertà la grande maggioranza risponderebbe secondo immagini, definizioni o sensazioni determinate dalla mentalità comune.
La solitudine diventa così grande che l’uomo si sente ridotto a pezzi, strappato da mille sollecitazioni anonime.
(119) L’individuo resta in balia delle forze più incontrollate dell’istinto e del potere: è la scomparsa della libertà.
La definizione delle parole più importanti della vita, se viene determinata dalla mentalità comune, assicura la schiavitù totale, l’alienazione totale.
Che cosa sia l’amore tra l’uomo e la donna, che cosa sia la paternità, la maternità, che cosa sia l’obbedienza, la compagnia, la solidarietà e l’amicizia, che cosa sia la libertà, tutto ciò genera nella maggioranza della gente una immagine o una opinione o una definizione mutuate letteralmente dalla mentalità comune, vale a dire del potere.
(122s) La società è un determinato ordine organico.
Ed è per il potere che questo ordine è mantenuto.
Anche un governo è per il potere posseduto che di fatto riesce a dare forma alla società.
Allora a questo punto (cioè io, tu) non ha nessun diritto di fronte al potere, nessuno, perché il potere è l’espressione prevalente di un determinato istante del flusso storico.
(123) Il potere è l’emergenza della forza reale in questo istante.
Tutta la realtà della nostra epoca ha codificato questo: lo Stato sorgente di ogni diritto, Stato liberale o marxista che sia.
Chi «organicamente incorpora e interpreta il senso del divenire storico»? È chi detiene il potere in quel momento.
Si tratta dunque di una totale alienazione della persona umana nella concezione ideologica della società brandita dal potere.
Milosz in Consigli :
«Si è riuscito a far capire all’uomo che se vive è solo grazie ai potenti. Pensi dunque a bere il caffè e a dare la caccia alle farfalle. Chi ama la res pubblica avrà il cuore spezzato».
(124) In un solo caso questo punto
, che è l‘uomo singolo e libero da tutto il mondo […] se si suppone che quel punto non sia totalmente costituito dalla biologia di suo padre e di sua madre, ma possegga qualcosa che non derivi dalla tradizione biologica dei suoi antecedenti meccanici, ma che sia rapporto diretto con l’infinito, diretto rapporto con l’origine di tutto il flusso del mondo, di tutto il «cerchio» , con quella «X» misteriosa, che sta sopra il flusso della realtà, cioè Dio.
(125) Solo nella ipotesi che esista in me questo rapporto, il mondo può fare di me quello che vuole, ma non mi vince, non mi evince, non mi afferra, io sono più grande, io sono più libero.
Qui si fonda e si spiega il diritto fondamentale alla libertà di coscienza, alla capacità e al dovere quindi di giudicare e di agire secondo un ultimo proprio paragone con la verità e il bene.
Ecco il paradosso:
la libertà è la dipendenza da Dio.
Per questo l’unica remora, l’unico limite, l’unico confine della dittatura dell’uomo sull’uomo, si tratti di uomo o di donna, si tratti di genitori e figli, si tratti di capi di partito e di strutture in cui la gente serve, l’unica remora e l’unico confine, l’unica obiezione alla schiavitù del potere, l’unica è la religiosità.
Per questo chi ha il potere, chiunque sia, familiare o collettivo, è tentato di odiare la religiosità vera, a meno che sia lui stesso profondamente religioso.
(126) L’articolo sosteneva la possibilità e la necessità di creare una stirpe umana perfetta, attraverso un controllo delle nascite, che eliminasse tutti i tipi imperfetti.
Chi ne avrebbe stabilito criteri e limiti? Ultimamente il potere.
Esattamente lo stesso sistema nazista.
Senza la difesa del suo rapporto con Dio, l’uomo è alla mercé della concezione utile al potere e favorita da esso drasticamente.
Per ucciderne sei milioni, sessantamilioni, occorreva un moltiplicatore: questo moltiplicatore del delitto è l’ideologia, una concezione totalizzante dell’uomo favorita dal potere!
(131) I pareri degli intellettuali, che il potere trova convenienti e che assume, diventano mentalità attraverso i mass media, le scuole, la propaganda.
Povertà di spirito
(42ss) Mt 5,3:
«Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli».
(43) La povertà di spirito suprema è quella di fronte alla verità e basta, è quella che desidera la verità e basta, al di là di tutto l’attaccamento che vive, prova, sente ed esperimenta alle immagini che già si è fatte sulle cose.
(171) O tu vai di fronte alla realtà spalancato, con gli occhi sgranati di un bambino, lealmente, dicendo pane al pane e vino al vino, e allora abbracci tutta la sua presenza ospitandone anche il senso; o ti metti di fronte alla realtà difendendoti, quasi con il gomito davanti al viso per evitare colpi sgraditi o inattesi, chiamando la realtà al tribunale del tuo parere.
In tale decisione la ragionevolezza, l’umano intero, è chiaro dove stia: in ciò che è aperto e dice pane al pane e vino al vino.
È il povero di spirito colui che di fronte alla realtà non ha nulla da difendere.
Perciò afferra tutto come è, e segue l’attrattiva della realtà secondo le sue implicazioni totali.
Preconcetto
(43) E’ chiaro che amare la verità più che non l’idea che su di essa già ci siamo fatti, vuol dire essere liberi da preconcetti.
Però «assenza di preconcetti» è una frase equivoca, perché l’assenza di preconcetto nel senso letterale della parola è impossibile.
Per ciò stesso che uno nasce in una famiglia, che frequenta certi amici ecc…ecc… è tutto imbevuto come per osmosi di preconcetti, cioè di immagini e di idee sui valori, sui significati delle cose, specialmente nei tre campi che ho menzionato , cioè destino, affettività, politica.
Allora il vero problema non è non avere preconcetti: anzi, nella misura in cui uno è uomo fertile, potente e vivace, in quella misura appena posto di fronte ai problemi ha subito una sua reazione, anche come giudizio; si fa subito una immagine delle cose.
(44) Si tratta invece di quel processo grande e semplicissimo di distacco da sé di cui parla il Vangelo.
Quando il Vangelo parla di «distacco da sé stessi»(Lc 17,33), non vuol pretendere che ci si distacchi da sé nel senso letterale del termine.
Si tratta di un atteggiamento in cui la libertà riflette su sé stessa, e si domina così da utilizzare la sua energia in modo consono allo scopo.
Anche qui il processo faticoso si chiama «ascesi».
Ma che cosa può persuadere a questa ascesi, a questo lavoro e allenamento?
[…] è l’amore a noi stessi come destino, è l’affezione al nostro destino.
(46) Come identifico me stesso? Quando si parte veramente da se stessi?
Questo «me stesso» può correre il rischio di essere definito con una immagine che ho di me, immagini e preconcetto astratto.
Partire da se stessi è realistico quando la propria persona è guardata in azione: è osservata cioè l’esperienza quotidiana.
Allora il “materiale” di partenza non sarà più un preconcetto su di sé, una definizione della propria persona magari mutuata dalle idee correnti e dalla ideologia dominante.
(57) Se, infatti, come abbiamo visto l’esperienza mostra in me l’esistenza di due realtà
irriducibili l’uno all’altra, non posso farli coincidere, perché spiegare la differenza sopprimendola significa forzare, violentare l’esperienza, significa investire l’esperienza di un preconcetto.
(129ss) C’è un senso giusto del termine «pre–concetto» ed è laddove tale parola venga usata nel suo senso etimologico.
Di fronte ad una proposta di qualsiasi genere, l’uomo reagisce e reagisce in base a quello che sa e che è.
[…] inevitabilmente sorge un preconcetto di fronte a qualsiasi cosa.
Il senso cattivo del preconcetto è la dove l’uomo si mette di fronte alla realtà proposta, avendo quella reazione come criterio di giudizio, e non soltanto come condizionamento da superare in una apertura di domanda.
È infatti il superamento del preconcetto che rende possibile attingere un significato che eccede ciò che già sai.
(130) Due sono le radici principali di un preconcetto bloccante
- Il pregiudizio materialista. È la posizione testimoniata da un brano di Pavese: «Una volta giunti al materialismo non c’è più da andare avanti … mi dibatto per tirarmi su, ma mi convinco sempre più che non c’è nulla da fare».
- Quello che chiamerai «l’autodifesa sociale del preconcetto». Socrate in Gorgia di Platone: «E’ l’attaccamento alla mentalità comune che mi è di ostacolo».
L’ideologia è la costruzione teorico pratica sviluppata su un preconcetto.
(133) Il preconcetto si limita ad aspetti noti e scontati, e l’ideologia tende ad attribuire aureola di redenzione e salvezza a visioni e passi ben determinati, dominabili e manovrabili: «scientifiche», dicono.
(135) (Il padre che dice alla figlia di accontentarsi e di non fare domande impegnative) proietta la sua ombra sulla luce del cuore: questo è esattamente il preconcetto.
Le argomentazioni di quell’uomo potranno essere logiche, ma non sono razionali, proprio perché si fondano su un preconcetto, non si sviluppano secondo le indicazioni dell’esperienza.
(151) Quello che blocca la dimensione religiosa autentica, il fatto religioso autentico è una mancanza di serietà con il reale, di cui il preconcetto è l’esempio più acuto.
È segno degli spiriti grandi e degli uomini vivi l’ansia della ricerca attraverso la realtà della loro esistenza.
(172) Se non essendoci la scala per constatare dove siano le luci, io andassi dicendo: «non c’è luce!»(perché non vedo le lampadine che pure sono accese), sarei più evidentemente ancora più irragionevole, bloccato dal preconcetto.
Così il mondo, se non si riconoscesse la sorgente di senso o di luce che è il mistero di Dio, sarebbe, come già citato da Shakepeare «Una favola raccontata da un idiota».
(176) Il preconcetto, comunque venga originato, impedisce l’attenzione: il prevalere dell’interesse, quindi distrazione; l’affermarsi di una idea già fatta, quindi snobbamento del messaggio nuovo.
Pregare-preghiera
(101) Montale, da questa condizione vertiginosa dell’inconsistenza delle cose, invece di approdare a quel riconoscimento ragionevole, dove inizia ogni esperienza religiosa vera e ogni preghiera autentica, si stacca dall’impeto che gli mostra le cose esistenti, rinnega un dato evidente e s’abbandona alla negazione disperata.
(121) La fede è il gesto di libertà fondamentale e la preghiera è la costante educazione del cuore, dello spirito alla autenticità umana, alla libertà: perché fede e preghiera sono il riconoscimento pieno di quella Presenza che è il mio destino, e la dipendenza dalla quale è la mia libertà.
(136) Wittgenstein:
«Il senso della vita, cioè il senso del mondo, possiamo chiamarlo Dio … pregare è pensare al senso della vita».
Presente
(40) Un uomo che vive non può esimersi dall’avere un’opinione circa il nesso tra il presente e il suo destino.
(49) Il valore religioso unifica il passato, il presente, il futuro e, nella sua autenticità, è profondamente amico e valorizzatore di ogni sfumatura del passato, così come è pronto a qualunque rischio per il futuro ed è per il presente indomito, insonne, vigile, secondo l’espressione del Vangelo (Lc 21,36).
(51) Un secondo aspetto fondamentale dell’impegno dell’io, per scoprire i fattori di cui è costituito, è il valore del presente.
Partire dal presente è inevitabile.
Per affondare lo sguardo nel passato – lontano o vicino – da che punto partiamo? Dal presente.
Per avventurarci in rischiose immagini del futuro da che cosa prendiamo le mosse? Dal presente.
Questo appena percettibile presente, che da un certo punto di vista appare ai nostri occhi un nulla, un istante, soppesato meno affannosamente appare così carico e colmo di tutto quanto ci ha preceduto!
(52) Tanto più uno è persona, è uomo, quanto più abbraccia e vive nell’istante presente tutto ciò che l’ha preceduto e lo circonda.
Il presente è sempre un’azione, nonostante tutta l’indolenza, la stanchezza, la distrazione possibile del suo protagonista.
Il presente è il luogo enigmatico e splendido nello stesso tempo, della libertà, l’energia che manipola il contenuto del passato, sprigionando una creatività responsabile.
L’uomo per capire i fattori di cui è costituito deve partire dal presente.
Sarebbe un grave errore di prospettiva partire dal passato per conoscere il presente dell’uomo.
Solo di fronte alla coscienza del mio presente mi è possibile prendere nota della fisionomia umana nei suoi elementi e nella sua dinamica naturali – e perciò anche identificabili nel passato.
Se colgo ora i fattori della mia esperienza di uomo, posso proiettarmi nel passato e riconoscere gli stessi fattori ravvisabili nelle pagine di Omero, Platone,Virgilio, Dante…. E questo confermerà l’unità grande della stirpe umana e diventerà realmente esperienza di civiltà che cresce e si arricchisce.
Una volta che fossi partito dal presente per sorprendere nei suoi valori costitutivi l’esperienza umana, allora lo studio del passato illuminerà sempre più questo sguardo che porto a me stesso.
Ma prima di accedere all’enigma del passato devo avere tra le mani, sia pure accennati i fattori luminosi della mia personalità presente.
(57s) 
L’esperienza mostra in me l’esistenza di due tipi di realtà irriducibili l’uno all’altro, non posso farli coincidere, perché spiegare la differenza sopprimendola significa forzare, violentare l’esperienza, significa investire l’esperienza di un preconcetto.
L’uomo coglie sé stesso solamente nell’istante presente.
Se dunque in questo presente appaiono due fattori irriducibili (materia e spirito) e se rivolgendomi al passato devo notare che, rifacendo il cammino all’indietro, i due fattori sembrano meno visibili fino a confondersi, sarà precisamente questo fenomeno cui dovrò dare una spiegazione, ma a partire dall’affermazione dei due dati che nell’istante presente sorprendo.
Che cosa sia un uomo è visibile nel presente di uno sviluppo più maturo dei suoi fattori: che cosa sia un uomo lo si capisce meglio in Socrate o in Dante, che non nella massa ineducata.
(102) L’unico calore che può rendere costruzione il passato nel presente, è il riconoscimento di una pienezza di intelligenza e di amore, di significato così come esige la totalità dello sguardo della umana coscienza.
Presenza
(52) Una delle frasi veramente rivoluzionari che ha dettato i primi sussulti della contestazione del 68 si leggeva sui muri della Sorbona di Parigi: «De la présence, seulement de la présence», frase che, letta nella sua verità, non indica la mera attualità dell’istante, ma, con il sostantivo «presenza» suggerisce tutto il dinamismo che pulsa nell’istante e che proviene come materiale dal passato e, come iniziativa misteriosa, dalla libertà.
(121) La fede è il gesto di libertà fondamentale e la preghiera è la costante educazione del cuore, dello spirito alla autenticità umana, alla libertà: perché fede e preghiera sono il riconoscimento pieno di quella Presenza che è il mio destino, e la dipendenza dalla quale è la mia libertà.
(139ss) Lo stupore della presenza. Se io spalancassi per la prima volta gli occhi in questo istante uscendo dal seno di mia madre, io sarei dominato dalla meraviglia e dallo stupore delle cose come una «presenza»”.
Sarei investito dal contraccolpo stupefatto di una presenza che viene espressa nel vocabolario dalla parola «cosa».
(140) «L’Essere»: non come entità astratta, ma come presenza, presenza che non faccio io, che trovo, una presenza che mi si impone.
Lo stupore, la meraviglia di questa realtà che mi si impone, di questa presenza che mi investe, è all’origine del risveglio della umana coscienza.
(141) Ma allora l’evidenza è una presenza inesorabile!
(146s) A questo punto quando è risvegliato nel suo essere dalla presenza, dalla attrattiva e dallo stupore, ed è reso grato e lieto, perché questa presenza può essere benefica e provvidenziale, l’uomo prende coscienza di sé come io e riprende lo stupore originale con una profondità che stabilisce la portata, la statura della sua identità.
Si tratta della intuizione che in ogni tempo della storia, che in ogni tempo della storia lo spirito umano più acuto, di questa misteriosa presenza da cui la consistenza del suo istante, del suo io, è resa possibile.
Io sono tu che mi fai.
Soltanto che questo «tu» è assolutamente senza faccia; uso questa parola «tu» perché è la meno inadeguata nella mia esperienza di uomo per indicare quella incognita presenza che è, senza paragone, più della mia esperienza di uomo.
La coscienza di sé fino in fondo percepisce al fondo di sé un Altro.
(147) Questa è la preghiera:
la coscienza di sé fino in fondo che si imbatte in un altro.
Così la preghiera è l’unico gesto umano in cui la statura dell’uomo è totalmente realizzata.
L’uomo è quel livello della natura in cui la natura diventa esperienza della propria contingenza.
(150) L’esperienza di quella implicazione nascosta, di quella presenza arcana, misteriosa dentro l’occhio che si spalanca sulle cose, dentro l’attrattiva che le cose risvegliano, dentro la bellezza, dentro lo stupore pieno di gratitudine, di conforto, di speranza, perché queste cose si muovono in modo tale da servirmi, da essermi utili: e queste cose hanno dentro anche me, me, in cui quel recondito, quel nascosto diventa vicino, perché è qui che mi sta facendo, e mi parla del bene e del male – questa esperienza come potrà essere vivida, questa complessa e pur semplice esperienza, questa esperienza ricchissima di cui è costituito il cuore dell’uomo, che è il cuore del cosmo? Come potrà diventare potente?
Nell’impatto con il reale.
(151) Questo ci invita alla ricerca di una consistenza, cioè appunto di un significato; ci fa presentire questa presenza di consistenza che le cose non sono, tanto è vero che io stesso non lo sono; io, il livello in cui le stelle e la terra prendono coscienza della propria inconsistenza.
Il positivismo esclude l’invito a scoprire il significato che ci viene rivolto proprio dall’impatto originario ed immediato delle cose.
Vorrebbe imporre all’uomo di fermarsi a ciò che appare.
E questo è soffocante.
(156) (Vasetto di viole sul tavolo a sorpresa) Non sarebbe uno sguardo umano al fenomeno della presenza di quel mazzetto di viole se non accedendo all’invito che in quel fenomeno è contenuto.
La presenza di vasetto di fiori è infatti segno di un altro.
(176) Ecco l’alternativa in cui l’uomo quasi invisibilmente si gioca: o tu vai di fronte alla realtà spalancato, con gli occhi sgranati di un bambino, lealmente, dicendo pane al pane e vino al vino, e allora abbracci tutta la sua presenza ospitandone anche il nesso; o ti metti di fronte alla realtà difendendoti […] chiamando la realtà al tribunale del tuo parere.
(200) Per seguire l’assoluta luce del significato occorrerebbe una obbedienza istante per istante, come di chi navighi nella nebbia assoluta; istante per istante obbedire alla cosa apparentemente irrazionale, cioè le circostanze che il vento del tempo rende assurdamente mobili.
Occorre un grande coraggio: come quello di Giacobbe.
Tutta la notte, cioè il tempo dell’esistenza, vissuta in tensione con questa Presenza inafferrabile, indecifrabile, di cui non si conosce il volto.
All’uomo viene il capogiro, la vertigine.
Pretesa
(189) La Bibbia rivela che un «eccessivo attaccamento a sé» spinge la ragione dell’uomo, nel suo desiderio appassionato, nella sua pretesa di capire questo supremo significato da cui tutti i suoi atti dipendono, a dire, a un certo punto: «Ecco ho capito; il mistero è questo»..
La ragione non tollera, impaziente, di aderire all’unico segno attraverso cui seguire l’Ignoto, segno così ottuso, così cupo, così non trasparente, così apparentemente casuale, come è il susseguirsi delle circostanze: è come sentirsi in balia di un fiume che ti trascina qua e là.
(191) La decadenza, la degradazione di cui parlavo, la parabola che immediatamente, secondo una specie di forza di gravità, opera dentro la ragione, sta nella pretesa che la ragione possa essa identificare, e quindi definire, quale sia il significato di tutto.
Pretendere di definire il significato di tutto, in fondo che cosa vuol dire?
Pretendere di essere la misura di tutto vale a dire, pretendere di essere Dio.
(194) L’uomo realizzerà l’identificazione del Dio con l’idolo, scegliendo qualcosa, come abbiamo visto, che capisce lui: perché qui è il peccato originale, la pretesa di identificare il significato totale con qualcosa che l’uomo comprende.
Problema
(20s) Il problema davvero interessante per l’uomo non è la logica – gioco affascinante-; non è la dimostrazione – invitante curiosità: il problema interessante per l’uomo è aderire alla realtà.
(21) La capacità di logica, di coerenza, di dimostrazione, non sono altro che strumenti della ragionevolezza, strumenti al servizio di una mano più grande, dell’ampiezza di un «cuore» che li utilizza.
Mi preme puntare l’attenzione più sul termine «ragionevole» che sul termine «ragione».
Infatti anche quest’ultima, questa capacità di rendersi conto della realtà, può essere usata in modo irragionevole, cioè senza motivi adeguati.
Alla radice, comunque, il problema sta nel concetto di ragione.
(48) La vita è una trama di avvenimenti e di incontri che provocano la coscienza producendovi in varia misura problemi.
Il problema non è nient’altro che l’espressione dinamica di una reazione di fronte agli incontri.
La vita dunque è una trama di problemi, un tessuto di eventi reattivi agli incontri provocanti, poco o tanto che lo siano.
Promessa
(70s) La natura dell’essere come promessa.
Pavese in Il mestiere di vivere:
«Ciò che un uomo cerca nei piaceri è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di conseguire questa infinità».
(71) Pavese ne Il mestiere di vivere:
«Com’è grande il pensiero che veramente nulla a noi è dovuto. Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?».
Forse non ha pensato che l’attesa è la struttura stessa della nostra natura, l’essenza della nostra anima.
Essa non è un calcolo: è data.
La promessa è all’origine, dall’origine stessa della nostra fattura.
Chi ha fatto l’uomo, l’ha fatto promessa.
Strutturalmente l’uomo attende: strutturalmente è mendicante: strutturalmente la vita è promessa.
(99) Ecco l’ossessione: è la struttura della nostra vita che è promessa; l’inevitabilità delle domande profonde è l’emergere della promessa.
Dimenticare o rinnegare questo è irrazionale.
(177) E’ l’educazione ad avere «fame e sete» che rende attenti alle sollecitazioni che gremiscono il confronto con la totalità del reale, pronti ad accettare ogni sfumatura di valore, cioè di seria promessa alla essenziale indigenza del nostro essere.
Provocazione
(153) Lo stupore costituisce una esperienza di provocazione.
Aprendo lo sguardo alla realtà, ho davanti qualcosa che realizza una provocazione di apertura.
(156) (I fiori sul tavolo a sorpresa) E l’invito consiste in una provocazione a chiedere «come mai?».
La presenza del vasetto di fiori è infatti segno di altro.
(177) Perciò se il reale provoca, l’educazione della libertà deve essere educazione a rispondere alla provocazione.
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