Temi de “Il senso Religioso”

ABCDEFGILM/NOPRSTUV

Lettera «S»

Libro “Il Senso Religioso” di don Luigi Giussani



Salvezza

(98s) Adorno in Minima moralia:

«Quando speriamo nella salvezza, una voce ci dice che la speranza è vana». Ogni riflessione su di sé: « … non può fare di più che ridisegnare pazientemente in figure ed approcci sempre nuovi le ambivalenze della mestizia: la verità non è separabile dalla ossessione che dalle figure della apparenza emerga, senza apparenza, la salvezza».

(99) La verità della scelta mentale e psicologica di Adorno – cioè che la salvezza non c’è – non è separabile dall’ossessione che dalle figure della apparenza emerga la salvezza.

Quello che Adorno chiama ossessione è la struttura dell’uomo, è quello che chiamiamo cuore o esperienza elementare: negarla è rinnegare qualcosa, è irragionevole e disumano.

(196) «La verità che la ragione potrebbe raggiungere su Dio sarebbe di fatto per un piccolo numero soltanto, e dopo molto tempo e non senza mescolanza di errori. D’altra parte, dalla conoscenza di questa verità dipende tutta la salvezza dell’essere umano, poiché questa salvezza è in Dio. Per rendere questa salvezza più universale e più certa, sarebbe dunque stato necessario insegnare agli uomini la verità divina con una divina rivelazione».

San Tommaso d’Aquino (Summa Theologiae, I. q.!,art,1).

E’ la più sintetica descrizione della situazione esistenziale del senso religioso dell’umanità.

In tanti modi allora il genio religioso umano ha gridato la nostalgia di una liberazione da questa prigionia inestricabile dell’impotenza e dell’errore.

(205) Questo è il confine dell’umana dignità:

«Anche se la salvezza non viene, voglio però esserne degno a ogni momento»

Kafka

Scelta-opzione

(121) Molto più profondamente che una capacità di scelta la libertà è umile e appassionata e fedele dedizione totale a Dio nella vita quotidiana.

(169s) (Riconoscere Dio è un problema di libertà).

Lo riconosceva uno dei più noti neo-marxisti, Althusser, quando diceva che tra esistenza di Dio e marxismo, il problema non è di ragione ma di opzione.

Certo, c’è una opzione che è secondo natura, ed essa evidenzia la ragione, e un’opzione che è contro natura, ed essa oscura la ragione.

Però alla fine l’opzione è decisiva.

(170) L’uomo nella sua libertà afferma ciò che ha già deciso fin da una recondita partenza.

La libertà non si dimostra tanto nella clamorosità delle scelte; ma la libertà si gioca nel primissimo e sottilissimo crepuscolo dell’impatto della coscienza del mondo.

Ed ecco l’alternativa in cui l’uomo quasi insensibilmente si gioca: o tu vai di fronte alla realtà spalancato, con gli occhi sgranati di un bambino, lealmente dicendo pane al pane e vino al vino, e allora abbracci tutta la sua presenza ospitendone anche il senso; o ti metti di fronte alla realtà difendendoti, quasi con il gomito davanti al viso per evitare colpi sgraditi o inattesi, chiamando la realtà al tribunale del tuo parere, e allora nella realtà cerchi e ammetti solo quello che ti è consono, sei potenzialmente pieno di obiezioni ad essa, troppo scaltrito per accettarne le evidenze e i suggerimenti più gratuiti e sorprendenti.

Questa è la scelta profonda che noi operiamo quotidianamente di fronte alla pioggia e al sole, a nostro padre o a nostra madre, al vassoio della colazione, al tramvai e alla gente che vi è, ai compagni di lavoro, ai testi di scuola, agli insegnanti, al ragazzo, alla ragazza.

La decisione che ho descritto è di fronte a tutto.

(178) L’ipotesi positiva è una opzione, una scelta.

L’educazione della libertà deve essere educazione alla opzione per la positività di partenza.

(190) Il senso religioso, o ragione, come affermazione di un ultimo significato, viene corrotto, viene degradato a identificare il suo oggetto con qualche cosa che l’uomo sceglie: e lo sceglierà necessariamente dentro l’ambito della sua esperienza.

Si tratterà di una scelta alterante il volto vero di tutta la vita, perché tutto quanto sarà dilatato o diminuito, esaltato o dimenticato, osannato o emarginato secondo il coinvolgimento con il punto di vista scelto, con il fattore scelto.


Scetticismo

(88) All’epoca dei Beats,uno degli slogan più noti è stato questo: «Dobbiamo andare. Ma dove andiamo? Non lo so, ma bisogna andare».

Fare, per non sentire, per non approfondire, una pur palese inquietudine.

Una sfumatura scettica sta in questo atteggiamento che sottende l’irresponsabilità dei più (perché lo scetticismo sempre coincide con la fuga da un impegno con la realtà nei suoi fattori integrali).


Scienza

(10) Matematiche, scienze, filosofia sono necessarie per l’evoluzione dell’uomo come storia, sono fondamentali condizioni per la civiltà.

Ma uno potrebbe vivere benissimo senza la filosofia, senza sapere che la terra gira intorno al sole: l’uomo non può vivere senza certezze morali.

(66) Ciò che caratterizza lo scienziato infatti è  l’impegno profondo e aperto alla ricerca di fronte a qualsiasi fenomeno e circostanza.

(169) Vi sono scienziati che, approfondendo la loro esperienza di scienziati, hanno scoperto Dio; e tanti scienziati che hanno creduto di eludere o eliminare Dio attraverso la loro esperienza di scienza.

Allora vuol dire che riconoscere Dio non è un problema né di scienza, né di sensibilità estetica e neanche di filosofia come tale.

È un problema anche di libertà.

[….] Il problema non è di ragione, ma di opzione.

Einstein:

«La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero; sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza».

Per questo poteva accusare la sconsolatezza soffocante che da quella miopia deriva:

«Chiunque creda che la sua vita e quella dei suoi simili sia priva di significato, è non soltanto infelice, ma appena appena capace di vivere» – «La preoccupazione dell’uomo e del suo destino deve sempre costituire l’interesse principale di tutti gli sforzi tecnici; non dimenticatelo mai, in mezzo ai vostri diagrammi e alle vostre equazioni».

Einstein

Segno

(27) (Certezze morali) Come metodo quest’ultimo è più paragonabile al metodo del genio dell’artista: essi da segni arrivano alla percezione del vero.

Quando Newton vide cadere la famosa mela questa fu segno che fece balenare la grande ipotesi.

Il genio da un piccolo segno induce una intuizione universale.

Il metodo con cui capisco che mia madre mi vuole bene, attraverso cui sono certo  che molti mi sono amici, non è fissato meccanicamente, ma è intuito dalla intelligenza come unico senso ragionevole, unico motivo adeguato, per spiegare la convergenza di determinati «segni».

Moltiplicate questi segni, a centinaia, a migliaia: il punto del loro senso adeguato è che mia madre mi vuole bene.

(155s) Il segno. Una cosa che si vede e si tocca e che nel vederla e toccarla mi muove verso altro come si chiama? Segno.

Il segno quindi è una esperienza reale che mi rimanda ad altro.

Il segno è una realtà il cui senso è un’altra realtà, una realtà sperimentabile che acquista il suo significato conducendo a un’altra realtà.

Ed è questo il metodo con cui la natura ci richiama ad altro da sé: il metodo del segno.

Esso è anche il metodo normale dei rapporti tra noi uomini, perché le maniere con cui cerco di dirti la mia verità e il mio amore sono dei segni.

Di fronte ad una indicazione stradale, a un bivio, pretendere di arrestare il senso della cosa all’esistenza del palo e della freccia sul cartello, negando l’esistenza di altro cui essi si riferiscano, non sarebbe razionale.

Non sarebbe umanamente adeguato partecipare a quel fenomeno esaurendone l’esperienza nel suo aspetto immediato.

(156) (Esempio del vasetto, a sorpresa, di fiori sul tavolo) Non sarebbe uno sguardo umano al fenomeno della presenza di quel mazzetto di viole, se non accedendo all’invito che in quel fenomeno è contenuto.

E l’invito consiste in una provocazione a chiedere: «come mai?».

La presenza di un vasetto di fiori sul tavolo è infatti segno di altro.

Analogamente non sarebbe umano affrontare la realtà del mondo, arrestando la capacità umana di addentrarsi alla ricerca d’altro, così come in quanto uomini si è soltanto sollecitati alla presenza delle cose, sarebbe questo l’atteggiamento positivista: il blocco totale dell’umano.

(160ss) L’arte (pensiamo alla musica!), quanto più è grande, tanto più apre, non conclude, ma spalanca il desiderio, è segno di altro.

Il carattere esigenziale dell’esistenza umana accenna a qualcosa oltre sé come al suo senso, come al suo scopo.

«Tu» segno supremo.

Uno sguardo dell’impatto continuo dell’uomo con la realtà che bloccasse la dinamica del segno, che arrestasse il rimando che costituisce il cuore dell’esperienza umana, compirebbe un assassinio dell’umano, frenerebbe indebitamente l’impeto di un dinamismo vivente.

(161) Se nell’impatto con l’uomo il mondo funziona come un segno, dobbiamo dire che il  mondo «dimostra» qualcosa d’Altro, e dimostra «Dio» come un segno dimostra ciò di cui è segno.

Una realtà sperimentabile, il cui significato adeguato, vale a dire conforme alla esigenza umana, è qualcosa d’altro, è segno di questo altro.

L’uomo non percepisce mai una esperienza di completezza come nella compagnia, nella amicizia, particolarmente tra uomo e donna.

Mai l’uomo percepisce e vive una esperienza di pienezza come di fronte al tu.

Qualcosa di diverso, per sua natura di diverso da me, qualcosa di altro mi compie più di qualsiasi altra esperienza di possesso, di dominio, di assimilazione.

(162) Vediamo ora di iluminare brevenente il valore razionale della dinamica del segno.

Il vertice della ragione è la percezione di un esistente ignoto, irraggiungibile, cui tutto il movimento dell’uomo è destinato, perché ne dipende.

È l’idea di mistero.

(163) La ragione è esigenza di comprendere l’esistente; nella vita questo non è possibile; dunque fedeltà alla ragione costringe ad ammettere l’esistenza di un incomprensibile.

Questa affermazione costituisce il segno della piccolezza della nostra esistenza, e nello stesso tempo il segno del destino incommensurabile, infinito, della nostra esistenza, della nostra ragione, del nostro essere.

Il mistero è intuito come realtà implicata dal meccanismo stesso del nostro io; non blocco della ragione, ma segno della sua apertura senza fine.

Senza questa prospettiva noi rinnegheremmo la ragione nella sua essenza, come esigenza di conoscenza della totalità, e ultimamente come possibilità stessa di conoscenza vera.

(164) Se non è possibile un nesso ultimo, una spiegazione ultima, se non è possibile uscire dalla misura dell’istante per rannodarsi al tutto (perché il problema è appunto «uscire» dall’istante), allora non posso più stabilire alcun nesso, sono bloccato nel mio momento.

(171) La libertà gioca se stessa in quell’area di gioco che si chiama segno.

Ricordiamo che il mondo dimostra l’esistenza del quid ultimo, l’esistenza del mistero attraverso la modalità che si chiama «segno».

Il mondo «insegna Dio», dimostra Dio, come il segno indica ciò di cui è segno.

La libertà agisce nell’area della dinamica del segno in quanto il segno è avvenimento da interpretare.

La libertà si gioca nell’interpretazione del segno.

L’interpretazione è la tecnica del gioco, la libertà opera dentro questa tecnica.

(175s) Il metodo dimostrativo attraverso i segno è i metodo adeguato all’uomo, caratteristico di una vita personale.

La parola, il gesto, che cosa sono? Dei segni.

L’amore dell’uomo e della donna, l’amicizia, la convivenza hanno nel segno il loro strumento di comunicazione.

Ecco il passo nuovo. Il problema fondamentale di questa avventura del segno che è il mondo, perché in essa si palesi l’evidenza del destino, è l’educazione alla libertà.

Se la realtà chiama l’uomo a qualcosa d’altro, educazione alla libertà è uguale a educazione alla responsabilità.

L’educazione alla responsabilità è educazione a rispondere a ciò che chiama.

  • Educazione alla responsabilità implica una educazione alla attenzione.
  • ma oltre l’educazione all’attenzione, una educazione alla responsabilità è anche educazione alla capacita di accettazione.

Educare alla attenzione e alla accettazione assicura la modalità profonda con cui uno deve atteggiarsi di fronte alla realtà.

L’educazione alla libertà, necessaria per una interpretazione adeguata del segno che è l’esistenza, il mondo deve allenare all’atteggiamento giusto di fronte alla realtà, che è la permanenza della posizione originale in cui la natura formula l’uomo.

E tale atteggiamento originale, sigillo nativo impresso all’uomo dalla natura, è l’atteggiamento dell’attesa e della domanda.

(180) Inevitabile conseguenza del rapporto con Dio, mediato dal fenomeno del segno, è una esperienza che io chiamo esperienza del rischio.

L’interpretazione del segno è come una «transfretazione», è come la navigazione nell’oceano da parte di Ulisse oltre le Colonne d’Ercole.

(189) Per tutta la vita la vera legge morale sarebbe quella di essere sospesi al cenno di questo ignoto signore, attenti ai segni di una volontà che ci apparirebbe attraverso la pura, immediata circostanza.

Ripeto: l’uomo, la vita razionale dell’uomo dovrebbe essere sospesa all’istante, sospesa in ogni istante a questo segno apparentemente così volubile, così casuale che sono le circostanze attraverso le quali l’ignoto «signore» mi trascina, mi provoca al suo disegno.

E dir «sì» ad ogni istante senza vedere niente, semplicemente aderendo alla pressione delle occasioni.

È una posizione vertiginosa.

La ragione non tollera, impaziente, di aderire all’unico segno attraverso cui seguire l’Ignoto, segno così ottuso, così cupo, così non trasparente, così apparentemente casuale, come il susseguirsi delle circostanze: è come sentirsi in balia di un fiume che ti trascina qua e là.

(195s) Il mondo è un segno.

La realtà richiama ad un’Altra.

La ragione per essere fedele alla natura sua e di tale richiamo, è costretta ad ammettere l’esistenza di qualcosa d’altro che sottende tutto, e che lo spiega.

(196) La realtà è segno e desta il senso religioso.

Ma è un suggeimento male interpretato: esistenzialmente l’uomo è spinto a interpretarlo male: male, cioè prematuramente, impazientemente.

L’intuizione del rapporto col mistero si corrompe in presunzione.

(201) La realtà è un segno interpretando il quale la coscienza dell’uomo capisce l’esistenza del mistero.

In tal senso il mondo è strutturalmente la rivelazione di Dio: è l’interpretazione della struttura della dinamica delle cose nel rapporto con l’uomo che porta l’uomo a udire la presenza di un Oltre.


Sensibilità

(176) Il preconcetto comunque venga originato impedisce l’attenzione: il prevalere dell’interesse, quindi distrazione; l’affermarsi di una idea già fatta, quindi snobbamento del messaggio nuovo; concentrare la sensibilità su quello che piace, perciò il progredire di una insensibilità a sfumature o a particolari di una proposta; la goffaggine di una sommarietà, che diventa delitto, quando si tratti di un problema grave.

Educare ad una attenzione e a una accettazione qualificate dalla sensibilità alla totalità dei fattori in gioco è una pedagogia ad aprire le porte magari già chiuse prematuramente, anche se comprensibilmente: a qualunque ora, anche della notte, può venire a bussare la consistenza della realtà.


Senso Religioso

(5s) L’interrogativo del senso religioso è: «Che senso ha il tutto?» e dobbiamo riconoscere che si tratta di un dato emergente nel comportamento dell’uomo di tutti i tempi, e che tende a investire tutta l’attività umana.

Se dunque noi vogliamo sapere come sia questo fatto, in che consista questo senso religioso, il problema di metodo ci impegna subito in modo acuto.

Come affronteremo tale fenomeno per essere sicuri di riuscire a conoscerlo bene?

(6) Il metodo per conoscere un oggetto mi è dettato dall’oggetto stesso, non può essere definito da me.

Poiché si tratta di fenomeno che avviene in me, è su me stesso che devo riflettere.

Mi occorre una indagine su me stesso, una indagine esistenziale.

(49) La condizione per poter sorprendere in noi l’esistenza e la natura di un fattore portante, decisivo come il senso religioso, è l’impegno con la vita intera, nella quale tutto va compreso: amore, studio, denaro, fino al cibo e al riposo, senza nulla dimenticare, né l’amicizia, né la speranza, né il perdono, né la rabbia, né la pazienza.

Dentro ogni gesto sta il passo verso il proprio destino.

(59s) Il senso religioso e sua natura.

Osserviamo il fattore religioso come l’aspetto fondamentale del fattore spirituale.

«Qual’è il significato ultimo dell’esistenza?»,«Perché il dolore, la morte, perché in fondo vale la pensa vivere?».

O da un altro punto di vista: «Di che cosa e per che cosa è fatta la realtà?».

Ecco il senso religioso si pone dentro la realtà del nostro io a livello di queste domande: coincide con quel radicale impegno con il nostro io con la vita, che si documenta in queste domande.

Leopardi in Canto notturno di un pastore errante dell’Asia:

(60)«Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in ciel arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dire questa
Solitudine immensa) ed io che sono

Ecco potremmo dire che il senso religioso è quella caratteristica che qualifica il livello umano della natura e che si identifica con l’intuizione intelligente e l’emozione drammatica con cui l’uomo, guardando la propria vita e i propri simili dice: «Siamo come le foglie».

Il senso religioso è lì, a livello di queste emozioni, dicevo, intelligenti e drammatiche inevitabili, anche se il clamore o l’ottusità della vita sociale sembrano volerle tacitare.

Rilke in Elegia II:

« E tutto cospira a tacere di noi 
un po’ come si tace
un ‘onta, forse, un po’ come si tace
una speranza ineffabile
»

(74) Il senso religioso è la capacità che la ragione ha di esprimere la propria natura profonda nell’interrogativo ultimo, è il locus della coscienza che l’uomo ha dell’esistenza.

(76) Questa lunga puntualizzazione esistenziale ha inteso sottolineare ciò che il senso religioso sia  in noi, come emerga alla nostra coscienza: domanda di totalità costitutiva della nostra ragione, cioè della capacità che l’uomo ha di conoscenza, della sua natura ad inoltrarsi e abbracciare sempre più la realtà.

Per ciò stesso che un uomo vive pone questa domanda, perché è la radice della coscienza del reale.

E non solo pone la domanda, ma vi risponde affermando un «ultimo»: perché per ciò stesso che uno vive cinque minuti, afferma l’esistenza di un quid per cui valga la pena in fondo in fondo vivere quei cinque minuti.

(136) Il senso religioso appare come una prima e più autentica applicazione del termine ragione, in quanto non cessa di tendere a rispondere alla esigenza a essa più strutturale: quella del significato.

Solo in  una dimensione religiosa è possibile intuire tutta la dinamica strutturale della coscienza (o ragione).

  1. Perché pone l’esigenza del significato, che è come la somma ultima o l’intensità ultima di tutti i fattori della realtà;
  2. Perché apre e pone sulla soglia di ciò che è diverso, è altro, è infinito.

Kant intuisce questo in una indimenticabile pagina della sua  Critica della ragion pura:

«La ragione umana ha questo particolare destino [in una specie della sua conoscenza]: che essa viene oppressa da questioni che non può respingere, perché esse le sono imposte dalla natura della ragione stessa; mentre essa non è in grado di rispondervi, perché esse oltrepassano ogni potenza della ragione umana.[ … ] Essa parte da principi il cui uso è inevitabile nel corso della esperienza [ …] ascende sempre più in alto. Ma poiché essa si avvede che in questo modo l’opera sua dovrà sempre restare incompiuta, così si vede forzata a cercare rifugio in principi che oltrepassano ogni possibile uso dell’esperienza [ …] che non ammettono più la pietra di paragone dell’esperienza».

(187) (Ulisse) Questa è la lotta tra l’umano, cioè il senso religioso, e il disumano, cioè la posizione positivista di tutta la mentalità moderna.

Al di là del mare nostrum che possiamo possedere, governare e misurare che cosa c’è?

L’oceano del significato.

Ed è nel superamento di queste colonne d’Ercole che uno comincia a sentirsi uomo: quando supera questo limite estremo posto dalla falsa saggezza, da quella sicurezza oppressiva, e si inoltra nell’enigma del significato.

(190s) Il senso religioso, o ragione come affermazione di un ultimo significato, viene corrotto, viene degradata a identificare il suo oggetto con qualche cosa che l’uomo sceglie: e lo sceglierà necessariamente dentro l’ambito della sua esperienza.

Si tratterà di una scelta alterante il volto vero di tutta la vita, perché tutto quanto sarà dilatato o diminuito, esaltato o dimenticato, osannato o emarginato, secondo il coinvolgimento con il punto di vista scelto, con il fattore scelto.

(191) Dove sta il pathos di questo atteggiamento? Sta nel fatto che il senso religioso, cioè la natura dell’uomo nella sua natura ultima, identificherà il significato totale della sua vita con qualcosa di comprensibile a sé.

Pretendere di definire il significato di tutto, in fondo che cosa vuol dire?

Pretendere di essere la misura di tutto, vale a dire, pretendere di essere Dio.

(196) La realtà è segno che desta il senso religioso.

Ma è un suggerimento male interpretato; esistenzialmente l’uomo è spinto a interpretarlo male: male, cioè prematuramente, impazientemente.

L’intuizione del rapporto con il mistero si corrompe in presunzione.

(205) L’ipotesi della Rivelazione non può essere distrutta da alcun preconcetto o da alcuna opzione.

Essa pone la questione di fatto, cui la natura del cuore è originalmente aperta.

Occorre per la riuscita della vita, che questa apertura rimanga determinante.

Il destino del senso religioso è totalmente legato ad essa.


Sentimento

(33ss) Non esiste niente che entri nell’orizzonte della nostra conoscenza, e perciò nella nostra esperienza, che non provochi, non susciti, non solleciti, non determini e quindi non trovi in noi un certo stato d’animo.

La parola che indica questo stato d’animo, questa reazione, questa emozione, questo essere toccati dalla cosa che accade si chiama sentimento.

(34) Il valore dell’oggetto conosciuto, dunque, secondo la posizione e il temperamento dell’uomo, lo tocca in modo da provocare quella emozione che noi abbiamo individuato con la parola sentimento.

Il sentimento è quindi l’inevitabile stato d’animo conseguente la conoscenza di qualcosa che attraversa o penetra l’orizzonte della nostra esperienza.

Ma la ragione non è un meccanismo disarticolabile dal resto del nostro io; perciò la ragione è legata al sentimento, ne è condizionata.

Leggiamo definitivamente la nostra formula: la ragione per conoscere l’oggetto deve fare i conti con il sentimento, con lo stato d’animo.

È filtrata dallo stato d’animo, è comunque implicata nello stato d’animo.

La ragione (secondo il razionalismo e l’illuminismo) pensata come capacità di conoscenza che si sviluppa nei confronti dell’oggetto senza che niente debba interferire: se dunque ci deve essere una interferenza, come è quella dello stato d’animo e del sentimento, allora comincia ad emergere l’interrogativo se possa essere una conoscenza oggettiva, una conoscenza vera dell’oggetto, o invece non sia tutta o in parte impressione del soggetto.

(35) Quanto più una cosa interessa l’individuo, quanto più, cioè, è valore (val la pena per la vita della persona), e quanto più è vitale (quanto più cioè interessa la vita), tanto più potente genera uno stato d’animo, una reazione di antipatia o simpatica, tanto più genera «sentimento», e tanto più la ragione è condizionata da questo sentimento per la conoscenza di quel valore.

Allora la cultura razionalista può dire: è chiaro che con quel tipo di oggetti la certezza obiettiva non si può raggiungere, perché gioca troppo il fattore sentimento.

Se chiamiamo «R» (ragione) l’energia conoscitiva del soggetto umano  e se chiamiamo «V» (valore) la realtà da conoscere in quanto di fatto penetra nell’orizzonte dell’umano interesse, la «R» non potrà mai avere una idea chiara ed oggettiva della «V» per la presenza intermediaria e alterante della «S» (sentimento).

(36) La serietà dell’uso della ragione esigerebbe la eliminazione della «S» o una riduzione al minimo di tale fattore.

Ma dove in realtà questo tipo di precauzione che tende ad eliminare questo fattore può avvenire? Essa è operabile soltanto in campo scientifico e matematico.

Perciò solo nel campo scientifico e matematico può essere percepita, affermata la verità sull’oggetto.

In un altro tipo di conoscenza, nel problema del destino, nel problema affettivo, nel problema politico, non si potrà raggiungere una certezza obiettiva, una conoscenza vera dell’oggetto.

Qui è il campo incontrastato dell’opinione o dell’impressione soggettiva.

Due osservazioni:

  1. Esistenzialmente questa posizione, se spremuta nella sua logica, dovrebbe dare il seguente risultato: quanto più la natura mi fa interessare a una cosa, e quanto più mi dà curiosità, esigenza e passione per conoscerla, tanto più mi impedisce di conoscerla.
  2. E’ un errore formulare un principio esplicativo che per risolvere la questione debba avere la necessità di eliminare un fattore in gioco.

(38s) La «S» va immaginata come una lente: l’oggetto da questa lente viene convogliato più vicino all’energia conoscitiva dell’uomo; la ragione la può conoscere più facilmente e sicuramente.

Allora la «S» è una condizione importante perla conoscenza; il sentimento è un fattore essenziale la visione.

Non nel senso che sia esso a vedere, ma nel senso che rappresenta la condizione con cui l’occhio, o la ragione, vedano secondo la loro natura.

Il problema cioè non è che il sentimento venga eliminato, ma che il sentimento sia al suo posto giusto.

Non è un’utopia, ma è realmente una mistificazione immaginare che il giudizio con cui  la ragione cerca di raggiungere la verità sull’oggetto sia più adeguato, sia dignitosamente più valido, quando lo stato d’animo sia in perfetta atarassia, in completa indifferenza.

È, anzitutto impossibile, per la struttura stessa della dinamica umana: questa incidenza del fattore «S» non diminuisce, ma aumenta laddove l’oggetto si fa più carico di significato.

Inoltre, giudicare una proposta di un un significato per la vita dell’uomo con assoluta indifferenza è trattare il problema come trattare un sasso. E, normalmente non ci si capisce più niente.

Cosa vuol dire «il sentimento al suo posto giusto?».

(39) Prima di tutto è chiaro che tale problema non è un problema scientifico, ma è un problema di atteggiamento, e cioè un problema morale, un problema che riguarda il modo di porsi, il modo di governarsi, di impostarsi di fronte alla realtà.

Non è un problema di acume e di intelligenza.

Insomma se una cosa non mi interessa non la guardo: se non la guardo non la posso conoscere.

Per farne conoscenza ho bisogno di porre attenzione a essa: attenzione vuol dire, dal latino, «essere tesi a… » Se mi interessa, mi colpisce , sarò teso nei suoi confronti.

(95) Evasione estetica o sentimentale (di fronte alle domande ultime).

L’uomo accetta le domande, le misura e le calibra con il sentimento, ma non c’è impegno personale dell’io.

Non c’è l’impegno della propria libertà, ma soltanto compiacimento espressivo del riverbero emotivo che l’interrogativo suscita.

(139ss) Supponete di nascere, di uscire dal ventre di vostra madre all’età che avete in questo momento, nel senso di sviluppo e coscienza così come vi è possibile averli adesso.

Quale sarebbe il primo, l’assolutamente primo sentimento, cioè il primo fattore della reazione di fronte al reale?

Se io spalancassi per la prima volta gli occhi in questo istante uscendo dal seno di mia madre, io sarei dominato dalla meraviglia e dallo stupore delle cose come di una «presenza».

Sarei investito dal contraccolpo stupefatto di una presenza che viene espressa nel vocabolario corrente della parola «cosa».!

Il che è una versione concreta e, se volete, banale della parola «essere».

L’essere non come entità astratta, ma come presenza, presenza che non faccio io, che trovo, una presenza che mi si impone.

Perciò il primissimo sentimento dell’uomo è quello di essere di fronte a una realtà che non è sua, che c’è l’indipendentemente da lui e da cui lui dipende.

Tradotto empiricamente è la percezione originale di un «dato».

La parola che traduce in termini totalmente umani il vocabole «dato», e quindi il primo contenuto dell’impatto con la realtà, è la parola dono.


Serietà

(48) Il significato della vita – o delle cose più pertinenti e importanti della vita – è un traguardo possibile solo per chi prende sul serio la vita e quindi avvenimenti e incontri, per chi è impegnato con la problematica della vita.

(86s) Kazimierz Brandy in La difesa della «Grenada»: la società crea interessi per oscurare il grande interesse della domanda essenziale, la domanda di significato:

« [ …] gli argomenti generalmente la convincono. La folla è fatta di pazzi: ha capito l’importanza del lavoro nella sua vita, prende sul serio lo sforzo organizzato, senza rispetto per l’energia materiale, fonte dei suoi futuri successi. 
Tutto questo però non disperde le sue inquietudini. I principi e lo scopo non appagano le nostalgie.
Tormentata da un confuso desiderio, bramando di dimenticare il programma delle sue realizzazioni, la folla vuole scoprire il senso della vita, che permette di gustare il piacere dello spazio dell’esistenza.
Non è esigente in questo, prende quello che le si dà.
L’alcool contiene la garanzia più sicura per riconciliarsi con il presente, una bottiglia da mezzo litro contiene la percentuale desiderata di irrazionale».

Dov’è l’errore della cultura di oggi? Essa scorda le premesse: esse sono nella coscienza dell’uomo, nell’uomo che grida le ultime domande.

(96) La serietà esistenziale della domanda umana non può trovarsi a suo agio nell’evanescente estetismo di un loro riverbero. […] e ciò per cui valga la pena di vivere sia il gusto estetico.

Davanti a una madre a cui muoia un figlio ciò non basta; e neanche a chi abbia perso un lavoro.

(98) La negazione disperata. Di tutti gli atteggiamenti erronei questo è il più drammatico, il più affascinante, il più serio.

Qui vengono prese sul serio, si è troppo seri per negarle.

Ma è la difficoltà delle risposte che a un certo punto fa dire: «non è possibile».

(151) Quello che blocca la dimensione religiosa autentica, il fatto religioso autentico è una mancanza di serietà con il reale, di cui il preconcetto è l’esempio più acuto.

(173) Einstein (in Come io vedo il mondo) era ben lontano da questa miopia, quando affermava l’implicazione enigmatica ultima della realtà, e quindi il valore del segno che inestirpabilmente fa vibrare il mondo:

«La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero; sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza».

E per questo poteva accusare di sconsolatezza soffocante che da quella miopia deriva:

«Chiunque crede che la sua vita e quella dei suoi simili sia priva di significato, è non soltanto infelice, ma appena appena capace di vivere».

Così anche la serietà di ogni passo empirico o di ogni preciso atto scientifico devono essere attraversati dal richiamo dell’intero orizzonte umano, devono cioè «segnare» una ben più alta, anche se enigmatica, appartenenza.

«La preoccupazione dell’uomo e del suo destino deve sempre costituire l’interesse principale di tutti gli sforzi tecnici; non dimenticatelo mai, in mezzo ai vostri diagrammi, e alle vostre equazioni».

Einstein in “Così io vedo il mondo”.

Sfida

(14) La sfida più audace a quella mentalità che ci domina e che incide in noi per ogni cosa – dalla vita spirituale al vestito – è proprio quella di rendere abituale in noi il giudizio su tutto alla luce delle nostre evidenze prime, e non alla mercé di più occasionali reazioni.

(126) Ad esempio, non esiste niente, nei rapporti tra uomo e donna, tra ragazzo e ragazza, più temuto e odiato, inconsciamente, che una religiosità autentica nell’altro o nell’altra, perché è limite al possesso, è sfida al possesso.


Sforzo

(45) Non sarà inutile ridire che il vero problema per ciò che concerne la ricerca della verità sui significati ultimi della vita non è quello di una particolare intelligenza che occorra o di uno speciale sforzo o di eccezionali mezzi necessari da usarsi per raggiungerla.

La verità ultima è come trovare una bella cosa suo proprio cammino: la si vede e si riconosce, se si è attenti.

Il problema è dunque tale attenzione.

(85) Quale fede? Fede in che? È come uno che inturgidisce i muscoli, come quando li si voleva ostentare da bambini, per poter affrontare il tempo con un sentimento ideale, prodotto da questo stesso sforzo.

(182) Eccola la vera definizione dell’esperienza del rischio: una paura di affermare l’essere strana, perché estranea alla nostra natura.

Quanto più una cosa interessa il significato del vivere, tanto più noi abbiamo questa paura di affermarla.

Questa paura dunque sarebbe vinta dallo sforzo di volontà, cioè dalla forza della libertà, ma essa è altamente improbabile.

C’è in natura un metodo che riesce a darci questa energia di libertà, che ci fa superare, attraversare la paura del rischio. Per superare il baratro dei «se» dei «ma» dei «però» il metodo usato dalla natura è il fenomeno comunitario.


Significato

(48) Il significato della vita – o delle cose più pertinenti e importanti della vita – è un traguardo possibile solo per chi prende sul serio la vita e quindi avvenimenti e incontri, per chi è impegnato con la problematica della vita.

 (62) Mt 16,26:

«Che giova all’uomo possedere tutto il mondo, se poi smarrisce sé stesso? O che darà l’uomo in cambio si sé?».

Questo sé non è nient’altro che esigenza clamorosa, indistruttibile e sostanziale ad affermare il significato di tutto.

Ed è appunto così che il senso religioso definisce l’io: il luogo della natura dove viene affermato il significato del tutto.

(102s) L’unico calore, che può rendere costruzione il passato nel presente, è il riconoscimento di una pienezza di intelligenza e di amore, di «significato» in quel fondo da cui sgorghi, così come esige lo sguardo della umana coscienza.

(103) Secondo questa ultima posizione la vita ha un senso tutto positvo, ma si nega che questo senso abbia verità per la persona, sia per la persona.

L’deale della vita risiederebbe in una ipotetica evoluzione del futuro, cui tutti dovremmo concorrere come unico significato del vivere.

La dinamica spirituale della persona e il meccanismo evolventesi della realtà sociale sono finalizzati a questo futuro, e il fenomeno nel suo complesso viene indicato con quella parola supremamente equivoca: il progresso.

C’è una obiezione radicale.

Le domande fondamentali segnano l’emergere nella natura proprio della dimensione personale dell’uomo, della originalità irriducibile della sua personalità.

Quelle domande costituiscono la mia persona, si identificano con la mia ragione e coscienza, sono il contenuto della mia autocoscienza: la loro soluzione, l’avverarsi del loro significato deve toccare me, riguarda direttamente  me.

Una risposta non è data se non è data a  me.

Le domande sono il mio io: e nella soluzione progressista l’io non ha risposta, è alienato.

(109s) Le sei categorie di cui abbiamo parlato hanno in comune una svalutazione delle domande, uno svuotamento della consistenza e dello spessore delle domande, diquelle domande che noi abbiamo riconosciute come espressive della originalità specifica dell’uomo.

Lo smarrimento del significato, come conseguenza dello svuotamento o della riduzione delle domande, porta conseguenze culturalmente gravi.

L’uomo perde il controllo di sé nella interezza dei suoi fattori.

La prima conseguenza è la rottura con il passato, la seconda la solitudine dell’uomo nel suo concreto, e la terza è l’eliminazione della libertà proprio come caratteristica antropologica e sociale.

Lo smarrirsi del significato tende all’annullamento della personalità: la personalità dell’uomo acquista densità e consistenza proprio come esigenza, intuizione, percezione e affermazione del significato.

Un cane si strofinerebbe contro una macchina senza afferrarne il significato, vale a dire il valore d’uso, lo scopo; così un uomo potrebbe anche giocare con una macchina senza averne il possesso.

(110) Ma non ne avrebbe la capacità di possesso, se non in quanto ne avesse afferrato il significato.

Senza che ne venga afferrato il significato una cosa resta estranea a noi.

L’uomo è come irrigidito, non è capace di comprendere e non è capace di utilizzare.

Lo smarrimento del significato quindi porta una depressione della personalità: la depressione della personalità sfoca il senso del passato.

Senza conoscere il significato di uno strumento che stesse davanti, come uno potrebbe trattare questo strumento?

Come lo tratterebbe un bambino, vale a dire, giocando; ci giocherebbe.

Non diversamente l’uomo, laddove il significato del suo vivere, la risposta a quelle domande, fosse smarrito, non si può dire che giocherella con il mondo, perché è troppo drammatica e ultimamente tragica la vita, per cui la parola «giocherellare» varrebbe soltanto in qualche caso e in certi momenti; ma possiamo usare già la parola citata: «reagisce»; l’uomo reagisce.

Il criterio del suo nesso con la realtà è la reattività, la reazione.

La reattività come criterio di un rapporto taglia i ponti con la ricchezza della storia e della tradizione, cioè taglia i ponti con il passato.

Come assenza di un significato riconosciuto,  perseguito, voluto, che, in qualche modo, cerchi di convogliare tutti i fattori in campo; come assenza appunto di un ordinamento a un significato di tutta la vicenda, la reattività che prenda il sopravvento produce come prima cosa un taglio con il passato.

(111) La reattività blocca il nesso con la storia, taglia i ponti con tutto ciò che è stato convogliato fino a quel momento.

(116) Di fronte al destino come assenza di significato l’uomo prova una solitudine terribile.

La solitudine infatti non è essere solo, ma è l’assenza di significato.

La solitudine che si accusa nella vita comune è accusa a una propria presenza nella vita comune senza intelligenza del significato.

Si è lì senza riconoscere ciò che unisce, e allora il più piccolo sgarbo diventa una obiezione che fa crollare tutta la impalcatura della fiducia.

(121) Un Altro è questa verità di me stesso: questa pienezza del mio essere sei tu, il mio significato sei Tu.

Perciò

(136) Il senso religioso appare come prima e più autentica applicazione del termine ragione, in quanto non cessa di tendere a rispondere alla esigenza a essa più strutturale: quella del significato.

Wittgenstein in Tractatus:

« Il senso della vita, cioè il senso del mondo, possiamo chiamarlo Dio [ … ] Pregare è pensare al senso della vita».

Solo in una dimensione religiosa è possibile intuire la dinamica strutturale della coscienza (ragione).

  • Perché l’esigenza del significato, che è come la somma ultima e l’intensità ultima di tutti i fattori della realtà
  • Perché apre e pone sulla soglia di ciò che è diverso, è altro, è infinito.

(150s) La formula dell’itinerario al significato ultimo della realtà qual è? Vivere il reale.

L’unica condizione per essere sempre e veramente religiosi è vivere intensamente il reale. […] senza preclusioni, cioè senza rinnegare e dimenticare nulla

(151) Il positivismo che domina la mentalità dell’uomo moderno esclude la sollecitazione alla ricerca del significato che ci viene dal rapporto originario con le cose.

Questo ci invita alla ricerca di una consistenza, cioè appunto di significato.

Il positivismo esclude l’invito a scoprire il significato che ci viene rivolto proprio dall’impatto originario ed immediato con le cose.

Vorrebbe imporre all’uomo di fermarsi a ciò che appare.

E questo è soffocante.

Quello che blocca la dimensione religiosa autentica, il fatto religioso autentico è una mancanza di serietà con il reale.

È segno degli spiriti grandi e degli uomini vivi l’ansia della ricerca attraverso l’impegno con la realtà della loro esistenza.

Ecco allora la conclusione: il mondo, questa realtà in cui impattiamo, è come se nell’impatto sprigionasse una parola, un invito, facesse sprigionare un significato.

Questo è il valore della analogia. La struttura di impatto dell’uomo con la realtà desta nell’uomo una voce che lo attira a un significato che è più in là, più su, anà.

(157s) La prima categoria è l’esigenza della verità: cioè, semplicemente l’esigenza del significato delle cose quanto più l’uomo dettaglia seriamente la composizione delle cose, tanto più si esaspera nella domanda di quale ne sia il significato.

L’esigenza della verità implica sempre allora l’individuazione della verità ultima, perché non si può veramente definire una verità parziale se non in rapporto con l’ultimo.

(158) Il vero: il significato reale di ogni cosa sta nel suo percepito nesso con la totalità, con il fondo, con l’ultimo.

(168s) L’uomo come essere libero non può arrivare al suo compimento, non può arrivare al suo destino se non attraverso la sua libertà.

Abbiamo visto che l’essere libero vuol dire capacità di possedere il proprio significato, di raggiungere la propria realizzazione secondo un certo modo, che chiamiamo appunto libertà.

È attraverso la mia libertà che il destino, il fine, lo scopo, l’oggetto ultimo può diventare risposta a me.

Non sarebbe umano un compimento dell’uomo, non sarebbe compimento dell’essere umano, se non fosse libero.

(187) (Ulisse) Ma al di là della mare nostrum che possiamo possedere, governare e misurare, che cosa c’è? L’oceano del significato.

Ed è nel superamento di queste colonne d’Ercole che uno comincia a sentirsi uomo: quando supera questo limite estremo posto alla falsa saggezza, da quella sicurezza oppressiva, e si inoltra nell’enigma del significato.

(189ss) La Bibbia rivela che «un eccessivo attaccamento a sé» (la formula psicologica identica e nota: amor proprio) spinge la ragione dell’uomo, nel suo desiderio appassionato, nella sua pretesa di capire questo supremo significato da cui tutti gli atti dipendono, a dire, a un certo punto:«Ecco ho capito: il mistero è qui».

Nella sua situazione esistenziale la natura della ragione soffre una vertigine cui dapprima può resistere, ma poi vi cade.

 E la vertigine sta in questa prematurità o impazienza con cui dice: «Ho capito, il significato della vita è questo».

(190s)Tutte le affermazioni secondo cui: «il significato del mondo è questo, il senso dell’uomo è questo, il destino  ultimo della storia è questo» nella loro diversità e  molteplicità sono tutte documentazioni della stessa caduta.

(L’uomo) Identifica inevitabilmente questo è: il sangue della razza tedesca la lotta del proletariato, la competizione per la supremazia economica….

Vale a dire, se l’uomo pretende la definizione del significato globale non può che cadere nella esaltazione del suo punto di vista, di un punto di vista.

Il senso religioso, o ragione come affermazione di  ultimo significato viene corrotto, viene degradato a identificare il suo oggetto con qualcosa che l’uomo sceglie: e lo sceglierà necessariamente dentro l’ambito della sua esperienza.

(191) Dove sta il pathos di questo atteggiamento? Sta nel fatto che il senso religioso, cioè la natura dell’uomo nella sua statura ultima; identificherà il significato totale della sua vita con qualcosa di comprensibile a sé.

La natura della ragione è tale che per ciò stesso che si mette in moto intuisce il mistero, l’incommensurabilità del significato totale con la sua possibilità di conoscenza, ma esistenzialmente non tiene sé stessa, non regge la suo slancio originale, opera subito una parabola riduttiva.

Il senso religioso, o ragione come affermazione di un ultimo significato, viene corrotto, viene degradato a identificare il suo oggetto con qualche cosa che l’uomo sceglie: e lo sceglierà necessariamente dentro l’ambito della sua esperienza.

Pretendere di definire il significato di tutto, in fondo che cosa vuol dire? Pretendere di essere la misura di tutto, vale a dire, pretendere di essere Dio.


Simpatia

(117) Questa curiosità nel bambino o nell’adulto è apertura piena di affermazione positiva.

Questa curiosità non è che una originale simpatia con l’essere, con la realtà, quasi una ipotesi generale di lavoro con cui la natura sospinge l’uomo all’universale paragone.

Questa simpatia con la realtà è l’ipotesi generale di lavoro come premessa a qualsiasi azione, a qualsiasi attività.


Sincerità

(43) Il Signore ha dato un esempio, un paradigma di questo atteggiamento di amore alla verità: «Se non sarete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli». Non è un ideale di infantilismo che ci ha proposto, ma di sincerità attiva di fronte al reale, di fronte all’oggetto che si prende in considerazione.

I bambini hanno gli occhi sgranati e non dicono: «ma…se…però..» dicono pane al pane e vino al vino o come disse Cristo: « Il vostro dire sia «si», «no»; ogni altra posizione viene dalla menzogna».


Società

(13) Se si vuole diventare adulti senza essere ingannati, alienati, schiavi di altri, strumentalizzati, ci si abitui a paragonare tutto con l’esperienza elementare.

In realtà propongo così un compito non facile e impopolare.

Di norma infatti tutto viene affrontato secondo una mentalità comune: sostenuta, propagandata da chi nella società detiene il potere.

Cosicché la tradizione familiare, o la tradizione nel più vasto contesto in cui si è cresciuti, sedimentano sopra le nostre esigenze originali e costituiscono come una grande incrostazione che altera l’evidenza di quei significati primi, di quei criteri, e, se uno vuol contraddire tale sedimentazione indotta dalla convivenza sociale e dalla mentalità ivi creatasi, deve sfidare l’opinione comune.

(67) Una società ideologica infatti tende a congelare ogni vera ricerca: usa il potere che detiene come strumento per contenere tale ricerca entro certi limiti di realizzazione e di manifestazione.

Una dittature non ha mai interesse che la ricerca sull’uomo sia libera, perché una ricerca libera sull’uomo è ili limite più pericoloso al potere, è sorgente incontrollabile di possibilità di opposizione.

Così entra in scena la violenza del potere.

(75s) «Il mondo senza Dio sarebbe una favola raccontata da un idiota in un accesso di furore» fa dire Shakespeare a un suo personaggio, e mai è stato definito meglio il tessuto di una società atea.

(81s) In Cronaca di filosofia italiana Garin raccomanda che il pensiero sia « senza voli impossibili iperurani […] Che l’uomo è certo il centro e il signore del mondo, ma a condizione […] di dar corpo e consistenza a quel suo libero signoreggiare».

Che «libero signoreggiare» è quello per cui pensare secondo la mentalità al potere, altrimenti ti emarginano dalla società, e, se possono, ti mandano in manicomio in Russia!

John Dewey in La ricerca della certezza:

«Abbandonare la ricerca della realtà e del valore assoluto e immutabile, può sembrare un sacrificio, ma questa rinuncia è la condizione per impegnarsi in una vocazione più vitale. La ricerca dei valori che possono essere assicurati e condivisi da tutti perché connessi alla vita sociale, è una ricerca in cui la filosofia troverà non rivali, ma coadiutori negli uomini di buona volontà».

(82) Ma abbandonare la ricerca della realtà, del valore assolluto e immutabile è un sacrificio tale per cui la gente si può anche ammazzare.

(86) Kazimiers Brandys: la società crea interessi per oscurare il grande interesse della domanda essenziale, la domanda di significato.

(116)  Ma l’incomunicabilità, oltre che esasperare questa solitudine personale, le dà un rilievo esterno, per cui essa diventa clima sociale esasperante, volto tristemente caratteristico della  società di oggi.

(122ss)

L’uomo schiavo del potere e della mentalità dominante: lo Stato sorgente di ogni diritto.
L’uomo dipendente da Dio e quindi libero dal potere e dalla mentalità dominante

Questo mondo, questa realtà ha livello umano si chiama umanità. L’umanità è un concetto ancora astratto, perché  l’umanità in concreto si chiama società.

Ma la società è un determinato ordine organico.

Ed è per il potere che questo ordine è  mantenuto.

Anche un governo è per il potere posseduto che di fatto riesce a dare forma alla società.

Allora quel punto, (cioè io, tu!) non ha nessun diritto di fronte al potere, perché il potere è l’emergenza della forza del reale in questo istante del flusso storico.

(123) Tutta la realtà della nostra epoca ha codificato questo: lo Stato sorgente di ogni diritto, Stato liberale o marxista che sia.

(124) In un solo caso questo punto, che è l’uomo singolo, è libero, e tutto il mondo non può costringerlo, e l’universo intero non può costringerlo.

In un solo caso questa immagine di uomo libero è spiegabile: se si suppone che quel punto non sia totalmente costituito dalla biologia di suo padre e di sua madre, ma possegga qualche cosa che non derivi dalla tradizione biologica dei suoi antecedenti meccanici, ma che sia diretto rapporto con l’infinito, diretto rapporto con l’origine di tutto il flusso del mondo, di tutto il «cerchio», con quella X misteriosa che sta sopra il flusso della realtà, cioè Dio .

(125)

La libertà si identifica con la dipendenza da Dio a livello umano, cioè riconosciuta e vissuta.

Mentre la schiavitù è negare o censurare questo rapporto.

La coscienza vissuta di questo rapporto si chiama religiosità.

Per questo l’unica remora, l’unico limite, l’unico confine alla dittatura dell’uomo sull’uomo, si tratti di uomo o donna, si tratti di genitori e figli, si tratti di governo e di cittadini, si tratti di padrone ed operai, si tratti di capi partito e di strutture in cui la gente serve, l’unica remora e l’unico confine, l’unica obiezione alla schiavitù del potere, l’unica è la religiosità.

(158) L’umanità di una società, la sua civiltà, è determinata dall’aiuto che l’educazione di essa dà a mantenere spalancata questa apertura insaziabile attraverso tutti i comodi e gli interessi che prematuramente la vorrebbero chiudere.


Soddisfazione

(68) Dostoevskij (I demoni):

«Aveva saputo toccare nel cuore del suo amico le corde più profonde e provocare in lui la prima sensazione, ancora indefinita, di quella eterna santa tristezza che qualche anima eletta, una volta l’abbia assaporata e conosciuta, non scambierà poi mai più con una soddisfazione a buon mercato (Vi sono anche certi amatori così fatti che questa tristezza hanno più cara della soddisfazione più radicale, ammesso che una simile soddisfazione sia possibile)».

(120) Sperimentalmente noi ci sentiamo liberi per la soddisfazione di un desiderio.

La libertà si annuncia esperienza nella nostra esistenza come realizzazione di un bisogno o realizzazione di una aspirazione, come compimento.

Seguendo l’indicazione dell’esperienza, è chiaro che la libertà si presenta a noi come la soddisfazione totale, il compimento totale dell’io, della persona o come perfezione.

Vale a dire,

(159) (1° verità, 2° giustizia) La terza categoria è quella della felicità, vale a dire del compimento di sé: con parole analoghe, della totale soddisfazione, il riverbero psicologico del compimento; o della perfezione, il riverbero ontologico della realizzazione di sé.


Soggetto

(5) Il realismo esige che, per osservare un oggetto in modo tale da conoscerlo, il metodo non sia immaginato, pensato, organizzato o creato dal soggetto, ma imposto dall’oggetto.

(17) Il metodo con cui si affronta qualcosa è determinato dall’oggetto e non immaginato dal soggetto.

La seconda premessa invece mette in primo piano il soggetto che agisce: l’uomo.

(19) Se la ragione è rendersi conto della realtà, tale rapporto conoscitivo con il reale si deve sviluppare in modo ragionevole.

Ed è ragionevole quando i passi per quel rapporto di conoscenza sono determinati da motivi adeguati.

È questo il corrispettivo dal punto di vista del soggetto di quanto abbiamo detto prima a proposito dell’oggetto, e cioè che quest’ultimo determina il metodo.

Qui possiamo dire che è la natura del soggetto a determinare le modalità con cui questo metodo viene usato.

E la natura del soggetto è quella di avere la ragione.

(35) (L’ipotesi di una ragione senza interferenze) [ … ] se dunque ci deve essere una interferenza, come è quella dello stato d’animo e del sentimento, allora comincia a emergere l’interrogativo se possa essere una conoscenza oggettiva, una conoscenza vera dell’oggetto, o invece non sia tutta o in parte impressione del soggetto.

(46) Partire da sé stessi vuol dire prendere le mosse della propria persona sorpresa dentro l’esperienza quotidiana.

Allora il «materiale» di partenza non sarà più un preconcetto su di sé, una immagine artificiosa di sé, una definizione della propria persona magari mutuata dalle idee correnti e dalla ideologia dominante.


Sogno

(76) (senza Dio) La vita sarebbe «una favola» uno strano sogno quindi: discorso astratto o immaginazione esasperata; raccontata «da un idiota»: perciò senza capacità di nessi, a segmenti spezzati, senza un ordine vero, una possibilità di previsione; «in un accesso di furore»: dove cioè l’unica metodologia del rapporto è violenza, ossia illusione di possesso.

(98) «O sogno, verità senza certezza di memoria» dice Shakespeare  ne «la tempesta».

Il sogno ha uno spunto vero, un impeto ideale che crea un certo alone immaginario, emotivo: ma è senza «base»senza fondamento dato, da recuperare continuamente per obbedirgli, così verificandolo in certezza crescente.


Solitudine

(74s) Il filosofo americano Alfred N.Whitehead definisce così la religione: «Quello che l’uomo fa nella sua solitudine».

La stessa domanda, però, nel medesimo istante in cui definisce la mia solitudine pone la radice della mia compagnia, perché significa che io sono costituito da una altra cosa, sia pure misteriosa.

Dunque se si volesse completare la definizione del filosofo americano, la religione è sì ciò che l’uomo fa nella sua solitudine, ma è anche ciò in cui scopre la sua essenziale compagnia.

Tale compagnia è poi più originale della solitudine, in quanto quella struttura di domanda non è generata da un mio volere, mi è data.

Perciò prima della solitudine sta la compagnia, che abbraccia la mia solitudine, per cui essa non è più vera solitudine, ma grido e richiamo alla compagnia nascosta.

(93) I grilli che per un attimo tacciono al tonfo del piccolo Friedmann che si lascia annegare, richiamano l’indifferenza «dell’asin bigio» di «Davanti a san Guido» di Carducci: sono il simbolo della natura che abbandona anch’essa, avida, insensibile, l’uomo nella solitudine totale, quando l’uomo stesso lasci cadere, in qualunque modo, la spinta al  mistero, cui le domande costitutive del suo cuore lo sospingono autorevolmente.

(115ss) L’annullamento della personalità sfoca a sua volta il senso del passato, perché il presente viene abbandonato alla reattività, la reattività taglia i ponti con la tradizione, la storia, inaridisce l’impeto verso il futuro come fecondità.

(116) Questa reattività riduce la capacità di dialogo e di comunicazione, perché dialogo e comunicazione hanno radice nella esperienza, custodita e quindi maturata nella memoria e giudicata dalla intelligenza, giudicata cioè secondo i caratteri, le esigenze costitutive della nostra umanità.

L’incomunicabilità come difficoltà di dialogo e comunicazione rende a sua volta più tragica la solitudine che l’uomo prova di fronte al destino.

Di fronte al destino come assenza di significato l’uomo prova una solitudine terribile.

La solitudine infatti, non è essere da soli  ma è l’assenza di significato.

Si può essere in mezzo a milioni di persone ed essere soli come cani, se non hanno significato quelle presenze.

La solitudine che si accusa nella vita comune è accusa a una propria presenza nella vita comune senza intelligenza del significato.

Si è lì senza riconoscere ciò che unisce e allora il più piccolo sgarbo diventa obiezione che fa crollare tutta la impalcatura della fiducia.

L’incomunicabilità aumenta il senso tragico di solitudine che l’uomo moderno e contemporaneo ha di fronte al destino come significato.

Ma l’incomunicabilità, oltre ad esasperare questa solitudine personale, le dà un rilievo esterno, per cui essa diventa clima sociale esasperante, volto tristemente caratteristico delle società di oggi.

(117) L’attrattiva consistente del presente viene dalla ricchezza di cui è pregno, perciò viene dalla eredità del passato, altrimenti si assottiglia enormemente, come è sottile l’aria e arida l’attrattiva di una pura reattività.

La vecchiaia a vent’anni e anche prima, la vecchiaia a quindici anni, questa è la caratteristica del mondo di oggi.

In tale situazione l’individuo di trova sempre più vulnerabile dentro il tessuto sociale.

È l’esito più pericoloso della solitudine.

(118) L’individuo si trova sempre più vulnerabile dentro il tessuto sociale in balia delle forze più incontrollate dell’istinto e del potere.

La solitudine diventa così grande che l’uomo si sente ridotto a pezzi, strappato da mille sollecitazioni anonime.


Speranza

(70) Pavese in Mestiere di vivere:

«Ciò che l’uomo cerca nei piaceri è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di conseguire questo infinito».

(98s) Adorno in Minima moralia:

«Quando speriamo nella salvezza, una voce mi dice che la speranza è vana».

Ma sarebbe venir meno a sé stessi assecondare questa voce perché non dà ragione della speranza che pur sussiste.

(99) E infatti, continua Adorno: «è essa, essa soltanto, la speranza impotente» che ci permette di respirare, cioè di vivere.

(150) L’esperienza di quella implicazione nascosta, di quella presenza arcana, misterioso dentro l’occhio che si spalanca sulle cose, dentro l’attrattiva che le cose risvegliano, dentro lo stupore pieno di gratitudine, di conforto, di speranza, perché queste cose si muovono in modo tale da servirmi, da essermi utili: e queste cose hanno dentro anche me, me, in cui quel recondito, quel nascosto diventa vicino, perché è qui che mi sta facendo, e mi parla del bene e del male – questa esperienza come potrà essere vivida, questa complessa e pur semplice esperienza ricchissima di cui è costituito i cuore dell’uomo, che è il cuore dell’uomo e perciò cuore della natura, il cuore del cosmo? Come potrà diventare potente? Nell’impatto con il reale.


Spirito

(52) Tommaso d’Aquino: «Anima est quodammodo omnia» lo spirito dell’uomo è in qualche modo tutto.

Tanto più uno è persona, è uomo, quanto più abbraccia e vive nell’istante presente tutto ciò che lo ha preceduto e che lo circonda.

(54ss) L’osservazione che il soggetto fa di sé stesso in azione gli rivela dunque che il suo io è fatto di due realtà diverse: tentare di ridurre l’una all’altra sarebbe negare l’evidenza dell’esperienza che diverse le presenta.

Quello che è  importante è tener ben ferma l’irriducibilità dell’una all’altra.

Se in me c’è una realtà che non è divisibile, misurabile o essenzialmente mutabile, a essa l’idea di morte così come l’esperienza me la mostra, non è applicabile.

La differenziazione del duplice fattore (materia e spirito) si evidenza solo dopo.

Il materialista direbbe: «Vedete dunque che quanto appare dopo, cioè spirito, intelligenza, pensiero, amore è una flessione del dato materiale iniziale. Anche il cosiddetto spirito è frutto della materia, l’uomo è per sua natura materia».

(57) Se l’esperienza mostra in me l’esistenza di due tipi di realtà irriducibili l’uno all’altro, non posso farli coincidere, perché spiegare la differenza sopprimendola significa forzare, violentare l’esperienza, significa investire l’esperienza di un preconcetto.

Se dunque in questo presente appaiono due fattori irriducibili e se rivolgendomi al passato devo notare che, rifacendo il cammino all’indietro, i due fattori sono meno visibili fino a confondersi, sarà precisamente questo fenomeno cui dovrò dare una spiegazione, ma a partire dall’affermazione dei due dati che nell’istante presente sorprendo.

(58s) E’ perfettamente sperimentabile, e quindi razionalmente sostenibile, una unità composta di due fattori, irriducibili fra loro, ma nella quale l’emergenza del secondo fattore è condizionato a un certo sviluppo del primo.

(59) Abbiamo evidenziato con una iniziale riflessione i fattori in gioco nella nostra esperienza che ci hanno mostrato la non univocità del composto umano, perciò l’aspetto materiale e spirituale della nostra vita.

(121) La fede è il gesto di libertà fondamentale e la preghiera è la costante educazione del cuore, dello spirito alla autenticità umana, alla libertà: perché fede e preghiera sono il riconoscimento pieno di quella Presenza che è il mio destino, e la dipendenza dalla quale è la mia libertà.

Esistenzialmente questa libertà non è ancora compiuta; esistenzialmente è tensione al compimento, è tensione verso l’essere e adesione progressiva, è in divenire.


Sproporzione

(63s) Sproporzione alla risposta totale.

Quando più uno s’addentra nel tentativo di rispondere a quelle domande, tanto più ne percepisce la potenza, e tanto più scopre la propria sproporzione alla risposta totale.

Leopardi in Pensieri:

«Il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, della terra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi, e trovare che tutto ciò è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che di siffatto universo; e sempre accusare le cose d’insufficienza e nullità, e patire mancamento e vòto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga nella natura umana».

L’inesauribilità della domanda esalta la contraddizione fra l’impatto della esigenza e la limitatezza della misura umana nella ricerca.

(64) Leopardi in Sopra il ritratto di una bella donna:

«Natura umana, or come
Se frale in tutto e vile,
Se polve ed ombra sei, tant’alto senti?
Se in parte anco gentile,
Come i più degni tuoi moti e pensieri
Son così  di leggeri
Da sì basse cagioni e desti e spenti
?»

L’inesauribilità della risposta alle esigenze costitutive del nostro io è strutturale, cioè inerente alla nostra natura che ne rappresenta la caratteristica d’essere.

(65s) Francesco Severi, amicissimo di Einstein, […] quanto più la sua indagine procedeva, tanto più l’orizzonte cui perveniva si palesava come rimando a un altro orizzonte, facendogli percepire la sua conquista come sola funzione che lo sospingeva ulteriormente verso una X, un quid che era al di là delle condizioni in cui agiva.

Quando giungeva a un certo termine, l’oggetto dell’azione, la X si spostava.

Si potrebbe segnare così questo processo:

(66) Se uno impegnativamente e seriamente attende a questa dinamica, quanto più procede, tanto più gli diventa evidente l’incommensurabilità e la sproporzione fra l’oggetto cui l’indagine arriva e la profondità delle domande.

Senza ammettere questa «X» incommensurabile, senza ammettere la sproporzione incolmabile tra l’orizzonte ultimo e la capacità degli umani passi, l’uomo elimina la categoria della possibilità, suprema dimensione della ragione; poiché soltanto un oggetto incommensurabile può rappresentare un invito indefinito per una apertura strutturale nell’uomo.

La vita è fame e sete e passione di un oggetto ultimo che incombe sul nostro orizzonte, ma sta sempre al di là di esso.

Ed è questo che, riconosciuto, rende l’uomo inesauribile ricercatore.


Stupore

(139ss) Lo stupore della presenza..

Se io spalancassi per la prima volta gli occhi in questo istante, uscendo dal seno di mia madre, io sarei dominato dalla meraviglia e dallo stupore delle cose come di una presenza.

(140) Sarei investito da un contraccolpo stupefatto di una presenza che viene espressa nel vocabolario dalla parola «cosa».

Il che è una versione concreta e banale della parola «essere».

L’essere: non come entità astratta, ma come presenza, presenza che non faccio io, che trovo, una presenza che mi si impone.

Lo stupore, la meraviglia di questa realtà che mi si impone, di questa presenza che mi investe, è all’origine del risveglio dell’umana coscienza.

Heschel:

«L’assoluto stupore è per l’intelligenza della realtà di Dio ciò che la chiarezza e la distinzione sono per la comprensione delle idee matematiche. Privi di meraviglia restiamo sordi al sublime».

Perciò il primissimo sentimento è quello di essere di fronte a una realtà che non è sua, che c’è indipendentemente da lui e da cui lui dipende.

Tradotto empiricamente è la percezione originale di un dato.

La parola che traduce in termini totalmente umani il vocabolo «dato», e quindi il primo contenuto dell’impatto con la realtà, è la parola dono.

(141) L’accorgersi di una inesorabile presenza!

Io apro gli occhi a questa realtà che mi si impone, che non dipende da me, ma da cui io dipendo: il grande condizionamento della mia esistenza, se volete, il dato.

È questo stupore che desta la domanda ultima dentro di noi: non una registrazione a freddo, ma meraviglia gravida di attrattiva, come una passività in cui nello stesso istante viene concepita l’attrattiva.

(146) A questo punto, quando è risvegliato nel suo essere dalla presenza, dalla attrattiva e dallo stupore, ed è reso grato, lieto, perché questa presenza può essere benefica e provvidenziale, l’uomo prende coscienza di sé come io e riprende lo stupore originale con una profondità che stabilisce la portata, la statura della sua identità.

In questo momento io, se sono attento, cioè se sono maturo, non posso negare che l’evidenza più grande e profonda che percepisco è che io non mi faccio da me, non sto facendomi da me.

(150) L’esperienza di questa implicazione nascosta, di questa presenza arcana, misteriosa dentro l’occhio che di spalanca sulle cose, dentro l’attrattiva che le cose risvegliano, dentro la bellezza, dentro lo stupore pieno di gratitudine, di conforto, di speranza, perché queste cose si muovono in modo tale da servirmi, da essermi utili..

(153) Innanzitutto è chiaro che lo stupore, di cui abbiamo detto, costituisce una esperienza di provocazione.

ABCDEFGILM/NOPRSTUV





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