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Lettera «T»
Libro “il Senso Religioso” di don Luigi Giussani
Tempo
(54) L’idea di bontà, quel criterio che ci si ritrova dentro, per cui si può dire di qualcuno: «è buono», questa idea non potrebbe essere misurata, quantificata, e non si modificherebbe nel tempo.
Un’altra identificazione di immutabilità oltre che nell’idea e nel giudizio sta nel fenomeno della decisione.
Se io dico: «voglio bene a questa persona» la definizione del rapporto che la sua libertà sceglie sta come tale senza che tempo e misura entrino nella definizione strutturale dell’atto.
(56)
Osserviamo questo grafico:
.
Esso descrive la traiettoria di una vita umana nel suo aspetto immediatamente visibile.
La vita umana, come ogni altra vita animale, nasce da un elemento maschile e un elemento femminile e appare nei suoi primi sviluppi descrivibile e analizzabile come ogni altra vita animale.
La differenziazione del duplice fattore (corpo e anima) si evidenzia solo dopo.
Il materialista farebbe notare però che ogni espressione, che appaia libera dalle posizioni del tempo e dello spazio e che quindi si stacchi da quella linea orizzontale, che indica il livello di vita materiale, trae comunque origine dallo stesso punto ed è quindi una manifestazione semplicemente più scaltrita del dato materiale.
(85) (prassi volontaristica) Quale fede? Fede in che? È come uno che inturgidisse i muscoli, come quando li si voleva ostentare da bambini, per poter affrontare il tempo con un sentimento ideale, prodotto da questo stesso sforzo.
È come indurire a vuoto i muscoli della volontà.
(199s) Occorrerebbe decidersi a una irrazionalità totale, a una innaturalità totale, per sopprimere lo slancio con cui la nostra natura intuisce che questo significato ultimo, che questa dipendenza totale ha un termine di riferimento – anche se esso è, usiamo la parola drammatica, «disperatamente» al di là, trans, è trascendente, «assoluto», cioè non legato al tempo e allo spazio, né ad alcuna delle misure di ragione, fantasia o immaginazione che noi potremo usare.
(200) Occorre un grande coraggio.
Tutta la notte, cioè il tempo dell’esistenza, vissuta in tensione con questa Presenza inafferrabile, indecifrabile, di cui non si conosce il volto.
All’uomo viene il capogiro, viene una vertigine.
Tensione
(73) Thomas Mann in «Le storie diGiacobbe», Giuseppe e i suoi frattelli :
«Il mistero dà fuoco e tensione a ogni nostra parola».
(121) Esistenzialmente questa libertà non è ancora compiuta; esistenzialmente è tensione al compimento, è tensione verso l’essere e adesione progressiva, è in divenire.
(154) Una trascrizione poetica di questa tensione che la realtà opera nell’uomo è nella vibrante analogia dell’attesa, tema di una bella poesia di Clemente Rebora: «Dall’immagine tesa».
«Dall'immagine tesa
Vigilo l'istante
Con imminenza di attesa -
E non aspetto nessuno:
Nell'ombra accesa
Spio il campanello
Che impercettibile spande
Un polline di suono -
E non aspetto nessuno:
Fra quattro mura
Stupefatte di spazio
Più che un deserto
non aspetto nessuno:
Ma deve venire,
Verrà, se resisto
A sbocciare non visto,
Verrà d'improvviso,
Quando meno l'avverto:
Verrà quasi perdono
Di quanto fa morire,
Verrà a farmi certo
Del suo e mio tesoro,
Verrà come ristoro
Delle mie e sue pene,
Verrà, forse già viene
il suo bisbiglio».
(185) E’ proprio la tensione a entrare in questo ignoto che definisce l’energia della ragione.
(188) Questa è la struttura dell’uomo nella rivelazione ebraico cristiana.
La vita, l’uomo, è lotta, cioè tensione, rapporto – «nel buio» – con l’aldilà; una lotta senza vedere il volto dell’altro.
Chi giunge a percepire questo di sé è un uomo che se ne va, tra gli altri, zoppo, vale a dire segnato; non è più come gli altri uomini, è segnato.
(200) L’ignoto inarrivabile […] come palesa all’uomo la sua volontà, come comunica all’uomo il piano intelligente che assicura il significato di tutto?
La comunicazione avviene attraverso la casualità apparente delle circostanze, i condizionamenti banali da cui ogni istante dell’uomo è determinato.
Che paradosso! Per seguire l’assoluta luce del significato occorrerebbe una obbedienza istante per istante, come di chi navighi nella nebbia assoluta; istante per istante obbedire alla cosa più apparentemente irrrazionale, cioè le circostanze che il vento del tempo rende assurdamente mobili.
Occorre un grande coraggio: come quello di Giacobbe di cui abbiamo parlato.
Tutta la notte, cioè il tempo dell’esistenza, vissuta in tensione con questa Presenza inafferrabile, indecifrabile, di cuinon si conosce il volto.
All’uomo viene il capogiro.
E così la storia è come un grande film di tutto questo decadere umano pur dentro la spinta ideale che lo provoca.
L’uomo ricade dentro i termini della sua esperienza, dentro l’orizzonte della sua esistenza.
E siccome uno non può vivere cinque minuti senza in qualche modo affermare un quid ultimo, per il quale valga la pena vivere quei 5 minuti, l’inesorabile esigenza e urgenza del significato genera come un’ansia, una paura o un terrore, e nel terrore l’uomo è mal consigliato.
Egli allora è come se si aggrappasse alla sua esistenzialità in modo eccessivo [ ….]; è spinto a identificare l’assoluto, il sicuro con qualcosa di sperimentato nella sua esistenza, a identificare ciò per cui vale la pena con qualche aspetto, con l’aspetto più rassicurante della sua esperienza.
Il dio diventa idolo.
Tentazione
(12) Realmente l’anarchia costituisce la tentazione più affascinante, ma è tanto affascinante quanto menzognera. La forza di tale menzogna sta appunto nel suo fascino, che induce a dimenticare che l’uomo prima non c’era e poi muore.
È pertanto pura violenza che può fargli dire: «Io mi affermo contro tutti e contro tutto».
È molto più grande e vero amare l’infinito, cioè abbracciare la realtà e l’essere, piuttosto che affermare se stessi di fronte a qualsiasi realtà.
Totalità
(76) Questa lunga puntualizzazione esistenziale ha inteso sottolineare ciò che il senso religioso sia in noi, come emerga alla nostra coscienza: domanda di totalità costitutiva della nostra ragione, cioè della capacità che l’uomo ha di conoscenza, della sua apertura a inoltrarsi e ad abbracciare sempre più realtà.
(120) Sperimentalmente noi ci sentiamo liberi per la soddisfazione di un desiderio.
Ma non solo l’essere libero per un week-end, per una sera, non solo essere libero in cento, duecento, mille occasioni, ma sempre, essere libero – libero, cioè la libertà, non un momento di libertà.
Seguendo l’indicazione della esperienza, è chiaro che la libertà si presenta a noi come la soddisfazione totale, il compimento totale dell’io, della persona o come la perfezione.
Vale a dire la libertà è la capacità del fine, è la capacità della totalità, è la capacità della felicità.
Il compimento totale di sé, questa è la libertà.
(157s) L’esigenza della verità implica sempre allora l’individuazione della verità ultima, perché non si può veramente definire una verità parziale se non in rapporto con l’ultimo.
Non si può conoscere alcuna cosa se non in un veloce, implicito finché si vuole, rapporto tra essa e la totalità.
Senza intravvedere la prospettiva ultima le cose diventano mostruose.
(157s) Sant’Agostino nel Commento al Vangelo di sann Giovani:
«Quid enim fortius desiderat anima quam veritatem?».
(158) Il vero: il significato del reale di ogni cosa sta nel suo nesso con la totalità, con il fondo, con l’ultimo.
(163) Il mistero è intuito come realtà implicata dal meccanismo stesso del nostro io; non blocco della ragione, ma segno della sua apertura senza fine.
Senza questa prospettiva noi rinnegheremmo la ragione nella sua essenza, come esigenza di conoscenza nella sua totalità, e ultimamente come possibilità stessa di conoscenza vera.
(176s) Educare a una attenzione e a una accettazione qualificate dalla sensibilità alla totalità dei fattori in gioco è una pedagogia ad aprire le porte magari già chiuse prematuramente, anche se comprensibilmente: a qualunque ora, anche della notte, può venire a bussare la consistenza della realtà.
(177) E’ l’educazione ad avere «fame e sete», che rende attenti alle sollecitazioni che ghermiscono il confronto con la totalità del reale, pronti ad accettare ogni sfumatura di valore, cioè di seria promessa alla essenziale indigenza del nostro essere.
(190) Se l’uomo pretende la definizione del significato globale non può che cadere nella esaltazione del suo punto di vista, di un punto di vista, non potrà che pretendere la totalità per un particolare; un particolare del tutto viene pompato a definire la totalità.
Tradizione
(13) Di norma tutto viene affrontato secondo una mentalità comune: sostenuta, propagandata da chi nella società detiene il potere.
Cosicché la tradizione familiare, o la tradizione del più vasto contesto in cui si è cresciuti, sedimentano sopra le nostre esigenze originali e costituiscono come una grande incrostazione che altera l’evidenza di quei significati primi, di quei criteri, e, se uno vuol contraddire tale sedimentazione indotta dalla convivenza sociale e dalla mentalità ivi creatasi, deve sfidare l’opinione comune.
(49ss) Tra gli aspetti della vita, termini del nostro impegno con l’esistenza intera, ne metto subito in risalto uno essenziale.
Esso è normalmente trascurato, dimenticato, almeno questa presa di coscienza, e anche molto, praticamente bistrattato e stravolto nel suo valore: è la tradizione.
Questo fattore della vita è in forte nesso con il problema religioso.
(50) Ognuno di noi nasce da una tradizione.
La natura ci butta dentro la dinamica dell’esistenza armandoci di uno strumento complesso per affrontare l’ambiente.
Ogni uomo fronteggia la realtà circostante dotato per natura di elementi che si ritrova addosso come dati, offerti.
La tradizione è quella complessa dote di cui la natura arma la nostra persona.
La tradizione è come l’ipotesi di lavoro con cui la natura ci mette nel grande cantiere della vita e della storia.
Solo usando questa ipotesi di lavoro noi possiamo incominciare, non ad annaspare, ma ad intervenire con delle ragioni, con dei progetti, con delle immagini critiche dell’ambiente, e perciò su quel fattore estremamente interessante dell’ambiente che siamo noi stessi.
Ecco dunque l’urgenza di una lealtà verso la tradizione: essa è richiesta da un impegno globale con l’esistenza.
Se un uomo emerge nella vita con la sua tradizione tra le mani, ma la getta via prima di averla utilizzata con lealtà fino in fondo, prima di averla veramente provata, tale atteggiamento verso un così originale strumento della natura, tradisce una posizione sleale con gli altri aspetti della vita, ma soprattutto con sé stessi e con il proprio destino.
(51) E perché la lealtà verso il proprio destino possa realizzarsi come ipotesi di lavoro davvero attiva, occorre che la ricchezza tradizionale sia applicata alla problematica della vita attraverso i vaglio critico di quella che, nella nostra prima premessa, abbiamo chiamato esperienza elementare.
In caso contrario – omettendo cioè quel vaglio critico – il soggetto è alienato e fossilizzato nella tradizione o, venduto alla violenza dell’ambiente, finirà per abbandonarla.
È quanto avviene nella coscienza dei più: la violenza dell’ambiente decide per loro.
Usare criticamente questo fattore della vita non significa collocare dubbi sui suoi valori – anche se non viene suggerito dalla mentalità corrente-, ma significa utilizzare quella ricchissima ipotesi di lavoro attraverso il vaglio di un principio critico che sta dentro di noi, nativo, perché dato originalmente, l’esperienza elementare.
Se la tradizione viene usata così criticamente, essa diventa fattore di personalità, materiale per un volto specifico, per una identità nel mondo.
Goethe nel Faust :
«Quel che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo».
(110) La reattività come criterio di un rapporto taglia i ponti con la ricchezza della storia e della tradizione, cioè taglia i ponti con il passato.
Tristezza
(67ss) Tristezza. Alla presunzione del potere, carica di censure e rinnegamenti, corrisponde nel singolo, nell’uomo reale, la grande tristezza, carattere fondamentale della vita consapevole di sé, «desiderio di un bene assente» diceva S. Tommaso.
(68) La tristezza insorge così dalla «forza operosa che ci affatica di moto in moto» di Foscolo diventa il «fastidio» l’irrequietezza di Leopardi (Nel canto notturno...)destata da:
«Uno spron che quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace e loco».
Essere consapevoli del valore di tale tristezza si identifica con la coscienza della statura della vita e con il sentimento del suo destino.
(69) Se la tristezza è scintilla che scatta dalla vissuta «differenza di potenziale» tra la destinazione ideale e l’incompiutezza storica, l’appiattimento di quella «differenza» – comunque avvenuto – crea l’opposto logico della tristezza, la disperazione.
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