Temi de “Il senso Religioso”

ABCDEFGILM/NOPRSTUV

Lettera «C»

Libro “Il Senso Religioso” di don Luigi Giussani



Cambiamento

(76) Questa formula indica che A passa in A1, cioè l’emblema del cambiamento, del movimento.

Che una cosa passi da una posizione ad una posizione diversa, significa che “altro” rende possibile il passaggio.

(131) I pareri degli intellettuali che il potere trova convenienti e che assume, diventano mentalità comune attraverso i mass media, le sciole, la propaganda, così che quello che accusava Rosa Luxemburg con lucidità rivoluzionaria, «lo strisciare del teorico», morde alla radice e corrompe ogni autentico impeto di cambiamento.


Caso

(91) L’ideale della atarassia, l’ideale della imperturbabilità, anche conquistata da un governo accanito di sé, oltre che illusoria è inadeguata, perché non sta, è alla mercé del caso.

(189) L’uomo, la vita razionale dell’uomo dovrebbe essere sospesa all’istante, sospesa in ogni istante a questo segno apparentemente così volubile, così casuale che sono le circostanze attraverso le quali l’ignoto “signore” mi trascina e mi provoca al suo disegno.

E dir «sì» a ogni istante senza vedere niente, semplicemente aderendo alla pressione delle occasioni.

La ragione non tollera impaziente, di aderire all’unico segno così ottuso, così cupo, così non trasparente, così apparentemente casuale, come è il susseguirsi delle circostanze: è come sentirsi in balia di un fiume che ti trascina qua e là.              

(200) La comunicazione avviene attraverso la casualità apparente delle circostanze, i condizionamenti banali da cui ogni istante dell’uomo è determinato.


Categoria delle possibilità

(61) «Per che cosa vale la pena che io sia, che la realtà sia?». Sono domande che esauriscono l’energia di ricerca della ragione.

Sono domande che esigono una risposta totale che copre l’intero orizzonte della ragione, esaurendo “tutta la categoria delle possibilità”.

(66s) Senza ammettere quella «X» incommensurabile, senza ammettere la sproporzione incolmabile tra l’orizzonte ultimo e la capacità degli umani passi, l’uomo elimina la categoria delle possibilità, suprema dimensione della ragione; poiché soltanto un oggetto incommensurabile può rappresentare un invito indefinito per una apertura strutturale nell’uomo.

Per questo la filosofia deve avere l’umiltà profonda d’essere tentativo tutto spalancato e desideroso di adeguamento, compimento, correzione: deve essere dominata dalla categoria della possibilità.

E là dove manchi la categoria della possibilità è bloccato il passo.

(98) L’autentica religiosità è la difesa ad oltranza del valore della ragione, dell’umana coscienza.

Il razionalismo spesso distrugge la possibilità stessa della ragione o la ragione come categoria della possibilità..


Certezza

(20) Che una madre voglia bene al figlio non costituisce il termine di un procedimento logico: è una evidenza o una certezza, una proposta della realtà la cui esistenza è cogente ammettere.

(22) (Don Giussani racconta una discussione di come sia certo che l’America c’è anche se non c’è mai stato).

Io ho un concetto di ragione per cui ammettere che l’America c’è senza averla mai vista è ragionevolissimo, al contrario di quel professore il cui concetto di ragione gli fa dire che non è ragionevole.

Per me ragione è apertura alla realtà, capacità di afferrarla e affermarla nella totalità dei suoi fattori.

Per quel professore ragione è «misura» delle cose, fenomeno che si avvera quando c’è una diretta diimostrabilità.

(24ss) Immaginatevi Pietro, giovanni e andrea di fronte a Gesù di Nazareth: di lui conoscevano la madre, il padre e i parenti; con lui andavano a pescare, a mangiare.

A un certo punto fu loro evidente che di quell’uomo si poteva dire: «Se non devo credere a quest’uomo, non devo credere più neanche ai miei occhi».

(25) Questa certezza può essere ragionevole? Se lo può essere, qual è il metodo che mi ci conduce?

Ricordiamo che

Io posso dire con certezza: «Mia madre mi vuole bene».

È più importante per la mia percezione del reale, per il mio rapporto con il destino che questa donna mi voglia bene, che non la terra giri intorno al sole.

Vi sono delle realtà, dei valori, la cui conoscenza non rientra nei metodi che abbiamo menzionato.

Sono i valori che riguardano l’umano comportamento.

Se ti puoi fidare di quell’uomo o no […]: la conoscenza certa di questi valori non si può non si può raggiungere con i metodi di cui abbiamo parlato (vari metodi scientifici).

(26) Eppure nessuno può negare che possa essere ragionevole una certezza acquisita al riguardo

Nella scoperta di verità e di certezze sul comportamento umano la ragione deve essere usata in modo diverso, altrimenti non è più ragionevole: ad esempio pretendere di definire l’umano comportamento attraverso un metodo scientifico non sarebbe un processo adeguato.

Uno potrebbe vivere benissimo senza la filosofia, senza sapere che la terra gira intorno al sole: l’uomo non può vivere invece senza le certezze morali.

(27) Senza poter dare giudizi di certezza sul comportamento che l’altro ha verso di lui, l’uomo non può vivere.

Per farci cogliere le certezze nei rapporti ci è stato dato un metodo velocissimo, quasi più una intuizione che un processo.

Il metodo con cui capisco che  mia madre mi vuole bene non è fissato meccanicamente, ma è intuito dalla intelligenza come unico senso ragionevole, unico motivo adeguato, per spiegare la convergenza di determinati «segni».

Moltiplicate indefinitivamente questi segni, a centinaia e a migliaia: il punto del loro senso adeguato è che mia madre mi vuole bene.

(28)

Si chiama non solo certezza morale, ma anche certezza esistenziale perché è legata a momento in cui tu leggi il fenomeno, cioè  intuisci l’insieme dei segni.

  • 1° – Io sarò più abilitato ad aver certezze su di te, quanto più sto attento alla tua vita, cioè condivido la tua vita.
  • 2° – Quanto più uno è potentemente uomo, tanto più è capace di fidarsi, perché intuisce i motivi adeguati per credere a un altro.

(29) Il «bernoccolo» dell’umano vuol dire avere molta umanità in sé; e allora sì che scopro fino a che punto posso fidarmi della tua umanità.

È come se l’uomo facesse un paragone veloce con se stesso, con la propria «esperienza elementare», con il proprio «cuore» e dicesse: fino a qui corrisponde, eperciò è vero, e mi posso fidare.

La fede è una applicazione del metodo della certezza morale.

Che cosa è la fede? È aderire a quello che afferma un altro.

Se io ho raggiunto la certezza che una persona sa quel che dice e non mi inganna, allora ripetere con certezza ciò che essa dice con certezza è coerenza con me stesso.

Ma io posso raggiungere certezza sulla sincerità e sulla capacità di una persona proprio attraverso il procedimento della certezza morale.

Senza il metodo di conoscenza della fede, non ci sarebbe sviluppo umano.

Se l’unica ragionevolezza fosse nella evidenza immediata o personalmente dimostrata, l’uomo non potrebbe più procedere, perché ognuno dovrebbe rifare tutti i processi da capo, saremmo sempre trogloditi.

In questo senso il problema della certezza morale è il problema capitale della vita come esistenza.

(30) Notiamo da ultimo che l’uomo può sbagliare nell’usare il metodo scientifico, o il metodo filosofico, o il metodo matematico.

Così si può sbagliare nello stabilire un giudizio di certezza sul comportamento umano.

Ciò non toglie il fatto che con il metodo scientifico si possono raggiungere certezze; e così anche con il metodo della conoscenza «morale».

(35s) La cultura razionalista può dire: è chiaro che con quel tipo di oggetti (affettività, politica, destino) la certezza obiettiva non si può raggiungere perché gioca troppo il fattore sentimento.(36)

  • 1°- questa posizione, se spremuta nella sua logica dovrebbe dare questo risultato: quanto più la natura mi fa interessare a una cosa, quanto più mi dà curiosità, esigenza e passione per conoscerla, tanto più mi impedisce di conoscerla.
  • 2° – E’ un errore formulare un principio esplicativo che per risolvere una questione debba avere la necessità di eliminare un fattore in gioco.

(98) Il sogno ha uno spunto vero, un impeto ideale che crea un certo alone immaginario emotivo: ma è senza «base» senza un fondamento dato, da ricuperare continuamente per obbedirgli, così verificandolo in una certezza crescente!

(164) «Se Dio non esiste, sono ancora capitano io?» È il concetto di segno in forma esistenziale, drammatica.

Tutto quanto l’umano tende a decadere immediatamente dentro una meschinità di cui il cinismo della cultura materialista oggi per quanto riguarda l’uomo è documentazione impressionante.

La convivenza retta sul cinismo porta ad una abolizione totale della certezza e quindi della verità, della giustizia, della gioia e dell’amore e alla riduzione biologica di tutto.

(179) L’educazione alla libertà è l’educazione alla positività di fronte al reale, alla capacità di certezza.


Chiesa

(124) Solo la Chiesa nella sua tradizione difende il valore assoluto della persona, dal primo istante del suo concepimento fino all’ultimo momento della sua vecchiaia, anche decrepita ed inutile: in base a che?

Come fa l’uomo ad avere questo diritto, questa assolutezza, per cui anche se il mondo si spostasse, egli ha dentro di sé il diritto di non spostarsi?

Ha dentro qualcosa per cui può giudicare il mondo da cui  nasce.

Catechismo san Pio X: «Il corpo viene dato dai genitori, ma l’anima viene infusa direttamente da Dio».

(184s) Il vero dramma sta nella volontà che deve aderire a questa immensa evidenza.

La drammaticità è definita da quello che io chiamo rischio.

L’uomo subisce l’esperienza del rischio: pur essendo di fronte alle ragioni, è come se non si sentisse di muoversi, è come bloccato, gli occorrerebbe un supplemento di energia e di volontà, di energia di libertà, perché la libertà è la capacità di adesione all’essere.

(185) Questa ’energia di libertà più adeguata emerge laddove l’individuo vive la sua dimensione comunitaria.

In tal senso il paradosso di Chesterton: «Non è vero che uno più uno fa due; ma uno + uno fa duemila volte uno».

 Anche questo rivela il genio di Cristo che ha identificato la Sua esperienza religiosa, con la Chiesa:


Coerenza

(20s) La logica è un ideale di coerenza: ipotizzate delle premesse, svolgetele coerentemente e avrete una logica.

Se le premesse sono errate, la logica perfetta darà un risultato sbagliato.

Il problema davvero interessante per l’uomo non è la logica – gioco affascinante -; non è la dimostrazione – invitante curiosità: il probelma interessante per l’uomo è aderire alla realtà.

È dunque una cogenza (qualcosa che costringe), non una coerenza.

(21) La capacità di logica, di coerenza, di dimostrazione, non sono altro che strumenti della ragionevolezza, strumenti al servizio di una mano più grande, dell’ampiezza di un cuore che li utilizza.

(29) Se io ho raggiunto la certezza che una persona sa quello che dice e non mi inganna, allora ripetere con certezza ciò che essa dice con certezza è coerenza con me stesso.

(61) C’è una grande coerenza della ragione che non si arresta, se non arrivando ad una esaurienza totale.

(169) La libertà dunque ha a che fare non solo con l’andare a Dio come coerenza di vita, ma già con la scoperta di Dio.

(181) (L’esperienza del rischio) È uno iato, un abisso, un vuoto tra l’intuizione del vero, dell’essere, data dalla ragione, e la volontà: una dissociazione tra la ragione, percezione dell’essere e la volontà che è affettività, cioè energia di adesione all’essere.

Per cui uno vede le ragioni ma non si muove, cioè manca dell’energia della coerenza: di coerenza non nel senso etico di comportamento conseguente, ma nel senso teorico di adesione intellettuale al vero fatto intravvedere dalle ragioni.

E’ questa coerenza che inizia l’unità dell’uomo.

Invece avviene una spaccatura tra la ragione e l’affettività, tra la ragione e la volontà: questa è l’esperienza del rischio.


Commozione

(33)  Dentro l’esperienza personale penetra un avvenimento fisico, mentale, affettivo ecc … qualcosa accade che tocca la persona, “muove la persona”, una emozione, una commozione.

(44)

È questa commozione ultima, è questa emozione suprema che persuade alla virtù più vera.

(153) Di fronte al mare, alla terra e al cielo e a tutte le cose che si muovono in esso, io non sto  impassibile, sono animato mosso, commosso da quel che vedo, e questa messa in moto è per una ricerca di qualcosa d’altro.


Compagnia

(74s) La religione è sì ciò che l’uomo fa  nella sua solitudine, ma è ciò in cui scopre la sua essenziale compagnia.

Tale compagnia è poi più originale della solitudine, in quanto quella struttura di domanda non è generata da un mio volere, mi è data.

Perciò prima della solitudine sta la compagnia, che abbraccia la mia solitudine, per cui essa non è più vera solitudine, ma grido di richiamo alla compagnia nascosta.

(75)

(161) L’uomo non percepisce mai una esperienza di completezza come nella compagnia, nella amicizia, particolarmente tra uomo e donna.

La donna per l’uomo, e viceversa, o l’altro per la persona, costituiscono veramente altro; tutto il resto è assimilabile e dominabile dall’uomo, ma il tu mai.

Il tu non è esauribile; è evidente e non «dimostrabile», l’uomo però non può fare tutto  il processo che lo costituisce; eppure mai l’uomo percepisce  e vive una esperienza di pienezza come di fronte al tu.

Qualcosa di diverso, per sua natura diverso da me, qualcosa di altro mi compie più di qualsiasi esperienza di possesso, di dominio, di assimilazione.


Compimento

(120s) La libertà si annunzia esperienza nella nostra esistenza come realizzazione di un bisogno o realizzazione di una aspirazione, come compimento.

E in questo senso sta la verità della frase banale: «Essere liberi è far ciò che mi pare e piace».

Ma […] sempre, essere libero – libero, cioè la libertà, non un momento di libertà….

Seguendo l’indicazione della esperienza, è chiaro che la libertà si presenta a noi come compimento totale dell’io, della persona o come la perfezione.

La libertà è per l’uomo la possibilità, la capacità, la responsabilità di compiersi, cioè di raggiungere il proprio destino.

La libertà è il paragone con il destino: è questa aspirazione totale al destino.

Così la libertà è l’esperienza della verità di sé stessi.

(121) Un Altro è questa verità di me stesso: questa pienezza del mio essere sei Tu, il mio significato sei Tu.

Esistenzialmente questa libertà non è ancora compiuta; esistenzialmente è tensione al compimento, è tensione verso l’essere e adesione progressiva, è in divenire.

(159) (1a categoria esigenza della verità – 2a categoria esigenza di giustizia) La terza categoria, quella della felicità, vale a dire del compimento di sé: con parole analoghe, della totale soddisfazione, il riverbero psicologico del compimento, o della perfezione, il riverbero ontologico della realizzazione di sé.

Non sarebbe uno sguardo razionale e umano alla esperienza di questa esigenza, se non leggendone l’implicato riferimento ad Altro.

(168s) L’uomo come essere libero non può arrivare al suo compimento, non può arrivare al suo destino se non attraverso la sua libertà.

Abbiamo visto che l’essere libero vuol dire capacità di possedere il proprio significato, di raggiungere la propria realizzazione secondo un certo modo, che chiamiamo appunto libertà.

Non sarebbe umano un compimento dell’uomo, non sarebbe compimento dell’essere umano, se non fosse libero.

(199)


Comprendere-comprensibile-comprensione

(133) L’esperienza stessa, nella sua totalità, guida alla comprensione autentica del termine ragione o razionalità.

La ragione infatti è quell’avvenimento singolare della natura in cui questa si rivela come esigenza operativa a spiegare la realtà in tutti i suoi fattori, così che l’uomo si introdotto alla verità delle cose.

Così la realtà emerge nella esperieenza e la razionalità ne illumina i fattori..

(162s) La ragione è esigenza di comprendere l’esistenza; vale a dire la ragione è esigenza di spiegazione adeguata, totale della realtà.

Il vertice della ragione è la percezione di un esistente ignoto, irraggiungibile, cui tutto il movimento dell’uomo è destinato, perché anche ne dipende.

(163) Il mistero non è un limite alla ragione, ma è la scoperta più grande cui può arrivare la ragione: l’esistenza di qualcosa di incommensurabile con se stessa.

La ragione è esigenza di comprendere l’esistente; nella vita non è possibile; dunque fedeltà alla ragione costringe ad ammettere l’esistenza di un incomprensibile.

Il mistero è intuito come realtà implicata dal meccanismo stesso del nostro io; non blocco della ragione, ma segno della sua apertura senza fine.

Senza questa prospettiva noi rinnegheremmo la ragione nella sua essenza, come esigenza di conoscenza della totalità, e ultimamente come possibilità stessa della conoscenza vera.

(167) La natura della ragione (che è comprendere l’esistenza) per coerenza costringe la ragione stessa ad ammettere l’esistenza di un incomprensibile, l’esistenza cioè di Qualcosa costituzionalmente oltre la possibilità di comprensione e di misura.

(185) La ragione proprio come esigenza di comprendere l’esistenza è costretta dalla sua stessa natura ad ammettere l’esistenza di un incomprensibile.

(189) Esistenzialmente questa natura della ragione come esigenza di conoscere, di comprendere, penetra tutto, e perciò pretende penetrare anche l’ignoto da cui ogni cosa dipende, da cui il suo fiato e il suo respiro, istante per istante, dipendono.

(191) (La totalità in un particolare) Dove sta il pathos di questo atteggiamento? Sta nel fatto che il senso religioso, cioè la natura dell’uomo nella sua statura ultima, identificherà il significato totale della sua vita con qualcosa di comprensibile a sé.

E qui la radice dell’errore: “… con qualcosa di comprensibile a sé”.

Proprio perché la natura della ragione è esigenza di comprendere, di fronte all’intuizione del mistero, le viene il capogiro, e quasi senza accorgersene essa scivola.

Degrada perché l’esperienza è l’orizzonte del suo comprensibile.

Se è all’interno dell’esperienza del mio comprensibile è un particolare che viene esaltato a spiegare tutto.

(204)

  • – 1°- Se  deve essere veramente una rivelazione, come parola in più di quello che già il mondo dice al nostro cuore indegno e alla nostra intelligenza indagatrice deve essere una parola comprensibile all’uomo.
  • – 2 °-  Tradotto in termini comprensibili Dio non sarebbe idolatria? Nonostante che sia tradotto in termini umani il risultato della Rivelazione deve essere un approfondimento del mistero come mistero.

Se invece della parola enigmatica «mistero» come suggerisce la realtà, tu usi la parola «Padre», come ti suggerisce la Rivelazione, allora abbiamo un termine comprensibilissimo della nostra esperienza: è padre chi mi dà la vita, chi mi ha introdotto alla bellezza delle cose, chi mi ha messo in guardia da possibili pericoli.

Questo che Cristo ha svelato non diminuisce l’Assoluto, approfondisce di fatto la conoscenza del mistero.

Si approfondisce il mistero: Dio è padre, ma è padre come nessun altro è padre.

Il termine rivelato porta il mistero più dentro di te, più vicino alla tua carne e alle tue ossa, e lo senti veramente familiare come un figlio.


Comunicazione

(114) Incommensurabilità. Questo sfuocarsi del senso del passato che inaridisce la fecondità del futuro, riduce in modo vorticoso il dialogo e la comunicazione umana.

(114) Dialogo e comunicazione umana hanno radici nell’esperienza: infatti l’aridità, la flaccidità della convivenza, della convivenza delle comunità, da che cosa dipende se non dal fatto che troppo pochi possono dire di essere impegnati nella esperienza della vita come esperienza?.

(175) L’amore dell’uomo e della donna, l’amicizia, la convivenza hanno nel segno il loro strumento di comunicazione.

(200)  (L’Ignoto) Come comunica all’uomo la sua volontà, come comunica all’uomo il piano intelligente che assicura il significato totale?

La comunicazione avviene attraverso la casualità apparente delle circostanze, i condizionamenti banali da cui ogni istante dell’uomo è determinato.

Che paradosso! Per seguire l’assoluta luce del significato occorrerebbe una obbedienza istante per istante, come chi navighi nella nebbia assoluta.

Istante per istante obbedire alla cosa più apparentemente irrazionale, cioè le circostanze che il vento del tempo rende assurdamente mobili.

Occorre un grande coraggio: come quello di Giacobbe di cui abbiamo parlato.

Tutta la notte, cioè il tempo dell’esistenza, vissuta in tensione con questa Presenza inafferrabile, indecifrabile, di cui non si conosce il volto.

All’uomo viene il capogiro, la vertigine.


Comunità-dimensione comunitaria

(114) Dialogo e comunicazione umana hanno radici nell’esperienza: infatti l’aridità, la flaccidità della convivenza, della convivenza delle comunità, da che cosa dipende se non dal fatto che troppo pochi possono dire di essere impegnati nella esperienza della vita come esperienza?.

(182ss) C’è in natura un metodo che riesce a darci questa energia di libertà che ci fa superare, attraversare la paura del rischio.

Per superare il baratro dei «se» e dei «ma» il metodo usato dalla natura è il fenomeno comunitario.

È solo la dimensione comunitaria che rende l’uomo sufficientemente capace di superare l’esperienza del rischio.

La dimensione comunitaria rappresenta non la sostituzione della libertà, non la sostituzione dell’energia e della decisione personale, ma la condizione dell’affermazione di essa.

 (183)

La persecuzione più accanita è l’impedimento che lo Stato cerca di realizzare all’esprimersi della dimensione comunitaria del fenomeno religioso.

Impedire l’espressione comunitaria è come tagliare alle radici l’alimentazione della pianta; la pianta dopo poco muore.

Il vero dramma sta nella volontà che deve aderire a questa immensa evidenza.

La drammaticità è definita da quello che io chiamo rischio.

L’uomo subisce lesperienza del rischio: pur essendo di fronte alle ragioni, è come se non si sentisse di muoversi, è come bloccato, gli occorrerebbe un supplemento di energia e di volontà, di energia di libertà, perché la libertà è la capacità di adesione all’essere.

(184) Questa energia di libertà più adeguata emerge laddove l’individuo vive la sua dimensione comunitaria.

Anche questo rivela il genio di Cristo che ha identificato la Sua esperienza religiosa con la Chiesa: «Là dove saranno due o tre riuniti nel mio nome, io sarò con loro». (Mt 18,20)


Concretezza

(96) La serietà esistenziale delle domande umane non può trovarsi a suo agio nell’evanescente estetismo di un loro riverbero.

Mentre l’urgenza del nostro sentire apre alla vita nella sua concretezza e completezza, non si può fermare a metà strada crogiolandosi in una esperienza emotiva che diventa evasione e spreco.

(131) L’deologia [….] è una costruzione teorico pratica, basata su un aspetto della realtà, anche vero, ma preso in qualche modo unilateralmente e tendenzialmente assolutizzato per una filosofia o un progetto politico.

Di fronte, per esempio,  all’esistenza dell’uomo povero  si teorizza sul problema del bisogno, ma l’uomo concreto con il suo bisogno diventa un pretesto; l’individuo nella sua concretezza viene emarginato una volta che ha dato spunto all’intellettuale di turno per i suoi pareri, o al politico per giustificare e pubblicizzare una sua operazione.


Condivisione

(28) Io sarò più tanto abilitato ad aver certezza su di te, quanto più sto attento alla tua vita, condivido la tua vita.

In questo senso i segni si moltiplicano.

Per esempio nel Vangelo chi ha potuto capire che di quell’uomo bisognava avere fiducia?

Non la folla che andava a farsi guarire, ma chi gli andò dietro e condivise la sua vita!

Convivenza e condivisione.


Confronto

(Vedi anche paragone)

(8ss) In che cosa consiste questa esperienza elementare?

Si tratta di un complesso di esigenze e di evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste.

La natura lancia l’uomo nell’universale paragone con sé stesso, con gli altri, con le cose, dotandolo – come strumento di tale universale confronto – di un complesso di evidenze ed esigenze originale, talmente originali che tutto ciò che l’uomo dice o fa da esse dipende.

10)(Insisto) sulla necessità che la riflessione su di sé sia vagliata, per giungere a un giudizio, attraverso il confronto tra il contenuto della riflessione stessa e il criterio originale di cui siamo tutti dotati.

(177) E’ l’educazione ad aver “fame e sete” che rende attenti alle sollecitazioni che gremiscono il confronto con la totalità  del reale, pronti ad accettare ogni sfumatura di valore, cioè di seria promessa alla essenziale indigenza del nostro essere.


Conoscenza

(9s) Punti di vista a confronto:

  • Idealista: «Supponete che io non conosca quest’oggetto: sarebbe come se non esistesse. Vedete quindi che ciò che crea l’oggetto è la nostra conoscenza, è lo spirito e l’energia dell’uomo».
  • Scettico, problematico, sofista: «Tutti noi sappiamo che la prima evidenza è che questo oggetto è fuori di noi, e se non lo fosse? Dimostratemi che c’è come un oggetto fuori di noi, in modo incontrovertibile».
  • Realista: «Tutti abbiamo l’impressione che questo sia un oggetto fuori di noi: è una evidenza prima, originale. Ma se io non lo conosco? È come se non esistesse. Vedete dunque che la conoscenza è un incontro tra una energia umana e una presenza. È un avvenimento in cui si assimila l’energia dell’umana coscienza con l’oggetto. Vedete dunque che occorrono per la conoscenza due cose: l’energia della nostra coscienza e l’oggetto. Come si produce tale unità? È domanda affascinante di fronte alla quale abbiamo potere fino a un certo punto. È certo però che la conoscenza è composta di due fattori».

(25) Vi sono in realtà dei valori, la cui conoscenza non rientra nei tre modi (matematico, fisico, chimico pag. 23) che abbiamo menzionato.

La conoscenza certa di certi valori non si può fare con i metodi di cui abbiamo parlato.

(29ss) Senza il metodo di conoscenza della fede non ci sarebbe sviluppo umano.

Se l’unica ragionevolezza fosse nella evidenza immediata o personalmente dimostrata, l’uomo non potrebbe più procedere, perché ognuno dovrebbe rifare tutti i processi da capo, saremmo sempre trogloditi.

In questo senso il problema della certezza morrale è il problema capitale della vita come esistenza, ma attraverso essa anche della vita come civiltà e cultura, perché tutto il prodotto degli altri tre metodi diventa base per uno slancio nuovo solo in forza di questo quarto metodo.

 (30) Occorre che il lavoro verso l’oggetto rispetti l’esigenza della natura dell’uomo che è la ragionevolezza: aver motivi adeguati nel fare i passi verso l’oggetto da conoscere.

La diversità dei metodi stabilisce l’ordine di questi motivi adeguati.

La nostra vita è fatta di questo tipo di ragionevolezza.

Ciò non toglie il fatto che col metodo scientifico si possano raggiungere certezze; e così con il metodo della conoscenza «morale»!

(33ss) Qualunque cosa intervenga nell’orizzonte di conoscenza della persona produce una inevitabile, irresistibile reazione proprio nella misura della vivacità umana.

Non esiste niente che entri  nell’orizzonte della nostra conoscenza, e perciò della nostra esperienza, che non provochi, non susciti, non solleciti, non determini e quindi non trovi in noi un certo stato d’animo.

(34) Chiameremo valore l’oggetto della conoscenza in quanto interessa la vita della ragione.

Il sentimento è quindi l’inevitabile stato d’animo conseguente la conoscenza che attraversa e penetra l’orizzonte della nostra esperienza.

(Per il razionalismo e illuminismo) La ragione è pensata come capacità di conoscenza che si sviluppa  nei confronti dell’oggetto senza che niente debba interferire.

(35) Se dunque ci deve essere una interferenza (il sentimento), come è quella dello stato d’animo e del sentimento, allora comincia ad emergere l’interrogativo se possa essere una conoscenza oggettiva, o invece non sia tutta o in parte una impressione.

(R=ragione / V= valore / S = sentimento

(36) L’oggetto della conoscenza in quanto interessa (v) suscita uno stato sentimentale (s); e questo condizione la capacità conoscitiva (r).

Solo in una eliminazione o, se vogliamo, in una riduzione al minimo del fattore «s» la conoscenza sarebbe una vera conoscenza oggettiva, conoscenza vera dell’oggetto.

Solo in campo scientifico o matematico può essere affermata e concepita la verità sull’oggetto.

In altro tipo di conoscenza, nel problema del destino, del problema affettivo, nel problema politico, non si potrà mai raggiungere una certezza obiettiva, una conoscenza vera dell’oggetto.

Due osservazioni:

  1. Esistenzialmente questa posizione, se spremuta nella sua logica, dovrebbe dare il seguente risultato: quanto più la natura mi fa interessare a una cosa, quanto più mi dà curiosità, esigenza e passione per conoscerla, tanto più mi impredisce di conoscerla.
  2. (37) È un errore formulare un principio esplicativo che per risolvere la questione debba avere la necessità di eliminare un fattore in gioco. vuol dire che è un principio non adatto.

(38s) La «s», Cioè il sentimento, va immaginata come una lente: l’oggetto di questa lente viene convogliato più vicino all’energia conoscitiva della ragione; la ragione lo può conoscere più facilmente e più sicuramente.

Allora la «s» è una condizione importante per la conoscenza; il sentimento è un fattore essenziale palla visione.

Il problema cioè non è che il sentimento venga eliminato, ma che il sentimento sia al suo posto giusto.

(39) Se una determinata cosa non mi interessa non la guardo:  se non la guardo non la posso conoscere.

Per farne conoscenza ho bisogno di porre attenzione ad essa.

(41s) Qui trattiamo di un atteggiamento adeguato e giusto  nella dinamica della conoscenza di un oggetto.

Per prendere in considerazione un oggetto debbo vivere un interesse per esso.

Che cosa vuol dire un interesse per l’oggetto? Un desiderio di conoscere ciò che l’oggetto veramente è.

(42) Nella applicazione al campo della conoscenza questa è la regola morale:

Quanto più il valore è vitale, quanto più è per sua natura proposta alla vita, tanto più il problema non è di intelligenza ma di moralità, cioè di amore alla verità più che a se stessi.

In concreto, è il desiderio sincero di conoscere l’oggetto in questione in modo vero più di quanto noi si sia abbarbicati a opinioni già fatte e inculcate.

(54) Non mutevoli si riscontrano dunque idea, giudizio, decisione.

Sono fenomeni il cui contenuto di realtà non è misurabile e divisibile.

È qui dove il metodo di approccio alla propria umana realtà mostra la sua imponenza, è qui dove si evidenzia veramente come l’esperienza è sorgente di conoscenza.

Se il criterio di valutazione è immanente alla persona, se il soggetto non è alienato e non mistifica, egli osservando se stesso nell’istante dell’azione vedrà emergere un tipo di fattori che ha certe caratteristiche e un tipo di fattori che ne ha altre, irriducibili alle prime.

(76) Questa lunga puntualizzazione esistenziale ha inteso sottolineare ciò che il senso religioso sia in noi come emerge alla nostra coscienza: domanda di totalità costitutiva della nostra ragione, cioè della capacità che l’uomo ha  di conoscenza, della sua apertura ad inoltrasi ed abbracciare sempre più la realtà.

(163) La ragione dell’uomo vive a questo livello vertiginoso:

Senza questa prospettiva noi rinnegheremmo la ragione nella sua essenza, come esigenza di conoscenza della totalità, ultimamente come possibilità di conoscenza vera.

(186) Tutto l’andare umano, tutto il tentativo di questa  «forza operosa che ci affatica di moto in moto», è la conoscenza di Dio.

(191) La natura della ragione è tale che perciò stesso che si mette in moto intuisce il mistero, l’incommensurabilità del significato totale con la possibilità di conoscenza, ma esistenzialmente non tiene sé stessa, non regge al suo slancio originale, opera subito una parabola riduttiva.

Degrada perciò l’identificazione del suo oggetto con qualcosa di comprensibile a sé, e quindi all’interno della sua esperienza, perché l’esperienza è l’orizzonte del suo comprensibile.

Se è all’interno del mio comprensibile è un particolare che viene esaltato a spiegar tutto.

(204) La rivelazione in senso stretto, per essere tale, per aggiungere qualcosa alla rivelazione enigmatica del mondo, deve essere tradotta in termini comprensibili a noi.

Nonostante che sia tradotta in termini umani, il risultato della rivelazione deve essere approfondimento del mistero come mistero.


Conoscere

(metodo e dinamica)

(6) Il metodo di conoscere un oggetto, mi è dettato dall’oggetto stesso, non può essere definito da me.

Anche per il fenomeno religioso avviene lo stesso.

Poiché si tratta di un fenomeno che avviene in me, che interessa la mia coscienza, il mio io come persona, è su me stesso che devo riflettere.

Mi occorre una indagine su me stesso, un‘indagine esistenziale.

(23) E’ attraverso un procedimento che si arriva a conoscere un oggetto.

L’uso della ragione è una flessione della capacità che l’uomo ha di conoscere, la quale implica diversi metodi, o procedimenti o processi, secondo il tipo di oggetti: non ha un metodo unico, è polivalente, ricca, agile, mobile.

(31ss) La terza premessa: incidenza della moralità nella dinamica del conoscere.

(32) La ragione è immanente a tutta l’unità del nostro io, è organicamente relata, per questo in presenza di un dolore fisico non si utilizza mai bene la ragione, o in presenza di rabbia o delusione per l’incomprensione altrui.

(33) Qualunque cosa intervenga nell’orizzonte di conoscenza della persona produce una inevitabile, irresistibile reazione proprio nella misura della vivacità umana di quella persona.

Non esiste niente che entri nell’orizzonte della nostra conoscenza, e perciò della nostra esperienza, che non provochi, non susciti, non solleciti, non determini e quindi non trovi in noi un certo stato d’animo.

La parola che indica questo stato d’animo, questa reazione, questa emozione, questo essere toccati dalla cosa che accade si chiama sentimento.

L’uomo è quel livello della natura in cui la natura prende coscienza di sé stessa, è quel livello della realtà in cui la realtà comincia a diventare coscienza di sé.

(34) Chiameremo «valore» l’oggetto della conoscenza in quanto interessa la vita della ragione.

Il sentimento è quindi l’inevitabile stato d’animo conseguente la conoscenza di qualcosa che attraversa o penetra l’orizzonte della nostra esperienza.

La ragione per conoscere l’oggetto deve fare i conti con il sentimento, con lo stato d’animo.

È filtrata dallo stato d’animo, è comunque implicata nello stato d’animo.

 (52) L’uomo per capire i fattori di cui è costituito deve partire dal presente.

Sarebbe un grave errore di prospettiva partire dal passato per conoscere il presente dell’uomo.

Se colgo ora i fattori della mia esperienza di uomo, posso proiettarmi nel passato e riconoscere gli stessi fattori ravvisabili nelle pagine di Omero o dei filosofi eleatici, di Platone, ecc…..

(150/151) La formula dell’itinerario al significato della realtà è

Non sarebbe umano, cioè ragionevole, considerare l’esperienza limitatamente alla sua superficie, alla cresta della sua onda, senza scendere nel profondo del suo moto.

Quanto più uno vive il livello di coscienza, che abbiamo descritto, nel suo rapporto con le cose, tanto più vive intensamente il suo impatto con la realtà e tanto più incomincia a conoscere qualcosa del mistero.

(157) Se aveste davanti un meccanismo che non avete mai visto, analizzatelo fin che volete, fin nel dettaglio infinitesimale di tutti i suoi più piccoli componenti; alla fine voi non potete dire di conoscere questa macchina, se anche dopo tutta la disanima non foste pervenuti a capire a che serve.

Perché la verità della macchina è il suo significato.

(185) Quando la ragione prende coscienza di sé fino in fondo e scopre che la sua natura si realizza ultimamente intuendo l‘inarrivabile e il mistero, essa non smette di essere esigenza di conoscere.

Perciò una volta scoperto questo, lo struggimento, per così dire, della ragione è quello di poter conoscere quell’incognita.

(189) Esistenzialmente cioè questa natura della ragione come esigenza di conoscere, di comprendere, penetra tutto, e perciò pretende di penetrare anche l’ignoto da cui ogni cosa dipende, da cui il suo fiato e il suo respiro, dipendono.

La ragione non tollera, impaziente, di aderire all’unico segno così ottuso, così cupo, così non trasparente, così apparentemente casuale, come è il susseguirsi delle circostanze: è come sentirsi in balia di un fiume che ti trascina in qua e in là.


Contingenza

(101) «Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me con un terrore ubriaco

Poi come su uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; io me ne andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto
».
E. Montale da Ossi di seppia)

Io non ho mai trovato descritta così bene la percezione della contingenza della realtà, del fatto cioè che la realtà non si fa da sé.

(148) Si può dire anche: l’uomo è quel livello della natura in cui la natura diventa esperienza della propria contingenza.

L’uomo si sperimenta contingente: sussistente per un’altra cosa perché non si fa da sé.

Allora non dico: «Io sono» consapevolmente, secondo la totalità della mia natura di uomo, se non identificandolo con «io  sono fatto».

Ma, a questo punto, c’è un ultimo vivido significato all’interno di esso di questo «io» sorpreso come «fatto da», come «appoggiato a», «come contingente a».

Si tratta ora del fatto che nell’io freme dentro come una voce che mi dice «bene», che mi dice «male».


Contraddizione

(63) Quanto uno più si addentra nel tentativo di rispondere a quelle domande, tanto più ne percepisce la potenza, e tanto più scopre la propria sproporzione alla risposta totale.

«Il non poter esser soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così della terra intera; considerare l'ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell'animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l'universo infinito, e sentire che l'animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande, che di si fatto universo; e sempre accusare le cose di indufficienza e di  nullità,e patire mancamento e vòto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e nobiltà, che si vegga della natura umana» (G. Leopardi in Pensieri).

L’inesauribilità della domanda esalta la contraddizione fra l’impeto dell’esigenza e la limitatezza della misura umana nella ricerca.

Se ci commuove la potenza e l’acutezza della sensibilità del Leopardi è perché dà voce a qualcosa che siamo, una contraddizione irrisolvibile: «il misterio eterno dell’esser nostro» del canto «Sopra il ritratto di una bella donna»”:

[...]« Natura umana, o come,
Se frale in tutto e vile,
Se polve sei ed ombra sei, tant'alto senti?
Se in parte anco gentile,
Come i più degni tuoi moti e pensieri
Son così leggeri
Da si basse cagioni e desti e spenti?
»

(72) L’orizzonte cui l’uomo arriva è come un segno di tomba: la morte è l’origine e lo stimolo a tutta la ricerca, perché l’insondabilità della domanda umana proprio lì trova la contraddizione più potente e sfrontata.

Ma questa contraddizione non toglie, bensì esaspera, la domanda.

(98/99) Adorno: «quando speriamo nella salvezza, una voce ci dice che la speranza è vana».

Ma sarebbe venir meno a se stesi assecondare questa voce, perché non dà ragione della speranza che pur sussiste.

Infatti, continua Adorno, «è essa, essa soltanto,la speranza impotente» che ci permette di respirare, cioè di vivere.

Per questo egli parla di «ambivalenza della mestizia», affermando la tristezza di una contraddizione voluta, scelta.

La verità della scelta mentale e psicologica di Adorno – cioè che la salvezza non c’è – non è separabile dalla «ossessione che dalle figure delle apparenze emerga la salvezza».

Quello che Adorno chiama «ossessione» è la struttura dell’uomo, è quello che chiamavamo «cuore» o esperienza elementare: negarla è rinnegare qualcosa, è irragionevole, è disumanno.


Convenienza

(203) (la Rivelazione)…. Questa ipotesi è estremamente conveniente.

Conveniente è una ipotesi che incontra il desiderio dell’uomo.

Sommamente conveniente è una risposta alla attesa inconscia del cuore.


Conversione

(15) Si potrebbe chiamare lavoro ascetico dove con la parola ascesi si indica l’opera dell’uomo in quanto cerca la maturazione di sé, in quanto è direttamente centrato sul cammino al destino.

È un lavoro, e non è un lavoro ovvio; è qualcosa di semplice, ma non scontato.

Quanto finora detto è da riconquistare, ma viviamo un’epoca in cui l’esigenza di tale riconquista è più chiara che mai, benché in ogni tempo l’uomo abbia dovuto lottare per riconquistare sé stesso.

In termini cristiani questa fatica fa parte della metanoia o conversione.

(66) Se uno impegnativamente e seriamente attende a questa dinamica, quanto più procede, tanto più gli diventa evidente l’incommensurabilità e la sproporzione fra l’oggetto cui l’indagine arriva e la profondità delle domande.

E’ una simile esperienza che ha convertito Francesco Severi alla religione dopo 50 anni di alta esperienza scientifica.  

Parlandone con Einstein questi disse:

Ciò che caratterizza lo scienziato infatti è l’impegno profondo e aperto alla ricerca di fronte a qualsiasi fenomeno o circostanza.


Corrispondenza

(28/29) Quanto più uno è veramente uomo tanto più è capace di fidarsi, perché intuisce i motivi adeguati per credere a un altro.

(29) – È come se l’uomo facesse un paragone veloce con sé stesso, con la propria esperienza elementare, con il proprio cuore e dicesse: fino a qui corrisponde, e perciò è vero.

(45) Noi siamo fatti per la verità, intendendo per verità la corrispondenza tra coscienza e realtà.

La verità ultima è come trovare una bella cosa sul proprio cammino: la si vede e si riconosce, se si è attenti.

Il problema, dunque, è tale attenzione.

(75) Solo l’ipotesi di Dio, solo l’affermazione del mistero come realtà esistente oltre la nostra capacità di ricognizione corrisponde alla struttura originale dell’uomo.

Solo l’esistenza del mistero è adeguata alla struttura di mendicanza che l’uomo è.

Egli è insaziabile mendicanza e ciò che gli corrisponde è qualcosa che non è se stesso, che non si può dare, che non può misurare, che l’uomo non sa possedere.

«Il mondo senza Dio sarebbe una favola raccontata da un idiota in un accesso di furore» (Shakespeare, Macbeth)

(98) Ma tra l’opzione per il no o per il sì, quale corrisponde di più all’origine, a tutti i fattori della struttura nostra, cioè qual’è quella ragionevole? Questo è il punto.

L’autentica religiosità è difesa a oltranza del valore della ragione, dell’umana coscienza.

Il razionalismo spesso distrugge la possibilità stessa della ragione o la ragione come categoria della possibilità.

(101) «Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me con un terrore ubriaco

Poi come su uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; io me ne andrò zitto
tra gli uomini che non si volta
. (E. Montale da Ossi di seppia)

Di fronte alla percezione del «nulla dietro di me» due sono le ipotesi: o le cose non si costituiscono da sé, ma sono fatte da un Altro, o sono illusioni o nulla.

Quale delle due ipotesi è la più corrispondente alla realtà, non a una nostra opinione dedotta dall’ideologia corrente: quale ipotesi è la più corrispondente alla realtà in base alla nostra esperienza? I

Indubbiamente corrisponde alla esperienza l’ipotesi che la realtà è fatta da un altro: perché anche se effimera e inconsistente però c’è.

 (161) (Un adolescente, abbandonato da piccolo in un’isola, che sta crescendo pensa): «C’è qualcosa nell’universo che corrisponde a questo bisogno, alla mia esigenza, e non coincide con niente di ciò che posso afferrare, e non so che cosa è».

Perché sa che c’è? Perché l’esistenza di quella cosa è implicata nel dinamismo della sua persona, è un rimando operato da qualcosa che ha dentro se stesso, ma non coincide con nulla di quanto ha a disposizione.


Coscienza

(Vedi anche autocoscienza)

(45) Noi siamo fatti per la verità.

Intendendo per verità la corrispondenza tra coscienza e realtà.

(47s) Da questo uno capisce di esistere – di vivere -, dal fatto che pensa, sente, e compie simili attività.

Un uomo pigro in modo grave e serio è in condizioni tali da non capir se stesso, o da poterlo fare con molta più difficoltà.

Per questo in una società il disoccupato è un uomo che soffre un attentato grave alla coscienza di sé stesso: è in condizioni tali per cui la percezione dei suoi valori personali risulta sempre più annebbiata.

(48) I fattori costitutivi dell’umano si percepiscono là dove sono impegnati nell’azione, altrimenti è come se non fossero, vengono obliterati.

La vita è una trama di avvenimenti e di incontri che provocano la coscienza producendovi in varia misura problemi.

Il significato della vita – o delle cose più pertinenti e importanti della vita – è un traguardo possibile solo per chi prende sul serio la vita e quindi avvenimenti e incontri, per chi è impegnato con la problematica della vita.

(49) La condizione per poter sorprendere in noi l’esistenza e la natura di un fattore portante, decisivo come il senso religioso, è l’impegno con la vita intera, nella quale tutto va compreso: amore, studio, politica, denaro, fino al cibo e al riposo, senza nulla dimenticare, né l’amicizia, né la speranza, né il perdono, né la rabbia, né la pazienza.

(52) Il presente è sempre un’azione, nonostante tutta l’indolenza, la stanchezza, la distrazione possibile nel suo protagonista.

Solo di fronte alla coscienza del mio presente mi è possibile prendere nota della fisionomia umana nei suoi elementi e nella sua dinamica naturale e perciò anche identificabili nel passato.

(54) Quando da bambino guardavo mia madre «sentivo» come era buona. «Mia madre è buona», dico adesso e, a parte la coscientizzazione diversa, approfondita, è la stessa idea di bontà a determinare la mia affermazione.

Mi trovo assolutamente identico nel contenuto di coscienza della mia infanzia: non mutevole.

(68)

«Uno spron che quasi mi punge
Si che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace e loco
». (Leopardi, Canto notturno)

Essere consapevoli del valore di tale tristezza si identifica con la coscienza della statura della vita e con il sentimento del tuo destino.

(76) Questa lunga puntualizzazione esistenziale ha inteso sottolineare ciò che il senso religioso sia in noi, come emerga alla nostra coscienza: domanda di totalità costitutiva della nostra ragione, cioè della capacità che l’uomo ha di conoscenza, della sua apertura a inoltrarsi e ad abbracciare sempre più la realtà.

(87) Dov’è l’errore della cultura di oggi? Essa scorda le premesse: esse sono nella coscienza dell’uomo, nell’uomo che grida quelle ultime domande.

E quelle domande penetrano i rapporti con i figli, gli amici, con gli estranei, penetrano il lavoro e il sostentamento.

(98) L’autentica religiosità è la difesa a oltranza del valore della ragione, dell’umana coscienza.

Il razionalismo spesso distrugge la possibilità stessa della ragione o la ragione come categoria della possibilità.

(101) L’evidenza più grande in un uomo adulto è il fatto che egli non si fa da sé: e l’uomo è quel livello della natura in cui la natura prende coscienza di sé, e si accorge di non consistere in sé, che le cose non consistono i sé.

(103) Quelle domande costituiscono la mia persona, si identificano con la mia ragione e coscienza, sono il contenuto della mia autocoscienza.

(115) Lo smarrimento del significato, perpetrato nell’uomo o nell’altro degli atteggiamenti elencati, sfoca, annulla la personalità , perché la personalità parte come coscienza di un significato che permette il possesso, vale a dire l’ordinamento al significato della totalità degli elementi in cui si imbatte, dell’incontro secondo tutta la sua realtà.

(124s)

«Il corpo viene dato dai genitori, ma l’anima viene infusa direttamente da Dio» (Catechismo della dottrina cristiana di Pio XII).

(125)Solo nella ipotesi che in me esista questo rapporto, il mondo può fare di me quello che vuole, ma non mi vince, non mi evince, non mi afferra, io sono grande, io sono libero.

Qui si fonda e si spiega il diritto fondamentale alla libertà di coscienza, alla capacità e al dovere quindi di giudicare secondo un proprio paragone con la verità e il bene.

Ecco il paradosso:

(136) Solo una dimensione religiosa è possibile intuire tutta la dinamica strutturale della coscienza (o ragione):

  1. perché pone l’esigenza di un significato, che è come la somma ultima o l’intensità ultima di tutti i fattori della realtà.
  2. perché apre e pone sulla soglia ciò che è diverso, è altro, è infinito.

(139) Se quelle domande ultime sono il costitutivo, la stoffa dell’umana coscienza, della umana ragione, come fanno a destarsi?

Se l’uomo si accorge dei fattori che lo costituiscono osservando se stesso in azione, per rispondere a quella domanda occorre osservare la dinamica umana nel suo impatto con la realtà, impatto che mette in moto il meccanismo rivelatore dei fattori.

Un individuo che avesse vissuto poco l’impatto con la realtà, ad esempio, ha vissuta poca fatica da compiere, avrà scarso il senso della propria coscienza, percepirà meno l’energia e la vibrazione della sua ragione.

(149) L’esperienza dell’io reca con sé la coscienza del bene e del male, la coscienza di qualcosa cui non ci può rifiutare l’omaggio della propria approvazione o l’accusa.

Comunque venga applicata questa categoria del bene perché è bene, e del male perché è male, è inestirpabile.

Perché risponde a una destinazione ultima, risponde al nesso con il destino.

(151) Quanto più uno vive il livello di coscienza, che abbiamo descritto, nel suo rapporto con le cose, tanto più vive intensamente il suo impatto con la realtà e tanto più incomincia a conoscere qualcosa del Mistero.

È segno degli spiriti grandi e degli uomini vivi l’ansia della ricerca attraverso l’impegno con la realtà della loro esistenza.

(160) Uno sguardo all’impatto continuo della coscienza dell’uomo con la realtà che bloccasse la dinamica del segno, che arrestasse il rimando che costituisce il cuore della esperienza umana, compirebbe un assassinio dell’umano, fermerebbe indebitamente l’impeto di un dinamismo vivente.

(170) La libertà non si dimostra tanto nella clamorosità delle scelte; ma la libertà si gioca nel primo sottilissimo crepuscolo dell’impatto della coscienza del mondo.

Ed ecco l’alternativa in cui l’uomo quasi impercettibilmente l’uomo si gioca: o tu vai di fronte alla realtà spalancato, con gli occhi sgranati di un bambino, lealmente, dicendo pane al pane e vino al vino, e allora abbracci tutta la sua presenza ospitandone anche il senso; o ti metti di fronte alla realtà difendendoti, quasi con il gomito davanti al viso per evitare i colpi sgraditi ed inattesi, chiamando la realtà al tribunale del tuo parere.

(201ss) All’estremo della esperienza della vita, all’estremo della coscienza sofferta ed appassionata dell’esistenza si sprigiona, malgrado l’uomo stesso, questo grido della umanità più vera, come implorazione, come una mendicanza.

Si sprigiona la grande ipotesi che si possa «fare il passaggio con qualche più solido trasporto, con l’aiuto cioè della rivelata parola di dio»(Platone, Fedone).

(202) Ma in senso proprio «rivelazione» non è più il termine di una interpretazione che l’uomo fa sulla realtà, sulla natura dell’uomo alla ricerca del suo significato: invece si tratta di un possibile fatto reale, un eventuale avvenimento storico.

Questa è l’ipotesi eccezionale, questa è la rivelazione in senso stretto: lo svelarsi del mistero attraverso un fattore della storia con quale, nel caso del cristianesimo, si identifica.

Un simile ipotesi prima di tutto è possibile.

In secondo luogo questa ipotesi è estremamente conveniente.

Conveniente è una ipotesi che si incontra col desiderio dell’uomo, adatta al cuore e alla natura dell’uomo.

Sommamente con-veniente è una risposta alla attesa normalmente inconscia.


Cosmo

(143) La prima originale intuizione è lo stupore del dato e dell’io come parte di questo dato, esistente.

Prima vieni colpito e poi ti accorgi di te che sei colpito.

È da qui che si origina il concetto della vita come dono, in mancanza del quale non possiamo usare delle cose senza inaridirle.

L’uomo, una volta accortosi di questo essere reale, di questa inesorabile presenza con le sue diversità e il proprio io come sua parte, si accorge anche che c’è dentro questa realtà un ordine, che questa realtà è cosmica ( da cosmos greco, che vuol dire appunto ordine)..

(147) L’io, l’uomo, è quel livello della natura in cui essa si accorge di non farsi da sé.

Così che il cosmo intero è come la grande periferia del mio corpo senza soluzione di continuità.

(150) L’esperienza di quell’implicazione misteriosa e nascosta, di quella presenza arcana, misteriosa dentro l’occhio che si spalanca sulle cose, dentro l’attrattiva che le cose risvegliano, dentro la bellezza, dentro lo stupore pieno di gratitudine, di conforto, di speranza, perché queste cose si muovono in modo tale da servirmi, da essermi utili.

E come queste cose hanno dentro anche me, me, in cui quel recondito, quel nascosto, diventa vicino, perché è qui che mi sta facendo e mi parla del bene e del male.

Come potrà essere vivida questa pur semplice esperienza che è il cuore dell’uomo e perciò il cuore della natura e il cuore del cosmo? Come potrà diventare potente?  Nell’impatto con il reale.

L’unica condizione per essere sempre e veramente religioso è vivere intensamente il reale.

La formula dell’itinerario al significato della realtà è quella di vivere il reale senza preclusioni, cioè senza rinnegare e dimenticare nulla.

(177) L’atteggiamento giusto in cui la natura formula l’uomo di fronte al reale è un atteggiamento positivo.

La curiosità è l’aspetto più immediatamente meccanico di questa attenzione abissale in cui la natura desta l’uomo di fronte al cosmo.

(183) Il vero dramma del rapporto tra l’uomo e Dio, attraverso il segno del cosmo, non sta nella fragilità delle ragioni, perché tutto il mondo è una grande ragione e non esiste sguardo  umano sulla realtà che non senta la provocazione di questa prospettiva che lo supera.

Il vero dramma sta nella volontà che deve aderire a questa immensa evidenza.

La drammaticità è definita da quello che io chiamo rischio.

L’uomo subisce l’esperienza del rischio: pur essendo di fronte alle ragioni, è come bloccato, gli occorrerebbe un supplemento di energia e di volontà, di energia di libertà, perché la libertà è la capacità di adesione all’essere.


Creaturalità

(148) Non dico: «Io sono» consapevolmente, secondo la totalità della mia statura d’uomo, se non identificandolo con

Siccome la verità naturale dell’uomo è la sua creaturalità, l’uomo è un essere che c’è perché è continuamente posseduto.

Allora egli respira interamente, si sente a posto e lieto, quando riconosce di essere posseduto.

(192) «Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, si da disonorare fra di loro i loro corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli»(Rom. 1,22-31).


Credere

(140) Chi non crede in Dio è inescusabile, diceva S.Paolo, perché deve rinnegare questo fenomeno originale, questa originale esperienza dell’«altro» (Cfr Rm 1,19-21).

Il primissimo sentimento dell’uomo è di essere di fronte a una realtà che non è sua, che c’è indipendentemente da lui e da cui lui dipende.

Tradotto empiricamente è la percezione originale di un “dato”.

La parola che traduce in termini totalmente umani il vocabolo «dato», e quindi il primo contenuto dell’impatto con la realtà, è la parola dono.

Ma senza arrestarci a questa conseguenza, la stessa parola «dato» è vibrante di attività, davanti alla quale sono passivo: ed è una passività che costituisce l’originaria attività mia, quella del ricevere, del constatare, del riconoscere.


Cristianesimo

(181) È uno iato, un abisso, un vuoto tra l’intuizione del vero, dell’essere, data dalla ragione, e la volontà.

Il cristianesimo indicherebbe in questa esperienza una ferita prodotta dal peccato originale.

Per cui uno vede le ragioni, ma non si muove.

Avviene una spaccatura tra la ragione e l’affettività, tra la ragione e la volontà: questa è l’esperienza del rischio.

(202) Questa è l’ipotesi eccezionale, questa è la rivelazione in senso stretto: lo svelarsi del mistero attraverso un fatto nella storia col quale, nel caso del cristianesimo, si identifica.


Cultura

(29) Che cosa è la fede? È aderire a quello che afferma un altro.

Ciò può essere irragionevole, se non ci sono motivi adeguati; è ragionevole se ci sono.

Senza il metodo di conoscenza della fede non ci sarebbe sviluppo umano.

Se l’unica ragionevolezza fosse nella evidenza immediata o personalmente dimostrata, l’uomo no potrebbe più procedere, perché ognuno dovrebbe rifare i processi da capo, saremmo sempre trogloditi.

Il problema della certezza morale è il problema capitale della vita come esistenza, ma attraverso di essa anche della vita come civiltà e cultura.

 (34) La ragione per conoscere l’oggetto deve fare i conti con il sentimento, con lo stato d’animo.

Qui insorge il problema assai noto della cultura moderna razionalistica ed illuministica, ma che traduce anche una impressione superficialmente facile da trovare.

La ragione è pensata come capacità di conoscenza che si sviluppa nei confronti dell’oggetto senza che niente debba interferire.              

(42) Un esempio clamoroso: in un ambito mentale come quello creato dal potere, e dallo strumento supremo del potere che è la cultura dominante, proviamo a pensare che cosa ne sia riguardo a Dio, alla religiosità, o al cristianesimo dalla seconda metà dell’Ottocento in poi.

(87) Dov’è l’errore della cultura oggi? Essa scorda le premesse: esse sono nella coscienza dell’uomo, nell’uomo che grida quelle ultime domande.

E quelle domande […] penetrano i rapporti che si hanno con i figli e amici, penetrano il lavoro e il sostentamento; penetrano il modo con cui uno affronta il problema sociale.


Cuore

(11) (Tutte le madri del mondo) danno alla luce esseri umani che tutti sono riconoscibili come tali, sia come connotazioni esteriori che come impronta interiore.

Così, quando essi diranno «io» utilizzeranno questa parola per indicare una molteplicità di elementi derivanti da diverse storie, tradizioni e circostanze, ma indubbiamente quando diranno «io» useranno tale espressione anche per indicare un volto interiore, un «cuore» direbbe la Bibbia, che è uguale in ognuno di essi, benché tradotto nei modi più diversi.

Identifico in questo cuore ciò che ho chiamato esperienza elementare: qualcosa cioè che tende ad indicare compiutamente l’impeto originale con cui l’essere umano si protende nella realtà, cercando di immedesimarsi con essa, attraverso la realizzazione di un progetto, che nella realtà stessa detti l’immagine ideale che lo stimola dal di dentro.

(14) La sfida più audace a quella mentalità che ci domina e che incide in noi per ogni cosa è proprio quella di rendere abituale in noi il giudizio su tutto alla luce delle nostre evidenze prime e non alla mercé di più occasionali reazioni.

Occorre perforare sempre tali immagini indotte dal clima culturale in cui si è immersi, scendere a prendere in mano le proprie esigenze ed evidenze originali e in base a queste giudicare e vagliare ogni proposta, ogni suggerimento esistenziale.

L’uso dell’esperienza elementare, o del proprio «cuore», è dunque impopolare soprattutto di fronte a sé stessi, poiché quel «cuore» appunto è l’origine dell’indefinibile disagio da cui si viene presi quando, ad esempio, si è trattati come oggetto di interesse o piacere.

(21) La capacità di logica, di coerenza, di dimostrazione non sono altro che strumenti della ragionevolezza, strumenti al servizio di una mano più grande, dell’ampiezza di un cuore che li utilizza.

(29) E’ come se l’uomo facesse un paragone con sé stesso, con la propria esperienza elementare, con il proprio “cuore” e dicesse: fino a qui corrisponde e perciò è vero , e mi posso fidare.

Che cosa è la fede? È aderire a quello che afferma un altro.

Ciò può essere irragionevole, se non ci sono motivi adeguati; è ragionevole se ci sono.

Senza il metodo di conoscenza della fede non ci sarebbe sviluppo umano.

Se l’unica ragionevolezza fosse nella evidenza immediata o personalmente dimostrata, l’uomo non potrebbe più procedere, perché ognuno dovrebbe fare i processi da capo, saremmo sempre trogloditi.

Il problema della certezza morale è il problema capitale della vita come esistenza, ma attraverso di essa anche della vita come civiltà e cultura.

(99ss) La verità della scelta mentale e psicologica di Adorno – cioè la salvezza non c’è – non è separabile dalla «ossessione che dalle figura della apparenza emerga la salvezza».

Quello che Adorno chiama «ossessione» è la struttura dell’uomo, è quello che chiamavamo «cuore» o esperienza elementare: negarla è rinnegare qualcosa, è irragionevole e disumano.

(100) Quella che ho chiamato l’impossibile aspirazione più che una aperta opzione negativa è spesso l’arrestarsi smarrito sulla soglia della conclusione vera – come l’essere prigioniero di un interrogativo che rinnova continuamente l’originale ferita.

È la drammatica conclusione di questa realistica ed affascinante evocazione che ci interessa:

esclama il poeta Leopardi.

In Leopardi la negazione è così aggiunta, così sopraggiunta dall’esterno alla potenza evocatrice di tutti i fattori del cuore umano, che diventa paradossalmente testimonianza positiva.

Il «no» giunge come una scelta evidentemente ingiusta.

(107) La formula dell’uomo è rapporto libero con l’infinito, e perciò non sta in nessuna misura e sfonda le pareti di qualsiasi dimora in cui la si voglia arrestare.

Le domande e le evidenze costitutive del cuore (o della esperienza elementare) sono traccia esistenziale del rapporto libero con l’infinito.

(121) La fede è il gesto di libertà fondamentale e la preghiera è la costante educazione del cuore, dello spirito alla autenticità umana, alla libertà:

perché fede e preghiera sono il riconoscimento pieno di quella Presenza che è il mio destino, e la dipendenza dalla quale è la mia libertà.

Esistenzialmente questa libertà non è ancora compiuta; esistenzialmente è tensione al compimento, è tensione verso l’essere e adesione progressiva, in divenire.

(148ss) LA LEGGE DEL CUORE.

Nell’io freme dentro come una voce che mi dice «bene», che mi dice «male».

Questa coscienza dell’io reca con sé la percezione del bene e del male.

(149) comunque venga applicata questa categoria del bene perché è bene e del male perché è male, è inestirpabile.

Perché risponde a una destinazione ultima, risponde al nesso con il destino.

Diceva San Paolo nella Lettera ai Romani:

«Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo la legge, sono legge a sé stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianze della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano, ora li difendono».

Romani 2, 14-15

(150) Anche un «pagano», il grande poeta Sofocle, nell’Antigone parlava dei «sacri limiti delle leggi non scritte e non mutabili»(Sofocle, Antigone,vv. 450-455).

(187) La realtà nell’impatto con il cuore umano suscita la dinamica che le colonne d’Ercole hanno suscitato nel cuore di Ulisse e dei suoi compagni, i volti tesi al desiderio di altro.

Per queste facce ansiose e quei cuori pieni di struggimento le colonne d’Ercole non erano un confine, ma un invito, un segno, qualcosa che richiama oltre sé.

(205) L’ipotesi della rivelazione non può essere distrutta da alcun preconcetto o da alcuna opzione.

Essa pone una questione di fatto, cui la natura del cuore è originalmente aperta.

Occorre per la riuscita che questa apertura rimanga determinante.


Curiosità

(36) [Conseguenza della posizione razionalista relativamente alla pericolosità del sentimento nel processo di conoscenza] quanto più la natura mi interessa ad una cosa, e quanto più mi dà curiosità, esigenza e passione per conoscerla, tanto più mi impedisce di conoscerla.

(157) L’esigenza della verità implica, sostiene e trapassa anche la diuturna curiosità con cui l’uomo scende più dettagliatamente nella struttura del reale.

(177) Nel bambino tutto ciò è curiosità: attesa e domanda. Nell’uomo attesa e ricerca.

La curiosità è l’aspetto più immediatamente meccanico di questa attenzione abissale cui la natura desta l’uomo di fronte al cosmo.

Questa curiosità originale che significa? La curiosità nel bambino e nell’adulto è apertura piena di affermazione positiva.

Questa curiosità non è che una simpatia originale con l’essere, con la realtà, quasi una ipotesi generale di lavoro con cui la natura sospinge l’uomo nell’universale paragone.

Questa simpatia con la realtà è l’ipotesi generale di lavoro come premessa a qualsiasi azione, a qualsiasi attività.

(186) Ulisse, l’uomo intelligente che vuole misurare col proprio acume tutte le cose.

Una curiosità irrefrenabile: egli è il dominatore del mare nostrum.

ABCDEFGILM/NOPRSTUV





Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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