A–B–C–D–E–F–G–I–L–M/N–O–P–R–S–T–U–V
Lettera «E»
Libro “Il senso Religioso” di don Luigi Giussani
Links ai singoli temi
- Educazione
- Emozione
- Errore
- Esigenza/esigenze
- Esistenza
- Esperienza
- Esperienza elementare
- Estetismo/evasione estetica
- Estraneità
- Evidenza
Educazione
(39) (A proposito dei professori della Sorbona che per ultimi accettarono la scoperta dei microorganismi di Pasteur). Sarebbe occorsa loro una lealtà, una dignità morale, una passione per l’obiettivo vero, che non potevano inventarsi da un giorno all’altro, non fosse stato il termine di una lunga educazione morale.
(121) La fede è il gesto di libertà fondamentale e la preghiera è la costante educazione del cuore, dello spirito alla autenticità umana, alla libertà: perché fede e preghiera sono il riconoscimento pieno di quella Presenza che è il mio destino, e la dipendenza dalla quale è la mia libertà.
(123) Maracenko pedagogista sovietico: «L’educazione è la catena di montaggio dalla quale uscirà il prodotto del comportamento adeguato alle richieste di chi organicamente incorpora ed interpreta il senso del divenire storico».
Chi organicamente incorpora ed interpreta il senso del divenire storico è chi detiene il potere in quel momento: si tratta quindi di una totale alienazione della persona umana nella concezione ideologica della società brandita dal potere.
(158) Il vero: il significato reale di ogni cosa sta nel suo percepito nesso con la totalità, con il fondo, con l’ultimo.
È questo lo struggimento supremo di quel livello della natura in cui la natura diventa «io».
L’umanità di una società, la sua civiltà, è determinata dall’aiuto che l’educazione di essa dà a mantenere spalancata questa apertura insaziabile, attraverso tutti i comodi e gli interessi che prematuramente la vorrebbero chiudere.
(175ss) Educazione alla libertà come responsabilità.
Il problema fondamentale di questa grande avventura del «segno» che è il mondo, perché in essa si palesi l’evidenza del destino, è l’educazione alla libertà.
Se la realtà chiama l’uomo a qualcosa d’altro, educazione alla libertà è uguale a educazione alla responsabilità.
In che cosa consiste questa educazione alla libertà, cioè alla responsabilità?
Innanzitutto educazione alla responsabilità implica una educazione alla attenzione.
(176) Ma oltre all’educazione all’attenzione, una educazione alla responsabilità è anche educazione alla capacità di accettazione. Anche ospitare una proposta nella sua integrità non è automatico.
Educare alla attenzione e alla accettazione assicura la modalità profonda con cui uno deve atteggiarsi di fronte alla realtà: spalancato libero, e senza quella presunzione che chiami la realtà di fronte al proprio verdetto di giudice, e perciò senza giudicare la realtà in base al preconcetto.
Comunque una educazione alla libertà, alla attenzione, cioè uno spalancarsi verso la totalità dei fattori in gioco, e una educazione alla accettazione, cioè all’abbraccio consapevole di ciò che viene davanti agli occhi, è la questione fondamentale per un cammino umano.
Educazione ad un atteggiamento di domanda.
L’educazione alla libertà, necessaria per una interpretazione adeguata del segno che è l’esistenza, il mondo, deve allenare all’atteggiamento giusto di fronte alla realtà, che è la permanenza della posizione originale in cui la natura formula l’uomo, vale a dire l’atteggiamento di attesa come domanda.
Perciò se il reale provoca, l’educazione alla libertà deve essere educazione a rispondere alla provocazione.
È l’educazione ad «aver fame e sete» che rendi attenti alle sollecitazioni che gremiscono il confronto con la totalità del reale, pronti ad accettare ogni sfumatura di valore, cioè di seria promessa alla essenzialeindigenza del nostro essere.
Emozione
(33s) Dentro l’esperienza personale penetra un avvenimento, un‘emozione affettiva (seccatura, curiosità, compiacimento) qualcosa accade dentro l’orizzonte esperienziale, dentro i confini della percezione della persona…
Qualcosa accade che tocca la persona che muove la persona, un emozione una commozione.
La parola che indica questo stato d’animo, questa reazione, questa emozione, questo essere toccati dalla cosa che accade si chiama sentimento.
(44) Ma che cosa ci può persuadere a questa ascesi, a questo lavoro e allenamento?
L’uomo infatti solo da un amore e da una affezione è mosso.
L’amore che ci può persuadere a questo lavoro per arrivare a una capacità abituale di distacco dalle proprie opinioni e dalle proprie immaginazioni, così da porre tutta l’energia conoscitiva nella ricerca della verità dell’oggetto qualunque esso sia, è l’amore a noi stessi come destino, è l’affezione al nostro destino.
È questa commozione ultima, è questa emozione suprema che persuade alla virtù più vera.
(60) Ecco potremmo dire che il senso religioso è quella caratteristica che qualifica il livello umano della natura e che si identifica con l’intuizione intelligente e l’emozione drammatica con cui l’uomo guardando la propria vita e i propri simili dice: «Siamo come le foglie».
Il senso religioso è lì, a livello di queste emozioni, intelligenti e drammatiche, inestimabili, anche se il clamore o l’ottusità della vita sociale sembrano volerle tacitare.
Rilke in “Elegia”
«E tutto cospira a tacere di noi
Un po’ come si tace
Un‘onta, forse, un po’ come si tace
Una speranza ineffabile»(Rilke in “Elegia).
(82) Ma quando un figlio ci fosse, il compito che cosa è?
È più o meno confuso, più o meno nebuloso o consapevole, il destino del figlio, il suo cammino d’uomo.
E’ questo senso che preme e detta l’atteggiamento di emozione reale, di impegno sicuro, di sentimento amoroso nella sua semplicità e nella sua totalità.
Senza un’altra cosa che eccede il rapporto, il rapporto non starebbe.
Occorre una ragione per il rapporto e la ragione vera di un rapporto deve connetterlo con il tutto.
(95) (Nel paragrafo “evasione estetica o sentimentale”). Non c’è impegno della propria libertà, ma soltanto compiacimento espressivo del riverbero emotivo che l’interrogativo suscita.
La ricerca del senso della vita, l’urgenza, l’esigenza di un senso della vita, diventa uno spettacolo di bellezza, assume una forma estetica.
(96) Ma l’urgenza del nostro sentire apre alla vita nella sua concretezza e completezza, non ci si può fermare a metà strada, crogiolandosi in una esperienza emotiva che diventa evasione e spreco.
Einstein in Come io vedo il mondo:
«La più bella e profonda emozione che noi possiamo provare è il senso del mistero; sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera sicurezza».
«Chiunque crede che la sua vita e quella dei suoi simili sia priva di significato, è non soltanto infelice, ma appena, appena capace di vivere».
«La preoccupazione dell’uomo e del suo destino deve sempre costituire l’interesse principale di tutti gli sforzi tecnici; non dimenticatelo mai, in mezzo ai vostri diagrammi e alle vostre equazioni».
Errore
(3)
Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità. (A.Carrel. Riflessioni sulla condotta della vita)
(24) L’uso della ragione è una flessione della capacità che l’uomo ha di conoscere, la quale implica diversi metodi o procedimenti, o processi, secondo il tipo degli oggetti: non ha un metodo unico, è polivalente, ricca, agile e mobile.
Se non si tiene conto di quel fenomeno fondamentale si possono fare gravi errori.
Gente esperta di metodo filosofico o teologico, se pretende affermare una verità in campo scientifico, può incorrere nell’errore commesso da alcuni signori del Santo Uffizio con Galileo Galilei.
(37) E’ un errore formulare un principio esplicativo che per risolvere la questione debba avere la necessità di eliminare un fattore in gioco.
Vuol dire che è un principio non adatto.
(49)
«L’errore è una verità diventata pazza». (G.K. Chesterton, Ortodossia)
(52) Il presente è sempre un’azione, nonostante tutta l’indolenza, la stanchezza, la distrazione possibile nel suo protagonista.
L’uomo per capire i fattori da cui è costituito deve partire dal presente.
Sarebbe un grave errore di prospettiva partire dal passato per conoscere il presente dell’uomo.
(57) Se l’esperienza mostra in me due tipi di realtà (materia e spirito) irriducibili l’uno all’altro, non posso farli coincidere, perché spiegare la differenza sopprimendola significa forzare, violentare l’esperienza, significa investire l’esperienza di un preconcetto.
Alla radice di questa dimenticanza, cioè di questa falsità, poiché in nome di «a priori» si va contro l’evidenza dell’esperienza, sta in un errore di metodo.
Abbiamo già visto che l’uomo coglie se stesso soltanto nell’istante presente.
Se dunque in questo presente appaiono due fattori irriducibili e se rivolgendomi al passato devo notare che, rifacendo il cammino all’indietro, i due fattori sembrano meno visibili fino a confondersi, sarà precisamnente questo fenomeno cui dovrò trovare una spiegazione, ma a partire dall’affermazione dei due dati che nell’istante presente sorprendo.
(79) Non si può spiegare una questione dimenticando o rinnegando qualche fattore in gioco.
Si può dare a questa osservazione un valore generale affermando che un errore si dimostra tale quando si è costretti dalla sua logica a dimenticare o a rinnegare qualcosa.
Chiamo anche «disumani» questi atteggiamenti, proprio in quanto irragionevoli.
(87)
«Nell’errore l’ultimo fine scorda la premessa». (Shakespeare ne “La tempesta”)
Dov’è l’errore della cultura di oggi?
Essa scorda le premesse: esse sono nella coscienza dell’uomo, nell’uomo che grida quelle ultime domande.
(107) Dopo questa serie analitica di posizioni mi preme ricordare che il valore dialettico della nostra denuncia è uno: esse non corrispondono interamente ai fattori che l’esperienza ci mostra in gioco.
Sono sogni dimentichi di ciò che sta prima, di ciò da cui si parte, sono errori in cui la passione e la tensione o passione per il fine fa dimenticare i dati originali, l’origine, e perciò fa impazzire.
Tutte hanno un aspetto giusto, o un pretesto verosimile, cui però si è dato sproporzionato rilievo.
(190s) Ma quando la ragione dell’uomo dice: «Il significato della mia vita è…», […] ogni volta che questo è indentificherà un contenuto di definizione, inevitabilmente partirà da un certo punto di vista.
Non potrà che pretendere la totalità per un particolare, un particolare del tutto viene pompato a definire la totalità.
(191) Dove sta il Pathos di questo atteggiamento? Sta nel fatto che il senso religioso, cioè la natura dell’uomo nella sua statura ultima, identificherà il significato totale della sua vita con qualcosa di comprensibile a sé.
E’ qui la radice dell’errore: con qualcosa di comprensibile a sé.
(203) Dio non sopprime certo la libertà operosa dell’uomo, ma la rende possibile, perché l’errore e la stanchezza, propri dell’uomo, sono un limite alla libertà operosa.
Esigenza-esigenze
(8ss) In che cosa consiste l’esperienza elementare?
Si tratta di un complesso di esigenze e di evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste.
La natura lancia l’uomo nell’universale paragone con sé stesso, con gli altri, con le cose, dotandolo – come strumento di tale universale confronto – di un complesso di evidenze e esigenze originali, talmente originali che tutto ciò che l’uomo fa o dice da esse dipende.
(9) Possono essere riassunte con diverse espressioni (come: esigenza di felicità, esigenza di verità, esigenza di giustizia ecc …). sono comunque una scintilla che mette in azione il motore umano.
Qualunque affermazione della persona, dalla più banale e quotidiana alla più ponderata e carica di conseguenze, può avvenire solo in base a questo nucleo di evidenze ed esigenze.
(10) Occorre prendere in esame le opinioni e confrontarle con i criteri di quella che ho chiamato esperienza elementare: ai criteri cioè immanenti alla nostra natura, a quel complesso di esigenze, di evidenze con cui nostra madre ci ha fatto nascere.
(13ss) La natura lancia l’uomo nell’universale paragone, dotandolo di quel nucleo di esigenze originali, di quella esperienza elementare di cui tutte le madri allo stesso modo dotano i loro figli.
L’esigenza della bontà, della giustizia, del vero, della felicità costituiscono il volto ultimo, l’energia profonda con cui gli uomini di tutti i tempi e di tutte le razze accostano tutto, al punto che essi possono vivere tra loro un commercio di idee oltre che di cose, possono trasmettersi l’un l’altro ricchezze a distanza di secoli, e noi leggiamo con emozione frasi create migliaia di anni fa dagli antichi poeti, con una impressione di suggerimento al nostro presente, come talvolta non deriva dai rapporti quotidiani.
Questa esperienza elementare è sostanzialmente uguale in tutti, anche se poi sarà determinata, tradotta, realizzata in modi diversissimi, apparentemente perfino opposti.
La tradizione famigliare, o la tradizione del più vasto contesto in cui si è cresciuti, sedimentano sopra le nostre esigenze originali e costituiscono come una grande incrostazione che altera l’evidenza di quei significati primi, di qui criteri, e, se uno vuole contraddire tale sedimentazione indotta dalla convivenza sociale e dalla mentalità ivi creatasi, deve sfidare l’opinione comune.
(14) La sfida più audace a quella mentalità che ci domina e incide in noi per ogni cosa – dalla vita dello spirito al vestito – è proprio quello di rendere abituale in noi il giudizio su tutto alla luce delle nostre evidenze prime, e non alla mercé di più occasionali reazioni.
Anche questi occasionali pareri sono indotti da un contesto e da una storia, e anch’essi debbono essere attraversati, perché le nostre esigenze originali sono raggiungibili.
Occorre sempre perforare tali immagini indotte dal clima culturale in cui si è immersi, scendere a prendere in mano le proprie esigenze ed evidenze originali e in base a queste giudicare e vagliare ogni proposta, ogni suggerimento esistenziale.
La propria esigenza di uomo o di donna è ravvisabile come diversa: è esigenza di amore, ed è purtroppo miseramente facile ad essere alterata.
(15) Quanto finora detto è da riconquistare, ma viviamo in un’epoca in cui l’esigenza di tale conquista è più chiara che mai, benché in ogni tempo l’uomo abbia dovuto lavorare per riconquistare sé stesso.
(30) L’oggetto di uno studio esige realismo, il metodo è imposto dall’oggetto; ma concomitante, complementare a questo, occorre che il lavoro verso l’oggetto rispetti l’esigenza della natura dell’uomo che è la ragionevolezza: avere motivi adeguati nel fare i passi verso l’oggetto da conoscere.
La diversità dei metodi stabilisce l’ordine di questi motivi adeguati.
Un metodo è luogo di motivi adeguati.
Raggiungere la certezza sull’umano comportamento può benissimo avere motivi adeguati e perciò avvenire con estrema ragionevolezza.
La nostra vita è fatta di questo tipo di ragionevolezza
(36) (Se il sentimento non deve esserci nella conoscenza dell’oggetto, secondo la posizione razionalista, la conseguenza è..): quanto più la natura mi fa interessare a una cosa, esigenza e passione per conoscerla, tanto più mi impedisce di conoscerla.
(57) Esigenza della unità è si una grandiosa esigenza della ragione, esigenza che origina tutto il fervore, tutta la forza dinamica dell’intelligenza; ma questa esigenza di unità non può essere giocata fino a barare; fino cioè a rinnegare o a dimenticare qualcosa per poter spiegare unitariamente tutto.
(61ss) L’esigenza di una risposta totale.
In quelle domande l’aspetto decisivo è offerto dagli aggettivi e dagli avverbi: qual’è il senso ultimo della vita, in fondo in fondo di che cosa è fatta la realtà. Per che cosa vale veramente la pena che io sia, che la realtà sia?
Sono domande che esigono una risposta totale che copra l’intero orizzonte della ragione, esaurendo la «categoria della possibilità».
(62)
«Che giova all’uomo possedere tutto il mondo, se poi smarrisce il significato di sé? o che darà l’uomo in cambio di sé».
Questo «sé» non è nient’altro che esigenza clamorosa, indistruttibile e sostanziale ad affermare il significato di tutto.
Ed è appunto così che il senso religioso definisce l’io:
il luogo della natura dove viene affermato il significato del tutto.
(63) Quanto più uno si addentra nel tentativo di risondere a quelle domande, tanto più ne percepisce la potenza, e tanto più scopre la propria sproporzione alla risposta totale.
L’inesauribilità della domanda esalta la contraddizione fra l’impeto della esigenza e la limitatezza della misura umana nella ricerca.
(81ss) Omero, Sofocle, Dante, Dostoevskij, Beethoven (secondo Sapegno) sarebbero degli adolescenti, perché tutta la loro espressione è determinata da quelle domande, grida quelle esigenze che – come diceva Thomas Mann:
«Danno fuoco e tensione a ogni nostra parola, urgenza a ogni nostro problema».
Se la natura mi mette dentro una spinta assai più potente che non quella di un missile, una spinta così radicale che mi costituisce, perché la risposta ad essa deve rappresentare una meta impossibile così che sia inutile parlarne?
(82) Abbandonare la ricerca della realtà, del valore assoluto e immutabile è un sacrificio tale per cui la gente si può anche ammazzare.
Si dovrebbe infatti abbandonare qualcosa a cui la natura ci spinge: e questo è irrazionale, questo è disumano.
È una posizione non adeguata ai termini del problema.
(95) (Estetismo) L’uomo accetta le domande, le misura e le calibra con il sentimento, ma non c’è un impegno personale dell’io.
Non c’è impegno della propria libertà, ma soltanto compiacimento espressivo del riverbero emotivo che l’interrogativo suscita.
La ricerca del senso della vita, l’urgenza, l’esigenza di una senso della vita diventa uno spettacolo di bellezza, assume una forma estetica.
(103) (Ideologia e progresso) Secondo questa posizione la vita ha un senso tutto positivo, ma si nega che questo senso abbia verità per la persona, sia per la persona.
La dinamica spirituale della persona e il meccanismo evolventesi della realtà sociale sono finalizzati a questo futuro, e il fenomeno nel suo complesso viene indicato con quella parola supremamente equivoca: il progresso.
E’ impossibile far consistere la risposta a quelle domande in una realizzazione che tocchi la collettività in un ipotetico futuro, senza dissolvere l’identità dell’uomo, senza alienarlo in una immagine, dove la trama profonda di esigenze del suo io resta inevasa, frustrata:
le domande sono il mio io:
e nella soluzione progressista l’io non ha risposta, è alienato.
(136) Il senso religioso appare come prima e più autentica applicazione del termine ragione, in quanto non cessa di tendere a rispondere all’esigenza a essa più strutturale: quella del significato.
Solo in una dimensione religiosa è possibile intuire tutta la dinamica strutturale della coscienza (o ragione):
- perché pone l’esigenza del significato, che è come la somma ultima o l’intensità ultima di tutti i fattori della realtà.
- perché apre e pone sulla soglia di ciò che è diverso, è altro, è infinito.
(157ss) La stoffa stessa della vita è una trama di esigenze, trama che potrebbe essere ricondotta a due categorie fondamentali, ma l’una e l’altra con corollario talmente privilegiato che si potrebbero anche collocare nell’elenco come categorie originali a sé.
- La prima categoria è l’esigenza della verità: cioè semplicemente l’esigenza del significato delle cose, dell’esistenza. L’esigenza della verità implica sempre allora l’individuazione della verità ultima. L’esigenza della verità implica, sostiene e trapassa anche la diuturna curiosità con cui l’uomo scende più dettagliatamente nella struttura del reale.
- (158) La seconda categoria appartenente alla prima come natura, è l’esigenza di giustizia. L’esigenza è una domanda che si identifica con l’uomo, con la persona. Senza la prospettiva di un oltre la giustizia è impossibile.
- (159) Esigenza di felicità, vale a dire del compimento si sé: il riverbero psicologico del compimento; o della perfezione, il riverbero ontologico della realizzazione di sé. Non sarebbe uno sguardo razionale e umano alla esperienza di questa esigenza, se non leggendone l’implicato riferimento ad Altro.
- La quarta è la categoria dell’amore. Shakespeare (Romeo e Giulietta): «Mostrami un’amante che sia pur bellissima, che altro è la sua bellezza, se non un consiglio ove io legga il nome di colei che di quella bellissima è più bella». L’attrattiva di una bellezza segue una traiettoria paradossale: quanto più è bella, tanto più rimanda ad altro.
(160) Il carattere esigenziale dell’esistenza umana accenna a qualcosa oltre sé come al suo senso, come al suo scopo.
Le esigenze umane costituiscono riferimento, affermazione implicita di una risposta ultima che sta al di là delle modalità esistenziali sperimentabili.
Se venisse eliminata l’ipotesi di un oltre quelle esigenze sarebbero innaturalmente soffocate.
(199s) La natura nostra è esigenza di verità e di compimento vale a dire di felicità.
Ma essa, arrivata ai bordi estremi della propria esperienza di vita, non trova ancora ciò che ha cercato, all’estremo confine del suo territorio vissuto questa nostra urgenza non ha trovato ancora.
È qui dove scatta la questione.
Perché in forza della sua natura, per non sopprimersi come natura, che a questo punto la nostra ragione, la nostra umanità intuisce la risposta implicata nel proprio dinamismo.
Risposta che esiste per ciò stesso che questa esigenza esiste.
(200) Ignoto inarrivabile, indecifrabile, ineffabile.
Il quale, come palesa all’uomo la sua volontà, come comunica all’uomo il piano intelligente che assicura il significato di tutto?
La comunicazione avviene attraverso la casualità apparente delle circostanze, i condizionamenti banali da cui ogni istante dell’uomo è determinato.
Che paradosso!
Per seguire l’assoluta luce del significato occorrerebbe una obbedienza istante per istante, come chi navighi nella nebbia assoluta; istante per istante obbedire alla cosa più apparentemente irrazionale, cioè le circostanze che il vento del tempo rende assolutamente mobili.
Occorre un grande coraggio.
All’uomo viene il capogiro, la vertigine.
Esistenza
(49) La condizione per poter sorprendere in noi l’esistenza e la natura di un fattore portante, decisivo come il senso religioso, è l’impegno con la vita intera, nella quale va tutto compreso: amore, politica, studio, denaro fino al cibo e al riposo, senza nulla dimenticare, né l’amicizia, né la speranza, né il perdono, né la rabbia, né la pazienza.
Dentro infatti ogni gesto sta il passo verso il proprio destino.
Tra gli aspetti della vita, termini del nostro impegno con l’esistenza intera, ne metto subito in risalto uno essenziale.
Esso è normalmente trascurato, dimenticato, almeno come presa di coscienza e anche molto praticamente bistrattato e stravolto nel suo valore: la tradizione.
(69)
«Tutta la legge dell’esistenza umana consiste solo in ciò: che l’uomo possa sempre inchinarsi di fronte all’infinitamente grande. Se gli uomini fossero privati dell’infinitamente grande, essi non potrebbero più vivere e morrebbero in preda alla disperanza»(Dostoevskij, I demoni).
(74) Il senso religioso è la capacità che la ragione ha di esprimere la propria natura profonda nell’interrogativo ultimo, è il locus della coscienza che l’uomo ha dell’esistenza.
(141) Io apro gli occhi a questa realtà che mi si impone, che non dipende da me, ma da cui io dipendo: il grande condizionamento della mia esistenza, se volete, il dato.
(148s) L’uomo si sperimenta contingente: sussistente per un’altra cosa, perché non si fa da sé.
Sono perché io sono fatto.
La coscienza vera di sé è ben rappresentata dal bambino tra le braccia del padre e della madre, sì che può entrare in qualsiasi situazione dell’esistenza con una tranquillità profonda, con una possibilità di letizia.
(142) La sorgente del nostro essere ci mette dentro la vibrazione del bene e l’indicazione, il rimorso del male.
Comunque venga applicata questa categoria del bene perché è bene e del male perché è male, è inestirpabile.
È il binario con cui Ciò che ci crea convoglia a sé tutta la nostra esistenza.
(156s) La documentazione sperimentale del fatto che la natura dell’impatto dell’uomo con il reale svolge questo presentimento o ricerca d’altro è data dal carattere esigenziale della vita, dal carattere esigenziale dell’esperienza esistenziale.
(157) Intendo dire che la stoffa della vita è una trama di esigenze.
(160) Il carattere esigenziale dell’esistenza umana accenna a qualcosa oltre a sé come al suo senso, come al suo scopo.
(171) Il mondo dimostra l’esistenza del «quid»ultimo, l’esistenza del mistero attraverso la modalità che si chiama segno.
(181) Avviene una spaccatura tra la ragione e l’affettività, tra la ragione e la volontà: questa è l’esperienza del rischio.
È uno iato, un abisso, un vuoto, tra l’intuizione del vero, dell’essere, data dalla ragione e la volontà: una dissociazione tra la ragione e la percezione dell’essere, e la volontà che è affettività, cioè energia di adesione all’essere.
Per cui uno vede le ragioni ma non si muove.
Quando infatti penetra l’esperienza del rischio? Il senso del rischio si realizza nella misura in cui l’oggetto interessa il significato dell’esistenza.
Quanto più una cosa interessa il significato del vivere, tanto più l’esperienza di questa divisione irrazionale è possibile.
Incide molto il problema del significato totale del vivere, l’esistenza del Dio.
Qui è grave una divisione fra l’energia di adesione all’essere e la ragione come scoperta dell’essere: qui il fuoco di fila dei «ma» dei «se» fa da linea di fuoco che fronteggia la ritirata del proprio impegno con il mistero.
È l’immoralità suprema: l’immoralità di fronte al proprio destino.
(185) Il vertice della ragione è l’intuizione dell’esistenza di una spiegazione che supera la sua misura.
Per usare il gioco di parole che già abbiamo espresso, la ragione proprio come esigenza di comprendere l’esistenza è costretta dalla sua natura ad ammettere l’esistenza di un incomprensibile.
(200s) Che paradosso! Per seguire l’assoluta luce del significato occorrerebbe una obbedienza istante per istante, come chi navighi nella nebbia assoluta; istante per istante obbedire alla cosa più apparentemente irrazionale, cioè le circostanze che il vento del tempo rende assurdamente mobili.
Occorre un grande coraggio
Tutta la notte, cioè il tempo dell’esistenza, vissuta in tensione con questa Presenza inafferrabile, indecifrabile, di cui non si conosce il volto.
All’uomo viene il capogiro, la vertigine.
E così la storia è come un grande film di tutto questo decadere umano pur dentro la spinta ideale che lo provoca.
L’uomo ricade dentro i termini della propria esperienza, dentro l’orizzonte della sua esistenza […] ed è spinto ad identificare l’assoluto […] con l’aspetto più rassicurante della sua esperienza. il dio diventa idolo.
Insomma, è inevitabile storicamente che l’uomo a un certo punto identifichi con una propria immagine l’assoluto.
(201) All’estremo della esperienza della vita, all’estremo della coscienza sofferta e appassionata dell’esistenza si sprigiona, malgrado l’uomo stesso, questo grido dell’umanità più vera, come una implorazione, una mendicanza; si sprigiona la grande ipotesi che si possa «fare il passaggio con qualche più solido trasporto con l’aiuto cioè della rivelata parola di un dio” (Fedone di Platone).
In termini propri si chiama ipotesi della rivelazione.
La parola rivelazione ha un senso più lato, più largo e generico: il mondo è questa rivelazione del Dio, del mistero.
Esperienza
(7ss) L’esperienza implica una valutazione.
Senza una capacità di valutazione l’uomo non può fare alcuna esperienza.
Vorrei precisare che la parola «esperienza» non significa esclusivamente «provare».
L’esperienza coincide col giudizio dato su quel che si prova.
Ciò che caratterizza l’esperienza è il capire una cosa, lo scoprirne il senso.
L’esperienza implica quindi intelligenza del senso delle cose.
Un giudizio esige un criterio di base al quale viene operato.
Anche per l’esperienza religiosa occorre domandarsi, dopo aver svolto l’indagine, quale criterio adottare per giudicare quanto si è trovato nel corso della riflessione su se stessi.
(8) Esperienza elementare
Tutte le esperirenze della mia umanità e della mia personalità passano al vaglio di un «esperienza originale», primordiale, che costituisce il volto nel mio raffronto con tutto.
Ciò che ogni uomo ha il diritto e il dovere di imparare è la possibilità e l’abitudine a paragonare ogni proposta con questa sua «esperienza elementare».
In che cosa consiste questa esperienza originale, elementare?
Si tratta di un complesso di esigenze e di evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste.
La natura lancia l’uomo nell’universale paragone con se stesso, con gli altri, con le cose, dotandolo – come strumento di tale universale paragone – di un complesso di evidenze ed esigenze originali, talmente originali che tutto ciò che l’uomo dice o fa da esse dipende.
(10) Una madre eschimese, una madre della Terra del Fuoco, una madre giapponese danno alla luce esseri umani che tutti sono riconoscibili come tali, sia come connotazioni esteriori che come impronta interiore.
(11) […] quando diranno «io» useranno tale espressione anche per indicare un volto interiore, un «cuore» direbbe la Bibbia, che è uguale in ognuno di essi, benchè tradotto nei modi più diversi.
Identifico in questo cuore ciò che ho chiamato esperienza elementare.
(45s) Come affrontare l’esperienza religiosa per coglierne i fattori costitutivi?
(46) Se l’esperienza religiosa è una esperienza, non possiamo che partire da noi stessi per guardarla in faccia e coglierne gli aspetti costitutivi.
Se si tratta di una esperienza il punto di partenza è sé stessi.
Partire da sé stessi è realistico quando la propria persona è guardata in azione: è osservata cioè nell’esperienza quotidiana.
Allora il «materiale» di partenza non sarà più un preconcetto su di sé, una immagine artificiosa di sé, una definizione della propria persona magari mutuata dalle idee correnti e dalla ideologia dominante.
(52ss) Se colgo, ora, i fattori della mia esperienza di uomo, posso proiettarmi nel passato e riconoscere gli stessi fattori ravvisabili nelle pagine di Omero, di Platone, di Virgilio o di Dante e questo confermerà l’unità grande della stirpe umana, diventerà realmente esperienza di civiltà che cresce e si arricchisce.
Una volta che fossi partito dal presente per sorprendere nei suoi valori costitutivi l’esperienza umana, allora lo studio del passato illuminerà sempre più questo sguardo che porto a me stesso.
A una attenta riflessione sulla propria esperienza l’uomo scopre nel suo presente due tipi di realtà:
- (53) Il misurabile. Se misurabile significa paragonare il tutto con una sua parte, vuol dire che tutto è divisibile. Quello stesso genere di fenomeno che si è rivelato misurabile e divisibile si mostra ad una attenta analisi intrinsecamente, essenzialmente mutevole (corruttibile quindi). Il tipo di realtà che presentale caratteristiche appena indicate potrebbe essere definito con un termine generico: materiale. È la materialità.
- (54) Se l’uomo però è totalmente impegnato in quell’istante di riflessione su di sé, noterà che nel suo “io” un tipo di contenuto che non si identifica con ciò che finora abbiamo descritto. L’idea di bontà per esempio, quel criterio che ci si ritrova dentro per cui si può dire di qualcuno: “E’ buono”, questa idea non potrebbe essere misurata, quantificata, e non si modificherebbe nel tempo: …. non mutevole. Il giudizio, se non è falso esso resta perennemente vero, così come al contrario resterebbe perennemente falso. Un’altra identificazione di immutabilità, oltre che nell’idea e nel giudizio sta nel fenomeno della decisione. Non mutevoli si riscontrano quindi idea, giudizio, decisione. Sono fenomeni il cui contenuto di realtà non è misurabile, non è divisibile.
(55) Queste due realtà con caratteristiche irriducibili potevano essere chiamate in molti modi: le hanno chiamate materia e spirito, corpo e anima. Quello che è importante è tener ben ferma l’irriducibilità di entrambe.
La realtà intera dell’io come appare dall’esperienza non è riconducibile interamente al fenomeno della corruzione; l’io non esaurisce la sua consistenza in ciò che in lui si vede e constata morire.
C’è qualcosa nell’io di non-mortale, di immortale!
(101) L’uomo è quel livello della natura in cui la natura prende coscienza di sé, e si accorge di non consistere in sé, che le cose non consistono in sé.
Ora, questa esperienza è la soglia anche della scoperta del fatto della creazione, che le cose sono fatte da un Altro.
Di fronte alla sensazione del «nulla dietro di me» (Montale, Ossi di seppia) due sono le ipotesi: o le cose non si costituiscono da sé, ma sono fatte da un Altro, o sono illusioni e nulla.
Quale delle due ipotesi è più corrispondente alla realtà come appare alla nostra esperienza?
Indubbiamente corrisponde alla esperienza l’ipotesi che la realtà è fatta da un Altro: perché, anche se è effimera e inconsistente, però c’è.
(119s) Le parole sono dei segni con cui l’uomo identifica una certa esperienza: la parola amore identifica una determinata esperienza, e la parola libertà individua una determinata esperienza.
L’esperienza è descritta innanzitutto dall’aggettivo corrispondente, perché l’aggettivo è la descrizione veloce e sommaria di un’esperienza vissuta.
(120) Così per capire che cos’è la libertà dobbiamo partire dall’esperienza che abbiamo del sentirsi liberi.
Sperimentalmente noi ci sentiamo liberi per la soddisfazione di un desiderio.
La libertà si annuncia esperienza nella nostra esistenza come realizzazione di un bisogno o realizzazione di una aspirazione, come compimento.
Seguendo l’indicazione della esperienza, è chiaro che la libertà si presenta a noi come la soddisfazione totale, il compimento dell’io, della persona o come la perfezione.
La libertà è il paragone con il destino: è questa aspirazione totale al destino.
Così la libertà è l’esperienza della verità di sé stessi.
(121)
Perciò la libertà è la capacità di Dio
(133) L’atteggiamento scientifico – nel senso proprio del termine – già sappiamo che non potrà esaurire l’attenzione all’esperienza.
Proprio “per esperienza” viviamo moduli e fenomeni che non si riducono all’ambito biologico e fisico chimico.
L’esperienza stessa nella sua totalità guida alla comprensione autentica del termine ragione o razionalità.
La ragione infatti è quell’avvenimento singolare della natura, in cui questa si rivela come esigenza operativa a spiegare la realtà in tutti i suoi fattori, così che l’uomo sia introdotto alla verità delle cose.
Così la realtà emerge nell’esperienza e la razionalità ne illumina i fattori.
Dire «razionale» è affermare la trasparenza delle esperienza umana, la sua consistenza e profondità; la razionalità e la trasparenza critica, che avviene cioè secondo uno sguardo totalizzante, della nostra esperienza umana.
(149ss) L’esperienza dell’io reca con sé la coscienza del bene e del male, la coscienza di qualcosa cui non si può rifiutare l’omaggio della propria approvazione o l’accusa.
(150) L’esperienza di quella implicazione nascosta di quella presenza arcana, misteriosa dentro l’occhio che si spalanca sulle cose, dentro l’attrattiva che le cose risvegliano, dentro la bellezza, dentro lo stupore pieno di gratitudine, di conforto, di speranze, perché queste cose si muovono in modo tale da servirmi, da essermi utili: e queste cose hanno dentro anche me, me, in cui quel recondito, quel nascosto diventa più piccino, perché è qui che mi sta facendo, e mi parla del bene e del male – questa esperienza come potrà essere vivida, questa complessa e pur semplice esperienza, questa esperienza ricchissima di cui è costituito il cuore dell’uomo, che è il cuore e perciò il cuore della natura, il cuore del cosmo?
Come potrà essa diventare potente? Nell’impatto con il reale.
L’unica condizione per essere sempre e veramente religiosi è vivere sempre intensamente il reale.
(151) Non sarebbe infatti umano, cioè ragionevole, considerare l’esperienza limitatamente alla sua superficie, alla cresta della sua onda, senza scendere nel profondo del suo moto.
Il positivismo che domina la mentalità dell’uomo moderno esclude la sollecitazione alla ricerca del significato che ci viene dal rapporto originario con le cose.
Vorrebbe imporre all’uomo di fermarsi a ciò che appare.
(155) Esperienza del segno.
Il segno è una esperienza reale che mi rimanda ad altro
Non sarebbe umanamente adeguato partecipare a quel fenomeno esaurendone l’esperienza al suo aspetto immediato.
(165) (Modi di parlare di Dio) E anche certe parole che sembrano positive, per esempio, onnipotente, omnisciente, omnicomprensivo, sono termini, dal punto di vista dell’esperienza, negativi, perché non corrispondono a nulla della nostra esperienza.
Però non sono termini privi di significato, o puramente nominalistici; sono termini che intensificano la modalità del nostro rapporto, accostano di più al Mistero: sono apertura al Mistero.
(179ss) Dove sta la vera difficoltà nell’identificare l’esistenza di Dio, l’esistenza del mistero, del significato che è oltre l’uomo?
(180) Inevitabile conseguenza del rapporto con Dio mediato dal fenomeno del segno, è una esperienza che io chiamo esperienza del rischio.
(181) È uno iato, un abisso, un vuoto tra l’intuizione del vero, dell’essere , data dalla ragione, percezione dell’essere, e la volontà che è affettività, cioè energia di adesione all’essere.
Il cristianesimo indicherebbe in questa esperienza una ferita prodotta dal peccato originale.
Per cui uno vede le ragioni ma non si muove.
Avviene una spaccatura tra la ragione e l’affettività, tra la ragione e la volontà: questa è l’esperienza del rischio.
Il senso del rischio si realizza nella misura in cui l’oggetto interessa il significato della propria esistenza.
(183) Occorrerebbe un supplemento di energia e di volontà, di energia di libertà, perché la libertà è la capacità di adesione all’essere.
(184) Questa energia di libertà più adeguata emerge laddove l’individuo vive la sua dimensione comunitaria.
(190s) Il senso religioso, o ragione come affermazione di un ultimo significato, viene corrotto, viene degradato a identificare il suo oggetto con qualche cosa che l’uomo sceglie: e lo sceglie necessariamente dentro l’ambito della sua esperienza.
(191) Degrada perciò l’identificazione del suo oggetto con qualcosa di comprensibile a sé, e quindi all’interno della sua esperienza è l’orizzonte del suo comprensibile.
Se all’interno della esperienza del mio comprensibile è un particolare che viene esaltato a spiegare tutto.
Ma all’evidenza della nostra esperienza la ragione si rivela come un occhio spalancato sulla realtà, un varco sull’essere, nel quale non si è mai finito di entrare, il quale per natura sua deborda da tutte le parti e perciò il significato globale è il mistero.
Pretendere di definire il significato di tutto, in fondo che cosa vuol dire?
Pretendere di essere la misura di tutto, vale a dire, pretendere di essere Dio.
(199ss) La natura nostra arrivata ai bordi estremi della propria esperienza di vita, non trova ancora ciò che ha cercato, all’estremo confine del suo vissuto questa nostra urgenza non ha trovato ancora.
L’esistenza di questa incognita suprema da cui tutto di pende nella storia e nel mondo è il vertice e la vertigine della ragione.
(200) L’uomo ricade dentro i limiti della propria esperienza, dentro l’orizzonte della sua esistenza.
È spinto a indentificare l’assoluto, il sicuro con qualcosa di sperimentato nella sua esistenza, a identificare ciò per cui vale l’ultima pena con qualche aspetto, con l’aspetto più rassicurante della sua esperienza. il dio diventa idolo.
(201) Insomma è inevitabile storicamente che l’uomo a un certo punto identifichi con una propria immagine l’assoluto.
All’estremo dell’esperienza della vita, all’estremo della coscienza sofferta e appassionata dell’esistenza si sprigiona la grande ipotesi che
“Si possa fare il passaggio con qualche più solido trasporto, con l’aiuto cioè della parola rivelata da Dio”
Platone nel
“Fedone”
In termini propri si chiama ipotesi della rivelazione.
La parola rivelazione ha un senso più lato, più largo e generico: il mondo è questa rivelazione del Dio, del mistero.
(204) Se invece della parola enigmatica “mistero”, come suggerisce la realtà, tu usi la parola «Padre», come ti suggerisce la rivelazione, allora abbiamo un termine comprensibilissimo della nostra esperienza.
Dio è padre, ma è padre come nessun altro è padre.
Il termine rivelato porta il mistero più dentro di te, più vicino alla tua carne e alle tue ossa, e lo senti veramente familiare come per un figlio.
Esperienza elementare
(8ss) Tutte le esperienze della mia umanità e della mia personalità passano al vaglio di una “esperienza originale” primordiale che costituisce il volto del mio rapporto con tutto.
Ciò che ogni uomo ha il diritto e il dovere di imparare è la possibilità e l’abitudine a paragonare ogni proposta con questa sua esperienza elementare.
In che cosa consiste questa esperienza originale, elementare?
Si tratta di un complesso di esigenze e di evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste.
La natura lancia l’uomo nell’universale paragone con se stesso, con gli altri, con le cose, dotandolo – come strumento di tale universale confronto – di un complesso di evidenze ed esigenze originali, talmente originali che tutto ciò che l’uomo dice o fa da esse dipende.
(9) Ad esse potrebbero essere dati molti nomi; esse possono essere riassunte con diverse espressioni (come: esigenza di felicità, esigenza di verità, esigenza di giustizia ecc..).
Sono una scintilla che mette in azione ili motore umano: prima di esse non si dà alcun movimento, alcuna umana dinamica.
(10) Insisto che la riflessione su di sé sia vagliata, per giungere a un giudizio, attraverso il confronto tra il contenuto della riflessione stessa e il criterio originali di cui siamo tutti dotati.
Un madre eschimese, una madre della Terra del Fuoco, una madre giapponese danno alla luce esseri umani che tutti sono riconoscibili come tali, sia come connotazioni esteriori che come impronta interiore.
(11) Quando diranno «io» useranno tale espressione anche per indicare un volto interiore, un «cuore» direbbe la Bibbia, che è uguale in ognuno di essi, benché tradotto nei termini più diversi.
Identifico in questo cuore ciò che ho chiamato esperienza elementare: qualcosa cioè che tende ad indicare compiutamente l’impeto originale con cui l’essere umano si protende sulla realtà, cercando di immedesimarsi con essa, attraverso la realizzazione di un progetto, che alla realtà stessa detti l’immagine ideale che lo stimola dal di dentro.
(29) (A proposito della certezza morale per fidarsi) E’ come se l’uomo facesse un paragone veloce con sé stesso, con la propria «esperienza elementare», con il proprio cuore e dicesse: fino a qui corrisponde, e perciò è vero, e mi posso fidare.
(44) Abbiamo detto che per arrivare alla sorgente di criterio, che abbiamo chiamato esperienza elementare, occorre una ascesi, perché bisogna sempre trapassare l’incrostazione che la vita mette su di noi.
Per amare la verità più di se stessi […] occorre un lavoro.
Anche qui il processo faticoso si chiama ascesi.
Ma cosa può persuadere a questa ascesi, a questo lavoro e allenamento? L’uomo infatti solo da un amore e da una affezione è mosso.
L’amore che ci può persuadere a questo lavoro […] è l’amore a noi stessi come destino, è l’affezione al nostro destino.
È questa commozione ultima, è questa emozione suprema che persuade alla virtù vera.
(51) Insisto: usare criticamente questo fattore della vita (tradizione) non significa collocare dubbi sui suoi valori – anche se così viene suggerito dalla mentalità corrente -, ma significa utilizzare quella ricchissima ipotesi di lavoro attraverso il vaglio di un principio critico che sta dentro di noi nativo, perché dato originalmente, l’esperienza elementare.
Se la tradizione viene usata così criticamente, essa diventa fattore di personalità, per una identità nel mondo.
Goethe in Faust:
«Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnalo, per possederlo»
(82) Se si toglie l’energia stimolatrice della «esperienza elementare», «quello spron che quasi ci punge»; se si toglie l’energia dinamica che quelle domande determinano, il moto che imprimono alla nostra umanità; se si svuotano di contenuto quelle domande che costituiscono appunto l’espressione del meccanismo essenziale, il motore della nostra responsabilità, in che cosa potrà consistere una energia che ci faccia agire?
(99) Quello che Adorno chiama ossessione è la struttura dell’uomo, è quello che chiamavamo «cuore» o esperienza elementare: negarla è rinnegare qualcosa, è irragionevole, è disumano.
L’osssessione è la struttura della nostra vita che è promessa; l’invitabilità delle domande profonde è l’emergere della promessa. Dimenticare o rinnegare questo è irrazionale.
(107) Le domande e le evidenze costitutive del cuore (o della esperienza elementare) sono la traccia esistenziale del rapporto libero con l’infinito.
(115) E come fa l’intelligenza a giudicare l’esperienza? Sempre paragonando il contenuto espressivo in base alle esigenze costitutive della nostra umanità, in base alla «esperienza elementare»,
perché l’esperienza elementare è l’intelligenza in atto nella sua essenza.
Estetismo-evasione
(95) L’uomo accetta le domande, le misura e le calibra con il sentimento, ma non c’è impegno personale dell’io.
Non c’è impegno della propria libertà, ma soltanto compiacimento espressivo del riverbero emotivo che l’interrogativo suscita.
La ricerca del senso della vita diventa spettacolo di bellezza, assume una forma estetica.
(96) Mentre l’urgenza del nostro sentire apre alla vita nella sua concretezza e completezza, non può fermarsi a metà strada, crogiolandosi in una esperienza emotiva che diventa evasione e spreco.
Estraneità
(110) Senza che ne venga afferrato il significato una cosa resta estranea a noi.
L’uomo è come irrigidito, non è capace di comprendere e non è capace di utilizzare.
(182) Ecco la vera definizione dell’esperienza del rischio: una paura di affermare l’essere strana, perché è estranea alla natura, è contraddittoria con la nostra natura.
(188) Nella Bibbia, quando dall’esilio, cioè dalla dispersione o da una realtà estranea a sé, Giacobbe sta tornando a casa sua.
E giunge al fiume ormai all’imbrunire, e l’imbrunire è veloce.
Sono passati gli armenti, i servi, i figli e le donne.
Quando tocca a lui, ultimo, penetrare nel guado è totalmente notte.
E Giacobbe vuole continuare nel dubbio.
Ma prima che metta piede dentro l’acqua, sente un ostacolo davanti a sé; una persona che lo affronta e cerca di impedirgli il guado.
E con questa persona, che non vede in viso, con cui gioca tutte le sue energie, si stabilisce una lotta che durerà tutta la notte.
Finché al primo lucore dell’alba quello strano personaggio riesce ad infliggere un colpo all’anca, sì che Giacobbe ne andrà per tutta la vita zoppo.
Ma nello stesso tempo quello strano personaggio dice: «Sei grande Giacobbe! Non ti chiamerai più Giacobbe, ma ti chiamerai Israele, che significa : “ho lottato con Dio”».
Questa è la statura dell’uomo nella rivelazione ebraico cristiana.
La vita, l’uomo, è lotta, cioè tensione, rapporto – «nel buio» – con l’al di là; una lotta senza vedere il volto dell’altro.
Chi giunge a percepire questo di sé è un uomo che se ne va, tra gli altri, zoppo, vale a dire segnato; non più come gli altri uomini, è segnato.
Evidenza
(9s) Qualunque affermazione della persona, dalla più banale e quotidiana alla più ponderata e carica di conseguenze, può avvenire solo in base a questo nucleo di evidenze ed esigenze originali.
(10) In un liceo un professore di filosofia spiega: «Ragazzi, tutti noi abbiamo l’evidenza che questo notes sia un oggetto fuori di noi.
Supponete però che io non conosca quest’oggetto: sarebbe come se non esistesse.
Vedete allora che ciò che crea l’oggetto è la nostra conoscenza, è lo spirito e l’energia dell’uomo»: un professore idealista.
Facciamo l’ipotesi che questo insegnante si ammali gravemente e venga sostituito.
«Tutti noi siamo d’accordo che questo sia un oggetto fuori di noi.
E se non lo fosse? Dimostratemi che c’è. Come oggetto fuori di noi, in modo incontrovertibile»: ecco un professore problematicista, scettico o sofista.
Arriva in sostituzione un altro professore che dice: «Tutti abbiamo l’impressione che questo oggetto sia fuori di noi: è una evidenza prima, originale.
Ma se io non lo conosco? È come se non esistesse.
Vedete dunque che la conoscenza è un incontro tra una energia umana e una presenza.»
È un avvenimento in cui si assimila l’energia dell’umana coscienza con l’oggetto.
Occorrerà prendere in esame le tre opinioni e confrontarle con i criteri di quella che ho chiamato esperienza elementare: ai criteri cioè immanenti la nostra natura, a quel complesso di esigenze, di evidenze con cui nostra madre ci ha fatti nascere.
Dei tre professori chi utilizza un metodo più corrispondente all’esperienza originale?
Il terzo rivela una posizione più ragionevole, perché tiene conto di tutti gli elementi in gioco; ogni altra metodologia cade in un criterio riduttivo.
(13) La tradizione del più vasto contesto in cui si è cresciuti, sedimentano sopra le nostre esigenze originali e costituiscono come una grande incrostazione che altera l’evidenza di quei significati primi, di quei criteri, e se, uno vuole contraddire tale sedimentazione indotta dalla convivenza sociale e dalla mentalità ivi creatasi, deve sfidare l’opinione comune.
(20) Che una madre voglia bene al figlio non costituisce il termine di un procedimento logico: è una evidenza, o una certezza, una proposta della realtà la cui esistenza è cogente ammettere.
(23) (In Algebra) Svolgo un certo cammino, compio dei passi come dentro una strada dapprima piena di nebbia, un passo dopo l’altro, ecco finalmente la nebbia si dirada e arrivo di fronte allo spettacolo della verità, l’evidenza, l’identità.
(29) Se l’unica ragionevolezza fosse nella evidenza immediata o personalmente dimostrata, l’uomo non potrebbe più procedere, perché ognuno dovrebbe rifare tutti i processi daccapo, saremmo sempre trogloditi.
(57) (Sul fatto che lo spirito derivi dalla materia) Alla radice di questa dimenticanza, cioè di questa falsità, poiché in nome di un a-priori si va contro l’evidenza dell’esperienza sta un errore di metodo.
Abbiamo visto che l’uomo coglie se stesso solo nell’istante presente.
Se dunque in questo presente appaiono due fattori irriducibili (materia e spirito) e se rivolgendomi al passato devo notare che, rifacendo il cammino all’indietro i due fattori mi sembrano meno visibili fino a confondersi, sarà precisamente questo fenomeno cui dovrò trovare una spiegazione, ma a partire dall’affermazione dei due dati che nell’istante sorprendo.
(101) L’evidenza più grande in un uomo adulto è il fatto che egli non si fa da sé: e l’uomo è quel livello della natura, in cui la natura prende coscienza di sé, e si accorge di non consistere in sé, che le cose non consistono in sé.
(141)
«L’evidenza è una presenza inesorabile».
Accorgersi di una inesorabile presenza!
Io apro gli occhi a questa realtà che mi si impone, che non dipende da me, ma da cui io dipendo: il grande condizionamento della mia esistenza, se volete, il dato.
(146) In questo momento, io se sono attento, cioè se sono maturo, non posso negare che l’evidenza più grande e profonda che percepisco è che io non mi faccio da me, non sto facendomi da me.
Non mi do l’essere, non mi do la realtà che sono , sono “dato”.
È l’attimo adulto della scoperta di me stesso come dipendente da qualcosa d’Altro.
(175) Il problema fondamentale di questa grande avventura del “segno” che è il mondo, perché in essa si palesi l’evidenza del destino, è l’educazione alla libertà.
Se la realtà chiama l’uomo a qualcosa d’altro, educazione alla libertà è uguale a educazione alla responsabilità.
Il vero dramma sta nella volontà che deve aderire a questa immensa evidenza.
La drammaticità è definita da quello che io chiamo rischio.
L’uomo subisce l’esperienza del rischio: pur essendo di fronte alle ragioni, è come se non si sentisse di muoversi, è come bloccato, gli occorrerebbe un supplemento di energia e di volontà, di energia di libertà, perché la libertà è la capacità di adesione all’essere.
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