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Lettera «F»
Libro “Il Senso Religioso” di don Luigi Giussani
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Fascino
(12) Realmente l’anarchia costituisce la tentazione più affascinante, ma è tanto affascinante quanto menzognera.
E la forza di tale menzogna sta appunto nel suo fascino, che induce a dimenticare che l’uomo prima c’era e poi muore.
È pertanto pura violenza ciò che può fargli dire: «io mi affermo contro tutto e contro tutti».
È molto più grande e vero amare l’infinito, cioè abbracciare la realtà e l’essere, piuttosto che affermare sé stessi di fronte a qualsiasi realtà.
Fatica
(14s) La sfida più audace a quella mentalità che ci domina e che incide in noi per ogni cosa – dalla vita dello spirito al vestito – è proprio quella di rendere abituale in noi il giudizio su tutto alla luce delle nostre evidenze prime, e non alla mercé di più occasionali reazioni.
Incominciamo a giudicare: è l’inizio della liberazione.
Il recupero dell’esistenziale profondo, che permette questa liberazione, non può evitare la fatica di andare controcorrente.
Si potrebbe chiamare lavoro ascetico, dove con la parola ascesi si indica l’opera dell’uomo in quanto cerca la maturazione di sé, in quanto è direttamente centrato sul cammino al destino.
È un lavoro, e non è un lavoro ovvio; è qualcosa di semplice, ma non scontato.
(15) In termini cristiani questa fatica fa parte della “metanoia”, o conversione.
(139) Un individuo che avesse vissuto poco l’impatto con la realtà, perché, per esempio ha avuto ben poca fatica da fare, avrà scarso il senso della propria coscienza, percepirà meno l’energia e la vibrazione della sua ragione.
Fede
(21s) (NB: in questa pagina è inserito tutto il racconto del primo giorno di lezione con gli studenti che sostenevano la divisione netta tra fede e ragione, come se fossero irriducibili l’uno all’altro).
(29) Una applicazione del metodo della certezza morale: la fede.
Che cosa è la fede? È aderire a qualcosa che dice un altro.
Ciò può essere irragionevole, se non ci sono motivi adeguati; è ragionevole se ci sono.
Senza il metodo di conoscenza della fede non ci sarebbe sviluppo umano.
Se l’unica ragionevolezza fosse nella evidenza immediata o personalmente dimostrata, l’uomo non potrebbe più procedere, perché ognuno dovrebbe rifare tutti i processi da capo, saremmo sempre trogloditi.
In questo senso il problema della certezza morale è il problema capitale della vita come esistenza, ma attraverso essa anche della vita come civiltà e cultura, perché tutto il prodotto degli altri tre metodi diventa base per uno slancio nuovo solo in forza di questo quarto metodo.
(183) Così per lo stato moderno l’uomo può credere tutto quello che vuole, in coscienza: ma fino a quando questa fede non implichi come suo contenuto che tutti i credenti siano una cosa sola e che perciò abbiano il diritto di vivere e di esprimere questa realtà.
Felicità
(9) La natura lancia l’uomo nell’universale paragone con se stesso, e con gli altri, con le cose, dotandolo – come strumento di tale universale paragone – di un complesso di evidenze ed esigenze originali, talmente originali che tutto ciò che l’uomo dice o fa da esse dipende.
A esse possono essere riassunte con diverse espressioni (come esigenza di felicità, esigenza di giustizia, ecc…).
Sono comunque come una scintilla che mette in azione il motore umano: prima di esse non si dà alcun movimento, alcuna umana dinamica.
(13) L’esigenza della bontà, della giustizia, del vero, della felicità costituiscono il volto ultimo, l’energia profonda con cui gli uomini di tutti i tempi e di tutte le razze accostano tutto, al punto che essi possono vivere tra di loro un commercio di idee oltre che di cose, possono trasmettersi l’un l’altro ricchezze a distanza di secoli e noi leggiamo con emozione frasi create migliaia di anni fa dagli antichi poeti con una impressione di suggerimento al nostro presente, come talvolta non deriva dai rapporti quotidiani.
(65) Leopardi nel “Canto notturno”:
«Forse se avess’io l’ali
da volar su le nubi
e noverar le stelle ad una ad una
o come tuono errar di giogo in giogo,
più felice sarei, dolce mia greggia,
più felice sarei candida luna».
Centocinquanta anni dopo Leopardi, l’uomo erra come tuono di giogo in giogo con i suoi jets; e «novera le stelle ad una ad una», coi suoi satelliti.
Ma si può dire che nel frattempo l’uomo sia diventato un briciolo solo più felice? No, certamente.
Si tratta di qualcosa che è per natura «al di là».
(120) Seguendo l’indicazione della esperienza, è chiaro che la libertà si presenta a noi come la soddisfazione totale, il compimento totale dell’io, della persona o come la perfezione.
Vale a dire la libertà è la capacità del fine, è la capacità della totalità è la capacità della felicità.
Il compimento totale di sé.
(159) La terza categoria è quella della felicità, vale a dire del compimento di sé: con parole analoghe, della totale soddisfazione (satis factus), il riverbero psicologico del compimento; o della perfezione, il riverbero ontologico della realizzazione di sé.
(169) Se fossi portato al mio destino senza libertà, io non potrei essere felice, non sarebbe una felicità mia, non sarebbe il mio destino.
(199) La natura nostra è esigenza di verità e di compimento, vale a dire di felicità.
Tutto il moto dell’uomo, qualunque cosa faccia, è dettato da questa urgenza che lo costituisce.
Fidarsi-fiducia
(29) Nel Vangelo chi ha potuto capire che di quell’uomo bisognava aver fiducia? Non la folla che andava a farsi guarire, ma chi gli andò dietro e condivise la sua vita.
Convivenza e condivisione.
(31) La seconda premessa insiste sulla preoccupazione e l’amore a una razionalità, e questo intende mettere in luce il soggetto della operazione, la modalità delle sue movenze.
Ma di fronte a una domanda del tipo «Come si fa a fidarsi di una persona?» rimane aperto il problema, non per l’aspetto che riguarda la sanità di una dinamica della ragione, ma per il fatto che fidarsi di un’altra persona introduce un fattore d’atteggiamento della persona che noi con un termine usuale chiamiamo «moralità».
La terza premessa vuol parlare dell’incidenza della moralità nella dinamica del conoscere.
(116) La solitudine non è essere da solo, ma è l’assenza di significato.
La solitudine che si accusa nella vita comune è accusa alla propria presenza nella vita comune senza intelligenza del significato.
Si è lì senza riconoscere ciò che unisce, e allora anche il più piccolo sgarbo diventa una obiezione che fa crollare tutta la impalcatura della fiducia.
Fine-scopo
(84) ..al di là dell’intuizione grave della solitudine, il progetto del suo vivere è una prassi volontaristica.
Oppure questa energia volontaristica, come cieca si dà essa stessa uno scopo: non è attratta da una meta riconosciuta oggettiva, se la dà essa stessa.
(87) Nella “Tempesta” di Shakespeare a un certo punto vien detto: «Nell’errore l’ultimo fine scorda le premesse».«Bisogna costruire una società più giusta»: questo potrebbe essere un ultimo fine.
Dov’è l’errore della cultura di oggi? Essa scorda le premesse: esse sono nella coscienza dell’uomo, che grida quelle ultime domande.
E quelle domande penetrano i rapporti che si hanno con gli amici, con i figli, con gli estranei: penetrano il rapporto e il sostentamento……penetrano il modo con cui uno affronta il problema sociale.
(105) Anna Vercors (“Annunzio a Maria” di Paul Claudel):
«Forse che scopo della vita è vivere? Non vivere, ma morire…. E dare in letizia ciò che abbiamo».
Con parole meno accalorate oggi ci si dice che lo scopo di tutte le nostre energie è quello di dissolverci per il progresso del futuro.
(107ss) Dopo questa serie analitica di posizioni mi preme ricordare che il valore dialettico della nostra denuncia è uno: esse non corrispondono interamente ai fattori che l’esperienza ci mostra in gioco.
Sono sogni dimentichi di ciò che sta prima, sono errori in cui la tensione o passione per il fine fa dimenticare i dati originali, l’origine e perciò fa impazzire.
Tutte hanno un aspetto giusto, o un pretesto verosimile, cui però si è dato sproporzionato rilievo.
La formula dell’uomo è rapporto libero con l’infinito, e perciò non sta in nessuna misura e sfonda le pareti di qualsiasi dimora in cui la si voglia arrestare.
Le domande e le evidenze costitutive del «cuore» (o esperienza elementare) sono traccia esistenziale del rapporto con l’infinito.
(109) – Lo smarrimento del significato, come conseguenza dello svuotamento o della riduzione delle domande, porta conseguenze culturalmente gravi.
L’uomo perde il controllo di sé, della interezza dei suoi fattori.
La prima conseguenza è la rottura con il passato, la seconda la solitudine dell’uomo nel suo concreto, e la terza è l’elliminazione della libertà proprio come caratteristica antropologica e sociale.
(120) Seguendo l’indicazione dell’esperienza, è chiaro che la libertà si presenta a noi come la soddisfazione totale, il compimento totale dell’io, della persona o come la perfezione.
Vale a dire la libertà è la capacità del fine, è la capacità della totalità, e la capacità della felicità.
Il compimento totale di sé, questa è la libertà
La libertà è il paragone con il destino: è questa aspirazione totale al destino.
Così la libertà è l’esperienza della verità di sé stessi.
(Da Si può vivere così? “libertà“)
(157) La verità della macchina è il suo significato, vale a dire appunto al risposta a questa domanda: «Qual è la sua funzione?».
Questa domanda ricerca il nesso fra tutti quegli ingranaggi che la compongono e la totalità del meccanismo, cioè il suo scopo, la parte che la macchina ha nella totalità del reale.
(167) Per quanto enigmatico, oscuro, nebuloso, velato sia questo Altro, è innegabile che esso sia il termine dell’impeto umano, lo scopo dell’umana dinamica.
«Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si cheti l'animo, e disira
per che di giugner lui ciascun contende»(Dante, Purgatorio canto XVII, vv 127-129)
Or tu chi se' che vuò sedere a scranna,
per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta di una spanna» (Dante, Paradiso, canto XIX, vv- 79-81)
L'avventura della ragione ha un vertice ultimo in cui intuisce l'esistenza della spiegazione esauriente come qualcosa di inattaccabile da sé: mistero.
(169) E’ attraverso la mia libertà che il destino, il fine, lo scopo, l’oggetto ultimo può diventare risposta a me.
Non sarebbe umano un compimento dell’uomo, non sarebbe compimento dell’essere umano, se non fosse libero.
Fragilità
(60) Fin dai tempi più antichi uno dei paragoni più usati per identificare la fragilità, è quello delle foglie aride cadute d’autunno.
(183) Il vero dramma del rapporto fra l’uomo e Dio, attraverso il segno del cosmo, attraverso il segno dell’esperienza, non sta nella fragilità delle ragioni, perché tutto il mondo è una grande ragione e non esiste sguardo umano sulla realtà che non senta la provocazione di questa prospettiva e la supera.
Il vero dramma sta nella volontà che deve aderire a questa immensa evidenza.
La drammaticità è definita da quello che io chiamo rischio.
L’uomo subisce l’esperienza del rischio: pur essendo di fronte alle ragioni, è come se non si sentisse di muoversi, è come bloccato, gli occorrerebbe un supplemento di energia e di volontà, di energia di libertà, perché la libertà è la capacità di adesione all’essere.
Futuro
(49) Il valore religioso unifica il passato, il presente, il futuro e, nella sua autenticità è profondamente amico e valorizzatore di ogni sfumatura del passato, così come è pronto a qualunque rischio per il futuro ed è per il presente indomito, insonne, vigile, secondo l’espressione del Vangelo.
(51) Per avventurarci in rischiose immagini del futuro da che cosa prendiamo le mosse? Dal presente.
(103) L’ideale della vita risiederebbe in una ipotetica evoluzione del futuro, cui tutti dovremmo concorrere come unico significato del vivere.
La dinamica spirituale della persona e il meccanismo evolventesi della realtà sociale sono finalizzati a questo futuro, e il fenomeno nel suo complesso viene indicato con quella parola supremamente equivoca: il progresso.
È impossibile far consistere la risposta a queste domande in una realizzazione che tocchi una collettività in un ipotetico futuro, senza dissolvere l’identità dell’uomo, senza alienarlo inuna immagine, dove la trama profonda di urgenze ed esigenze del suo io resta inevasa, frustrata.
(112ss) questa distruzione del passato oggi si ha il coraggio di metterla come ideale.
È una alienazione generalizzata.
Ma se si sfoca il senso del passato e il presente ci appare e si afferma come pura reattività si inaridisce anche la fecondità del futuro.
Con che cosa fabbrichiamo il futuro? Con il presente.
Ma il presente, che è questo attimo, questo istante, il presente da che parte trova le energie, le immagini, le ricchezze, la dovizia dei sentimenti con cui costruire il futuro?
(113) Io per reagire ora devo usare una cosa che mi hanno dato nel passato: lamia carne, le mie ossa, la mia intelligenza, il mio cuore.
Perciò la forza della costruzione futura è l’energia, l’immaginatività, il coraggio del presente, ma la ricchezza del presente viene dal passato..
(Samizdat sulle rivoluzioni):
«Noi sappiamo bene che la falsità di tutte le rivoluzioni sta nel fatto che esse sono forti e concrete nel condannare e nel distruggere, ma sono assolutamente deboli e astratte nel costruire, e nel creare».
Sono cioè impotenti di fronte al futuro, perché hanno tagliato i ponti con il passato, negandosi così di vederlo come tessuto connettivo di quel presente cui tengono tanto.
(114) Ma questo sfuocarsi del senso del passato, che inaridisce la fecondità del futuro, riduce in modo vorticoso il dialogo e la comunicazione umana.
Il passato infatti è l’humus in cui getta radici il dialogo.
È proprio in quel ricordo che l’impegno mio con il presente e la mia responsabilità come prospettiva per il futuro trova appoggi, illuminazioni, paradigmi, sostegni, evidenze.
L’annullamento della personalità sfoca a sua volta il senso del passato, perché il presente viene abbandonato alla reattività, la reattività taglia i ponti con la tradizione, la storia, inaridisce l’impeto verso il futuro come fecondità.
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