Temi de “Il senso Religioso”

ABCDEFGILM/NOPRSTUV

Lettera «G»

Libro “Il Senso Religioso” di don Luigi Giussani



Genio umano

(27s) Un metodo porta certezza matematica, un metodo porta certezza scientifica, un metodo certezze filosofiche; il quarto metodo porta a certezze sull’umano comportamento, certezze «morali».

Ho detto che come metodo quest’ultimo è più paragonabile al metodo del genio o dell’artista: essi da segni arrivano alla percezione del vero.

(28) Quanto più uno è potentemente uomo, tanto più è capace da pochi indizi di raggiungere certezza sull’altro.

Questo è il genio dell’umano, è il genio capace di leggere la verità del comportamento, del modo di vivere dell’uomo.

Quanto più uno è potente come umanità tanto più ha la capacità di percepire con certezza.

Quanto più uno è veramente uomo tanto più è capace di fidarsi, perché intuisce i motivi adeguati per credere in un altro.

(178) Mi ricordo di aver letto su un giornale di una certa scuola creata in America per educare giovani geniali a una facilità nella scoperta dei brevetti.

Perciò una scuola per educare il genio: perché scoprire un brevetto è un fatto geniale.

Tutta quella scuola era impostata a educare ad affrontare i problemi con una ipotesi positiva.

La cosa più terribile è porsi di fronte alla realtà con una ipotesi, non dico negativa, ma semplicemente sospensiva; non ci si muove più.

(184) L’energia di libertà più adeguata emerge laddove l’individuo vive la sua dimensione comunitaria.

In questo senso mira il paradosso di Chesterton in L’uomo che fu giovedì:

«Non è vero che uno più uno fa due; ma che uno più uno fa duemila volte uno».

Anche questo rivela il genio di Cristo che ha identificato la sua esperienza religiosa con la Chiesa:

«Là dove saranno due o tre riuniti in mio nome, io sarò con loro» (Mt 18,20).


Gesto

(116) Quando in un paese straniero, come tante volte mi è capitato, senza conoscere nessuno e neanche la lingua, entro in una chiesa, la coscienza del significato comune non mi fa più essere solo, rende il gesto carico, denso, caldo.

(121) La fede è il gesto di libertà fondamentale e la preghiera è la costante educazione del cuore, dello spirito alla autenticità umana, alla libertà perché fede e preghiera sono il riconoscimento pieno di quella Presenza che è il mio destino, e la dipendenza dalla quale è la mia libertà.

(147) La coscienza di sé fino in fondo percepisce al fondo di sé un Altro.

Questa è la preghiera: la coscienza di sé fino in fondo che si imbatte in un Altro.

Così la preghiera è l’unico gesto umano in cui la statura dell’uomo è totalmente realizzata.

(155) Se un marziano in visita alla terra vedesse una madre dare un bacio a suo figlio si chiederebbe: «come mai questo gesto?» trovandosi sollecitato dalla realtà di quel gesto a quello che esso potrebbe voler dire.

La realtà lo provocherebbe ad altro.

È il fenomeno del segno

(175) La parola, il gesto che cosa sono? Dei segni.

L’amore dell’uomo e della donna, l’amicizia, la convivenza, hanno nel segno il loro strumento di comunicazione.


Gioia

(148) Tutti i movimenti, perciò, degli uomini, in quanto tendono alla pace e alla gioia, sono per la ricerca del Dio, di Ciò in cui è la consistenza esauriente della loro vita.

(164) La convivenza retta sul cinismo porta ad una abolizione totale della certezza e quindi della verità, della giustizia, della gioia e dell’amore e alla riduzione biologica del tutto.


Giudicare-giudizio

(7s) Ma quanto finora esposto è solo l’inizio del procedimento, perché dopo aver condotto una indagine esistenziale è necessario saper emettere un giudizio a proposito dei risultati di tale indagine su noi stessi.

Evitare l’alienazione in ciò che altri dicono non esime dalla necessità di dare un giudizio su quanto in sé stessi si è trovato nel corso della indagine.

L’esperienza coincide, certo con il «provare» qualcosa, ma soprattutto coincide col giudizio dato su quel che si prova.

Ciò che caratterizza l’esperienza è il capire una cosa, lo scoprirne il senso.

L’esperienza implica intelligenza del senso delle cose.

Un giudizio esige un criterio in base al quale viene operato.

Anche per l’esperienza religiosa occorre domandarsi, dove aver svolto tale indagine, quale criterio adottare per giudicare quanto si è trovato nel corso della riflessione su sé stessi.

Due sono le possibilità: o il criterio in base al quale giudicare ciò che si vede in noi è mutuato dal di fuori di noi, o tale criterio è reperibile dentro di noi.

(8) Se anche avessimo svolto una indagine esistenziale ma prelevassimo da altri i criteri per giudicarci, il risultato alienante non cambierebbe.

Faremmo ugualmente dipendere il significato di ciò che noi siamo da qualcosa che è fuori di noi.

A questo punto si potrebbe intelligentemente osservare che, poiché l’uomo prima di esserci non c’era, non è possibile che possa darsi da sé un criterio di giudizio.

Questo viene comunque «dato».

Il criterio per giudicare quella riflessione sulla propria umanità deve comunque essere immanente alla struttura originaria della persona.

Si tratta di un complesso di esigenze e di evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste.

(9) Ad esse potrebbero essere dati molti nomi: esse possono essere riassunte con diverse espressioni (come: esigenza di felicità, esigenza di verità, esigenza di giustizia, ecc…).

Sono comunque una scintilla che mette in moto il motore umano: prima di esse non si dà alcun movimento, alcuna dinamica umana.

(10s) Insisto sulla necessità che la riflessione su di sé sia vagliata, per giungere a un giudizio attraverso il confronto tra il contenuto della riflessione stessa e il criterio originale di cui siamo stati dotati.

(11) Una madre eschimese, una madre della Terra del Fuoco, una madre giapponese danno alla luce esseri umani che tutti sono riconoscibili come tali, sia come connotazioni esteriori che come impronta interiore.

[…] Quando diranno «io» useranno tale espressione anche per indicare un volto interiore, un «cuore» direbbe la Bibbia, che è uguale in ognuno di essi, benché tradotto nei modi più diversi.

Identifico in questo «cuore» ciò che ho chiamato esperienza elementare: qualcosa cioè che tende ad indicare compiutamente l’impeto originale con cui l’essere umano si protende sulla realtà, cercando di immedesimarsi con essa, attraverso la realizzazione di un progetto, che alla realtà stessa detti l’immagine ideale che lo stimola dal di dentro.

Abbiamo detto che il criterio per giudicare del proprio rapporto con sé stesso, con gli altri,  con le cose e con il destino è totalmente immanente all’uomo, secondo il suggerimento della struttura originale.

(38) E’ naturalmente una mistificazione immaginare che il giudizio con cui la ragione cerca di raggiungere la verità dell’oggetto sia più adeguato, sia dignitosamente più valido, quando lo stato d’animo sia in perfetta atarassia, in completa indifferenza.

Inoltre giudicare la proposta di un significato per la vita dell’uomo con assoluta indifferenza è trattare il problema come trattare un sasso.

(39ss) C’è da osservare che di fatto difficilmente si studia una cosa che non interessa.

Può essere questo segno di grettezza; ma certamente sarebbe grave ingiustizia pretendere poi di dare ugualmente giudizi sull’argomento.

La grande maggioranza compie questo tipo di delitto perché, «in tutt’altre faccende affaccendato», il suo cervello a queste cose è morto e sepolto, ma poi pretende di avere un giudizio, di avere un’opinione.

(40) Quanto più un valore è vitale ed elementare nella sua importanza – destino, affezione, convivenza – tanto più la natura dà a chiunque l’intelligenza per conoscere e giudicare.

Il centro del problema è realmente una posizione giusta del cuore, un atteggiamento esatto, un sentimento al suo posto, una moralità.

(41) Per fare attenzione a un oggetto si da darne un giudizio devo prenderlo in considerazione.

Per prendere in considerazione un oggetto, insisto, debbo vivere un interesse per esso.

Che cosa vuol dire un interesse per l’oggetto?

Un desiderio di conoscere ciò che l’oggetto veramente è.

(43s) Il vero problema non è non avere preconcetti: anzi, nella misura in cui uno è un uomo fertile, potente e vivace, in quella misura appena posto di fronte ai problemi ha subito la sua reazione anche come giudizio: si fa subito una immagine delle cose.

(44) Si tratta invece di quel processo grande e semplicissimo di distacco da sé di cui parla il Vangelo.

Si tratta di un atteggiamento in cui la libertà riflette su se stessa, e si domina così da utilizzare la sua energia in modo consono allo scopo.

(47s) Se un uomo adulto assume di fronte al fatto religioso una posizione che lo porta a dire: «Non sento Dio, non ho l’esigenza di affrontare questo problema», egli si pone in quell’atteggiamento spinto da una serie di condizionamenti centrifuganti, distraenti e non condottovi dalla ragione, la quale correttamente impegnata non potrebbe eliminare un tale problema.

 (48) Da quei condizionamenti – usati come alibi – vengono tratte conclusioni che nulla hanno a che fare la  ragionevole formulazione di un giudizio che nasca con un reale impegno con il fatto vitale.

È vero anche però, da un lato, che essa assume questa posizione senza aver posto in atto entro l’orizzonte della sua ragione gli elementi necessari a un giudizio.

Il significato della vita è un traguardo possibile solo per chi prende sul serio la vita e quindi avvenimenti e incontri, per chi è impegnato con la problematica della vita.

(54) Se dico: «Questo è un foglio di carta», per sempre, anche fra un miliardo di secoli, questa frase rimane vera.

È un giudizio, e, se il giudizio non è falso, esso resta perennemente vero, così come al contrario resterebbe permanentemente falso.

Un’altra identificazione di immutabilità oltre che nell’idea e nel giudizio sta il fenomeno della decisione.

Non mutevoli si riscontrano dunque idea, giudizio, decisione.

Sono fenomeni il cui contenuto di realtà non è misurabile, divisibile.

(115) L’esperienza deve essere veramente tale, cioè giudicata dall’intelligenza, altrimenti la comunicazione diventa blaterare parole e vomitare lamenti.

E come fa l’intelligenza a giudicare l’esperienza? Sempre paragonando il contenuto espressivo in base alle esigenze costitutive della nostra umanità, in base alla esperienza elementare, perché l’esperienza elementare è l’intelligenza in atto nella sua essenza.

(124s) (L’uomo) ha dentro di sé qualcosa per cui può giudicare il mondo da cui nasce.

(125) Solo nell’ipotesi che in me esista questo rapporto (con l’infinito), il mondo può fare di me quello che vuole, ma non mi vince, non mi evince, non mi afferra, io sono più grande, io sono più libero.

Qui si fonda e si spiega il diritto fondamentale alla libertà di coscienza, alla capacità e al dovere quindi di giudicare e di agire secondo un ultimo proprio paragone con la verità e il bene.

Ecco il paradosso:

O dipende dal flusso dei suoi antecedenti materiali, ed è schiavo del potere; o dipende da Ciò che sta all’origine del flusso delle cose, oltre esse, cioè da Dio.

La coscienza vissuta di questo rapporto si chiama religiosità.

(129) Il senso cattivo del termine «preconcetto» è la dove l’uomo si mette di fronte alla realtà proposta, avendo quella reazione come criterio di giudizio, e non soltanto come condizionamento da superare in una certa apertura di domanda.

(167) Per quanto oscuro, enigmatico, nebuloso, velato sia questo «Altro», è innegabile che esso sia il termine dell’impeto umano, lo scopo dell’umana dinamica.

Dante:

«Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si cheti l'animo, e disira;
per che di giugner lui ciascun contende
» (Purgatorio, canto XVII, vv. 127-129)

«Or tu chi sé che vuò sedere a scranna, 
per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta di una spanna». (Paradiso, canto XIX, vv. 79-81)

(176) Il preconcetto comunque venga originato, impedisce l’attenzione: il prevalere dell’interesse, quindi distrazione; l’affermarsi di una idea già fatta, quindi snobbamento del messaggio nuovo; concentrare la sensibilità su quello che piace, perciò il progredire di una insensibilità a sfumature o a particolari di una proposta; la goffaggine di una sommarietà, che diventa delitto, quando si tratti di una problema grave.

L’attenzione deve dare conto soprattutto della totalità dei fattori.

Ma oltre l’educazione alla attenzione, una educazione alla responsabilità è anche educazione alla accettazione.

Anche ospitare una proposta nella sua integrità non è automatico.

Educare alla attenzione e alla accettazione assicura la modalità profonda con cui uno deve atteggiarsi di fronte alla realtà: spalancato, libero e senza quella presunzione che chiami la realtà di fronte al proprio verdetto di giudice, e perciò senza giudicare la realtà in base al preconcetto.

Una educazione della libertà alla attenzione, cioè a uno spalancarsi verso la totalità dei fattori in gioco, e una educazione alla accettazione, cioè all’abbraccio consapevole di ciò che viene davanti agli occhi, è la questione fondamentale per un cammino umano.


Giustizia

(9) (Le esigenze originali)… esse possono essere riassunte con diverse espressioni (esigenza di felicità, esigenza di verità, esigenza di giustizia ecc…..). Sono comunque come una scintilla che mette in azione il motore umano; prima di esse non si dà alcun movimento, alcuna umana dinamica.

(13) L’esigenza della bontà, della giustizia, del vero, della felicità costituiscono il volto ultimo e l’energia profonda con cui gli uomini di tutti i tempi e di tutte le razze accostano tutto, al punto che essi possono  vivere un commercio di idee oltre che di cose, possono trasmettersi l’un l’altro ricchezze a distanza di secoli, e noi leggiamo con emozione frasi create migliaia di anni fa dagli antichi poeti con un’impressione di suggerimento al nostro presente, come talvolta non deriva dai rapporti quotidiani.

(158s) (A proposito di una persona condannata a morte e riconosciuta innocente dopo la sua esecuzione): chi gli renderà giustizia? Forse noi riconoscendolo senza colpa?

Non è una risposta a lui, è una risposta a noi stessi.

Stiamo rendendo giustizia alla sua memoria, vale a dire stiamo rendendo giustizia alla nostra curiosità storica, non a lui.

(159) Chi la renderà a lui?

Se non la si rende a lui giustizia non c’è: la risposta è una esigenza di giustizia che è lui.

L’esigenza è una domanda che si identifica con l’uomo, con la persona.

Senza la prospettiva di un oltre la giustizia non è possibile.

(164s) La convivenza retta sul cinismo porta a una abolizione della certezza e quindi della verità, della giustizia, della gioia e dell’amore e alla riduzione biologica di tutto.

(165) Così certe frasi che si usano: Dio è bontà, Dio è giustizia, Dio è bellezza, sono piuttosto della direzioni di partenza che, moltiplicate, arricchiscono il nostro presentimento di questo Oggetto Ultimo.


Gusto

(83) Se si svuotano di contenuto quelle domande che costituiscono appunto l’espressione del meccanismo essenziale, in che cosa potrà consistere una energia che ci faccia agire?

L’energia che ci fa agire si riduce a una affermazione di sé.

 Lo strumento dell’affermazione di noi stessi è la volontà: perciò si può trattare solo di una energia, di una affermazione volontaristica

Essa può prendere spunto:

  • Da un gusto di prassi personale
  • Da un sentimento utopico
  • Da un progetto sociale

(96) … (se) ciò per cui valga la pena vivere sia il gusto estetico, e la natura come continuo zampillo di gusto estetico, davanti a una madre cui muoia il figlio ciò non basta; e neanche a chi non abbia lavoro.

Mentre l’urgenza del nostro sentire apre alla vita nella sua concretezza e completezza, non si può fermarsi a metà strada, crogiolandosi in una esperienza emotiva che diventa evasione e spreco.

(116s) L’incomunicabilità aumenta il senso tragico di solitudine che l’uomo moderno e contemporaneo ha di fronte al destino senza significato.

Ma l’incomunicabilità, oltre che esasperare questa solitudine personale, le dà un rilievo esterno, per cui essa diventa clima sociale esasperante, volto tristemente caratteristico della società di oggi.

Così il cuore è roso dalla sclerosi, vale a dire dalla perdita della passione e del gusto di vivere (la vecchiaia a 20 anni).

(117) Teilhard de Chardin:

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Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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