A–B–C–D–E–F–G–I–L–M/N–O–P–R–S–T–U–V
Lettera «I»
Libro “Il Senso Religioso ” di don Luigi Giussani
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Idea
(33) Dentro l’esperienza personale penetra un avvenimento fisico (clavicola rotta), un avvenimento mentale (idea che viene), una emozione affettiva (seccatura, curiosità, compiacimento), qualcosa accade dentro l’orizzonte esperienziale.
Qualcosa accade, tocca la persona, «muove» la persona, una emozione, una commozione.
Qualunque cosa intervenga nell’orizzonte di conoscenza della persona produce una inevitabile, irresistibile reazione proprio nella misura della vivacità umana di quella persona.
La parola che indica questo stato d’animo, questa reazione, questa emozione, questo essere toccati da qualcosa che accade si chiama sentimento.
(43) E’ chiaro che amare la verità più che non l’idea che ci siamo fatti, vuol dire essere libero da preconcetti.
(54s) L’idea di bontà, per esempio, quel criterio che ci si ritrova dentro per cui si può dire di qualcuno: «E’ buono» questa idea non potrebbe essere misurata, quantificata, e non si modificherebbe nel tempo.
Quando da bambino guardavo mia madre «sentivo» – anche se non riflessamente – come era buona.
«Mia madre è buona», dico adesso e, a parte la coscientizzazione diversa, approfondita, è la stessa idea di bontà a determinare la mia affermazione.
Un’altra identificazione di immutabilità oltre che nell’idea e nel giudizio sta nel fenomeno della decisione.
Sono fenomeni il cui contenuto di realtà non è misurabile, divisibile.
(55) Se però c’è in me una realtà che non è divisibile, misurabile o essenzialmente mutabile, a essa l’idea di morte, così come l’esperienza me la mostra, non è applicabile.
(129) Quanto più una ha personalità ed è ricco di sapere, tanto più di fronte a qualsiasi incontro immediatamente sente configurarsi in sé stesso una determinata chiara immagine, idea, giudizio.
Inevitabilmente sorge dunque un preconcetto di fronte a qualsiasi cosa.
Il senso cattivo del termine preconcetto è la dove l’uomo si metta di fronte alla realtà proposta, avendo quella reazione come criterio di giudizio, e non soltanto come condizionamento da superare con una apertura di domanda.
(176) Il preconcetto, comunque venga originato, impedisce l’attenzione: il prevalere dell’interesse, quindi distrazione; l’affermarsi di una idea già fatta e, quindi, snobbamento del messaggio nuovo.
Ideale
(69) Se la tristezza è la scintilla che scatta dalla vissuta “differenza di potenziale” tra la destinazione ideale e l’incompiutezza storica, l’appiattimento di quella differenza – comunque avvenuto – crea l’opposto della tristezza, la disperazione.
(88) Ma l’aspetto più nobile, più formato, più filosoficamente motivato, unica alternativa dignitosa all’impegno di una vita sinceramente religiosa, cioè veramente impegnata con quelle domande, è l’ideale stoico della atarassia, dell’imperturbabilità.
Ecco l’uomo dignitoso e saggio che si allena al governo di sé e si costruisce un equilibrio totalmente razionale da lui immaginato e da lui realizzato, e questo equilibrio lo rende fermo, impavido di fronte a tutte le vicende.
Questo è il supremo ideale cui giunge la concezione dell’uomo, qualunque filosofia lo sostenga.
(91s) L’ideale della atarassia, l’ideale dell’imperturbabilità, anche conquistata da un accanito governo di sé, oltre che inadeguata ed illusoria, perché non sta, è alla mercé del caso.
(93) La risposta alle domande della vita non sta in questo dominio, in questo governo di sé.
La natura abbandona anch’essa, arida, insensibile, l’uomo nella solitudine totale, quando l’uomo stesso lasci cadere, in qualunque modo, la spinta al mistero, cui le domande costitutive del suo cuore lo sospingono autorevolmente.
(98) Shakespeare, La tempesta:
«O sogno, verità senza certezza di memoria»
Il sogno ha uno spunto vero, un impeto ideale che crea un certo alone immaginativo, emotivo: ma è senza «base» senza un fondamento dato, da recuperare continuamente per obbedirgli, così verificandolo in certezza crescente.
(103) Secondo questa ultima posizione la vita ha un senso tutto positivo, ma si nega che questo senso abbia verità per la persona, sia per la persona.
L’ideale della vita risiederebbe in una ipotetica evoluzione del futuro, cui tutti dovranno concorrere come unico significato del vivere.
La dinamica spirituale della persona e il meccanismo evolventesi della realtà sociale sono finalizzati a questo futuro, e il fenomeno nel suo complesso viene indicato con quella parola supremamente equivoca: il progresso.
(112) Questa distruzione del passato oggi si ha il coraggio di metterla come ideale.
È una alienazione generalizzata.
Ma se si sfoca il senso del passato e il presente appare e si afferma come pura reattività, si inaridisce anche la fecondità del futuro.
Perché con che cosa fabbrichiamo il futuro? Con il presente.
(200) Occorre un grande coraggio: come quello di Giacobbe di cui abbiamo parlato.
Tutta la notte, cioè il tempo dell’esistenza, vissuta in tensione con questa Presenza inafferrabile, indecifrabile, di cui non si conosce il volto.
All’uomo viene il capogiro, la vertigine.
E così la storia è come un grande film di tutto questo decadere umano pur dentro la spinta ideale che lo provoca.
L’uomo ricade dentro i termini della sua esperienza, dentro l’orizzonte della sua esistenza.
Ed è spinto ad identificare l’assoluto, il sicuro con qualcosa di sperimentato nella sua esistenza, a identificare ciò per cui vale l’ultima pena con qualche aspetto, con l’aspetto più rassicurante della sua esperienza.
Il dio diventa idolo.
Ideologia
(3s) Alexis Carrel , Riflessioni sulla condotta della vita:
«Nello snervante comodo della vita moderna la massa delle regole che danno consistenza alla vita si è spappolata… la maggior parte delle fatiche che imponeva il mondo cosmico sono scomparse e con esse è scomparso anche lo sforzo creativo della personalità….La frontiera del bene e del male è svanita… Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità».
La parola ragionamento potrebbe utilmente essere sostituita dalla parola «dialettica» in funzione di una ideologia.
Infatti – prosegue Carrel – La nostra è un ‘epoca di ideologie, nella quale cioè invece di imparare dalla realtà in tutti i suoi dati, costruendo su di essa, si cerca di manipolare la realtà secondo le coerenze di uno schema fabbricato dall’intelletto:
«così il trionfo delle ideologie consacra la rovina della civiltà».
(46) Partire da sé vuol dire prendere le mosse dalla propria persona sorpresa dentro l’esperienza quotidiana.
Allora il materiale di partenza non sarà più un preconcetto su di sé, una definizione della propria persona magari mutuata dalle idee correnti e dalla ideologia dominante.
(67) Una società ideologica infatti tende a congelare ogni vera ricerca: usa il potere che detiene come strumento per contenere tale ricerca entro certi limiti di realizzazione e di manifestazione.
Una dittatura non ha mai interesse che la ricerca dell’uomo sia libera, perché una ricerca libera sull’uomo è il limite più pericoloso al potere, è sorgente incontrollabile di possibilità di opposizione.
Laddove l’umile senso di riformabilità essenziale dell’umano concepire non ci sia, la metamorfosi è avviata: la filosofia diventa ideologia.
E la metamorfosi si compie nella misura in cui può essere considerato «normale» che la concezione che si ha della vita tenda a imporsi.
Così entra in scena la violenza del potere.
(101) Di fronte alla percezione del «nulla dietro di me», due sono le ipotesi: o le cose non si costituiscono da sé, ma sono fatte da un Altro, o sono illusioni o nulla.
Quale delle due ipotesi è più corrispondente alla realtà, non a una nostra opinione magari dedotta dall’ideologia corrente; quale ipotesi è più corrispondente alla realtà come appare alla nostra esperienza?
(126ss) Macbeth in Shakespeare è stato un criminale perché ha ucciso sette persone.
Per ucciderne sessanta milioni occorreva un moltiplicatore: questo moltiplicatore del delitto è l’ideologia, una concezione totalizzante dell’uomo favorita dal potere.
(127) Se l’uomo, il singolo, non è rapporto diretto con l’infinito tutto ciò che fa il potere è giusto.
L’antipotere è l’amore:
e il divino è l’affermaizone dell’uomo come capacità di libertà, cioè come irriducibile capacità di perfezione, di raggiungimento della felicità – come irriducibile cappacità di raggiungere l’Altro, Dio.
Il divino è amore.
Come testimonia questa splendida poesia di Tagore, In questo mondo:
«In questo mondo coloro che mi amano
cercano con tutti i mezzi
di tenermi avvinto a loro.
Il tuo amore è più grande del loro,
eppure mi lasci libero.
Per timore che io li dimentichi
non osano lasciarmi solo.
Ma i giorni passano
l’uno dopo l’altro
e Tu non ti fai vedere.
Non ti chiamo nelle mie preghiere
non ti tengo nel mio cuore,
eppure il tuo amore per me
ancora attende il mio amore».
(131ss)
L’ideologia è la costruzione teorico pratica sviluppata su un preconcetto
Più precisamente è una costruzione teorico pratica, basata su un aspetto della realtà, anche vero, ma preso in qualche modo unilateralmente e tendenzialmente assolutizzato per una filosofia o un progetto politico.
L’ideologia è costruita su uno spunto che l’esperienza offre, così che l’esperienza stessa è presa come pretesto per una operazione determinata da preoccupazioni estranee o esorbitanti.
Di fronte, per esempio, all’esistenza dell’uomo «povero», si teorizza sul problema del bisogno, ma l’uomo concreto col suo bisogno concreto diventa un pretesto.
L’individuo nella sua concretezza viene emarginato una volta che ha dato spunto all’intellettuale per i suoi pareri, o al politico per giustificare e pubblicizzare una sua operazione.
(133) Il preconcetto si limita ad aspetti scontati, e l’ideologia tende ad attribuire aureola di redenzione e salvezza a visioni e prassi ben determinate, dominabili e manovrabili: “scientifiche” dicono.
Ma la più alta serietà di ricerca, oggi, è testimonianza chiara contro il processo riduttivo del preconcetto e dell’ideologia.
(137) Kant in “Critica della ragion pura“:
«La ragione umana ha questo particolare destino: che essa viene oppressa da questioni che non può respingere, perché esse le sono imposte dalla natura della ragione stessa; mentre essa non è in grado di rispondervi, perché esse oltrepassano ogni potenza della ragione umana … essa parte da principi il cui uso è inevitabile nel corso dell’esperienza …., ascende sempre più in alto. Ma poiché essa si avvede che in questo modo l’opera sua dovrà rimanere sempre incompiuta, così si vede forzata a cercare rifugio in principi che oltrepassano ogni possibile uso dell’esperienza … che non ammettono più la pietra di paragone dell’esperienza».
Ma che la ragione si senta “forzata” a cercare altri principi, tale costrizione è implicata dell’esperienza stessa: negare questo passaggio è andare contro l’esperienza, è rinnegare qualcosa implicato in essa.
Se non si segue tale implicazione non si può che ricadere nell’ideologia e nel preconcetto.
(194) L’ideologia costruita sul’idolo è per sua natura totalizzante, altrimenti non potrebbe tentare una politica vincente.
Così si spiega perché per la Bibbia l’origine della violenza come sistema dei rapporti, cioè della guerra, è l’idolo.
Idolo
(192ss) La Bibbia chiama con un determinato nome il particolare con cui la ragione identifica il significato totale del suo vivere e dell’esistere delle cose.
Questo particolare nel quale la ragione identifica la spiegazione di tutto, la Bibbia lo chiama idolo.
Qualcosa che sembra Dio, ha la maschera di Dio, e non lo è.
(La menzogna dell’idolo è definita da san Paolo in Rm 1, 22-31).
(193) Non solo viene descritta da san Paolo la genesi dell’idolo, ma anche la corruzione della verità umana conseguente.
Quanto più si tenta di spiegare tutto con l’idolo, tanto più si capisce che esso non è sufficiente.
Gli idoli non mantengono le promesse e le loro pretese totalizzanti.
Nella misura in cui l’idolo è esaltato l’umano viene meno.
È l’abolizione della persona, della responsabilità, dell’umano.
Tutta la colpa sarebbe delle strutture: l’idolo oscura l’orizzonte dello sguardo e altera la forma delle cose.
Allora profeticamente Eliot in “Cori della Rocca”:
«Essi cercano sempre d’evadere
dal buio esterno ed interiore
sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno
avrebbe bisogno di essere buono.
Ma l’uomo che è adombrerà
l’uomo che pretende di essere».
(193) Ma c’è un corollario impressionante.
Hitler ha il suo idolo su cui intende costruire la vita del mondo per una migliore umanità.
Ma questa sua costruzione che cerca di implicare tutto, si trova a un certo punto a scontrarsi con il dinamismo del progetto di Lenin e Stalin, e allora?
L’ideologia costruita sull’idolo è per sua natura totalizzante, altrimenti non potrebbe tentare una politica vincente.
Se si tratta di ideologie entrambe (nazismo e comunismo) totalizzanti non possono non generare uno scontro totale.
Così si spiega perché per la Bibbia l’origine della violenza come sistemi di rapporti, cioè della guerra, è l’idolo.
(194) L’uomo realizzerà l’identificazione del Dio con l’idolo, scegliendo qualcosa, come abbiamo già detto, che capisce lui:
perché qui è il peccato originale, la pretesa di identificare il significato totale con qualcosa che l’uomo comprende.
In questa dinamica di identificazione dell’idolo, l’uomo sceglierà ciò che stima di più, o meglio ancora, ciò che gli fa più impressione.
Potrà identificare addirittura il divino con il principio sociale: l’identificazione del senso della storia con il sangue della razza tedesca, secondo il mito nazista, è un esempio di questo stadio barbarico in pieno secolo ventesimo!
(195) L’uomo non può evitare questa alternativa: o è schiavo di uomini o è soggetto dipendente da Dio.
Nella nostra inquietudine tutto questo gioco, il gioco dell’idolo, si ripete contraddicendosi cento volte al giorno.
L’idolo non fa mai unità e totalità senza dimenticare o rinnegare qualcosa.
(200) (L’uomo) è spinto a identificare l’assoluto, il sicuro con qualcosa sperimentato nella sua esistenza, a identificare ciò per cui vale l’ultima pena con qualche aspetto, con l’aspetto più rassicurante della sua esperienza: il dio diventa idolo.
Vorrei aggiungere che a queste cadute soggiace anche colui che fissa il mistero come mistero, ma poi stabilisce la strada ad esso: fissare la strada è come identificare il termine ultimo.
Immaginazione
(75/76) Shakespeare, Macbeth:
«Il mondo senza Dio sarebbe una favola raccontata da un idiota in un accesso di furore»
mai è stato definito meglio il tessuto di una società atea.
La vita sarebbe una «favola»uno strano sogno quindi: discorso astratto e immaginazione esasperata; «raccontata da un idiota»: perciò senza la capacità di nessi, a segmenti spezzati, senza un ordine vero, un possibilità di previsione; «in un accesso di furore»: dove cioè l’unica metodologia del rapporto è la violenza, ossia illusione di possesso.
(139) Innanzitutto, per farmi capire provoco una immaginazione.
Supponete di nascere all’età che avete in questo momento, nel senso di sviluppo e di coscienza così come vi è possibile averli adesso.
Quale sarebbe il primo, l’assolutamente primo sentimento, cioè il primo fattore della reazione di fronte al reale? Sareste investiti dalla meraviglia e dallo stupore delle cose come «presenz».
(199) Occorrerebbe decidersi ad una irrazionalità totale, a una innaturalità totale per sopprimere lo slancio con cui la nostra natura intuisce che questo significato ultimo, che questa dipendenza totale ha un termine di riferimento – anche se esso è, usiamo pure la parola drammatica, «disperatamente» al di là, sta al di là, è trascendente, assoluto, cioè non legato al tempo e allo spazio, né ad alcune delle misure della ragione, fantasia o immaginazione che noi potremmo usare.
L’esistenza di questa incognita suprema da cui tutto dipende nella storia e nel mondo è il vertice e la vertigine della ragione.
Immagine
(6) Se non si partisse dall’immagine esistenziale, sarebbe come chiedere la consistenza di un fenomeno, che vivo io, ad un altro.
Di una questione importante per la mia vita e per il mio destino adotterei acriticamente una immagine indotta da altri.
(11) Identifico in questo cuore ciò che ho chiamato esperienza elementare.
Qualcosa cioè che tende ad indicare compiutamente l’impeto originale con cui l’essere umano si protende sulla realtà, cercando di immedesimarsi con essa, attraverso la realizzazione di un progetto, che alla realtà stessa, detti l’immagine ideale che lo stimola dal di dentro.
(14) Il modo di concepire il rapporto fra l’uomo e la donna, per esempio, benché vissuto come fatto intimo e personale, è in realtà ampiamente determinato sia dalla istintività propria, che crea valutazioni per nulla in linea con l’esigenza originale dell’affetto, sia dall’immagine di amore creatasi nell’opinione pubblica.
Occorre perforare sempre queste immagini indotte dal clima culturale in cui si è immersi, scendere e prendere in mano le proprie esigenze ed evidenze originali e in base a queste giudicare, e vagliare ogni proposta, ogni suggerimento esistenziale.
(44) Così vi dico che per amare la verità più di sé stessi, per amare la verità dell’oggetto più dell’immagine che ci siamo fatti su di esso, per questa povertà di spirito, per questo occhio sgranato di fronte al reale e alla verità come quello di un bambino, occorre un processo e un lavoro.
L’amore che ci può persuadere a questo lavoro per arrivare ad un capacità abituale di distacco dalle proprie opinioni e dalle proprie immaginazioni (non di eliminazione ma di distacco da esse), così da porre tutta la nostra energia conoscitiva nella ricerca della verità dell’oggetto qualunque esso sia,
è l’amore a noi stessi come destino, è l’affezione al nostro destino.
È questa commozione ultima, è questa emozione suprema che persuade alla virtù più vera.
(46) Come identifico me stesso? Questo «me stesso» può correre il rischio di essere definito con una immagine che ho di me, con un preconcetto, immagine e preconcetti astratti.
Quando si parte veramente da sé stessi?
Partire da sé stessi è realistico quando la propria persona è guardata in azione: è osservata cioè nell’esperienza quotidiana.
Allora il materiale di partenza non sarà più un preconcetto su di sé, una immagine artificiosa di sé, una definizione della propria persona magari mutuata dalle idee correnti e dalla ideologia dominante.
(52) (Studiare la storia delle religioni) … una simile pretesa di partenza del passato significherebbe comunque non riuscire a evitare una immagine «presente» del passato stesso, rischiando così di identificare questo con una concezione fabbricata nell’oggi.
(55) Parlo di coraggio, perché è rilevabile nell’uomo una debolezza grande per cui gli occorrerà un sostegno che lo conforti nella paura endemica che lo colpisce, in quanto l’immagine totale della sua esistenza è tentata di giocarsi nel suo aspetto visibile e materialmente sperimentabile.
(103) E’ impossibile far consistere le risposte a quelle domande in una realizzazione che tocchi una collettività in un ipotetico futuro (progresso) senza dissolvere l’identità dell’uomo, senza alienarlo in una immagine, dove la trama profonda delle urgenze ed esigenze del suo io resta inevasa, frustrata.
(119) Che cosa sia l’amore tra l’uomo e la donna, che cosa sia la paternità, la maternità, che cosa sia l’obbedienza, la compagnia, la solidarietà, l’amicizia, che cosa sia la libertà, tutto ciò genera nella maggioranza della gente una immagine o una opinione o una definizione mutuata letteralmente dalla mentalità comune, vale a dire dal potere.
(129) Quanto più uno ha personalità ed è ricco di sapere, tanto più di fronte a qualsiasi incontro immediatamente sente configurarsi in sé stesso una determinata chiara immagine, idea, giudizio.
(135) Uno ha dentro questa domanda, e siccome la risposta è più grande della capacità di afferrare e immaginare, definirla per ciò stesso «illusione» è ripetere la favola esopica della volpe e dell’uva acerba.
(201) Insomma è inevitabile storicamente che l’uomo a un certo punto identifichi con un propria immagine l’assoluto.
Così la storia del pensiero umano è come una grande documentazione di questa caduta realizzata, in modo esplicito e implicito, teorizzato o praticato, stabilito in una teoria o vissuto in un momento, in un’ora particolare.
Così l’uomo mutila sé stesso, mutila l’altro, mutila le cose; e crea immagini abnormi, dalle forme schizzofreniche.
(203) Negare la possibilità di questa ipotesi (della rivelazione) è l’ultima forma di idolatria, l’estremo tentativo che la ragione compie come imporre a Dio una propria immagine di Lui.
Immoralità
(171/172) Se tu sei «morale», vale a dire , se tu sei nell’atteggiamento originale in cui Dio ti ha creato, cioè in atteggiamento aperto al reale, allora capisci, o per lo meno cerchi, cioè domandi.
Se tu invece non sei in quella posizione originale , cioè se sei alterato, artefatto, bloccato nel pregiudizio, allora sei immorale e non puoi capire.
(172) È questa la suprema drammaticità della vita dell’uomo.
(181) Incide molto il problema del significato totale del vivere, l’esistenza di Dio.
Qui è grave una divisione fra l’energia di adesione all’essere e la ragione come scoperta dell’essere: qui il fuoco di fila dei «se» dei «però» dei «forse», fa da linea di fuoco che fronteggia la ritirata del proprio impegno con il mistero.
È l’immoralità suprema: l’immoralità di fronte al proprio destino.
Immortale
(55) Se in me c’è una realtà che non è divisibile, misurabile o essenzialmente mutabile, ad essa l’idea di morte, così come l’esperienza me la mostra, non è applicabile.
Occorre avere il coraggio di non temere questa logica.
La realtà intera dell’io come appare dall’esperienza non è riconducibile interamente al fenomeno della corruzione; l’io non esaurisce la consistenza in ciò che di lui si vede e constata di morire.
C’è nell’io qualcosa di non-mortale, di immortale!
Imparare
(4) Invece di imparare dalla realtà in tutti i suoi dati, costruendo su di essa, si cerca di manipolare la realtà secondo le coerenze di uno schema prefabbricato dall’intelletto: «..così il trionfo delle ideologie consacra la rovina della civiltà» Alexis Carrel.
(8) Ciò che ogni uomo ha il diritto e il dovere di imparare è la possibilità e l’abitudine a paragonare ogni proposta con quest’esperienza elementare.
Impazienza
(189s) La ragione non tollera, impaziente, di aderire all’unico segno attraverso cui seguire l’Ignoto, segno ottuso, così cupo, così non trasparente, così apparentemente casuale, come è il susseguirsi delle circostanze: è come sentirsi in balia di un fiume che ti trascina in qua e in là.
Nella sua situazione esistenziale la natura della ragione soffre una vertigine cui dapprima può resistere, ma poi cade.
E la vertigine sta in questa prematurità o impazienza con cui dice: «Ho capito, il significato della vita è questo».
(190)Tutte le affermazioni secondo cui: «Il significato del mondo è questo, il senso dell’uomo è questo, il destino ultimo della storia è questo» nella loro diversità e molteplicità sono tutte documentazioni di quella caduta.
Ogni volta che questo è identificherà un contenuto di definizione, inevitabilmente partirà da un certo punto di vista.
Non potrà pretendere la totalità per un particolare, un particolare del tutto viene pompato a definire la totalità.
Allora questo punto di vista cercherà di far stare dentro la sua prospettiva ogni aspetto della realtà.
E siccome è un particolare della realtà, questo far rientrare tutto dentro di esso non potrà che far rinnegare o dimenticare qualche cosa; non potrà che ridurre, negare e rinnegare il volto completo e complesso della realtà.
(196) La realtà è segno e desta il senso religioso.
Ma è un suggerimento male interpretato; esistenzialmente l’uomo è spinto a interpretarlo male: male, cioè prematuramente, impazientemente.
L’intuizione del rapporto con il mistero si corrompe in presunzione.
Impegno
(48ss) L’impegno con la vita.
Essere impegnati con la vita non significa l’impegno esasperato con l’uno o l’altro dei suoi aspetti: l’impegno con la vita non è mai parziale.
L’impegno con l’uno o l’altro aspetto della vita, se non è vissuto come derivazione da un globale impegno con la vita stessa, rischia di diventare una parzialità squilibrante, una fissazione o una isteria.
(49) Perciò l’impegno, richiesto come premessa urgente d’atteggiamento affinché il processo che ci interessa possa andare avanti realmente, non si confonda con l’impegno che ha per obiettivo con l’uno o l’altro aspetto dell’esistenza.
La condizione per poter sorprendere in noi l’esistenza e la natura di un fattore portante, decisivo, come il senso religioso, è l’impegno con la vita intera, nella quale tutto va compreso: amore, studio, politica, denaro, fino al cibo e al riposo, senza nulla dimenticare, né l’amicizia, né la speranza, né il perdono, né la rabbia, né la pazienza.
Dentro infatti ogni gesto sta il passo verso il proprio destino.
Aspetti dell’impegno
Tra gli aspetti della vita, termini del nostro impegno con l’esistenza intera, ne metto subito in risalto uno essenziale.
Esso è normalmente trascurato, dimenticato, almeno come presa di coscienza, e anche praticamente molto bistrattato e stravolto nel suo valore: la tradizione.
(50) La tradizione è quella complessa dote di cui la natura arma dunque la nostra natura.
La tradizione è come l’ipotesi di lavoro con cui la natura ci mette nel grande cantiere della vita e della storia.
Ecco dunque l’urgenza di una lealtà verso la tradizione: essa è richiesta da un impegno globale con l’esistenza.
(51) Un secondo aspetto fondamentale dell’impegno dell’io, per scoprire i fattori di cui è costituito, è il valore del presente.
Il presente è sempre un’azione,
nonostante tutta l’indolenza, la stanchezza, la distrazione possibile nel suo protagonista.
Se colgo ora i fattori della mia esperienza d’uomo, posso proiettarmi nel passato e riconoscere gli stessi fattori ravvisabili nel pagine di Omero o dei filosofi eleatici, di Platone o di Virgilio o di Dante, e questo confermerà l’unità della stirpe umana, diventerà realmente esperienza di civiltà che cresce e che si arricchisce.
(59) Ecco, il senso religioso si pone dentro la realtà del nostro io a livello di queste domande: coincide con quel radicale impegno del nostro io con la vita, che si documenta in queste domande.
(88) Lo scetticismo sempre coincide con la fuga da un impegno con la realtà nei suoi fattori integrali.
(95) Evasione estetica e sentimentale (delle domande).
L’uomo accetta le domande, le misura e le calibra con il sentimento, ma non c’è personale impegno con l’io.
(151) E’ segno degli spiriti grandi e degli uomini vivi l’ansia della ricerca attraverso l’impegno con la realtà della loro esistenza.
(179) L’educazione alla libertà è l’educazione alla positività di fronte al reale, alla capacità di certezza.
Tutti i «ma», «se», «però»…. con cui si cerca di intaccare la positività del processo di rapporto io-realtà, sono fuoco di sbarramento, cortina fumogena per proteggere la ritirata dell’uomo dall’impegno con la realtà stessa.
Incommensurabilità
(66s)

Se uno impegnativamente e seriamente attende a questa dinamica, quando più procede, tanto più gli diventa evidente l’incommensurabilità e la sproporzione fra l’oggetto cui l’indagine arriva e la profondità delle domande.
Senza ammettere questa incommensurabilità, senza ammettere la sproporzione incolmabile tra l’orizzonte ultimo e la capacità degli umani passi, l’uomo elimina la categoria delle possibilità, suprema dimensione della ragione.
Shakespeare nell’Amleto, atto I, scena V:
«Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, che non nella tua filosofia».
(67) L’incommensurabilità dell’oggetto veramente cercato con la capacità umana di «presa» fa vivere innanzitutto l’esperienza di un possesso per sua natura sfuggente.
(163) Il mistero non è un limite alla ragione, ma la scoperta più grande cui può arrivare la ragione: l’esistenza di qualcosa di incommensurabile con sé stessa.
Questa affermazione costituisce il segno della piccolezza della nostra esistenza, e nello stesso tempo il segno del destino incommensurabile.
(191) La natura della ragione è tale che per ciò stesso che si mette in moto intuisce il mistero, l’incommensurabilità del significato totale con la sua possibilità di conoscenza, ma esistenzialmente non tiene sé stessa, non regge al suo slancio originale, opera subito una parabola riduttiva.
Incompiutezza
(69) Se la tristezza è la scintilla che scatta dalla vissuta «differenza di potenziale», tra la destinazione ideale e l’incompiutezza storica, l’appiattimento di quella differenza – comunque avvenuto – crea l’opposto logico della tristezza: la disperazione.
(162) La ragione è esigenza di comprendere l’esistenza; vale a dire al ragione è esigenza di spiegazione adeguata, totale dell’esistenza.
Questa spiegazione non la può trovare dentro l’orizzonte della sua esperienza di vita; per quanto si dilati questo orizzonte, lo struggimento del perché rimane: la morte fissa irrimediabilmente questa incompiutezza.
Incomprensibile
(163) Il mistero non è un limite alla ragione, ma è la socperta più grande cui può arrivare la ragione: l’esistenza di qualcosa incommensurabile con se stessa.
Il ragionamento fatto prima si potrebbe riassumere così: la ragione è esigenza di comprendere l’esistente; nella vita questo non è possibile; dunque la fedeltà alla ragione costringe ad ammettere l’esistenza di un incomprensibile.
(167) La natura della ragione (che è comprendere l’esistenza) per coerenza costringe la ragione stessa ad ammettere l’esistenza di un incomprensibile, l’esistenza cioè di Qualcosa (di un quid) costituzionalmente oltre la possibilità di comprensione e di misura (trascendente):
«Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si cheti l'animo, e disira;
per che di giugner lui ciascun contende» (Dante, Purgatorio, canto XVII, vv 127-129)
«Or tu chi se' che vuo' sedere a scaranna,
Per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta di una spanna!» (Dante, Paradiso, canto XIX, vv, 79-81)
(185) La ragione proprio come esigenza di comprendere l’esistenza è costretta dalla sua natura ad ammettere l’esistenza di un incomprensibile.
Incomunicabilità
(114ss) Incomunicabilita’ e solitudine.
Solzenicyn, Il mio grido. Discorso del premio Nobel:
«La memoria del popolo è stata ridotta in pezzi»
Ora, la memoria di sé ridotta a pezzi vuol dire l’impoverimento, l’intristimento, l’assottigliamento, l’inaridimento dell’io.
La memoria del popolo è ridotta a pezzi, per cui il popolo è un agglomerato di
«Gente costretta alla incomunicabilità perché impedita di ricordare». (Solzenicyn, Il mio grido. Discorso del premio Nobel)
Il dialogo e la comunicazione sorgono dalla esperienza, la cui profondità è nella capacità di memoria: tanto più carico d’esperienza sono, tanto più sono capace di parlarti, tanto più sono capace di comunicare con te, tanto più nella tua posizione, arida o meno arida non importa, trovo connessione a quello che ho dentro io.
(115)
- L’esperienza è custodita dalla memoria. La memoria è custodire l’esperienza; esperienza dunque custodita dalla memoria, perché io possa dialogare con te.
- L’esperienza deve essere veramente tale, cioè giudicata dalla intelligenza altrimenti la comunicazione diventa blaterare parole. E come fa l’intelligenza a giudicare l’esperienza? Sempre paragonando il contenuto espressivo in base alle esigenze costitutive della nostra umanità, in base alla «esperienza elementare», perché l’esperienza elementare è l’intelligenza in atto nella sua essenza.
Lo smarrimento del significato:
- Annulla la personalità perché la personalità parte come coscienza di un significato che permette il possesso, vale a dire l’ordinamento al significato della totalità degli elementi in cui si imbatte, dell’incontro secondo tutta la sua realtà.
- L’annullamento della personalità sfoca il senso del passato perché il presente viene abbandonato alla reattività.
- La reattività taglia i ponti con la tradizione, la storia. Inaridisce quindi l’impeto verso il futuro come fecondità.
- (116) La reattività riduce la capacità di dialogo e di comunicazione perché dialogo e comunicazione hanno radici nella esperienza, custodita e quindi maturata nella memoria e giudicata dalla intelligenza, giudicata cioè secondo i caratteri, le esigenze costitutive della nostra umanità.
L’incomunicabilità come difficoltà di dialogo e comunicazione rende a sua volta più tragica la solitudine che l’uomo prova di fronte al destino.
La solitudine non è essere da solo ma è l’assenza di significato.
L’incomunicabilità aumenta il senso tragico di solitudine che l’uomo moderno e contemporaneo ha di fronte al destino senza significato.
Ma l’incomunicabilità, oltre che esasperare questa solitudine personale, le dà un rilievo esterno, per cui essa diventa clima sociale esasperante, volto tristemente caratteristico della società di oggi.
(117) L’attrattiva consistente del presente viene dalla richezza di cui è pregno, perciò viene dalla eredità del passato, altrimenti si assottiglia enormemente, come è sottile e arida l’attrattiva di una pura reattività.
La vecchiaia a vent’anni e anche prima, la vecchiaia a quindici anni, questa è la caratteristica del mondo di oggi.
Incontro
(115) Abbiamo detto che lo smarrimento del significato, perpetrato nell’uno o nell’altro degli atteggiamenti elencati, sfoca, annulla la personalità (vedi sopra incomunicabilità), perché la personalità parte come coscienza di un significato che permette il possesso, vale a dire l’ordinamento al significato della totalità degli elementi in cui si imbatte, dell’incontro secondo tutta la sua realtà.
(129) Quanto più uno ha una personalità ed è ricco di sapere, tanto più di fronte a qualsiasi incontro, immediatamente sente configurarsi in sé stesso una determinata chiara immagine, idea e giudizio.
Indagine
(4) Per una indagine seria su qualsiasi avvenimento o «cosa», occorre realismo.
Intendo con questo riferirmi all’urgenza di non privilegiare uno schema che si abbia già presente alla mente rispetto alla osservazione intera, appassionata, insistente del fatto, dell’avvenimento reale.
(6ss) Il metodo per conoscere un oggetto mi è dettato dall’oggetto stesso, non può essere definito da me.
Ora, che tipo di fenomeno è l’esperienza religiosa? Essa è un fenomeno che attiene all’umano pertanto non può essere trattata come un fenomeno geologico o meteorologico.
È qualcosa che riguarda la persona.
Allora come agire? Poiché si tratta di un fenomeno che avviene in me, che interessa la mia coscienza, il mio io come persona, è su me stesso che devo riflettere.
Mi occorre una indagine su me stesso, un’indagine esistenziale.
Risolta tale indagine, allora molto utilmente ne confronterò i risultati con ciò che al riguardo viene espresso da pensatori e filosofi.
Se non si partisse dall’indagine esistenziale, sarebbe come chiedere la consistenza di un fenomeno, che vivo io a un altro.
(7) Ma quando finora esposto è solo l’inizio del procedimento, perché dopo aver condotto un’indagine esistenziale è necessario saper emettere un giudizio a proposito dei risultati di tale indagine su noi stessi.
Senza una capacità di valutazione infatti l’uomo non può fare alcuna esperienza.
L’esperienza coincide, certo, col «provare» qualcosa, ma soprattutto coincide con il giudizio dato su quel che si prova.
Ciò che caratterizza l’esperienza è il capire una cosa, lo scoprirne il senso.
Un giudizio esige un criterio in base al quale viene operato.
Anche per l’esperienza religiosa occorre domandarsi, dopo aver svolto l’indagine, quale criterio adottare per giudicare, quanto si è trovato nel corso di quella riflessione su sé stessi.
Qual’è il criterio che ci permette di giudicare ciò che vediamo accadere in noi?
Due sono le possibilità:
- il criterio in base al quale giudicare ciò che si vede in noi è mutuato dal di fuori di noi
- tale criterio è reperibile in noi.
(8) Se anche avessimo svolto una indagine esistenziale in prima persona, rifiutando perciò di rivolgerci a indagini già svolte da altri, ma prelevassimo i criteri da altri per giudicarci, il risultato alienante non cambierebbe.
Il criterio per giudicare quella riflessione sulla propria umanità deve dunque essere immanente alla struttura originaria della persona.
Tutte le esperienze della mia umanità e della mia personalità passano al vaglio di una «esperienza originale», primordiale, che costituisce il volto nel mio raffronto con tutto: esperienza originale o elementare.
(59) Abbiamo già motivato che dal punto di vista metodologico la partenza per una indagine, come quella che ci interessa, è dalla propria esperienza, da sé-stessi-in-azione.
(65s) (Einstein) Quanto più la sua indagine procedeva, tanto più l’orizzonte cui perveniva si palesava come un rimando ad altro orizzonte, facendogli percepire la sua conquista come solo funzione che lo sospingeva ulteriormente verso una X, un quid che era al di là delle condizioni in cui agiva.
Quando la ricerca giungeva a un certo termine, l’oggetto dell’azione, la X si spostava.

(66) Einstein disse a Severi:
«Chi non ammette l’insondabile mistero non può neanche essere scienziato».
Senza ammettere questa X incommensurabile, senza ammettere la sproporzione incolmabile tra l’orizzonte ultimo e la capacità degli umani passi, l’uomo elimina la categoria della possibilità, suprema dimensione della ragione.
Insoddisfazione
(62) Se solo rispondendo a mille domande fosse esaurito il senso della realtà, e l’uomo trovasse la risposta a 999 di esse, sarebbe irrequieto e insoddisfatto come se fosse da capo.
(63) Quanto più si addentra nel tentativo di rispondere a quelle domande, tanto più ne percepisce la potenza, e tanto più scopre la propria sproporzione alla risposta totale.
L’inesauribilità della domanda esalta la contraddizione fra l’impeto della esigenza e la limitatezza della misura umana nella ricerca.
(155/156) Se io entrando in camera tua vedessi un bicchiere con un bel mazzetto delle prime viole e dicessi: «Bello, chi te l’ha dato?» e tu non mi rispondessi, e io insistessi: «Chi ha messo lì quel mazzetto?». «E’ lì perché è lì» fino a quando tu persistessi in questa posizione, io sarei insoddisfatto, finché tu: «Me l’ha dato la mia mamma», «Ah» direi allora io acquietato.
Non sarebbe infatti uno sguardo umano al fenomeno della presenza di quel mazzetto di viole, se non accendesse all’invito che in quel fenomeno è contenuto.
La presenza del fasetto di fiori è imfatti segno di altro.
Intelligenza
(39s) Che cosa vuol dire il «sentimento al suo posto»?
Prima di tutto è chiaro che tale problema non è un problema scientifico, ma è un problema di atteggiamento, è cioè un problema «morale».
Un problema che riguarda il modo di porsi, il modo di governarsi, di impostarsi di fronte alla realtà.
Non è un problema di acume, di intelligenza.
Insomma se una cosa non mi interessa, non la guardo: se non la guardo non la posso conoscere.
Per farne conoscenza ho bisogno di porre attenzione a essa.
(40) È il delitto che la maggioranza degli uomini compie di fronte al problema del destino, della fede, della religione, della Chiesa, del cristianesimo.
La grande maggioranza delle persone compie questo delitto perché «in tutt’altre faccende affacendata», il suo cervello a queste cose è «morto e sepolto», ma poi pretende di avere un giudizio, di avere un’opinione: […] un uomo che vive non può esimersi dall’avere un’opinione circa il nesso tra il suo presente e il destino.
Mi pare risulti evidente che il cuore del problema conoscitivo umano non stia in una particolare capacità di intelligenza.
Quanto più un valore è vitale ed elementare nella sua importanza – destino, affezione, convivenza – tanto più la natura dà a chiunque l’intelligenza per conoscere e giudicare.
Il centro del problema è realmente una posizione giusta del cuore, un atteggiamento esatto, un sentimento al suo posto, una moralità.
(45) Non sarà inutile ridire che il vero problema per ciò che concerne la ricerca della verità suoi significati ultimi della vita, non è quello di una particolare intelligenza che occorra o di uno speciale sforzo o di eccezionali mezzi necessari per raggiungerla.
La verità è come trovare una bella cosa sul proprio cammino: la si vede e riconosce, se si è attenti.
Il problema dunque è tale attenzione.
(56s)

La vita umana, come ogni altra vita animale, nasce da un elemento maschile e un elemento femminile e appare nei suoi primi sviluppi descrivibile come ogni altra vita animale.
La differenziazione del duplice fattore (corpo e anima) si evidenzia solo dopo.
Il materialista direbbe: «Vedete, dunque, che quanto appare dopo, cioè spirito, intelligenza,pensiero, amore, è una flessione del dato materiale iniziale. Anche il cosiddetto spirito è frutto della materia, l’uomo è per sua natura materia».
(57) L’esperienza mostra in me l’esistenza di due tipi di realtà irriducibili l’uno all’altro, nonposso farli coincidere, perché spiegare la differenza sopoprimendola significa forzare, violentare l’esperieenza, significa investire l’esperienza di un preconcetto.
L’esigenza di unità è sì una grandiosa esigenza della ragione, esigenza che origina tutto il fervore, tutta la dinamica dell’intelligenza; ma questa sete di unità non può essere giocata fino a barare; fino cioè a rinnegare o a dimenticare qualcosa per poter spiegare unitariamente tutto.
Karl Jasper: «Tutte le causalità empiriche e i processi biologici si sviluppo appaiono applicabili al substrato materiale dell’uomo, ma non all’uomo stesso».
Alla radice di questa dimenticanza, cioè di questa falsità, poiché in nome di a-priori si va contro l’evidenza dell’esperienza, sta un errore di metodo.
Abbiamo già visto che l’uomo coglie se stesso solo nell’istante presente. .
Se dunque in questo presente appaiono due fattori irriducibili e se rivolgendomi al passato devo notare che, rifacendo il cammino all’indietro, i due fattori sembrano meno visibili fino a confondersi, sarà precisamente questo fenomeno cui dovrò trovare una spiegazione, ma a partire dall’affermazione dei due dati che nell’istante presente sorprendo.
(60) Ecco potremmo dire che il senso religioso è quella caratteristica che qualifica il livello umano della natura e che si identifica con l’intuizione intelligente e l’emozione drammatica con cui l’uomo, guardando la propria vita e i propri simili dice:
«Siamo come le foglie
[...] Lungi dal proprio ramo,
povera foglia frale,
dove vai tu?» (G. Leopardi, Imitazione, tradotta da A.V. Arnault)
Il senso religioso è lì, a livello di queste emozioni, dicevo intelligenti e drammatiche, inevitabili, anche se il clamore è l’ottusità della vita sociale sembrano volerle tacitare.
«E tutto cospira a tacere di noi,
un pò come si tace
un'onta, forse, un pò come si tace
una speranza ineffabile». (R.M. Rilke, Elegia II, vv 42-44 in Liriche)
(115s) L’esperienza deve essere veramente tale, cioè giudicata dall’intelligenza, altrimenti la comunicazione diventa blaterare parole o vomitare lamenti.
E come fa l’intelligenza a giudicare l’esperienza? Sempre paragonando il contenuto espressivo in base alle esigenze costitutive della nostra umanità, in base all’esperienza elementare, perché l’esperienza elementare è l’intelligenza in atto nella sua essenza.
Lo smarrimento del significato […] sfoca, annulla la personalità, perché la personalità parte come coscienza di un significato che permette il possesso, vale a dire l’ordinamento al significato della totalità.
L’annullamento della personalità sfoca a sua volta il senso del passato, perché il presente viene abbandonato alla reattività.
(116) La reattività riduce la capacità di dialogo e di comunicazione, perché il dialogo e comunicazione hanno radice nell’esperienza, custodita e quindi maturata nella memoria e giudicata dalla intelligenza, giudicata cioè secondo i caratteri, le esigenze costitutive della nostra umanità.
(119) La definizione delle parole più importanti della vita, se viene determinanta dalla mentalità comune assicura la schiavitù totale, l’alienazione totale.
È una schiavitù di cui non ci si libera automaticamente, ci si libera con una ascesi.
L’ascesi è una applicazione che l’uomo fa delle sue energie in un lavoro su sé stesso, intelligenza e volontà.
Questo è l’inizio della libertà: una intelligenza che si applichi è l’inizio di ogni bene.
Ma l’intelligenza che si applica intuisce un metodo altrimenti non può neanche camminare, perché il metodo è la strada.
(186s) Ulisse, l’uomo intelligente che vuole misurare col proprio acume tutte le cose.
Una curiosità irrefrenabile: egli è il dominatore del Mare nostrum.
(187) Tutto il mare nostrum è misurato e governato, tutto è percorso in lungo e in largo da lui.
Ma arrivato alle colonne d’Ercole, sentiva che quella non era la fine, ma che era anzi come se la sua vera natura si sprigionasse da quel momento.
E allora infranse la saggezza e andò.
Questa è la lotta tra l’umano, cioè il senso religioso, e il disumano, cioè la posizione positivista di tutta la mentalità moderna.
Ma al di là di questo mare nostrum che possiamo possedere, governare e misurare che cosa c’è?
L’oceano del significato.
Ed è nel superamento di queste colonne d’Ercole che uno comincia a sentirsi uomo: quando supera questo limite estremo posto dalla falsa saggezza, da quella sicurezza oppressiva, e si inoltra nell’enigma del significato
(192) Genesi 3.1-7:
«E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balia di una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno».
(203s) Se deve essere veramente una rivelazione, come parola in più di quello che il mondo già dice al nostro cuore indegno e alla nostra intelligenza indagatrice deve essere una parola comprensibile all’uomo.
Ma Dio tradotto in termini comprensibili, non sarebbe idolatria?
Nonostante che sia tradotta in termini umani, il risultato della rivelazione deve essere l’approfondimento del mistero come mistero.
Dio è padre, ma è padre come nessun altro è padre.
Il termine rivelato porta il mistero più dentro di te, più vicino alla tua carne e alle tue ossa, e lo senti veramente familiare comeper un figlio.
Interesse
(35) Chiameremo valore l’oggetto della conoscenza in quanto interessa la vita della ragione.
Il valore è la realtà conosciuta proprio in quanto interessa.
(41) Se questo oggetto non mi interessa, io lo lascio da parte, e tutt’al più mi accontento di una certa impressione che la cosa dell’occhio, registrandolo, mi trasmette.
Per prendere in considerazione un oggetto, insisto, debbo vivere un interesse per esso.
Che cosa vuol dire un interesse per l’oggetto? Un desiderio di conoscere ciò che l’oggetto veramente è.
(86) La società crea interessi per oscurare il grande interesse della domanda essenziale, la domanda di significato.
(176) Il preconcetto, comunque venga originato, impedisce l’attenzione, il prevalere dell’interesse, quindi la distrazione.
Interpretazione
(174) La libertà gioca nell’area della dinamica del segno.
La libertà gioca nell’interpretazione del segno.
L’interpretazione è la tecnica del gioco: la libertà opera dentro questa tecnica.
(175s) La libertà si gioca come interpretazione del segno.
(176) L’educazione alla libertà, necessaria per una adeguata interpretazione del segno che è l’esistenza, il mondo, deve allenare all’atteggiamento giusto di fronte alla realtà.
(177) Qual è l’atteggiamento giusto di fronte alla realtà?
È la permanenza della posizione originale in cui la natura formula l’uomo.
E tale atteggiamento originale, sigillo nativo impresso all’uomo dalla natura, è l’atteggiamento dell’attesa come domanda.
Una tale ricerca implica sempre come ipotesi ultima la risposta positiva: altrimenti uno non ricerca.
La curiosità è l’aspetto più immediatamente meccanico di questa attenzione abissale in cui la natura desta l’uomo di fronte al cosmo.
Questa curiosità non è che una originale simpatia con l’essere, con la realtà, quasi una ipotesi generale di lavoro con cui la natura sospinge l’uomo all’universale paragone.
(180) Inevitabile conseguenza del rapporto con Dio, mediato dal fenomeno del segno, è una esperienza che io chiamo rischio.
L’interpretazione del segno è come la navigazione nell’oceano da parte di Ulisse oltre le colonne d’Ercole.
Il rischio non è un gesto o una azione che non abbia ragioni adeguate, perché allora non è rischio, è irrazionalità.
(181) E’ l’esperienza del rischio: uno vede le ragioni, ma non si muove, manca l’adesione intellettuale al vero, fatto intravvedere dalla realtà.
Avviene una spaccatura tra la ragione e l’affettività, tra la ragione e la volontà: questa è l’esperienza del rischio.
Sull’esistenza di Dio è grave una divisione fra l’energia di adesione all’essere e la ragione come scoperta dell’essere: qui il fuoco di fila dei «ma», dei «se», dei «però», dei «forse», fa da linea di fuoco che fronteggia la ritirata del proprio impegno con il mistero.
È l’immoralità suprema: l’immoralità di fronte al proprio destino.
(202) La realtà è segno interpretando il quale la coscienza dell’uomo capisce l’esistenza del mistero.
In tal senso il mondo è strutturalmente la rivelazione di Dio; è l’interpretazione della struttura dinamica delle cose nel rapporto con l’uomo che porta l’uomo a udire la presenza di un «Oltre».
Ma in questo senso «rivelazione»non è più il termine di un interpretazione che l’uomo fa sulla realtà, sulla natura dell’uomo alla ricerca del suo significato: invece si tratta di un possibile fatto reale, un eventuale avvenimento storico.
Io in azione
(46) Quando si parte veramente da sé stessi? Partire da sé stessi è realistico quando la propria persona è guardata in azione: è osservata cioè nell’esperienza quotidiana.
Non esiste infatti un «io» o una persona astratta da una azione che compie, ma, salvo che dorma è sempre in azione.
Partire da sé vuol dire prendere le mosse dalla propria persona sorpresa dentro l’esperienza quotidiana.
Allora il materiale di partenza non sarà più un preconcetto su di sé, una definizione della propria persona magari mutuata dalle idee correnti e dalla ideologia dominante.
I fattori che ci costituiscono emergono dunque osservandoci in azione.
È qui che appaiono gli elementi portanti di quello che è il meccanismo, il soggetto umano.
(52) L’uomo per capire i fattori di cui è costituito deve partire dal presente.
Se colgo ora i fattori della mia esperienza d’uomo, posso proiettarmi nel passato e riconoscere gli stessi fattori ravvisabili nelle pagine di Omero.
(54) Se l’uomo però è totalmente impegnato in quell’istante di riflessione su di sé, noterà nel suo «io» un tipo di contenuto che non si identifica con ciò che finora abbiamo descritto.
Non mutevoli si riscontrano idea, giudizio, decisione.
Sono fenomeni il cui contenuto di realtà non è misurabile e divisibile.
L’osservazione che il soggetto fa di sé stesso è fatto di due realtà diverse, tentare di ridurre l’una all’altra sarebbe negare l’evidenza dell’esperienza che diverse le presenta: le hanno chiamate corpo e anima.
(113) La reattività dell’istante mi costringe a riconoscere che io per agire ora devo usare una cosa che mi hanno dato nel passato: la mia carne, le mie ossa, la mia intelligenza, il mio cuore.
Irrazionalità
(82) Ma abbandonare la ricerca della realtà, del valore assoluto e immutabile è un sacrificio tale per cui la gente si può anche ammazzare.
Si dovrebbe abbandonare qualcosa a cui la natura ci spinge e questo è irrazionale, questo è disumano.
(85) «Misticismo e logica e altri saggi» di Russell:
«Breve e fragile cosa è la vita dell’uomo; su di lui e su tutta la sua specie cade lenta e sicura la mano spietata di un tenebroso destino.
[…]Non resta altro che coltivare amorosamente, prima che cada sul suo capo il colpo fatale, i pensieri elevati che nobilitano la sua breve giornata: mettersi in adorazione davanti all’altare costruito con le sue stesse mani, negando le paure abbiette di chi è schiavo del fato; indifferente al potere della sorte, conservando lo spirito libero dalla pazza tirannia che governa le circostanze esterne della vita; sfidando orgogliosamente le forze irresistibili, che tollerano per un momento appena di essere da lui conosciute e condannate, sostenere solo, Atlante stanco ma indomabile, il mondo che i suoi propri ideali hanno saputo forgiare pur sotto l’assillo di una violenza incosciente che avanza tutto calpestando».
È irrazionale , perché deve soffocare e prescindere dall’ampiezza delle esigenze che gli fanno scrivere questi brani. Per accusare così significa che c’è qualcosa «dentro», oggettivamente, che grida e chiede altro dalla situazione in cui versa.
Non può rispondere con un invito senza sponda, cui a priori sia negato un posto.
(99) Quello che Adorno chiama «ossessione» è la struttura dell’uomo, è quello che chiamavamo «cuore» o esperienza elementare: negarla è rinnegare qualcosa, è irragionevole, è disumano.
Più pacatamente Cesare Pavese accennava la stessa tristezza: «E allora perché attendiamo?».
Ecco l’ossessione: è la struttura della nostra vita che è promessa, come abbiamo già visto; l’inevitabilità delle domande profonde è l’emergere della promessa.
Dimenticare o rinnegare questo è irrazionale.
(155) Negazione irrazionale del fenomeno del segno.
Di fronte a questo fenomeno (il segno) non sarebbe razionale, cioè non sarebbe secondo la natura dell’uomo, negare l’esistenza di qualcosa d’altro (esempio del cartello stradale).
(180s) Inevitabile conseguenza del rapporto con Dio, mediato dal fenomeno del segno, è una esperienza che io chiamo l’esperienza del rischio.
L’interpretazione del segno è come la navigazione nell’oceano da parte di Ulisse oltre le colonne d’Ercole.
Il rischio non è un gesto o una azione che non abbia ragioni adeguate, perché allora non è rischio, è irrazionalità.
(181)È una dissociazione tra la ragione, percezione dell’essere, e la volontà che è affettività, cioè energia di adesione all’essere.
Per cui uno vede le ragioni ma non si muove.
È grave una divisione fra l’energia di adesione all’essere e la ragione come scoperta dell’essere.
È l’immoralità suprema: l’immoralità di fronte al destino
(199) Occorrerebbe decidersi ad una irrazionalità totale, ad una in naturalità totale per sopprimere lo slancio con cui la nostra natura intuisce che questo significato ultimo, che questa dipendenza totale ha un termine di riferimento – anche se esso è «disperatamente» al di là, sta al di là, è trascendente, assoluto, cioè non legato al tempo e allo spazio, né ad alcuna misura della ragione, fantasia o immaginazione che noi potremmo usare.
L’esistenza di questa incognita suprema da cui tutto dipende nella storia e nel mondo è il vertice e la vertigine della ragione.
Ciò infatti significa che idealmente l’uomo, il quale viva la capacità della sua statura fino a questo punto, dovrebbe essere un uomo alla mercé, con tutta la sua volontà di vita, con tutta la sua affezione al reale, istante per istante, totalmente sospeso a questa Incognita suprema, a questo assoluto Ignoto, inarrivabile, indecifrabile, ineffabile.
Il quale, come palesa all’uomo la sua volontà, come comunica all’uomo il piano intelligente che assicura il significato di tutto?
La comunicazione avviene attraverso la casualità apparente delle circostanze, i condizionamenti banali da cui ogni istante dell’uomo è determinato.
Istante per istante obbedire alla cosa più apparentemente irrazionale, cioè le circostanze che il vento del tempo rende assolutamente mobili.
Irresponsabilità
(88) Fare, per non sentire, per non approfondire una pur palese inquietudine.
Una sfumatura scettica sta in questo atteggiamento che sottende l’irresponsabilità dei più (perché lo scetticismo sempre coincide con la fuga da un impegno con la realtà nei suoi fattori integrali).
Istante
(Vedi anche attimo)
(27) Per farci cogliere le certezze nei rapporti ci è stato dato un metodo velocissimo, quasi più una intuizione che un processo.
E’ molto più vicino questo metodo (certezza morale) al gesto dell’artista, che neanche a quello tecnico o del dimostratore, perché l’uomo ne ha bisogno per vivere sull’istante.
Il metodo con cui capisco che mia madre mi vuole bene, attraverso cui sono certo che molti mi sono amici, non è fissato meccanicamente, ma è intuito dalla intelligenza come unico senso ragionevole, unico motivo adeguato, per spiegare la convergenza di determinati «segni».
(51ss) Questo appena percettibile presente, che da un certo punto di vista appare ai nostri occhi un nulla, un istante, soppesato meno affannosamente appare così carico e colmo di tutto quanto ci ha preceduto!
Nella misura in cui io sono me stesso, io sono ricco di tutto quello che mi ha preceduto.
(52) Il presente è sempre un’azione, nonostante tutta l’indolenza,la stanchezza, la distrazione possibile del suo protagonista.
Una delle frasi veramente rivoluzionarie, che ha dettato i primi sussulti della contestazione del ’68, si leggeva sui muri della Sorbona di Parigi: «De la présence seulement de la présence».
Frase che, letta nella sua verità, non indica la mera attualità dell’istante, ma, con il sostantivo «presenza» suggerisce tutto il dinamismo che pulsa nell’istante e che proviene come materiale dal passato e, come iniziativa misteriosa, dalla libertà.
Se colgo ora i fattori della mia esperienza d’uomo, posso proiettarmi nel passato e riconoscere gli stessi fattori ravvisabili nelle pagine di Omero, Platone, Dante, e questo confermerà l’unità grande della stirpe umana, diventerà realmente esperienza di civiltà che cresce e che si arricchisce.
(57) L’uomo coglie sé stesso solo nell’istante presente.
(113) Come è superficiale lo spessore di una azione che nascesse come pura reattività dell’istante!
E infatti ciò, ultimamente, non si può neanche concepire, perché la reattività dell’istante mi costringe a riconoscere che io, per reagire ora devo usare una cosa che mi hanno dato nel passato: la mia carne, le mie ossa, la mia intelligenza, il mio cuore.
Perciò la forza della costruzione futura è l’energia, la immaginatività, il coraggio del presente, ma la ricchezza del presente viene dal passato.
È il momento misterioso in cui questa ricchezza del passato viene concepita, riconcepita, in una immagine che da essa è provocata, da essa resa possibile, ma che filtra attraverso questo mistero della originalità del mio presente.
La mia libertà essendo sempre un presente.
Ma il contenuto è nel passato, la ricchezza è nel passato.
(122s) Quel punto (cioè io, tu!)
non ha nessun diritto di fronte al potere, nessuno, perché il potere è l’espressione prevalente di un determinato istante del flusso storico.
(123) Il potere è l’emergenza della forza del reale in questo istante.
Tutta la realtà della nostra epoca ha codificato questo: lo Stato sorgente di ogni diritto, stato liberale o marxista che sia.
In un solo caso questo punto, che è l’uomo singolo, è libero da tutto il mondo, è libero, e tutto il mondo non può costringerlo, e l’universo intero non può costringerlo.
In un solo caso questa immagine di uomo libero è spiegabile: se si suppone che quel punto non sia totalmente costituito dalla biologia di suo padre e di sua madre, ma possegga qualche cosa che non derivi dalla tradizione biologica e dei suoi antecedenti meccenici, ma che sia diretto rapporto con l’infinito
, diretto rapporto con l’origine di tutto il flusso del mondo, di tutto il «cerchio», con quella X misteriosa che sta sopra il flusso della realtà, cioè Dio.
(139) Se io spalancassi per la prima volta gli occhi in questo istante uscendo dal seno di mia madre, io sarei dominato dalla meraviglia e dallo stupore delle cose come di una “presenza”.
(142) Se io nascessi con la coscienza attuale dei miei anni, e spalancassi per il primo istante gli occhi, la presenza della realtà si paleserebbe come presenza di «altro»da me.
(146s) Si tratta dell’intuizione, che in ogni tempo della storia lo spirito umano più acuto ha avuto, di questa misteriosa presenza da cui la consistenza del suo istante, del suo io, è resa possibile.
Io sono tu che mi fai.
(147) Quando io pongo il mio occhio su di me e avverto che io non sto facendomi da me, allora io, io, con la vibrazione cosciente e piena di affezione che urge in questa parola, alla Cosa che mi fa, alla sorgente da cui sto provenendo in questo istante non posso che rivolgermi usando la parola «tu».
«Tu che mi fai» è perciò quello che la tradizione religiosa chiama Dio, è ciò che è più di me stesso, è ciò per cui io sono.
Per questo la Bibbia dice di Dio «tam pater nemo» nessuno è così padre, perché il padre che noi conosciamo nell’esperienza è chi dà l’abbrivio, l’inizio a una vita che, dalla prima frazione di istante in cui è posta in essere, si distacca, va per conto suo.
La cosocienza di sé fino in fondo percepisce al fondo di sé un Altro.
(164) «Se Dio non esiste sono ancora capitano io?» (un giovane militare).
Se non è possibile un nesso ultimo, una spiegazione ultima, se non è possibile uscire dalla misura dell’istante per rannodarsi al tutto (perché il problema è appunto uscire dall’istante, il che vuol dire rannodarsi al tutto), allora non posso più stabilire nessun nesso, sono bloccato nel mio momento…[…] non ha più significato niente, perché il significato è un nesso che tu stabilisci uscendo da te stesso, uscendo dall’istante e mettendoti in rapporto.
E se tu esci dal tuo istante, allora il rapporto fluisce come un torrente, fino alla fine. «Se Dio non esiste, sono ancora capitano io?» è il concetto di segno in forma esistenziale, drammatica.
(189) Quasi che, come legge, come direttiva del mio vivere dovessi rimanere sospeso, a una volontà che non conosco, istante per istante.
Sarebbe l’unico atteggiamento razionale.
La Bibbia dirà: «Come gli occhi di un servo attento ai cenni del padrone».
Per tutta la vita la vera legge morale sarebbe quella di essere sospesi al cenno di un ignoto signore, attenti ai segni di una volontà che ci apparirebbe attraverso la pura ed immediata circostanza.
L’uomo, la vita razionale dell’uomo dovrebbe essere sospesa all’istante, sospesa in ogni istante a questo segno apparentemente così volubile, così casuale che sono le circostanze attraverso le quali l’ignoto «signore» mi trascina e mi provoca al suo disegno.
E dir «sì» ad ogni istante e non vedere niente, semplicemente aderendo alla pressione delle occasioni.
È una posizione vertiginosa.
(200) Che paradosso! Per seguire l’assoluta luce del significato occorrerebbe una obbedienza istante per istante, come chi navighi nella nebbia assoluta; istante per istante obbedire alla cosa più apparentemente irrazionale, cioè la circostanza che il vento del tempo rende assurdamente mobili.
Occorre un grande coraggio: come quello di Giacobbe di cui abbiamo parlato.
Tutta la notte, cioè il tempo dell’esistenza, vissuta in tensione con questa Presenza inafferrabile, indecifrabile, di cui non si conosce il volto.
All’uomo viene il capogiro, la vertigine.
(204) «Padre nostro che sei nei cieli» Padre nostro che sei nel profondo, alla radice di me, che mi stati facendo in questo istante, che generi il mio cammino e mi guidi al destino.
Istintività
(14) Il modo di concepire il rapporto tra l’uomo e la donna, per esempio, benché vissuto come fatto intimo e personale è in realtà ampiamente determinato sia dalla istintività propria, che crea valutazioni per nulla in linea con l’esigenza originale dell’affetto, sia dall’immagine di amore creatasi nell’opinione pubblica.
(118s) L’individuo si trova sempre più vulnerabile dentro il tessuto sociale in balia delle forze più incontrollate dell’istinto e del potere.
La solitudine diventa così grande che l’uomo si sente ridotto a pezzi, strappato da mille sollecitazioni anonime.
(119) L’individuo resta in balia delle forze più incontrollate dell’istinto e del potere: è la scomparsa della libertà.
La definzione delle parole più importanti della vita, se viene determinata dalla mentalità comune assicura la schiavitù totale, l’alienazione totale.
È una schiavitù da cui non ci si libera automaticamente, ci si libera con una ascesi.
L’ascesi è una applicazione che l’uomo fa delle sue energie in un lavoro su se stesso, intelligenza e volontà.
[a pag. 44 (lavoro) «L’amore che ci può persuadere a questo lavoro per arrivare a una capacità abituale di distacco dalle proprie opinioni e dalle proprie immaginazioni, così da porre tutta la nostra energia conoscitiva nella ricerca della verità dell’oggetto qualunque essa sia, è l’amore a noi stessi come destino, è l’affezione al nostro destino.
È questa commozione ultima, è questa emozione suprema che persuade alla virtù più vera»].
A–B–C–D–E–F–G–I–L–M/N–O–P–R–S–T–U–V
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