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Lettera «L»
Libro “Il Senso Religioso” di don Luigi Giussani
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Lavoro
(6) Se non si partisse dall’indagine esistenziale, sarebbe come chiedere la consistenza di un fenomeno, che vivo io, a un altro.
Il che, se non fosse conferma, arricchimento o contestazione a seguito di una riflessione già personalmente intrapresa, renderebbe l’opinione altrui supplente di un lavoro che mi compete e veicolo d’opinione inevitabilmente alienante.
(14) Il recupero dell’esistenziale profondo, che permette questa liberazione, non può evitare la fatica di andare controcorrente.
Si potrebbe chiamare lavoro ascetico, dove con la parola ascesi si indica l’opera dell’uomo in quanto cerca la maturazione di sé, in quanto è direttamente centrato sul cammino al destino.
È un lavoro, e non è un lavoro ovvio; è qualcosa di semplice, ma non scontato.
In termini cristiani questa fatica fa parte della «metanoia» conversione.
(44) Per amare la verità più di sé stessi, per amare la verità dell’oggetto più dell’immagine che ci siamo fatti su di esso, per questa povertà di spirito, per questo occhio sgranato di fronte al reale e alla verità come quello del bambino, occorre un processo e un lavoro.
Anche qui il processo si chiama ascesi.
La moralità nasce come spontaneità in noi, come atteggiamento originale, ma subito dopo, se non è continuamente recuperata da un lavoro, si altera e si corrompe.
L’amore che ci può persuadere a questo lavoro per arrivare a una capacità abituale di distacco dalle proprie opinioni e dalle proprie immaginazioni, così da porre tutta la nostra energia conoscitiva nella ricerca della verità dell’oggetto qualunque essa sia, è l’amore a noi stessi come destino, è l’affezione al nostro destino.
È questa commozione ultima, è questa emozione suprema che persuade alla virtù più vera.
Legge
(69) Dostoievskij :
«Tutta la legge dell’esistenza consiste solo in ciò: che l’uomo possa inchinarsi di fronte all’infinitamente grande. Se gli uomini venissero privati dell’infinitamente grande, essi non potrebbero più vivere e morrebbero in presa alla disperanza».
(148) Nell’io freme dentro come una voce che mi dice «bene» che mi dice «male».
È quello che la Bibbia e san Paolo definivano «la legge scritta nei nostri cuori»”.
Rm 2,14-15:
«Quando i pagani, che non hanno la legge, essi, pur non avendo la legge, sono legge a sé stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalle testimonianze della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono».
(188s) Questa è la statura dell’uomo nella rivelazione ebraico-cristiana.
La vita, l’uomo, è lotta, cioè tensione, rapporto – «nel buio» – con l’al di là; una lotta senza vedere il volto dell’altro.
Se questa è la posizione esistenziale della ragione è abbastanza facile capire che una posizione del genere sia vertiginosa.
Quasi che come legge, come direttiva del mio vivere dovessi rimanere sospeso a una volontà che non conosco, istante per istante.
(189) Per tutta la vita la vera legge morale sarebbe quella di essere sospesi al cenno di questo ignoto «signore», attenti ai segni di una volontà che ci apparirebbe attraverso la pure, immediata circostanza.
E dir di «sì» ad ogni istante senza vedere niente, semplicemente aderendo alla pressione delle occasioni.
È una posizione vertiginosa.
Liberazione
(13s) Ascesi per una liberazione.
Incominciamo a giudicare: è l’inizio della liberazione.
Il recupero dell’esistenziale profondo, che permette questa liberazione, non può evitare la fatica di andare controcorrente.
Si potrebbe chiamare lavoro ascetico, dove con la parola ascesi si indica l’opera dell’uomo in quanto cerca la maturazione di sé, in quanto è direttamente centrato sul cammino al destino.
(196) In tanti modi il genio religioso umano ha gridato la nostalgia di una liberazione da questa prigionia inestricabile dell’impotenza e dell’errore.
Libertà
(42) Nella applicazione al campo della conoscenza questa è la regola morale: l’amore alla verità dell’oggetto più di quanto si sia attaccati alle opinioni che già ci siamo fatti su di esso.
Brachilogicamente si potrebbe dire: «Amare la verità più di sé stessi».
Dover dare giudizi veri su questi problemi (amore, religiosità, cristianesimo) che strappo impone, che faticosa libertà esige, per rompere l’attaccamento alle impressioni riportate!
(44) (Distacco da sé) si tratta di un atteggiamento in cui la libertà riflette su sé stessa, e si domina così da utilizzare la sua energia in modo consono allo scopo.
Ma cosa può persuadere a questa ascesi, a questo lavoro e allenamento? L’uomo infatti solo da un amore e da una affezione è mosso.
L’amore a noi stessi come destino
È questa commozione ultima, è questa emozione suprema che persuade alla virtù vera.
(52) Il presente è il luogo enigmatico e splendido nello stesso tempo, della libertà, l’energia che manipola il contenuto del passato, sprigionando una creatività responsabile.
(54) Un’altra identificazione di immutabilità oltre che nell’idea e nel giudizio sta nel fenomeno della decisione.
Se io dico: «voglio bene a questa persona» la definizione del rapporto che la mia libertà sceglie sta come tale, senza che tempo e misura entrino nella definizione strutturale dell’atto.
Non mutevoli si riscontrano dunque idea, giudizio e decisione.
(66)

La R è l’energia indagatrice dell’umana ragione e libertà; e la X il traguardo provvisorio sempre teso a una ulteriore incognita.
(95ss) (Evasione estetica o sentimentale) L’uomo accetta le domande, le misura, e le calibra con il sentimento, ma non c’è impegno personale dell’io.
Non c’è un impegno della propria libertà, ma soltanto compiacimento espressivo del riverbero emotivo che l’interrogativo suscita.
(96) Lo spazio che l’urgenza di un significato totale offre nel valore della libertà è ben detto, ma si arresta a una emozione estetica.
«Contessa, che è mai la vita?
È l'ombra d'un sogno sfuggente.
La favola breve è finita, [la breve mia favola vana]
Il vero immortal è l'amor». (Carducci, «Jaufré Rudel»)
La serietà esistenziale delle domande umane non può trovarsi a suo agio nell’evanescente estitismo di un loro riverbero.
(109) Conseguenza degli atteggiamenti irragionevoli di fronte all’interrogativo ultimo:
- Rottura con il passato
- Solitudine dell’uomo nel suo concreto
- Eliminazione della libertà proprio come caratteristica antropologica e sociale.
(113) La mia libertà è sempre presente, ma il contenuto è nel passato, la ricchezza è nel passato.
(119ss) Perdita della libertà
La percezione della libertà.
Voglio richiamare una questione di metodo, perché se io chiedessi che cosa è la libertà la grande maggioranza risponderebbe secondo immagini, definizioni o sensazioni determinate dalla mentalità comune.
La definizione delle parole più importanti della vita, se viene determinata dalla mentalità comune assicura la schiavitù totale, l’alienazione totale.
(120) Per capire che cos’è la libertà noi dobbiamo partire dall’esperienza che abbiamo del sentirci liberi.
Sperimentalmente ci sentiamo liberi per la soddisfazione di un desiderio.
La libertà si annuncia esperienza nella nostra esistenza come realizzazione di un bisogno o realizzazione di una aspirazione come compimento.
Seguendo l’indicazione dell’esperienza, è chiaro che la libertà si presenta a noi come la soddisfazione totale, il compimento totale dell’io, della persona, o come la perfezione.
Vale a dire la libertà è la capacità del fine, è la capacità della totalità, è la capacità della felicità.
Il compimento totale di sé, questa è la libertà
La libertà è per l’uomo la possibilità, la capacità, la responsabilità di compiersi, cioè di raggiungere il proprio destino.
La libertà è il paragone con il destino: è questa aspirazione totale al destino.
Così la libertà è l’esperienza della verità di sé stessi.
(121) Per questo il Signore diceva: «il Signore vi farà liberi».
Se Dio è la verità, posso dire a Dio: la mia verità sei Tu, il mio io sei Tu.
Un Altro è la verità di me stesso: questa pienezza del mio essere sei Tu, il mio significato sei Tu.
Perciò la libertà è la capacità di Dio.
Molto più profondamente che una capacità di scelta la libertà è umile e appassionata e fedele dedizione totale a Dio nella vita quotidiana.
«Dio amante della vita dice la liturgia» (Sap. 11,26).
La fede è il gesto di libertà fondamentale e la preghiera è la costante educazione del cuore, dello spirito alla autenticità umana, alla libertà: perché fede e preghiera sono il riconoscimento pieno di quella Presenza che è il mio destino, e la dipendenza dalla quale è la mia libertà.
Esistenzialmente questa libertà non è ancora compiuta; esistenzialmente è tensione al compimento, è tensione verso l’essere e adesione progressiva, è in divenire.
Precarietà della libertà.
Rendiamoci ben conto dell’essenza originaria della libertà
Il mondo, la società, che è un certo ordine organico mantenuto per il potere, il puntino
è la persona e non ha alcun diritto salvo quello di essere una parte organica.
Tutta la realtà della nostra epoca ha codificato questo: lo Stato sorgente di ogni diritto, Stato liberale o marxista che sia.
(124) Fondamento della libertà.
In un solo caso questo punto, che è l’uomo singolo è libero da tutto il mondo: se si suppone che quel punto non sia totalmente costituito dalla biologia di suo padre e di sua madre, ma possegga qualche cosa che non derivi dalla tradizione biologica dei suoi antecedenti meccanici, ma che sia rapporto diretto con l’infinito, diretto rapporto con l’origine di tutto il flusso del mondo, di tutto il «cerchio» con quella X misteriosa
che sta sopra il flusso della realtà, cioè Dio.
(125) Solo nella ipotesi che esista in me questo rapporto, il mondo può fare di me quel che vuole, ma non mi vince, non mi evince, non mi afferra, io sono più grande, io sono più libero.
Qui si fonda e si spiega il diritto fondamentale alla libertà di coscienza, alla capacità e al dovere quindi di giudicare e di agire secondo un ultimo paragone con la verità e il bene.
Ecco il paradosso: la libertà come dipendenza da Dio.
La libertà si identifica con la dipendenza da Dio a livello umano, cioè riconosciuta e vissuta.
La coscienza vissuta di questo rapporto si chiama religiosità.
La libertà è nella religiosità.
(127) L’antipotere è l’amore: e il divino è l’affermazione dell’uomo come capacità di libertà, cioè come irriducibile capacità di perfezione, di raggiungimento della felicità – come irriducibile capacità di raggiungere l’Altro, Dio.
(168ss) Il fattore libertà di fronte all’enigma ultimo.
L’uomo come essere libero non può arrivare al suo compimento, non può arrivare al suo destino se non attraverso la sua libertà.
Abbiamo visto che l’essere libero vuol dire capacità di possedere il proprio significato, di raggiungere la propria realizzazione secondo un certo modo, che chiamiamo appunto libertà.
Se io fossi portato al mio destino senza libertà, io non potrei essere felice, non sarebbe una felicità mia, non sarebbe destino mio.
È attraverso la mia libertà che il destino, il fine, lo scopo, l’oggetto ultimo può diventare risposta per me.
(169) Ora, se il raggiungimento del destino, del compimento deve essere libero, la libertà deve giocare anche nella scoperta di esso.
Il modo che l’uomo ha di raggiungere il destino è responsabilità sua, è frutto della libertà.
La libertà dunque ha a che fare non solo con l’andare a Dio come coerenza di vita, ma già con la scoperta di Dio.
Tanti filosofi, scienziati, letterati hanno scoperto Dio attraverso la loro arte ma altri attraverso la stessa arte lo hanno negato.
Allora vuol dire che riconoscere Cristo non è un problema né di scienza né di sensibilità estetica e nemmeno di filosofia estetica e neanche di filosofia come tale.
È un problema anche di libertà.
Alla fin fine, l’opzione è decisiva.
(170) L’uomo infatti nella sua libertà afferma ciò che ha già deciso da una recondita partenza.
La libertà non si dimostra tanto nella clamorosità delle scelte; ma la libertà di gioca nel primo sottilissimo crepuscolo dell’impatto della coscienza del mondo.
Ed ecco l’alternativa in cui l’uomo «quasi» insensibilmente si gioca: o tu vai di fronte alla realtà spalancato, con gli occhi sgranati di un bambino, lealmente, dicendo pane al pane e vino al vino, e allora abbracci tutta la sua presenza e ne abbracci anche il senso; o ti metti di fronte alla realtà difendendoti […] e allora nella realtà cerchi e ammetti solo ciò che ti è consono.
(171) La libertà gioca sé stessa in quell’area di gioco che si chiama segno.
(Il mondo insegna «Dio» dimostra Dio, come il segno indica ciò di cui è segno).
La libertà gioca dentro quest’area: in che senso? Essa agisce nell’area della dinamica del segno in quanto il segno è avvenimento da interpretare.
La libertà si gioca nell’interpretazione del segno.
L’interpretazione è la tecnica del gioco, la libertà opera dentro questa tecnica.
(182s) Quanto più una cosa interessa il significato del vivere, tanto più noi abbiamo questa paura di affermarla.
Questa paura dunque sarebbe vinta dallo sforzo di volontà, cioè dalla forza della libertà; ma essa è altamente improbabile.
C’è in natura un metodo che riesce a darci questa energia di libertà che ci fa superare ed attraversare la paura del rischio.
Per superare il baratro dei «se» e dei «ma» il metodo usato dalla natura è il metodo comunitario.
La dimensione comunitaria rappresenta non la sostituzione della libertà, non la sostituzione dell’energia e della decisione personale, ma la condizione dell’affermarsi di essa.
(183) La comunità è la dimensione e la condizione perché il seme umano dia il suo frutto.
L’uomo subisce l’esperienza del rischio: pur essendo di fronte alle ragioni, è come se non si sentisse di muoversi.
È come bloccato, gli occorrerebbe un supplemento di energia e di libertà, perché la libertà è la capacità di adesione all’essere.
(184) Questa energia di libertà più adeguata emerge laddove l’individuo vive la sua dimensione comunitaria.
Chesterton in L’uomo che fu giovedì: «Non è vero che uno più uno fa due; ma uno più uno fa mille volte uno».
(203) In una simile ipotesi (la Rivelazione) Dio non sopprime certo la libertà operosa dell’uomo, ma la rende possibile, perché l’errore e la stanchezza, propri dell’uomo, sono un limite alla libertà operosa.
Limite
(163) Il mistero non è un limite alla ragione, ma è la scoperta più grande cui può arrivare la ragione, l’esistenza di qualcosa di incommensurabile con sé stessa.
(185) La vita della ragione è data dalla volontà di penetrare l’ignoto (Ulisse dantesco), e di passare oltre le colone d’Ercole, simbolo del limite continuamente e strutturalmente posto dall’esistenza a questo desiderio (conoscere l’incognita).
(187) Ed è nel superare queste colonne d’Ercole (intese come oceano del significato) che uno comincia a sentirsi uomo: quando supera questo limite estremo posto dalla falsa saggezza, da quella sicurezza oppressiva, e si inoltra nell’enigma del significato.
(203) In una simile ipotesi (Rivelazione) Dio non sopprime certo la libertà operosa dell’uomo, ma la rende possibile, perché l’errore e la stanchezza, propri dell’uomo, sono un limite alla libertà operosa dell’uomo.
Logica
(20s) Il ragionevole non si identifica con il “logico”.
La logica è un ideale di coerenza: ipotizzate delle premesse, svolgetele coerentemente e avrete una “logica”.
Se le premesse sono errate, la logica perfetta darà un risultato sbagliato.
Il problema davvero interessante per l’uomo non è la logica, il problema interessante per l’uomo è aderire alla realtà, rendersi conto della realtà.
(21) La capacità di logica e di dimostrazione, non sono altro che strumenti della ragionevolezza, strumenti al servizio di una mano più grande, dell’ampiezza di un cuore che li utilizza.
(22) Per me la ragione è apertura alla realtà, capacità di afferrarla e affermarla nella tolità dei suoi fattori.
(24) La ragione affronta l’oggetto secondo passi o motivi adeguati, sviluppando canmini diversi secondo l’oggetto (il metodo è imposto dall’oggetto).
Così la ragione così non è anchilosata, non è rattrappita come l’ha immaginata tanta filosofia moderna che l’ha ridotta a una sola mossa, «la logica», o a un tipo di fenomeno solo, una certa capacità di «dimostrazione empirica».
(79) Non si può spiegare una questione dimenticando o rinnegando qualche fattore in gioco.
Si può dare a questa osservazione un valore generale affermando che un errore si dimostra tale quando si è costretti dalla sua logica a dimenticare o a rinnegare qualcosa.
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I Temi di alcuni libri di don Giussani
- TEMI – Il senso religioso
- TEMI – All’origine della pretesa cristiana
- TEMI – Perché la Chiesa
- TEMI – Il rischio educativo
- TEMI – Generare tracce nella storia del mondo
- TEMI di Si può vivere così?
- TEMI di Si può (veramente) vivere così?
Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”
- TEMI – Un strana compagnia (82-83-84)
- TEMI – La convenienza umana della fede (85-86-87)
- TEMI – La verità nasce dalla carne (88-89-90)
- TEMI – Un avvenimento nella vita dell’uomo (91-92-93)
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- TEMI – Dare la vita per l’opera di un Altro (97-98-99)
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