Temi di “All’origine della pretesa cristiana”

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Lettera «M»



Manifestarsi – manifestazione

(24) L’uomo ha sempre espresso nella sua storia la convinzione di poter essere illuminato sul «tutt’altro» da sé, sull’Ignoto, in quanto esso vuole manifestarsi nella realtà.

L’uomo conosce il sacro perché il sacro si manifesta.

Una ierofania è una manifestazione del sacro, vale a dire un atto misterioso per cui il «tutt’altro» si manifesta in un oggetto o in un essere di questo mondo profano.


Memoria

(45) Ci troviamo di fronte a un documento (i Vangeli) che ha a che fare, come altri, con la memoria, con l’intenzione dell’annuncio.

Per comprendere bisogna mettersi di fronte al dato così come emerge: memoria e annuncio.

(48) Come afferrare il fatto di Cristo per afferrarne poi la pretesa? Cominciando a percorrerne la memoria e l’annuncio.

(51ss) (Sul Vangelo di Giovanni) si sono dibattute tante vicende di analisi scientifica del testo, che non hanno potuto tuttavia intaccare l’evidenza della memoria e dell’annuncio originali arrivati fino a noi.

(52) (Incontro di Gesù con Giovanni Battista, Gv 1,35-51) la pagina in cui è riportato questo fatto somiglia molto alla pagina di un notes per appunti.

Uno vi custodisce la frase, magari monca, e l’appunto vuol essere un segnale per una memoria in attività, per un influsso già vissuto, e non come in un romanzo dettagliato accompagnare il lettore in una descrizione che ha come ideale la ricreazione di una continuità fin nei particolari per una completezza senza vuoti.

Il romanzo ha un pubblico, l’appunto ha un utilizzatore.

È il fenomeno della memoria.

La memoria non trattiene il passato secondo il seguito ininterrotto dei fatti, se lo imprime a tratti.

E  neppure quello che è accaduto ieri, così apparentemente a portata di mano, ci resta impresso nella memoria secondo il flusso ininterrotto del flusso della nostra espressività.

(53) Ora, questa pagina (Gv 1,35-51) che stiamo per affrontare riporta la memoria di un uomo che ha trattenuto tutta la vita negli occhi e nel cuore l’istante in cui la sua esistenza è stata investita da una presenza e capovolta.

(55) Rendiamoci ben conto di dove stiano i segni di veridicità, la natura di memoria di questa pagina.

Non dice, non descrive, suppone tutto, non sceglie in un disegno organico ciò che deve passare alla storia.

Essa racconta i fatti con tutto il carico e il naturale sapore di ciò che per il narratore è ovvio e risaputo così come due amici potrebbero dirsi: «ti ricordi quel giorno in cui abbiamo cominciato a lavorare insieme?» e in quella rievocazione gli anni di lavoro comune e di amicizia guidano la memoria, mentre se una cinepresa fosse stata piazzata nell’ufficio avrebbero fissato solo tutti i dettagli spazio temporali.

Ma questo è il punto: non avrebbero trasmesso e conclamato lo stesso contenuto.


Metodo

(41) Il metodo è imposto dall’oggetto, non è fissato dal soggetto.

Se Cristo abbia detto o no di essere Dio, e che sia o non sia Dio, e che ci raggiunga ancora oggi, è un problema storico, perciò il metodo deve essere corrispondente, e corrispondente alla gravità del problema.

L’annuncio cristiano è: un uomo che, mangiando, camminando, consumando normalmente la sua esistenza, di uomo ha detto: «Io sono il vostro destino», «Io sono coluui di cui tutto il cosmo è fatto».

(48)

Il metodo descrive la ragionevolezza del rapporto con l’oggetto e stabilisce i motivi adeguati con cui fare i passi nella conoscenza dell’oggetto.

Per conoscere Gesù:

  • Condivisione e convivenza
  • L’intelligenza degli indizi, strada della certezza.

(59) Nel Vangelo viene documentato che il credere abbraccia la traiettoria della convinzione in un successivo ripetersi di riconoscimenti, cui occorre dare una spazio e un tempo perché avvengano,

Ritroviamo qui, (miracolo di Cana) incarnato nella testimonianza evangelica, quel richiamo di metodo.

È talmente vero che la conoscenza di un oggetto richiede spazio e tempo, che a maggior ragione questa legge non può essere smentita da un oggetto che si pretende unico.

Anche coloro che furono i primi a incontrare quella unicità hanno dovuto seguire questa strada.

(85) Della traiettoria seguita finora per descrivere come il problema cristiano si sia posto, vorrei sottolineare soprattutto gli aspetti di metodo, il dinamismo che l’ha messa in essere, poiché sarà sempre lo stesso dinamismo lungo tutto l’arco della storia.

Vale a dire: il comportamento di quell’uomo era tale che quanto più lo si condivideva, lo si seguiva, tanto più si era indotti a chiedersi: «Ma come fa ad essere così?».

Ricordando il concetto di certezza morale ne abbiamo rievocato un corollario: la natura ci permette di ottenere certezza circa l’umano comportamento – proprio perché fondamentale per la nostra vita – più velocemente di altri tipi di certezza, attraverso cioè l’intuizione della convergenza di tanti indizi verso un punto.

(132ss) Il Mistero dell’Incarnazione stabilisce il metodo che Dio ha ritenuto opportuno scegliere per aiutare il cuore dell’uomo ad andare da Lui.

Questo METODO si può riassumere così:

La differenza fra la Chiesa cattolica e tutte le altre concezioni e interpretazioni cristiane nasce soprattutto dalla considerazione di questo metodo.

Questo metodo si prolunga nella storia.

L’assunzione del metodo indicato dalla realtà dell’incarnazione implica che l’uomo chiamato ad aderire sempre alla identica salvezza proposta, in tempi nuovi, in circostanze nuove, con strumenti nuovi.


Differenza di metodo

(38) «È vero che sia accaduto o no?», «È vero che Dio è intervenuto?».

Mentre la scoperta di un quid misterioso, può e deve essere ottenuta attraverso una percezione analitica dell’esperienza che fa del reale, il problema di cui stiamo parlando, essendo un fatto storico, non può essere verificato con la riflessione analitica sulla struttura del proprio rapporto con il reale.

È un dato di fatto accaduto o no nel passato: o c’è o non c’è, o si è verificato o non si è verificato.

Di fronte a quest’ipotesi il metodo è la registrazione di un fatto oggettivo.

La domanda: «E’ vero che Dio è intervenuto nella storia?» è allora costretta soprattutto a riferirsi a quella pretesa senza paragone che rappresenta il contenuto di un ben preciso messaggio, è costretta a diventare quest’altra domanda: «Chi è Gesù?».

Il cristianesimo sorge come risposta a questa domanda.


Metodo inadeguato

(43s) Cominciamo con il chiarire ciò che i Vangeli non sono: in questo modo eviteremo di usare, per accostarli, un metodo inadeguato all’oggetto, poiché, come abbiamo ricordato, non si potrà conoscere un oggetto se non attraverso il metodo che esige per essere affrontato.

I Vangeli non sono rapporti stenografici di quello che Gesù faceva e diceva.

(44)

«Gli autori sacri hanno scritto i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose fra la molte che venivano tramandate a voce o anche per iscritto, sintetizzandone alcune, spiegandone altre in rapporto alla situazione delle chiese, conservando infine il carattere di annuncio, sempre però in modo tale da riferire su Gesù con sincerità e verità».

Dei verbum

Capovolgimento del metodo

(35) Se Dio avese manifestato nella storia umana una sua volontà particolare, avesse tracciato una sua strada per raggiungerlo, il problema centrale del fenomeno religioso non sarebbe più il tentativo, che pure esprime la più grande dignità dell’uomo, di «fingersi» il dio: il problema starebbe tutto nel puro gesto della libertà che accetti o rifiuti.

Questo è il capovolgimento.

Non è più centrale lo sforzo di una intelligenza e di una volontà costruttiva, di una faticata fantasia, di un complicato moralismo: ma la semplicità di un riconoscimento; un atteggiamento analogo a chi, vedendo arrivare un amico, lo individua tra gli altri e lo saluta.

È da notare come il primo metodo favorisca l’intelligente, il colto; nel secondo metodo viene favorito il povero, l’uomo comune.


Miracolo

(57s) Il miracolo delle nozze di Cana – questo strano portento per cui alla  fine l’acqua è diventata vino – è una delle pagine più significative della concezione che Gesù ha della vita: qualsiasi aspetto dell’esistenza, anche il più banale, è degno del rapporto con Lui e quindi anche del suo intervento.

Ogni tipo di intervento  è determinante, cioè rivelatore, proprio per la specifica e unica caratteristica del fatto «Gesù».

(58) Il miracolo delle nozze di Cana si impone agli inizi di questa progressiva autorivelazione di Gesù.

(62ss) Il miracolo più grande, da cui i discepoli erano colpiti tutti i giorni, non era quello delle gambe raddrizzate, della pelle mondata, dalla vista riacquistata.

Il miracolo più grande […]: era uno sguardo rivelatore dell’umano cui non ci si poteva sottrarre.

(63) (Con la vedova di Naim) Il suo primo gesto è un atto di tenerezza, poi le restituirà il figlio vivo.

Non gli era stato richiesto né il miracolo né il gesto di profonda compassione.

(64) È un trasporto rigeneratore il suo, verso tutto il valorizzabile dell’umano.

Dopo un miracolo operato di sabato, e che perciò aveva avuto una certa risonanza, se ne va, ma molti gli vanno dietro, e il Vangelo osserva che lui «guarì tutti», cioè guardò a tutti, capì tutti, prese sul serio tutti.

(74) Guardini:

«Questa rivelazione della divinità che si palesa nella esistenza viva di Gesù, non però con manifestazioni irruenti e con azioni grandiose, ma con un continuo, silenzioso trascendere i limiti delle umane possibilità,  in una grandezza e in una vastità che si percepiscono dapprima solo come una naturalità benefica, come una libertà che appare naturale, come umanità semplicemente sensibile – espresse nel nome meraviglioso di “Figlio dell’uomo”, che egli stesso tanto volentieri si attribuiva -, finisce per rivelarsi semplicemente come un miracolo [ …] un passo silenzioso che trascende i limiti segnati dalle umane possibilità ma ben più portentoso della immobilità del sole e del tremare della terra».


Mito

(25) Così il simbolo e il mito sono stati vissuti nella storia dell’uomo come i grandi strumenti per eccellenza conoscitivi e rivelativi del mistero, mezzi per superare l’effimero e immergersi in ciò che è destinato a durare.


Morale – moralità

(99s) Il valore di una persona non viene da noi colto direttamente, come se lo vedessimo.

L’intimità personale si lascia comprendere nella misura in cui si rivela – e si rivela attraverso i «gesti», come attraverso dei segni.

In particolare, per verificare l’attendibilità di un fatto inerente a una personalità morale e religiosa occorre avere in sé una genialità morale e religiosa la quale permetta di interpretare i gesti di quella persona come segni significativi in quel preciso senso.

Che cosa è la morale?

La capacità di cui stiamo parlando, dunque, non è necessariamente indicata da un livello di santità, di irreprensibilità etica; ma essendo in gioco l’elementare rapporto del particolare con il tutto, con il tutto, essa è più definibile come apertura originale dell’animo; come un originale atteggiamento di disponibilità e di dipendenza, non di autosufficienza; come una volontà di affermazione dell’essere, non di sé.

(100) Gesù nel Vangelo nota continuamente la necessità di questa che abbiamo chiamato genialità morale per poterLo comprendere e osserva come l’abitudine a un atteggiamento autosufficiente, non disponibile, renda impossibile percepire il valore rivelatore di ciò che compie.

(104)

È nella concezione della vita che Cristo proclama, è nella immagine che Egli dà della vera statura dell’uomo, è nello sguardo realistico che Egli porta sull’esistente umano, è qui dove il cuore che cerca il suo destino ne percepisce la verità dentro la voce di Cristo che parla; è qui dove il cuore «morale» coglie il segno della Presenza del Signore.

(109s)

La religiosità in quanto tende a far vivere tutte le azioni come dipendenti da Dio si chiama moralità.

(110) È una ambiguità carica di menzogna una moralità che non parta da qualcosa che sia più dell’io, che non sia l’io: subdola forma di imporre sé stessi a tutti è l’identificazione del dovere con la propria coscienza.

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