Temi di “All’origine della pretesa cristiana”

ABCDEFGILMOPRSTUV

Lettera «P»



Pace

(118\119)

Questa è la grandezza dell’uomo: così come l’Essere che lo ha creato, la sua vita è di essere dono; egli è simile a Dio

Così, il suo consumarsi deve divenire dono: egli è l’unica creatura che può essere cosciente di questo elemento strutturale del reale.

La legge dell’esistenza umana è l’amore nella sua realtà dinamica che è l’offerta, il dono di sé.

 Come Gesù ha detto: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9,24).

Ci viene sottolineata così la paradossalità di questa legge: la felicità attraverso il sacrificio.

Ma quanto più uno lo accetta, tanto più sperimenta già in questo mondo una maggiore completezza.

(119) Ci viene così proposta una personalità umana come risultante di due componenti: il sacrificio e l’amore.

(125) Riconoscere e seguire Cristo (fede) genera così un atteggiamento esistenziale caratteristico per cui l’uomo è un camminatore eretto e infaticabile verso una meta non ancora raggiunta, certo nel futuro perché tutto poggiato sulla Sua presenza (speranza).

Nell’abbandono e nell’adesione a Gesù Cristo fiorisce un’affezione nuova a tutto (carità), che genera un’esperienza di pace, l’esperienza fondamentale dell’uomo in cammino.


Passione

(104s) La persona gode di un valore e di un diritto in sé, che nessuno puà attribuirle o toglierle.

Il valore racchiude il motivo, lo scopo di una azione, il «ciò per cui vale la pena agire», o esistere.

Quindi, essere sorgente di valori significa per la persona avere in sé lo scopo del proprio agire.

(105) Per tutto ciò Gesù dimostra nella sua esistenza una passione per il singolo, un impeto per la felicità dell’individuo che ci porta a considerare il valore della persona come qualcosa di incommensurabile.

(108) E’ la scoperta della persona che con Gesù entra nel mondo: ed è la passione  per essa che rende Gesù appassionato messaggero della dipendenza unica e totale, del singolo uomo dal Padre.

La religiosità cristiana non sorge come gusto filosofico, ma dall’accanita insistenza di Gesù Cristo che vedeva nel rapporto con il Padre l’unica possibilità di salvaguardare il valore della singola persona.

La religiosità cristiana sorge come unica condizione dell’uomo.


Peccato originale

(120s) L’uomo è di fatto incapace di vivere compiutamente la grande dipendenza da Colui che è la sua verità e la proiezione di essa nella vita come dono, amore e servizio.

(121) Ha la coscienza annebbiata e una volontà invicibilmente annoiata nel dovere della preghiera, vive uno strano egocentrismo, per cui a lungo andare invece che ordinarsi al tutto, tenta di ordinare il tutto a sé; invece di darsi, tenta di prendersi, invece di amare, di sfruttare.

Questo dato di fatto dipende da una situazione originale nativa.

La tradizione cristiana lo attribuisce a un disordine che l’uomo eredita dalle origini della sua razza.

È ciò che la tradizione cristiana chiama peccato originale: la persona non ha l’energia sufficiente a realizzare sé stessa.


Pedagogia – pedagogico


Pedagogia di Cristo

(71) La pedagogia di Cristo nel rivelarsi.

(73) Alla domanda che nasceva nel cuore della gente che lo seguiva, abituata al suo discorrere, al suo atteggiamento, alla sua capacità di influsso e di potere sugli uomini e sulle cose, Cristo non ha dato immediatamente una risposta compiuta.

Infatti una risposta come uella che avrebbe dovuto dare era qualcosa di assolultamente al di fuori della concezione e della capacità di percezione di quella gente.

Per questo Gesù ha usato una intelligente pedagogia nel definirsi.

Lo ha fatto lentamente così da provocare negli altri una graduale evoluzione per assimilazione, attraverso processi destinati a favorire per una specie di osmosi la convinzione.


Pedagogia rivelativa

(75) Linee essenziali della pedagogia rivelativa.

  • Il maestro da seguire: innanzitutto Gesù chiede che lo si segua. I primi modi con cui Gesù propone sé stesso sono così dalla gente comprensibili e accettabili.
  • La necessità di una rinuncia: la chiamata a seguirlo non si identifica solo con la prontezza a riconoscerLo giusto, meritevole di fiducia, ma è congiunta alla necessità di «rinunciare a sé stessi». Per seguire un altro occorre abbandonare la propria posizione, «sé stessi».
  • Di fronte a tutti: Egli richiede che l’uomo lo segua anche esteriormente, socialmente, e fa dipendere da questo il valore stesso dell’uomo, la salvezza

Persona

(103ss) Il «gesto» più illuminante, il «segno», quindi, più significativo, è la concezione che una persona ha della vita, il sentimento complessivo e definitivo che ha dell’uomo.

(104):

Solo il divino può definire la moralità di una persona.

È nella concezione della vita che Cristo proclama, è nella immagine che Egli dà della vera statura dell’uomo, è nello sguardo realistico che Egli porta sull’esistente umano, è qui dove il cuore che cerca il suo destino ne percepisce la verità, dentro la voce di Cristo che parla; è qui dove il cuore «morale» coglie il segno della Presenza del Signore.

Tutto il mondo non vale la più piccola persona umana: questa non ha nulla di paragonabile a sé nell’universo dal primo istante della sua concezione fino all’ultimo passo della sua decrepita vecchiaia.

Ogni uomo possiede un principio originale e irriducibile, fondamento di diritti inalienabili.

Il valore non si può confondere con le reazioni che siamo indotti ad assumere.

Il questo modo il valore della persona tende ad essere ridotto ai termini prevalenti della mentalità propria dell’ambito in cui vive.

Al contrario, la persona gode di un valore e di un diritto in sé, che nessuno può attribuirle o toglierle.

Il valore racchiude il motivo, lo scopo di un ‘azione, il «ciò per cui val la pena agire», o esistere.

(105) Per tutto ciò Gesù dimostra nella sua esistenza una passione per il singolo, un impeto per la felicità dell’individuo che ci porta a considerare il valore della persona come qualcosa di incommensurabile, irriducibile.

Il problema dell’esistenza del mondo è la felicità del singolo uomo.

(108s) E’ la scoperta della persona che con Gesù entra nel mondo ed è la passione per essa che rende Gesù appassionato messaggero della dipendenza, unica e totale, del singolo uomo dal Padre.

(109) La grandezza e la libertà dell’uomo derivano dalla dipendenza diretta da Dio, condizione per cui l’uomo realizzi e affermi sé.

La dipendenza da Dio è la prima condizione per l’interesse umano.

La dipendenza da Dio vissuta, cioè la religiosità, è la direttiva più appassionata che Gesù dà nel Vangelo.

(117) Nel discorso di Cafarnao, identificando nel pane che si mangia, nella bevanda che si assume tutta la realtà della Sua Persona presente alla vita dell’uomo, Gesù tocca l’espressione suprema della sua volontà di dedizione.

(132s) Che Gesù sia uomo-Dio non significa che Dio si sia «trasformato in uomo», ma significa che la Persona divina del Verbo possiede, insieme alla natura divina, anche la natura umana concreta dell’uomo Gesù.

Questa unione non deve essere immaginata come la confusion di due nature: la Persona del Verbo incarnandosi, esprime la sua natura divina attraverso la natura umana che ha assunto.

«Natura» identifica il tipo di essere che le azioni manifestano; «persona» indica il soggetto, l’io, che possiede e attua le due nature.

Il mistero dell’Incarnazione stabilisce il metodo che Dio ha creduto opportuno scegliere per aiutare l’uomo ad andare da Lui.

(133) Trovandoci ora di fronte alla compiutezza storica di quell’ipotesi realizzata nella persona di Gesù, dobbiamo sottolineare la resistenza istintiva che la ragione può avere di fronte all’annuncio dell’Incarnazione.

È come se l’uomo rifiutasse che il mistero si pieghi a diventare fatto e parole umani.


Persuasione

(58s) Quella conoscenza sarà una persuasione che avverrà lentamente e nessun passo successivo smentirà i precedenti: anche prima avevano creduto.

Dalla convivenza deriverà una conferma di quella eccezionalità, di quella diversità che fin dal primo momento li aveva percossi.

Con la convivenza tale conferma si ingrandisce.

Il credere abbraccia la traiettoria della convinzione in un successivo ripetersi di riconoscimenti.


Politica

(124) Gesù Crsito è venuto a richiamare l’uomo alla religiosità vera, senza della quale è menzogna ogni pretesa di soluzione.

Il problema della conoscenza del senso delle cose (verità), il problema dell’uso delle cose (lavoro), il problema di una compiuta consapevolezza (amore), il problema dell’umana convivenza (società e politica) mancano della giusta impostazione e perciò generano sempre maggior confusione nella storia del singolo e dell’umanità nella misura in cui non si fondamno sulla religiosità nel tentativo della propria soluzione («Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù» Mt 19,29).


Possibilità


Categoria della possibilità

 (23) Unico aiuto adeguato alla riconosciuta impotenza esistenziale dell’uomo non può essere che il divino stesso, quella divinità nascosta, il mistero, che in qualche modo si coinvolga con la fatica dell’uomo illuminandolo e sostenendolo nel suo camminare.

Ciò non può essere che ipotesi perfettamente ragionevole, corrispondente cioè all’impeto coerente all’apertura dell’umana natura, pienamente inscritta dentro la grande categoria della possibilità.

La ragione non riesce a dir nulla di ciò che il mistero possa o non possa fare: proprio per essere fedele a sé stessa non può escludere nulla di ciò che il mistero possa intraprendere.

Se la ragione pretendesse di imporre una misura al divino […] sarebbe l’ultima estrema forma di idolatria, l’estremo tentativo della ragione per imporre a Dio una propria immagine di Lui.

Prima di ogni altra considerazione, sarebbe un gesto estremo di irrazionalità.

(36) L’imbattersi in una persona presente è una evidenza facile per il bambino e il grande.

In simile ipotesi, comunque, l’affermazione dell’unicità della strada che ne consegue non sarebbe più espressione di presunzione, ma obbedienza a un fatto, al FATTO decisivo del tempo.

Rimane lo spazio a una sola fuga: negare la possibilità stessa di questo FATTO.

Tale delitto è contro la suprema categoria della ragione, la categoria della possibilità.

(129) Sostenere a priori l’impossibilità di questo fatto, questo è irrazionale, in quanto così si abolisce la categoria delle possibilità, che è propria della ragione, di una ragione autentica.


Potere

(63) Il potere e la bontà.

È difficile che una persona potente sia veramente buona.

In Gesù invece i suoi testimoni hanno potuto vedere quello sguardo non solo potente, prodigioso, non solo intelligente, non solo captante, ma buono.

Pare impossibile che un potere tanto grande stia dentro l’orizzonte di una profonda bontà e sembra così difficile che una intelligenza acutissima sia semplice e positiva come l’affettuosità istintiva e disponibile del bambino!

È bello leggere il Vangelo andando a rintracciare gli spunti appena appena accennati, i particolari sottili che rivelano la capacità di tenerezza di Gesù, la sua commossa solidarietà con l’umano.

(65) Gesù appare in ogni circostanza un essere superiore a ogni altro.

C’è in Lui qualcosa, un «mistero», perché non si è mai incontrato una tale saggezza, un tale ascendente, un tale potere, una tale bontà.

Questa impressione si fa via via più precisa solo in coloro che si impegnanno a una convivenza sistematica con lui: i discepoli.


Preferenza

(79) La libertà dell’uomo si verifica molto di più nell’esperienza di rapporti con ciò che gli appartiene, che neanche direttamente con se stesso.

Un uomo accetterebbe più volentieri di perdere sé stesso piuttosto di perdere la persona amata; la sua libertà, infatti, si incentiva nel rapporto di possesso o di preferenza.

Ecco, Gesù si colloca al centro di tali rapporti, come nel cuore cheli origina e senza del quale non avrebbero vita.


Preghiera

(111ss) Una consapevolezza che si esprime in domanda.

La preghiera è coscienza ultima di sé, come coscienza di dipendenza costitutiva.

Essa rappresentava il tessuto del sentimento di sé che aveva Cristo.

(112) È l’abisso di questa appartenenza, di questa dipendenza totale che imponeva il contenuto ai momenti di cui parla sì spesso il Vangelo: «Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù» (Mt 14,23).

Proprio nella continuità di questa preghiera, – «Bisogna pregare sempre» (Lc 18,1) – proprio perché la coscienza dell’ininterrotta fonte del proprio essere si ergeva nell’interiorità di Gesù, Egli poteva dire: «Non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato [ … ] Colui che mi mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite» (Gv 8,16-29).

Tutti questi accenti riecchieggiano nei discorsi dell’Ultima Cena.

La preghiera finale sintetizzerà il contenuto luminoso e misterioso del continuo nesso tra Gesù e il Padre: «Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie» (Gv 17,10b).

Nella preghiera risorge e prende coscienza l’esistenza umana. Così insegna la persona di Gesù.

Accorgersi della porpria originale dipendenza non significa semplicemente coscienza di un passato, del gesto che ci ha creati.

La dipendenza dell’uomo al contrario è continua, di ogni istante, di ogni sfumatura del nostro agire.

(113) La vita si esprime, dunque, innanzitutto come coscienza di rapporto con chi l’ha fatta e la preghiera è accorgersi che in «questo» momento la vita è «fatta».

La realtà come fascino è il primissimo grado di questo atteggiamento mistico, che è il più naturale dell’uomo, l’aspetto più elementare di una nostra consapevolezza.

Ma, nell’esempio e nell’insegnamento di Gesù, stupore, soggezione, fascino diventano trasparenza di una familiarità ineffabile: «Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare […]” Ed Egli disse loro: “Quando pregate, dite: ‘Padre nostro …”’» (Lc 11,1-2).

Soltanto così la solitudine è eliminata: nella scoperta dell’Essere come amore che dona Se stesso continuamente.

L’esistenza si realizza sostanzialmente come dialogo con la grande Presenza che la costituisce, compagno indivisibile.

La compagnia è nell’io, non esiste nulla che facciamo da soli.

Ogni amicizia umana è riverbero dell’originale struttura dell’essere, e se lo nega rischia la sua verità.

(114) La preghiera, così, non è un gesto a parte, ma realizza la prima dimensione di ogni azione.

Per questo il più alto vertice della preghiera non è l’estasi, ma piuttosto vedere il fondo come si vedono le cose solite.

Come questo si può tradurre esistenzialmente? L’ideale segnato da Gesù si può tradurre esistenzialmente così: «Prega più che puoi».

Ma l’espressione compiuta della preghiera è di essere domanda.

E, quindi, l’espressione originale dell’esistenza umana è domanda.

Nella preghiera dell’Ultima cena, con tutta la sconfinata grandezza dell’animo suo, mendicò il compiersi del Disegno «nascosto nei secoli» (Ef 3,9).

(115) Gesù ha con forza definito la natura di domanda che è la preghiera proprio come supremo realismo nei confronti della condizione umana.

(116) Se l’uomo oblitera ciò cui la preghiera dà consistenza, cioè la coscienza della totale dipendenza e dell’inevitabile stato di domanda, smarrisce sé stesso, rifiuta la salvezza.

Di fatto, l’evidente dipendenza ultima e totale esistenzialmente non può che tradursi in domanda.

Colui che ci fa, ci fa vita: l’accorgersi di Colui che ci fa, coincide con la domanda che ci faccia vita.

Se la grande consapevolezza non si traduce in domanda, non è vera consapevolezza.

La preghiera è soltanto domandare, domandare prendendo spunto da qualsiasi cosa.

Il fenomeno del nostro bisogno – qualunque esso sia – ci richiama alla dipendenza, è spunto per approfondire la coscienza della dipendenza da Dio:

Perciò è giusto chiedere qualunque cosa, con la clausola implicita che fu quella di Gesù nel Getsemanni: «Però non la mia, ma la tua volontà sia fatta» (Lc 22,42).

La sua volontà, infatti, significa la mia completezza, la felicità suprema, quella cui ogni domanda è funzione.

Come la mia origine è in mano sua, così il mio fine è in mano sua.

(120s) L’agire dell’uomo nel mondo si identifica, nel suo livello più cosciente, con la preghiera.

L’uomo è di fatto incapace di vivere compiutamente la grande dipendenza da Colui che è la sua verità e la proiezione di essa nella vita come dono, amore e servizio.

(121) Ha la coscienza annebbiata e una volontà indicibilmente annoiata nel dovere della preghiera, vive un egocentrismo, per cui a lungo andare, invece di ordinarsi al tutto, tenta di ordinare il tutto a sé; invece di darsi, tenta di prendersi, invece di amare, di sfruttare.

È ciò che la tradizione cristiana chiama peccato originale.

La persona non ha l’energia sufficiente a realizzare se stessa.

Per essere me stesso ho bisogno di un altro: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5b).


Presente – Presenza

(35s) Nell’ipotesi che il  mistero sia penetrato nell’esistenza dell’uomo parlandogli in termini umani, il rapporto uomo-destino non sarà più  basato su uno sforzo umano.

Sarà invece l’imbattersi in un presente.

Il problema starebbe tutto nel gesto puro della libertà che lo accetti o lo rifiuti.

Questo è il capovolgimento.

Non è più centrale lo sforzo di una intelligenza e di una volontà costruttiva, di una faticata fantasia, di un complicato moralismo: ma la semplicità di un riconoscimento; un atteggiamento analogo a chi vedendo un amico, lo individua tra gli altri e lo saluta.

La metodologia religiosa perderebbe in questa ipotesi tutti i suoi connotati inquietanti di rimando enigmatico a una lontananza, e coinciderebbe con la dinamica di una esperienza,  l’esperienza di un presente, l’esperienza di un incontro.

(36) L’imbattersi in una persona presente è una evidenza facile per il bambino e per il grande.

In simile ipotesi l’affermazione dell’unicità della strada che ne consegue non sarebbe più espressione di presunzione, ma obbedienza a un fatto, al fatto decisivo del tempo.

Rimane lo spazio a una sola fuga: negare la possibilità stessa di questo Fatto.

(40) Che un uomo abbia detto: «Io sono Dio» e che questo venga riferito come fatto presente è qualcosa che richiede prepotentemente una presa di posizione personale.

Ecco perché la società così spesso non vuol saperne di questo annuncio, vuole confinarlo nelle chiese, nelle coscienze.

Ciò che disturba è proprio la percezione della enormità dei termini del problema: che Egli sia o non sia esistito; meglio, constatare o non constatare che Egli sia, o sia esistito, questa è la decisione più grande dell’esistenza.

(53) (L’incontro dei due discepoli che sono da S. Giovanni Battista) Questa pagina riporta la memoria di un uomo che ha trattenuto tutta la vita negli occhi e nel cuore l’istante in cui la sua esistenza è stata investita da una presenza e capovolta.

(80) Proprio per il suo modo di proporsi comincia a nascere verso di Lui una ostilità, quando, cioè, egli prende a manifestare la propria presenza come pretesa di significato decisivo e di potere determinante nell’ambito della libertà della gente.

Per riconscere tale pretesa, chi ascolta deve rinunciare a se stesso, deve sacrificare l’autonomia del proprio criterio, in un modo così sensibile come può avvenire soltanto nell’amore.

(110) Siccome la volontà del Padre è nel mistero di Cristo, giustamente Egli aggiunge, tutto riferendo alla Sua Presenza: «Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato a un uomo prudente che ha fondato la sua casa sulla roccia ….. Ma chi ascolta queste mie parole e non le mette in pratica sarà simile a un uomo stolto che edificò la sua casa sopra la sabbia. Cadde la pioggia, vennero le inondazione, soffiarono i venti, imperversarono contro quella casa, ed essa crollò, e fu grande la sua rovina» (Mt 7,24-27).

È una ambiguità carica di menzogna una moralità che non parta da qualcosa che sia più dell’io, che non sia l’io: subdola forma per imporre se stesso a tutti è l’identificazione del dovere con la propria coscienza.

Mentre la coscienza è il luogo dove si percepisce la dipendenza, un luogo dove emerge la direttiva di un Altro.

Soltanto questa ipotesi fonda la libertà di coscienza.

La libertà, infatti, è responsabilità, cioè risposta a una Altro.

(131) Quella «X» smisurata è diventata presenza, è diventata Qualcun altro;

Non esiste nulla più umanamente desiderabile dalla nostra natura: la vita della nostra natura è amore, l’affermazione di un altro come significato di sé.


Pretesa

(31) Di fronte ad una inimmaginabile pretesa.

Nel nobile sforzo razionale, morale ed estetico che esprimono, tutte le religioni sono vere e che l’uomo, indotto dalle esigenze della sua umanità, deve compiere questo sforzo e avere quindi una religione.

Abbiamo visto poi che l’esigenza di una rivelazione è alla radice del tentativo e questo vale per le più diverse esperienze religiose.

Nella libertà e pluriformità dei tentativi e dei messaggi, se c’è un delitto che una religione può compiere è quello di dire «io sono la religione, l’unica strada».

È esattamente ciò che pretende il cristianesimo.

Sarebbe delitto in quanto risulterebbe una imposizione morale della propria espressione agli altri.

Conseguentemente non è ingiusto sentirsi ripugnare di fronte a tale affermazione: ingiusto rimarrebbe non domandarsi il perché di tale affermazione, il motivo di questa grande pretesa.

(43) C’è un fatto nella storia che pretende di essere la realizzazione propria della ipotesi che il mistero sia entrato nella traiettoria storica come un fattore di essa, come fattore perciò terrestre, umano.

Abbiamo visto che la genialità religiosa è tanto più vera quanto più è lontana da questa pretesa.

Ora, noi ci troviamo di fronte a un fenomeno religioso che invece si fonda su questa pretesa.

Accostiano dapprima quanto ci è stato tramandato come registrazione del dato; in un secondo momento affronteremo più da vicino il contenuto della pretesa.

(79ss) Fino a quando egli si dice «maestro» e chiede «seguimi», uno può riconoscerlo e andare con Lui oppure non seguirlo, e c’è ancora spazio per la semplice indifferenza, ma quando la sua proposta si chiarisce come pretesa di entrare nel dominio della nostra libertà, allora o lo si accetta, e diventa amore, o lo si rifiuta e diventa ostilità.

Nasce una avversione di fronte a qualcuno che in qualche modo metta in atto la centralità di una pretesa.

(80) Proprio per quel suo modo di proporsi comincia a nascere verso di Lui una ostilità, quando egli prende a manifestare la propria presenza come pretesa di significato decisivo e di potere determinante nell’ambito della libertà della gente.

Una dottrina che spieghi la vita può provocare consenso o negazione, ma ben diverso è quando una figura umana avanza una pretesa di possedere una importanza assoluta per la nostra vita.

Per riconoscere tale pretesa, chi ascolta deve rinunciare a sé stesso , deve sacrificare l’autonomia del proprio criterio, in modo così sensibile come può avvenire soltanto nell’amore.

Se questa rinuncia a sé è rifiutata, si desta una avversione radicale, profonda, che cercherà in tutti i modi di giustificarsi.

Colore che trasmettono preconcetti, li conservano, si ribellano contro questo insegnante di novità.

È intollerabile per loro.

Lo era e lo è ancora oggi. Lo sarà sempre.

(81) Resta però il fatto che il discriminante fondamentale pro o contro Cristo sta nella inconcepibile pretesa della sua Persona, nella novità assoluta della sua «natura» nell’inimmaginabile risposta alla domanda su Chi egli sia: questa è la chiave di volta per un salto qualitativo nella percezione di sé e nella immagine della vita.

(95s) Gesù, attribuendo a sé due celebri testi messianici dell’Antico Testamento – il salmo 110 e il capitolo 7 di Daniele – si è fermamente proclamato Messia.

Ma nella domanda stessa l’aggiunta al titolo di Messia, il Cristo, dell’espressione «Figlio di Dio»fa filtrare un allarme già esistente che Gesù con la sua dichiarazione conferma.

Il sinedrio risponde, con il suo gesto di indignazione, all’obiezione moderna secondo cui Gesù nel Vangelo, non si sarebbe proclamato Dio.

Evidentemente le autorità religiose del tempo riconoscevano in quella frase dell’uomo di Nazareth una identificazione del divino, una pretesa santità come confusione tra la realtà umana e quella divina, che giustificava l’accusa di bestemmia.

(127ss) Di fronte alla pretesa

(128) Ci siamo trovati di fronte alla affermazione di una realtà storica straordinaria: un uomo-Dio.

L’origine di questo fatto, di questa realtà si è chiamata, nella tradizione cristiana, Incarnazione.

(129) In quanto opera divina, l’Incarnazione è un mistero.

Prendere sul serio la pretesa di Cristo è profondamente razionale, poiché essa si è posta come un fatto nella storia, e come fatto generatore di un «nuovo essere», di una nuova creazione.

Sostenere a priori l’impossibilità di questo fatto, questo è irrazionale, in quanto così si abolisce la categoria della possibilità, che è propria della ragione, di una ragione autentica.

(133) Se Gesù è venuto, è, permane nel tempo con  la sua pretesa unica, irripetibile, e trasforma il tempo e lo spazio, tutto il tempo e tutto lo spazio.

Se Gesù è quello che ha detto di essere, nessun tempo e nessun luogo possono avere altro centro.


Pretesa di Gesù \ Cristo

 (46s) La pretesa di Gesù è l’unico fatto con il quale è interessante prendere contatto, è l’unico fatto costringente per l’intelligenza dell’uomo, e che richiede imperativamente una soluzione.

Non si dovrebbe rischiare quindi di mancarlo, ma occorre mettersi nelle condizioni migliori per raggiungere una convinzione in proposito.

Ora la convinzione nasce da qualcosa che si «dimostra».

La dimostrazione di cui stiamo parlando viene offerta dall’incontro evidente con un fatto, dalla presa di contatto con un avvenimento.

Occorre a questo punto ricordare che nessun contatto potrà avvenire se non si è disposti a farsi provocare dalla totalità di quel fatto.

Lo scotto che si paga a volerla evitare – cercando solo qualche cosa, o essendo disposti a farsi convincere colo da un tipo pijujttosto che da un altro tipo di elementi – ci condurrebbe inevitabilmente a perdere di vista che solo l’imponenza di quell’inaudita pretesa rende interessante la ricerca di tale imponenza può essere cercata solo nella globalità del fatto.

(47) Occorre quindi essere disposti a farsi provocare dalla totalità del fatto, che non consiste nell’inventario completo dei suoi fattori.

(49s) L’intelligenza del minimo indizio, benché l’uomo a un livello fondamentale ne disponga naturalmente per sopravvivere, ha bisogno di tempo e spazio perché arrivi ad essere evoluta.

(50) È questa dote che la «pretesa di Gesù» richiede per essere compresa.

Il moltiplicarsi dei segni riguardo alla sua persona conduce alla ragionevole conclusione che di Lui mi posso fidare.

(100s) Gesù nel Vangelo nota continuamente la necessità di questa che abbiamo chiamato genialità morale per poterlo comprendere o osserva come l’abitudine a un atteggiamento autosufficiente, non disponibile, renda impossibile percepire il valore rivelatore di ciò che compie.

(101) Significativi sono, in questo senso, i due grandi miracoli narrati nel Vangelo di Giovanni: la guarigione di un cieco dalla nascita e la resurrezione di Lazzaro.

In questi racconti sono vividamente scolpiti quegli atteggiamenti della libertà che rappresentano l’opposto  di quell’apertura disponibile che siamo chiamati a favorire per poter giudicare la plausibilità della pretesa di Gesù.

(102) (I farisei) mentre nel caso del cieco nato avevano avviato una specie di indagine sui fatti, di fronte alla resurrezione di Lazzaro decidono immediatamente di uccidere Gesù.

(129) Prendere sul serio la pretesa di Cristo è profondamente razionale, poiché essa si è posta come un fatto nella storia, e come fatto generatore di un «nuovo essere» di una nuova creazione.

Sostenere a priori l’impossibilità di questo fatto, questo è irrazionale, in quanto così si abolisce la categoria della possibilità, che è propria della ragione, di una ragione autentica.

(134) Dagli scribi e farisei di allora agli scribi e farisei di tutti i tempi – seguiti dalle loro folle – gli spunti per accusare l’incredibilità della pretesa di Cristo saranno sempre gli stessi: l’intollerabilità del paradosso della sua umanità; il suo apparente fallimento.


Pretesa rivelativa

(48) Quel racconto che stiamo per affrontare ha per scopo di percorrere le tappe di un incontro avvenuto con il portatore e l’oggetto  della più straordinaria pretesa rivelativa della storia umana.

Avverte de Lubac in La rivelazione divina e il senso dell’uomo:

«E’ impossibile dissociare Lui dal suo Vangelo. [ … ] Periodicamente, gli uomini ci provano: è voler dividere l’indivisibile. È tradire l’unico Vangelo, che è, come dicono le prime battute del Vangelo di San Marco, “La buona novella riguardante Gesù Cristo, figlio di Dio(Mc 1,1)»

Come osservava padre Rousselot in Manuel d’histoire des religions:

«Il cristianesimo è fondato su un fatto, il fatto di Gesù, la vita terrena di Gesù. E i cristiani sono, ancora oggi , quelli che credono che Gesù vive ancora. È questa l’originalità fondamentale della religione cristiana».


Principio etico


(83s) L’identificazione con il principio etico.

(84) Si tratta del Giudizio ultimo, e ciò che agisce in esso è il principio etico: non il legislatore,  ma l’origine, o meglio la natura del bene.

Gesù si è posto come discriminante tra il bene e il male, non tanto come giudice, ma come criterio di identità.

Questo, pur restando nell’ottica di una implicitezza, è l’affermazione più potente della coscienza che Cristo aveva della sua identità con il divino.

Perché il criterio del bene e del male coincide con il principio delle cose, con l’origine ultima della realtà.

La sorgente etica per eccellenza è il divino, il principio del bene coincide con il vero.

Vivere bene vuol dire servirlo, seguirlo.


Profetico – profeta – profezia

(52s) Era molto diffuso a quell’epoca il nome di Giovanni il Battista; si parlava di lui come del profeta che da 150 anni mancava al popolo ebraico, che dal fenomeno profetico era sempre stato accompagnato.

Da tutta la Giudea e la Galilea andavano a sentirlo parlare.

(53) Gesù, dunque, era anch’egli andato a sentire Giovanni Battista.

E Giovanni come afferrato dallo spirito profetico grida: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie i peccati dal mondo».

I suoi ascoltatori sono probabilemnte avvezzi a sentirlo esplodere in frasi non sempre comprensibili, e l’accettano perché dicono: «E’ un profeta».

(56) Tutti gli esperti delle profezie antiche concordavano nel dire che quello era il momento segnalato dai profeti, specialmente da Daniele, per la venuta del Messia.

(93) In qualunque genio umano c’è la profezia di un compimento che la persona di Cristo assicura di incarnare.

(130) Il fatto dell’Incarnazione è una trascendente risposta a una esigenza umana che il grande genio ha sempre saputo intuire.

Il canto di Leopardi «Alla sua donna» possiamo sentirlo come una profezia inconsapevole di Cristo 1800 anni dopo di Lui, profezia che esprime come un anelito a poter abbracciare quella fonte di amore intuita dietro il fascino della creatura umana.

(134) Si realizza la profezia del vecchio Simeone fatta nel tempio alla madre di Gesù.

Dagli scribi e farisei di allora agli scribi e farisei di tutti i tempi – seguiti dalle loro folle – gli spunti per accusare l’incredibilità della pretesa di Cristo saranno sempre gli stessi: l’intollerabilità del paradosso della sua umanità.

Queste obiezioni sono l’espressione del tentativo ultimo che la ragione compie per imporre a Dio un’immagine ideale di Lui.


Promessa

(10) La Bibbia narra che quando l’Ignoto, che pure ad Abramo si era palesato con la promessa di una grande discendenza, gli chiede di uccidere quel figlio che era stato donato come prima realizzazione di quella stessa promessa, quando cioè l’Ignoto si ripropone al patriarca con tutto il peso dei suoi disegni misteriosi e sfidanti, egli risponde: «Eccomi!».

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