Temi di “All’origine della pretesa cristiana”

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Lettera «R»



Ragione – ragionevolezza

(4) In tal senso la dimensione religiosa coincide con la dimensione razionale e il senso religioso coincide con la ragione nel suo ultimo profondo aspetto.

(6s) Dio, in quanto oggetto proprio ed esauriente della fame e della sete umane, dell’esigenza costitutiva della coscienza e della ragione, è sì una presenza perennemente incombente sull’orizzonte umano, ma si situa pur sempre al di là di esso.

Questa imperitura situazione di sproporzione e di inarrivabilità facilita l’insorgere nella coscienza dell’idea di mistero, la consapevolezza cioè che l’oggetto proprio e adeguato all’esigenza esistenziale è incommensurabile con la ragione come “misura”, con la capacità di misura che l’esigenza stessa ha.

L’oggetto cui l’uomo tende non è riconducibile a nessun raggiungimento, a nessun traguardo cui egli possa arrivare.

(7) L’uomo consapevole realizza così che il senso della realtà, vale a dire ciò cui la ragione tende, è una “X” ultimamente non comprensibile e che non può essere rinvenuta nella capacità di memoria della ragione.

È fuori.

La ragione al suo vertice può coglierne l’esistenza, ma una volta raggiunto questo vertice è come se essa venisse meno, non può andare oltre.

La percezione dell’esistenza del mistero rappresenta il vertice della ragione.

Ma, pur in questa impossibilità di arrivare a conoscere ciò di cui intuisce l’esistenza e che massimamente la concerne – si tratta infatti del senso delle cose, interessa in ogni interesse -, la ragione mantiene la sua struttura di esigenza conoscitiva: vorrebbe conoscere il destino suo.

San Tommaso dice che nella storia la ragione dell’uomo ha raggiunto qualcosa della verità del divino solo in alcuni grandi personaggi, dopo molto lavoro e non senza mescolanza di gravi errori.

Eppure la ragione è spinta da un impulso strutturale alla ricerca di una soluzione.

Anzi, la ragione secondo la sua natura, implica l’esistenza della soluzione.

(23) (LA Rivelazione/Incarnazione) Non può che essere ipotesi perfettamente ragionevole, corrispondente cioè all’impeto e coerente alla apertura dell’umana natura, pienamente inscritta dentro la grande categoria della possibilità.

La ragione non riesce a dir nulla di ciò che il mistero possa o non possa fare: proprio per essere fedele a sé stessa non può escludere nulla di ciò che il mistero possa intraprendere.

Se la ragione pretendesse imporre una misura al divino, ad esempio una impossibilità di questo entrare comunque nel gioco dell’uomo per sostenerlo nel suo cammino, se arrivasse alla negazione della rivelazione sarebbe l’ultima estrema forma di idolatria, l’estremo tentativo della ragione per imporre a Dio una propria immagine di Lui.

Prima di ogni altra considerazione, sarebbe un gesto estremo di irrazionalità.

(48) Il metodo descrive la ragionevolezza del rapporto con l’oggetto e stabilisce i  motivi adeguati con cui fare i passi nella conoscenza dell’oggetto.

(94) Sono sfide alla ragione (le dichiarazioni di Gesù) così come è vissuta, non certo alla ragione in tutta l’ampiezza del suo appetito conoscitivo.

Occorre notare che, se in luogo della parola “Abramo” ci fosse la parola ragione, e invece della parola “farisei” ci fosse “gli intellettuali”, tutta la dialettica sarebbe perfettamente applicabile alla tensione fede-cultura mondana propria dei nostri giorni.

(129) E’ compito della nostra coscienza verificare quanto questo avvenimento non sia contraddittorio  con le leggi della nostra ragione.

Prendere sul serio la pretesa di Cristo è profondamente razionale, poiché essa si è posta come fatto nella storia, e come fatto generatore di un “nuovo essere”, di una nuova creazione.

(133) Abbiamo mostrato come la ragione non possa a priori escludere l’ipotesi che il  mistero entrasse come fattore nuovo nella storia umana.


Religione-religiosità

(14) La religione è l’insieme espressivo di questo sforzo immaginativo, ragionevole nel suo impulso e vero per la ricchezza a cui può attingere, anche se degenerabile nella distrazione.

(31) Tutte le religioni sono vere e che l’uomo indotto dalla sua umanità deve compiere questo sforzo e avere quindi una religione.

Abbiamo visto che l’esigenza di una rivelazione è alla radice del tentativo e questo vale per le più diverse esperienze.

Nella libertà e pluriformità dei tentativi e dei messaggi, se c’è un delitto che una religione può compiere è quello di dire “io sono la religione, l’unica strada”.

È esattamente ciò che pretende il cristianesimo.

(102) Ridurre la religiosità alla pura spontaneità è il modo più sottile per perseguitarla, di esaltarne gli aspetti fluttuanti e provvisori, legati a una sentimentalità contingente.

(107ss) (L’abbandono a Dio) tale rapporto, unico, in quanto è riconosciuto e vissuto, è religiosità.

(108) La religiosità cristiana non sorge come gusto filosofico, ma dall’accanita insistenza di Gesù Cristo che vedeva nel rapporto con il Padre l’unica possibilità di salvaguardare il valore della singola persona.

La religiosità cristiana sorge come unica condizione dell’umano.

La religiosità conviene per salvare la propria persona.

(109) La dipendenza da Dio vissuta, cioè la religiosità, è la direttiva più appassionata che Gesù dà nel suo Vangelo.

L’insistenza sulla religiosità, è la direttiva più appassionata che Gesù dà nel suo Vangelo.

L’insistenza sulla religiosità è il primo assoluto dovere dell’educatore, cioè dell’amico, di colui che ama e vuole aiutare l’umano nel cammino al suo destino.

La religiosità in quanto tende a far vivere tutte le azioni come dipendente da Dio si chiama moralità.

(111) L’espressione della religiosità e della moralità in quanto coscienza della dipendenza da Dio si chiama preghiera.

(124) Gesù è venuto a richiamare alla religiosità vera, senza della quale è  menzogna ogni pretesa di soluzione.


Riconoscimento

(35) Questo è il capovolgimento. Non è più centrale lo sforzo di una intelligenza e di una volontà costruttiva, di una faticata fantasia, di un complicato moralismo: ma la semplicità di un riconoscimento.

(38) O è effettivamente un avvenimento emerso nell’esistenza dell’uomo dentro la storia, e richiede pertanto la constatazione di un accaduto, oppure resta una idea.

(88) Le opinioni su Gesù sono divise, ma vengono citati soltanto giudizi sommari.

A un riconoscimento, deciso ma incolore, si oppone la calunnia.


Rinunciare – rinuncia

(75s) La chiamata a seguirlo non si identifica solo con la prontezza a riconoscerlo giusto, meritevole di fiducia, ma è congiunta alla necessità di rinunciare a sé stessi.

Il senso profondo di questa rinuncia – la rinuncia a sé stessi come criterio – sarà destinato ad apparire più tardi nell’animo di chi lo seguiva.

(80) Per riconoscere tale pretesa (che Gesù sia il centro anche dei rapporti affettivi), chi ascolta deve rinunciare a sé stesso, deve sacrificare l’autonomia del proprio criterio, in un modo così sensibile come può avvenire soltanto nell’amore.


Rivelazione


(23ss) L’esigenza della Rivelazione.

Di fatto l’esigenza di una Rivelazione sottende l’attesa di una risposta adeguata da parte di quel senso della vita che non può essere braccato dall’uomo, né come conoscenza teorica, né come competitività di forze.

(24) L’uomo ha sempre espresso nella sua storia la convinzione di poter essere illuminato sul tutt’altro da sé, sull’Ignoto in quanto esso vuole manifestarsi nella realtà.

(26) In questa attesa di Rivelazione si avverte un’ansia, un turbamento che nasce dall’intuizione che in quell’incontro si sta ripristinando un rapporto perduto.

(27) Significativa della profondità sconvolgente del desiderio umano di rivelazione è, nell’antica Grecia, così lontana da una speranza di rapporto, l’esperienza dionisiaca.

(Dionisio sorprende per la molteplicità e la novità delle sue epifanie, per la varietà delle sue trasformazioni. È in perenne movimento).

(28) Ciò che accumuna gli iniziatori delle religioni è  la certezza di essere portatori di una essenziale rivelazione del Dio.

(30) (Israele) Una concezione di un Dio che si rivela nella storia che implica l’intuizione della possibile continuità di relazione tra l’uomo e Dio, che “l’avvenimento” concretizza come stimolo, insegnamento.

La fede di Israele è sempre stata un rapporto con un avvenimento, con una auto attestazione del divino della storia.

(33s) Il pretendere una rivelazione riassume la situazione dello spirito umano.

Ma che significa incarnarsi? Significa supporre che quella “X” misteriosa sia diventata un fenomeno, un fatto normale rilevabile nella traiettoria storica e agente su di essa.

Questa supposizione corrisponderebbe alle esigenze della rivelazione.

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