Temi di “All’origine della pretesa cristiana”

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Lettera «S»



Sacrificio

(10s) (Abramo ) se ne va, in quello strano mattino, con il figlio accanto verso un luogo che non conosce, per una ragione che non conosce, disposto a compiere il sacrificio dove Dio gli indicherà, sacrificio che poi per volontà del Signore non verrà consumato.

Abramo è in quest’attimo figura paradigmatica dell’uomo in tutta la sua statura e drammaticità, dell’uomo posto in quella vertigine, trascinato dentro quel vortice nel quale il Mistero lo avvolge.

(11) Una vertigine che normalmente si cerca di dimenticare, un vortice nel quale l’uomo normale non può reggere.

(118s)

«Prendete e mangiatene tutti; questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi»(Mt 16,26b; Lc 22,19b).

L’esistenza umana si snoda in un servizio al mondo, l’uomo completa sé stesso dandosi via, sacrificandosi.

L’esistenza umana è un consumarsi «per» qualcosa.

Questa è la grandezza dell’uomo: così come l’Essere che lo ha creato, la sua vita è di essere dono; egli è simile a Dio.

Così, il suo consumarsi deve divenire dono: egli è l’unica creatura che può essere cosciente di questo elemento strutturale del reale.

«Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9,24).

Ci viene così sottolineata la paradossalità di questa legge: la felicità attraverso il sacrificio.

Quanto più uno lo accetta, tanto più sperimenta in questo mondo una maggiore completezza.

Gesù la chiamava “pace”.

(119) Ci viene così proposta un personalità umana risultante di due componenti: il sacrificio e l’amore.


Sacro

(24)

«L’uomo conosce il sacro perché il sacro si manifesta. Una ierofania è una manifestazione del sacro, vale a dire un atto misterioso per cui il tutt’altro si manifesta in  un oggetto o in un essere di questo mondo profano.»


Salvezza

(76) Gesù però pretendeva non solo che lo seguissero realizzando un distacco da quello che possedevano, ma che fossero per «lui» di fronte alla società.

Egli richiede che l’uomo lo segua anche esteriormente, socialmente, e fa dipendere da questo il valore stesso dell’uomo, la salvezza.


Rifiuto della salvezza

(116) Se l’uomo oblitera ciò cui la preghiera dà consistenza, cioè la coscienza della totale dipendenza e dell’inevitabile stato di domanda, smarrisce sé stesso, rifiuta la salvezza.


Scandalo

(39) Kierkegaard nel suo Diario scrive:

«La forma più bassa dello scandalo, umanamente parlando, è lasciare senza soluzione tutto il problema intorno a Cristo. La verità è che è stato completamente dimenticato l’imperativo cristiano: tu devi. Che il cristianesimo ti è annunciato significa che tu devi prendere posizione di fronte a Cristo».

Un uomo non può accettare passivamente di essere distolto, distratto da un problema del genere, ed è in questo senso che Kierkegaard usa la parola «scandalo», secondo la sua etimologia greca, dove «skandalòn» significa impedimento.

Impedirebbe a sé stesso d’essere uomo colui che subito o lentamente si lasciasse portar via dalla possibilità di farsi un’opinione personale intorno al problema di Cristo.

(64) L’evangelista Matteo riporta che Gesù si prende vicino un bambino e lo mette in mezzo al gruppo, al centro dell’attenzione, e ammonisce tutti, perché non si osi fare del male a un bambino, e non parlava del male fisico, ma dello scandalo morale, del danno alla libertà di coscienza, di cui è più facile non curarsi.

(91s) Gesù percorre fermamente la strada della sua autorivelazione: rifiuta le accuse e afferma qualcosa destinato ad aggravare e aumentare lo scalpore e il clamore: «Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca e giudica. In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola non vedrà mai la morte».

(92) La reazione è violenta.

Lo scandalo di questa frase è grande.

(108) Gesù ha molto insistito su qualcosa che sconvolge i puristi. Diceva: ascoltatemi, vi conviene.

«Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te…Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te… Se il tuo occhio ti scandalizza: cavalo: è meglio per te…» (MC 9,43-48).

L’etimologia greca da cui deriva la parola «scandalo» ha in sé il significato di trappola, tranello.

Gesù ci avverte di non farci ingannare su quel rapporto definitivo con Dio: esso, cioè la religiosità, conviene per salvare la propria persona.


Seguire

(75s) Il maestro da seguire.

Innanzitutto Gesù chiede che lo si segua.

I primi modi con cui Gesù propone sé stesso sono così dalla gente comprensibili e accettabili.

Contengono una implicazione molto più grande, ma la gente non se ne accorge.

Quando Gesù ha detto ad Andrea, Giovanni e Simone: «Venite con me», ha fatto un invito che potevano benissimo capire.

Ripensando al loro passato, che grande significato acquistava allora quella parola udita: «Seguimi».

Ma nell’istante in cui l’hanno udita, il suo contenuto totale e profondo non poteva essere percepito.

La chiamata a seguirlo non si identifica solo con la prontezza a riconoscerLo giusto, meritevole di fiducia, ma è congiunta alla necessita di «rinunciare a se stessi».

Per seguire un altro occorre abbandonare la propria posizione, «sé stessi».

Così chiede ai discepoli che lo seguano anche a costo di doversi distaccare da ciò che è loro, come la vita famigliare o i beni posseduti.

(76) Anche il senso profondo di questa rinuncia – la rinuncia a sé stessi – come criterio – sarà destinato ad apparire più tardi nell’animo di chi lo seguiva.

Gesù però pretendeva non solo che lo seguissero realizzando un distacco da quello che possedevano, ma che fossero per Lui di fronte alla società.

Egli richiede che l’uomo lo segua anche esteriormente, socialmente (testimonianza) e fa dipendere da questo il valore stesso dell’uomo, la salvezza.

Perciò il Signore esprime questa traiettoria di insistenza: seguirlo; seguirlo fino al punto di abbandonare quanto si ritiene proprio.


Semplicità

(35s) Nell’ipotesi che il mistero sia penetrato nella esistenza dell’uomo parlandogli in termini umani, il rapporto uomo-destino non sarà più basato su uno sforzo umano, come costruzione e immaginazione, su uno studio volto a una cosa lontana, enigmatica, tensione di attesa verso un assente.

Sarà l’imbattersi in un presente.

Il problema starebbe tutto nel gesto puro della libertà che accetti o rifiuti.

Questo è il capovolgimento.

Non è più centrale lo sforzo di una intelligenza e di una volontà costruttiva di una faticata fantasia, di un complicato moralismo, ma la semplicità di un riconoscimento; un atteggiamento analogo a chi, vedendo arrivare un amico lo individua tra gli altri e lo saluta.

Nella dinamica rivelativa di questa ipotesi, l’accento primo non sarebbe più sulla genialità e sulla intraprendenza, ma sulla semplicità e sull’amore.


Senso religioso

(3s) In che cosa consiste il senso religioso? La dimensione religiosa dell’esistenza?

(4) Il senso religioso altro non è che quella natura originale dell’uomo per cui egli si esprime esaurientemente in domande «ultime» cercando il perché ultimo dell’esistenza in tutte le pieghe della vita e in tutte le suo implicazioni.

È nel senso religioso quindi l’espressione adeguata di quel livello della natura in cui la natura diventa coscienza del reale tendenzialmente secondo la totalità dei suoi fattori.

In tal senso la dimensione religiosa coincide con la dimensione razionale e il senso religioso coincide con la ragione nel suo aspetto ultimo e profondo.

Il card. Montini in una sua lettera quaresimale definì il senso religioso come la «sintesi dello spirito».

Esso coincide, quindi, con l’urgenza di raggiungimento totale e di una esauriente completezza e si colloca, nascosto, ma determinante, dentro ogni dinamismo, dentro ogni movimento della vita umana, la quale risulta perciò progetto sviluppato da quell’impeto globale, dal senso religioso.

(41) Una indagine sul senso religioso non porta a capire se il cristianesimo ci trasmette una notizia vera o falsa.

Il senso religioso è un fenomeno della persona, perciò abbiamo chiarito come il metodo per affrontarlo sia la riflessione su sé stessi.

Invece se Cristo abbia detto o no di essere Dio, e che sia o non sia Dio, e che ci raggiunge ancora oggi, è un problema storico, perciò il metodo deve essere corrispondente, e corrispondente alla gravità del problema.


Sfida

(89s) Benché ogni parola delle scritture sembrasse non aver segreti per loro, la loro capacità interpretativa non basta a controbattere Gesù.

Ma qualcosa di definitivo e di solenne deve essere giunto loro dal suo modo di ragionare, perché da quel giorno non gli hanno più fatto domande.

Un inizio di esplicita risposta era dunque stato dato: la natura di Gesù si svela come divina.

Un contenuto di sfida.

(90) Gesù ha certo visto le espressioni risentite sui volti dei presenti, e allora insiste nel volerli provocare fino all’estrema conseguenza.

(91) Gesù percorre ormai fermamente la strada della auto rivelazione: rifiuta le accuse e afferma qualcosa destinato ad aggravare ed aumentare lo scalpore e il clamore.

(93) Vi sono affermazioni davanti alle quali è come se il gioco egocentrico dell’animo fosse fatto esplodere.

(94) Sono sfide alla ragione così come è vissuta, non certo alla ragione in tutta la sua ampiezza.

Sono avvertimenti e annunci che non possono essere tollerati.


Sforzo

(13s) Lo sforzo umano di immaginazione del rapporto col Mistero è strettamente in funzione del nesso con il reale, e perciò espressione ragionevole.

(14) La religione è l’insieme espressivo di questo sforzo immaginativo, ragionevole nel suo impulso e vero per la ricchezza cui può attingere, anche se degenerabile nella distrazione e nella volontà di possesso del mistero.

Ogni uomo compie, lui personalmente, per ciò stesso che esiste, questo tentativo di identificare, di immaginare ciò che dà senso.


Sforzo (dignità dello sforzo)

(31) Nel nobile sforzo razionale, morale ed estetico che esprimono, tutte le religioni sono vere e che l’uomo, indotto dalle esigenze della sua umanità, deve compiere questo sforzo e avere quindi una religione.

Nella libertà e pluriformità dei tentativi e dei messaggi, se c’è un delitto che una religione può compiere è quello di dire «io sono la religione, l’unica strada».

È esattamente ciò che pretende il cristianesimo.


Sguardo

(54) Si sente guardato e si sente dire: «Tu sei Simone figlio di Giovanni, ti chiamerai Pietro».

Così Pietro, attraverso quello sguardo si trova afferrato fin dentro il suo carattere, rubesto, granitico.

(61ss) La sua intelligenza sventava ogni tentativo di coglierlo in fallo.

Gli trascinano una donna colta il flagrante adulterio; gli chiedono se a suo parere, si dovesse applicare la legge di Mosé lapidandola o no.

Lui li lascia dire, guardandoli con quello sguardo penetrante per cui tutto il cuore del uomini si sentiva scoperto, poi si curva e con una mano traccia disegni sulla polvere.

(62) Il miracolo più grande, da cui erano colpiti i discepoli tutti i giorni, non era quello delle gambe raddrizzate, della pelle mondata, della vista riacquistata.

Il miracolo più grande era uno sguardo rivelatore dell’umano cui non ci si poteva sottrarre.

Non c’è nulla che convinca l’uomo come uno sguardo che afferri e riconosca ciò che esso è, che scopra l’uomo a sé stesso.

(Zaccheo) E’ stato semplicemente penetrato e accolto da uno sguardo che lo riconosceva e lo amava come era.

La capacità di cogliere il cuore dell’uomo è il miracolo più grande, il più persuasivo.

(63) È difficile che una persona potente sia veramente buona.

In Gesù invece i suoi testimoni hanno potuto vedere quello sguardo non solo potente, prodigioso, non solo intelligente, non solo captante, ma buono.

(104) E’ nello sguardo realistico che Egli porta sull’esistente umano, è qui dove il cuore che cerca il suo destino ne percepisce la verità dentro la voce di Cristo che parla.

Fattore fondamentale dello sguardo di Gesù Cristo è l’esistenza nell’uomo di una realtà superiore a qualsiasi realtà soggetta al tempo e allo spazio.


Simbolo – simbolismo

(25) Così il simbolo e il mito sono stati vissuti  nella storia dell’uomo come i grandi strumenti per eccellenza conoscitivi e rivelativi del mistero.

Il simbolismo religioso, colto nell’esistenza e nella vita dell’homo religiosus, ha una funzione di rivelazione.

I simboli religiosi che toccano le strutture della vita rivelano una vita che trascende la dimensione naturale e umana.


Sintonia

(49) La necessaria sintonia con l’oggetto che si vuole arrivare a conoscere è una disposizione viva che si costruisce nel tempo, nella convivenza.

Ad esempio, nel Vangelo, ha potuto capire che di quell’Uomo bisognava avere fiducia, chi gli andò dietro e condivise la sua vita, non la folla che andava a farsi guarire.


Società

(124) Il problema dell’umana convivenza manca della giusta impostazione e perciò generano sempre maggior confusione nella storia del singolo e dell’umanità nella misura in cui non si fondano sulla religiosità nel tentativo della propria soluzione. («Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù» Mt 19,29).


Spazio

(49s) Anche questa intelligenza del minimo indizio, benché l’uomo a un livello fondamentale ne disponga naturalmente per sopravvivere, ha bisogno di tempo e spazio perché arrivi ad essere evoluta.

(50) È questa dote che la «pretesa di Gesù» richiede per poter essere compreso.

(59) Dalla convivenza deriverà una conferma di quella eccezionalità, di quella diversità che fin dal primo momento li aveva percossi.

Con la convivenza tale conferma si ingrandisce.

Nel Vangelo dunque viene documentato che il credere abbraccia la traiettoria della convinzione in un successivo ripetersi di riconoscimenti, cui occorre dare spazio e un tempo perché avvengano.

È talmente vero che la conoscenza di un oggetto richiede spazio e tempo, che a maggior ragione questa legge non può essere smentita da un oggetto che si pretenda unico.

Anche coloro che furono i primi ad incontrare quella unicità hanno dovuto seguire questa strada.


Speranza

(125) La concezione della vita umana in Gesù Cristo è quindi essenzialmente una tensione, una lotta; è un camminare; è una ricerca – ricerca della propria completezza, cioè del proprio essere «se stesso».

Riconoscere e seguire Cristo genera così un atteggiamento esistenziale caratteristico per cui l’uomo è un camminatore eretto e infaticabile verso una meta non ancora raggiunta, certo del futuro perché tutto poggiato sulla Sua presenza (speranza); nell’abbandono e nell’adesione a Gesù Cristo fiorisce una affezione nuova a tutto (carità) che genera una esperienza di pace, l’esperienza fondamentale dell’uomo in cammino.


Sproporzione

(6) Dio, […] è sì una presenza perennemente incombente sull’orizzonte umano, ma si situa pur sempre al di là di esso.

E quanto più l’uomo spinge l’acceleratore della sua ricerca tanto più questo orizzonte retrocede, si sposta .

Questa imperitura situazione di sproporzione e di inarrivabilità facilita l’insorgere nella coscienza dell’idea di mistero, la consapevolezza cioè che l’oggetto proprio e adeguato all’esigenza esistenziale è incommensurabile con la ragione come «misura», con la capacità di misura che l’esigenza stessa ha.

(8s) Quando nel Vecchio Testamento l’oracolo di Dio diceva «Le mie vie non sono le vostre vie, i miei pensieri non sono i vostri pensieri»(Is 55,8), richiamava gli israeliti proprio a questa sproporzione che esistenzialmente non può non risultare  esperienza di contraddizione.

L’uomo coglie nell’attimo la sua condizione vertiginosa, misura la sua sproporzione.

(9) Innumerevoli sono nella storia umana le testimonianze del disorientamento da un lato e del senso di impotente rassegnazione, dall’altro che quella vertigine, quella sproporzione incolmabile provoca nell’uomo, a tutta la latitudine e in tutte le epoche.

(10) Grande si erge in questo contesto la figura di Abramo.

La Bibbia narra che quando l’Ignoto, che pure gli si era palesato con la promessa di una grande discendenza, gli chiede di uccidere quel figlio che era stato donato come prima realizzazione di quella promessa, quando cioè l’Ignoto si ripropone al patriarca con tutto il peso dei suoi disegni misteriosi e sfidanti, egli risponde: «Eccomi!»

E se ne va, in quello strano mattino, con il figlio accanto verso un luogo che non conosce, per una ragione che non conosce, disposto a compiere il sacrificio dove Dio gli indicherà, sacrificio che poi la volontà del Signore non verrà consumato.,

(11) L’uomo, dunque, pur avendo dimostrato lungo tutto il suo cammino di aver percepito il senso di questa sproporzione primordiale, avendola gridata e modulata in diversi accenti, mostra però di non riuscire a ricordarsene nella sua pratica di vita.

Subentra sempre un desiderio di piegare il destino al proprio volere, un desiderio di fissare il significato o il valore a proprio piacimento.

(42) Dal punto di vista della storia del sentimento religioso dell’umanità occorre osservare che la genialità religiosa dell’uomo quanto più è grande tanto più percepisce, sperimenta la sproporzione tra Dio e l’uomo.

L’esperienza religiosa è proprio la coscienza vissuta della piccolezza dell’uomo dell’incommensurabilità del Mistero.


Storia

(43) Come è sorto nella storia il problema.

C’è un fatto nella storia il quale pretende di essere la realizzazione propria della ipotesi che il mistero sia entrato nella traiettoria storica come il fattore di essa, come fattore terrestre, umano.

Noi ci troviamo di fronte a un fenomeno religioso che si fonda su questa pretesa.

(75) Quando Gesù ha detto ad Andrea, Giovanni, Simone: «Venite con me», ha fatto loro un invito che potevano benissimo capire.

Proviamo a proiettarci ora a trent’annidi distanza da quel primo istante, quando i discepoli sparsi in tutto il mondo allora conosciuto sono diventati originatori di una realtà totalmente nuova.

Ripendando al proprio passato che grande significato acquistava allora quella prima parola udita: «Seguimi!».

Ma quell’istante in cui l’hanno udita, il suo contenuto totale e profondo non poteva essere percepito.

(136s) […] Il destino non ha lasciato da solo l’uomo.

Il cristianesimo è un avvenimento che è stato annunciato nei secoli e ci raggiunge ancora oggi.

Il vero problema è che l’uomo lo riconosca con amore.

(137) Il cristiano ha da compiere la funzione non solo più grande, ma anche più tremenda della storia.

È funzione tremenda perché destinata a provocare irragionevoli reazioni.

Mentre è supremamente ragionevole affrontare e verificare l’ipotesi alle condizioni che essa pone, e più precisamente come un fatto accaduto nella storia e che in essa permane.


Stupore

(71) «Chi è mai costui?»E l’interrogativo dei discepoli rieccheggiava sulla bocca degli avversari di Gesù verso la fine della sua vita, quando anche essi sono costretti dai fatti a chiedere: «Fino a quando ci terrai con il fiato sospeso? Dicci da che parte vieni, chi sei?» (Gv,24).

È la stessa richiesta dei discepoli in chiave opposta: ostile, e rabbiosa; mentre per i primi è in chiave di stupore.

(113) La vita si esprime innanzitutto come coscienza di rapporto con chi l’ha fatta e la preghiera è accorgersi che “in questo” momento la vita è fatta.

Stupore devoto, rispetto, soggezione amorosa in questo gesto di consapevolezza: ecco l’anima della preghiera.

La realtà come fascino è il primissimo grado di questo atteggiamento mistico, che è il più naturale dell’uomo, l’aspetto più elementare di una nostra consapevolezza.

(127s) Tutta quanta la vita pubblica di Gesù ci ha dimostrato una profonda capacità di dominio della natura: essa gli obbediva, come un servo obbedisce al padrone.

E abbiamo anche messo in risalto che la gente senza pregiudizi e preconcetta ostilità, accusasse stupore di fronte a questo spettacolo quotidiano: il potere di Gesù non era sporadico.

(126) Percorrendo quindi la traiettoria, dallo stupore alla convinzione, di coloro che hanno seguito Gesù e ascoltando le risposte che Egli via via diede alle domande emergenti in chi gli stava accanto, ci siamo trovati di fronte all’affermazione di una realtà storica straordinaria: uomo-Dio.

(134) Così dopo lo stupore di fronte all’innegabilità e alla eccezionalità delle opere di Cristo, la resistenza al contenuto supremo del suo  messaggio si è subito verificata intorno a Lui.

Dagli scribi e farisei di allora agli scribi e farisei di tutti i tempi – seguiti dalle loro folle – gli spunti per accusare l’incredibilità della pretesa di Cristo saranno sempre gli stessi: l’intollerabilità del paradosso della sua umanità.

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