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Lettera «T»
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Tempo
(50) L’intelligenza del minimo indizio, benché l’uomo ad un livello fondamentale ne disponga naturalmente per sopravvivere, ha bisogno di tempo e spazio, perché arrivi ad essere evoluta.
(59) Nel Vangelo viene documentato che il credere abbraccia la traiettoria della convinzione in un successivo ripetersi di riconoscimenti, cui occorre dare uno spazio e un tempo perché avvengano.
È talmente vero che la conoscenza di un oggetto richiede spazio e tempo, che a maggior ragione questa legge non può essere smentita da un oggetto che si pretenda unico.
(69) Il giudizio richiede di affrontare l’esperienza includendovi il tempo della sua durata.
Senza i tempo di questa convivenza l’oggetto reale resta inconoscibile, mentre la certezza morale, quella che nasce da una spalancata disponibilità, fedele nel tempo, è la culla di una esistenza ragionevole.
Per questo Gesù per rispondere alla domanda che fu degli amici e dei nemici: «Ma allora tu chi sei?» ha atteso che il tempo rendesse i discepoli certi del loro attaccamento e i nemici pertinaci nella loro ostilità.
Tenerezza
(63) E’ bello leggere il Vangelo andando a rintracciare gli spunti appena, appena accennati, i particolari sottili che rivelano la capacità di tenerezza di Gesù, la sua commossa solidarietà con l’umano.
Il suo primo gesto è un atto di tenerezza, poi le restituirà il figlio vivo.
Testimonianza
(49) Abbiamo già visto che qui l’oggetto non consiste né in una lista di proposizioni, né nella plausibilità di una cronaca, ma nella veridicità di una testimonianza riguardo a una persona vivente che ha, unica, preteso di essere il destino del mondo, il Mistero entrato a far parte della storia.
(76) Egli richiede che l’uomo lo segua anche esteriormente e socialmente (testimonianza), e fa dipendere da questo valore la salvezza.
(95) Davanti alla provocazione sulla testimonianza che era venuto a dare, Gesù non poté tacere.
Allora tutto il consiglio grida alla bestemmia e proclama Gesù reo di morte.
Tradizione
(14) (La religione) è un complesso espressivo che sarà concettuale, pratico e rituale, e che dipenderà dalla tradizione, dall’ambiente, dal momento storico, come anche da ogni singolo temperamento personale.
(21) Perciò se si vuol dare una norma, non assoluta, ma di convenienza, si dovrebbe dire: ogni uomo segua la religione della sua tradizione.
Ma il consiglio di vivere la religione della propria tradizione rimane l’indicazione fondamentale senza pretese.
Tutto
(119s) La destinazione dell’io è darsi al tutto, la sua legge è darsi al tutto.
L’uomo al di fuori della coscienza del tutto, si sentirà sempre prigioniero o annoiato.
L’uomo a differenza degli animali e delle altre cose è consapevole del rapporto che passa tra il suo emergente istinto e il tutto, l’ordine delle cose.
L’ordinare l’istinto allo scopo, cioè al tutto, è il fondamentale dono di sé al tutto: è il cosiddetto dovere, la cui essenza quindi, non può che essere amore, cioè consegna di sé.
Il “tutto” in ultima analisi è l’espressione di una persona: Dio (“Sia fatta la sua volontà”).
Qualsiasi dovere, dunque, è coscienza della volontà di Dio (“Venga il tuo regno”).
L’agire dell’uomo si identifica, nel suo livello più cosciente, con la preghiera.
In questo senso non c’è nulla di profano, tutto è collaborazione, dialogo nel grande tempio dell’Essere, di Dio.
