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Lettera «C»
Links ai singoli temi
- Cambiamento
- Carità
- Certezza
- Compagnia
- Compassione
- Completezza
- Comunità cristiana
- Concretezza
- Condivisione
- Conoscenza
- Consapevolezza
- Convenienza/convenire
- Conversione/convertirsi
- Convinzione
- Convivenza
- Coscienza
- Creatività religiosa
- Cristianesimo/cristiano
Cambiamento
(132) Il mistero dell’Incarnazione stabilisce il metodo che Dio ha creduto opportuno scegliere per aiutare l’uomo ad andare da Lui.
Questo metodo si può riassumere così: Dio salva l’uomo attraverso l’uomo.
Questo metodo risponde magnificamente :
- Alla natura dell’uomo, che è carica di esigenza di sensibilità.
- Alla dignità della libertà umana, in quanto Dio la assume come collaboratrice della sua opera.
Discende da ciò come si debba agire per riconoscere l’intervento di Dio nella nostra vita: attraverso la ricerca, aderire innanzitutto alla nostra natura e tener presente che l’esito di una nostra ricerca può esigere un cambiamento radicale, una rottura del limite stesso della nostra natura.
Carità
(125) Riconoscere e seguire Cristo (fede) genera un atteggiamento esistenziale caratteristico per cui l’uomo è un camminatore eretto ed infaticabile verso una meta non ancora raggiunta, certo del futuro perché tutto poggiato sulla Sua Presenza (speranza).
Nell’abbandono e nell’adesione a Gesù fiorisce una affezione nuova a tutto (carità) che genera una esperienza di pace, l’esperienza fondamentale del cammino dell’uomo.
Certezza
(49) Il primo rilievo riguarda il fatto che io sono tanto più abilitato ad aver certezza su di un altro, quanto più sto attento alla sua vita, condivido la sua vita.
Il secondo rilievo riguarda il fatto che, quanto più uno è potentemente uomo, tanto più è capace di raggiungere certezze sull’altro da pochi indizi.
(54ss) Sono stati là fino a scordarsi che giungeva l’ora in cui i loro compagni sarebbero usciti a pescare la sera, sono stati là e hanno raggiunto quella certezza che hanno comunicato.
(55) È un incalzare di certezze comunicate con naturalezza.
Questa pagina di Giovanni (1,35-51), così come è formulata, ci testimonia qualcosa che è valido da allora fino a quando il sole continuerà a spuntare sul mondo, ora e domani.
(56) Ci testimonia la modalità profonda e semplicissima con cui l’uomo ha capito, capisce e capirà Cristo.
Non c’è sproporzione apparente tra quella modalità semplicissima tra quell’uomo che invita a casa e la certezza di quei due: «Abbiamo trovato il Messia», certezza che poi si ripercuote in Simone, Filippo, Natanaele.
Ecco nella certezza di aver trovato il messia tutto sembra conchiuso.
Ma questo è solo il punto di partenza.
Vedremo adesso nel capitolo secondo di Giovanni quale sviluppo prenda tale certezza: vedremo cioè il proseguimento della prima percezione.
(58) Quando si incontra una persona importante per la propria vita, c’è sempre un primo momento in cui lo si presente; qualcosa dentro di noi è messo alle strette dall’evidenza di un riconoscimento ineludibile: «Ecco, è lui», «ecco è lei».
Ma solo lo spazio dato al ripetersi di questa documentazione carica l’impressione di peso esistenziale.
Solo cioè la convivenza fa entrare sempre più profondamente e radicalmente in noi, fino a che, a un certo punto, diviene certezza.
(65)Il sorgere di una domanda e l’irrompere di una certezza.
Gesù appare in ogni circostanza un essere superiore a ogni altro.
C’è in lui qualcosa, un «mistero», perché non si è mai incontrata una tale saggezza, un tale ascendente, un tale potere, una tale bontà.
Ma il margine di eccezionalità di quell’uomo era tale che nasceva spontanea una domanda paradossale: «Chi è?».
(66) Paradossale perché di Gesù si conoscevano benissimo l’origine, i dati anagrafici, la sua famiglia, la sua casa.
Così si domanda a lui chi egli sia.
Soltanto che gli amici, quando lui dà la risposta, credono alla Sua parola per l’evidenza dei segni indiscutibili cheimpongono la confidenza; i nemici, invece, non accettano quella risposta e decidono di eliminarlo.
(68s) Gesù: «Volete andarvene anche voi?».
Ed è qui che Pietro con la sua veemenza sbotta nella frase che riassume tutta la loro esperienza di certezza: «Signore, anche noi non comprendiamo quello che dici, ma se andiamo via da te, da chi andiamo? Tu solo hai parole che spiegano, che danno senso alla vita»
Un caso di certezza morale.
Psicologicamente la frase di Pietro è l’applicazione dell’osservazione che abbiamo già fatto sulla certezza esistenziale o morale.
Quell’atteggiamento è infatti profondamente ragionevole.
Sulla base della convivenza con l’eccezionalità dell’essere e degli atteggiamenti di Gesù quel gruppetto non poteva non affidarsi alle sue parole.
Nel tempo hanno acquistato una certezza senza paragoni su quell’uomo.
(69) Il giudizio richiede di affrontare l’esperienza includendovi il tempo della sua «durata».
Senza il tempo di questa convivenza l’oggetto reale resta inconoscibile, mentre
la certezza morale, quella che nasce da una spalancata disponibilità, fedele nel tempo, è la culla di una esistenza ragionevole.
(85) Ricordando il concetto di certezza morale ne abbiamo rievocato un corollario: la natura ci permette di ottenere certezza circa l’umano comportamento – proprio perché fondamentale nella vita – più velocemente di altri tipi di certezza, attraverso cioè l’intuizione della convergenza di tanti indizi verso un punto.
Quanto più uno condivide la vita di una persona, tanto più è capace di certezza morale al riguardo, perché la congerie di indizi si moltiplica.
Compagnia
(113) La vita si esprime, innanzitutto come coscienza di rapporto con chi l’ha fatta e la preghiera è accorgersi che in «questo» momento la vita è «fatta».
Soltanto così la solitudine è eliminata: nella scoperta dell’Essere come amore che dona Se stesso continuamente.
L’esistenza si realizza sostanzialmente come dialogo con la grande Presenza che la costituisce, compagno indivisibile.
La compagnia è nell’io
non esiste nulla che facciamo da soli.
Ogni amicizia umana è riverbero dell’originale struttura dell’essere, e se lo nega rischia la sua verità.
(121s) La persona non ha l’energia sufficiente a realizzare se stessa.
Per essere me stesso ho bisogno di un altro: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5b).
Gesù ci ha insegnato che chi accetterà il suo messaggio di salvezza non potrà esimersi dall’affrontare questo problema di sincerità con se stessi, da questo realismo nel considerare l’uomo:
non si può essere se stessi da soli.
La compagnia, quella che poi si chiamerà la comunità cristiana, è essenziale per il suo cammino.
«Nessuno viene al Padre se non attraverso me» (Gv 14,6b).
(122) Il che equivale a dire, una volta di più, che l’uomo non può realizzare se stesso se non accettando l’amore di un Altro.
Compassione
(63) È bello leggere il Vangelo andando a rintracciare gli spunti appena appena accennati, i particolari sottili che rivelano la capacità di tenerezza di Gesù, la sua commossa solidarietà con l’umano.
Come quando in una città si imbatte in un funerale e viene a sapere che il morto è il figlio unico di una madre vedova.
Subito lo muove il dolore della donna ed egli le dice: «Donna non piangere».
Il suo primo gesto è un atto di tenerezza, poi le restituirà il suo figlio vivo. Non gli era stato richiesto né i miracolo né il gesto di profonda compassione.
(66) Gesù, che soleva ogni tanto ritirarsi a pregare, si era un giorno visto seguire da una gran folla e a lungo, una folla che presto avrebbe avuto fame.
Mosso a compassione li aveva miracolosamente sfamati.
Completezza
(116s) E’ giusto chiedere qualunque cosa, con la clausola implicita che fu quella di Gesù nel Getzemani: «Però non la mia, ma la tua volontà sia fatta» (Lc 22,42).
La sua volontà, infatti, significa la mia completezza,
la felicità suprema, quella cui ogni domanda è funzione.
Come la mia origine è in mano sua, così il mio fine è in m ano sua.
(117) Lo scopo dell’agire (dell’uomo), se in ultima analisi è la sua completezza, o felicità, immediatamente però è servire il tutto di cui fa parte.
In quanto parte del mondo l’uomo deve servirlo, anche se tutto l’universo ha per scopo di aiutarlo a raggiungere meglio la sua felicità.
Comunità cristiana
(121) Gesù ci ha insegnato che chi accetterà il suo messaggio di salvezza non potrà esimersi dall’affrontare questo problema di sincerità con se stessi, di questo realismo nel considerare l’uomo:
Non si può essere se stessi da soli.
La compagnia, quella che poi si chiamerà comunità cristiana, è essenziale per il suo cammino.
«Nessuno viene al Padre se non attraverso me» (Gv 14,6b)
Il che equivale a dire, una volta di più, che l’uomo non può realizzare se stesso se non accettando l’amore di un Altro.
(125) Non è compito di Gesù risolvere gli umani problemi, ma richiamare alla posizione in cui l’uomo correttamente può cercare di risolverli.
Il concetto cristiano dell’umana esistenza prevede che mai la comunità umana aderirà integralmente con la sua libertà alla condizione da Gesù richiamata.
Perciò la vita dell’umanità in questo mondo sarà sempre dolorosa e confusa.
Ma il compito di coloro che hanno scoperto Gesù Cristo – il compito della comunità cristiana – è proprio quello di realizzare il più possibile la soluzione degli umani problemi in base al richiamo di Gesù.
Non c’è nulla di più anticristiano che il concepire la vita come qualcosa di comodo e soddisfatto, come una possibile felicità contingente.
Concretezza
(57) Il miracolo delle nozze di Cana è una delle pagine più significative della concezione che Gesù ha della vita: qualsiasi aspetto dell’esistenza, anche il più banale, è degno del rapporto con Lui e quindi determinante, cioè rivelatore, proprio per la specifica e unica caratteristica del fatto «Gesù», la cui azione nei confronti dell’umano si realizza in una estrema e dettagliata concretezza, in ogni aspetto della vita, autorivelando così in progressione il suo stesso essere.
Condivisione
(49) Condivisione e convivenza.
Il primo rilievo riguarda il fatto che io sono tanto più abilitato ad aver certezza su di un altro, quanto più sto attento alla sua vita, cioè condivido la sua vita.
Il secondo rilievo richiama il fatto, che, quanto più uno è potentemente uomo, tanto più è capace di raggiungere certezze sull’altro da pochi indizi.
Conoscenza
(9) Senofane :
«Nessun uomo ha conosciuto né mai conoscerà ciò che è la verità certa a proposito degli dei … supponendo che riuscisse perfettamente a dirla, tuttavia egli stesso non la saprebbe: si tratta solo di opinioni su tutte le cose».
(58s) Quando si incontra una persona importante per la propria vita, c’è sempre un primo momento in cui lo si pre-sente: qualcosa dentro di noi è messo alle strette dall’evidenza di un riconoscimento ineludibile: «ecco, è lui», «ecco, è lei».
Ma solo lo spazio dato al ripetersi di questa documentazione carica l’impressione di peso esistenziale.
Solo cioè la convivenza la fa entrare sempre più radicalmente e profondamente in noi, fino a che, a un certo punto, diviene certezza.
E questa strada di «conoscenza» riceverà nel Vangelo ancora molte conferme, avrà bisogno cioè di molto sostegno, tant’è vero che quella formula «e i suoi discepoli credettero in Lui» si trova più volte ripetuta, fino alla fine.
Quella conoscenza sarà una persuasione che avverrà lentamente e nessun passo successivo smentirà i precedenti: anche prima avevano creduto.
(59) Dalla convivenza deriverà una conferma di quella eccezionalità, di quella diversità che fin dal primo momento li aveva percossi.
Con la convivenza tale conferma si ingrandisce.
Nel Vangelo dunque vine documentato che il credere abbraccia la traiettoria della convinzione in un successivo ripetersi di riconoscimenti, cui occorre dare una spazio e un tempo perché avvengano.
È talmente vero che la conoscenza di un oggetto richiede spazio e tempo, che a maggior ragione questa legge non può essere smentita da un oggetto che si pretende unico.
Consapevolezza
(111) Una consapevolezza che si esprime in domanda.
L’espressione della religiosità e della moralità in quanto coscienza della dipendenza da Dio si chiama preghiera.
La preghiera è coscienza ultima di sé, come coscienza di dipendenza costitutiva.
(116) Se l’uomo oblitera ciò cui la preghiera dà consistenza, cioè la coscienza della totale dipendenza e dell’inevitabile stato di domanda, smarrisce se stesso, rifiuta la salvezza.
L’evidente dipendenza ultima e totale esistenzialmente, non può che tradursi in domanda.
Colui che ci fa, ci fa vita: l’accorgersi di Colui che ci fa, coincide con la domanda che ci faccia vita.
Noi siamo fatti come simpatia e sete di vita.
Se la grande consapevolezza, di cui abbiamo parlato, non si traduce in domanda, non è vera consapevolezza.
Consapevolezza dello scopo
(119) Due fattori noteremo nell’umano dinamismo, come ci vien definito dall’eredità cristiana.
- L’istintività. È ciò che mi trovo addosso, ciò che mi determina, mi stimola. Proprio da questo l’uomo è introdotto al servizio della realtà: da un complesso di dati da cui non può prescindere.
- Tale attrattiva, stimolo, impulso contingente hanno un fine. Perciò il secondo fattore è la coscienza del fine proprio a questo fascio si istintività. La natura umana, ha come fattore del suo dinamismo non solo la sua urgenza, ma anche la consapevolezza dello scopo di quell’urgenza stessa.
L’uomo a differenza degli animali e delle altre cose è consapevole del rapporto che passa tra il suo emergente istinto e il tutto, cioè l’ordine delle cose.
Convenienza /convenire
(108) Gesù ha molto insistito su qualcosa che sconvolge i puristi.
Diceva: «Ascoltatemi, vi conviene».
Gesù ci avverte di non farci ingannare su quel rapporto definitivo con Dio: esso, cioè, la religiosità, conviene per salvare la propria persona.
Notiamo che niente è più farisaico dello stracciarsi le vesti per un dovere compiuto in vista di un premio, niente è più schiavizzante del cosiddetto dovere per il dovere.
La coincidenza del dovere con la felicità è la cosa più concreta che, sia pure per approssimazioni, la natura ci insinui.
Conversione/convertirsi
(21) Può essere che un incontro nella vita faccia balenare la presenza di un annuncio, di una dottrina, di una morale di una emozione più adeguata alla propria ragione maturata, o alla storia del proprio cuore.
Allora uno potrà «cambiare», «convertirsi» (Newman in Apologia pro vita sua osserva che la «conversione» altro non è che la scoperta più profonda e più autentica di ciò cui si aderiva prima).
Convinzione
(46) La pretesa di Gesù è l’unico fatto col quale è interessante prendere contatto, è l’unico fatto costringente per l’intelligenza dell’uomo, e che richiede imperativamente una soluzione.
Non si dovrebbe quindi rischiare di mancarlo, ma occorre mettersi nelle migliori condizioni per raggiungere una convinzione in proposito.
Ora la convinzione nasce sempre da qualcosa che si «dimostra».
La dimostrazione di cui stiamo parlando viene offerta dall’incontro evidente con un fatto, dalla presa di contatto con un avvenimento.
(57) Traiettoria della convinzione.
Il miracolo delle nozze di Cana – questo strano portento per cui alla fine del pranzo l’acqua è diventata vino – è una delle pagine più significative della concezione che Gesù ha della vita: qualsiasi aspetto della vita, anche il più banale, è degno del rapporto con Lui e quindi del suo intervento.
Ogni tipo di evento è determinante, cioè rivelatore, proprio per la specifica e unica caratteristica del fatto «Gesù», la cui azione nei confronti dell’umano si realizza in una estrema e dettagliata concretezza, in ogni aspetto della vita, autorivelando così in progressione il suo stesso essere.
(59) Nel Vangelo viene documentato che il credere abbraccia la traiettoria della convinzione in un successivo ripetersi di riconoscimenti, cui occorre dare uno spazio e un tempo perché avvengano.
(73) Gesù ha usato una intelligenza pedagogica nel definirsi.
Lo ha fatto lentamente così da provocare negli altri una graduale evoluzione per assimilazione, attraverso processi destinati a favorire per una specie di osmosi la convinzione.
(128) Percorrendo quindi la traiettoria – dallo stupore alla convinzione – di coloro che hanno seguito Gesù e ascoltando le risposte che egli dava alle domande emergenti in chi li stava accanto, ci siamo trovati di fronte all’affermazione di una realtà storica straordinaria: un uomo-Dio.
Convivenza
(49) Condivisione e convivenza.
Il primo rilievo riguarda il fatto che io sono tanto più abilitato ad aver certezza su di un altro, quanto più sto attento alla sua vita, cioè condivido la sua vita.
La necessaria sintonia con l’oggetto che si vuole arrivare a conoscere è una disposizione viva che si costruisce nel tempo, nella convivenza.
(58s) Quando si incontra una persona importante per la propria vita, c’è sempre un primo momento in cui lo si pre-sente; qualcosa dentro di noi è messo alle strette dall’evidenza di un riconoscimento ineludibile: «ecco è lui», «ecco, è lei».
Ma solo lo spazio dato al ripetersi di questa documentazione carica l’impressione di peso esistenziale.
Solo la convivenza la fa entrare sempre più radicalmente e profondamente in noi, fino che, a un certo punto, diviene certezza.
E questa strada di «conoscenza» riceverà nel Vangelo ancora molte conferme, avrà cioè bisogno di molto sostegno, tanto è vero che quella formula «e i suoi discepoli credettero in lui» si trova più volte ripetuta, fino alla fine.
Quella conoscenza sarà una persuasione che avverrà lentamente e nessun passo successivo smentirà in precedenti: anche prima avevano creduto.
(59) Dalla convivenza deriverà una conferma di quella eccezionalità, di quella diversità che fin dal primo momento li aveva percossi.
Con la convivenza tale conferma si ingrandisce.
Nel Vangelo dunque viene documentato che il credere abbraccia la traiettoria della convinzione in un successivo ripetersi di riconoscimenti, cui occorre dare uno spazio e un tempo perché avvengano.
(68s) Sulla base della convivenza con l’eccezionalità dell’essere e degli atteggiamenti di Gesù quel gruppetto non poteva non affidarsi alle sue parole.
La continua reiterazione che la convivenza realizzava di questa impressione di eccezionalità determinava un giudizio di ragionevolissima plausibilità del loro affidarsi a Lui.
Nel tempo essi hanno acquistato su quell’uomo una certezza senza paragoni.
(69) Senza il tempo di questa convivenza, l’oggetto reale resta inconoscibile, mentre la certezza morale, quella che nasce da una spalancata disponibilità, fedele nel tempo, è la culla di una esperienza ragionevole.
(74) Perché quel contesto si illuminasse di indizi rivelatori sarebbe stata necessaria la convivenza.
Coscienza
(110) E’ una ambiguità carica di menzogna, una moralità che non parta da qualcosa che sia più dell’io, che non sia l’io: subdola forma per imporre se stessi a tutti è l’identificazione del dovere con la propria coscienza.
Mentre la coscienza è il luogo dove si percepisce la dipendenza, un luogo dove emerge la direttiva di un Altro.
Soltanto questa ipotesi fonda la libertà di coscienza:
la libertà, infatti, è responsabilità, cioè risposta a un Altro.
(113s) Se la coscienza è la trasparenza di ciò che l’uomo è, la coscienza di sé lo porta alla conclusione che in ogni preciso momento l’uomo stesso è fatto da un Altro, che il suo io è un Altro che lo fa.
La vita si esprime, dunque, innanzitutto come coscienza di rapporto con chi l’ha fatta e la preghiera è accorgersi che in questo momento la vita è fatta.
Stupore devoto, rispetto, soggezione amorosa in questo gesto di consapevolezza: ecco l’anima della preghiera.
(114) Questa coscienza non è completa, se non si approfondisce fino al fondamento da cui la vita sorge.
L’atto di preghiera sarà necessario per allenarci a tale coscienza di ogni azione.
Per questo il più alto vertice della preghiera non è l’estasi, cioè una coscienza del fondo tale che uno smarrisce il senso del solito; ma piuttosto vedere il il fondo come si vedono le cose solite.
L’ideale segnato da Gesù si può tradurre esistenzialmente così: «Prega più che puoi».
È la formula della coscienza di fronte all’Ideale; è la formula della libertà dell’uomo in cammino.
Creatività religiosa
(13) Di fronte all’enigma ultimo l’uomo ha cercato di immaginare e definire tale Mistero in rapporto a sé, di concepire quindi un modo di relazione con esso e di esprimere tutti i riflessi estetici che l’immaginazione di quest’Ultimo gli dava.
(15) Di fronte al mistero che percepisce come determinante per sé, l’uomo riconosce la potenza e, non resistendo ad affidarsi sine glossa a un «ignoto», cerca comunque di immaginarlo in rapporto a sé, secondo termini in funzione di sé.
Innumerevoli sono le tracce di questa creatività lasciate dall’uomo lungo il suo cammino, dalla preistoria ad oggi.
(18) Vorrei concludere questi brevi accenni sulla creatività religiosa considerando la dignità di questo sforzo dell’uomo.
Cristianesimo – cristiano
(3) Affrontare il cristianesimo significa affrontare un problema pertinente al fenomeno religioso.
Non considerare il cristianesimo in modo comunque riduttivo dipende dalla comprensività e completezza con cui uno percepisce e considera il fatto religioso come tale.
Se, perciò, il mio scopo è quello di situare l’emergenza del cristianesimo, è utile recuperare alcuni aspetti decisivi del senso religioso in generale.
(31) Un delitto che una religione può compiere è quello di dire «io sono la religione, l’unica strada».
E’ esattamente ciò che pretende il cristianesimo.
(38ss) La domanda: «È vero che Gesù è intervenuto nella storia?» è costretta a riferirsi a quella pretesa senza paragone che rappresenta il contenuto di un ben preciso messaggio, è costretta a diventare quest’altra domanda: «Chi è Gesù?» il cristianesimo sorge come risposta a questa domanda.
(39) Kierkegaard nel suo Diario scrive:
«La forma più bassa dello scandalo, umanamente parlando, è lasciare senza soluzione tutto il problema intorno a Cristo. La verità è che è stato completamente dimenticato l’imperativo cristiano: tu devi. Che il cristianesimo ti è stato annunziato significa che tu devi prendere posizione di fronte a Cristo. Egli, o il fatto che Egli esiste, o il fatto che sia esistito, è la decisione di tutta l’esistenza».
Per inciso vorrei notare che si può essere convinti di vivere da cristiani, in qualcosa che definirei «truppa cristiana», senza che questo problema sia stato veramente risolto per la propria persona, senza che essa sia liberata da quell’impedimento.
(40)
L’imperativo cristiano è che il contenuto del messaggio suo si pone come un fatto.
Una insidiosa slealtà culturale ha reso possibile, per l’ambiguità e la fragilità anche dei cristiani, la diffusione di una vaga idea di cristianesimo come discorso, dottrina e perciò magari favola o morale.
L’imperativo riguarda però un’altra flessione del fatto: la venuta di quell’uomo è una notizia trasmessa fino a oggi, fino a oggi quell’evento è stato proclamato, annunciato, come l’evento di una Presenza.
Che un uomo abbia detto: «Io sono Dio» e che questo venga riferito come un fatto presente è qualcosa che richiede prepotentemente una presa di posizione personale.
(109) L’umano è inesistente originalmente, se non nel singolo, nella persona.
Questa insistenza è tutto quanto il richiamo di Gesù Cristo.
Non si può pensare di cominciare a capire il cristianesimo se non partendo dalla sua origine di passione alla singola persona.
(136s) Il fatto dell’Incarnazione, l’inconcepibile pretesa cristiana è rimasta nella storia sostanzialmente nella sua interezza: un uomo che è Dio – che, dunque, conosce l’uomo e che l’uomo deve seguire per avere la vera conoscenza di sé stesso e delle cose.
Il cristianesimo è un avvenimento che è stato annunciato nei secoli e ci raggiunge ancor oggi. Il vero problema è che l’uomo lo riconosca con amore.
(137) Il cristiano ha da compiere la funzione non solo più grande, ma anche più tremenda della storia.
È funzione tremenda perché destinata a provocare irragionevoli reazioni.
Mentre è supremamente ragionevole affrontare e verificare l’ipotesi alle condizioni che essa si pone, e più precisamente come un fatto accaduto nella storia e che in essa permane.
