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Lettera «E»
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Ebraismo
(20) Assumere di dover conoscere tutte le religioni che la storia umana produce, al fine di poter operare una scelta razionalmente dignitosa, è un criterio la cui astrattezza coincide con la impossiblità di applicazione.
Si potrebbe allora ripiegare sul criterio di cercare almeno di conoscere le religioni più «importanti» o quelle numericamente più seguite: per esempio, l’ebraismo, il cristianesimo, l’islam, il buddismo.
Ma questo criterio risulta inevitabilmente parziale.
Ad esempio lo sarebbe stato 2000 anni fa a Roma quando […] c’era nell’Urbe un gruppetto di persone che sia Tacito che Svetonio credevano una «piccola setta» di ebrei legati «a un certo Cristo»
Eccezionale – eccezionalità
(56) Quelli che entrano in contatto con Lui si sentono attratti dalla sua personalità eccezionale.
(59s) Dalla convivenza deriverà una conferma di questa eccezionalità, di quella diversità che fin dal primo momento li aveva percossi.
Con la convivenza tale conferma si ingrandisce.
Nel Vangelo dunque viene documentato che il credere abbraccia la traiettoria della convinzione in un successivo ripetersi di riconoscimenti, cui occorre dare uno spazio e un tempo perché avvengano.
(60) Quei primi amici, e altri che si sono aggiunti, assistono quotidianamente e sempre più alla eccezionalità, alla esorbitanza di quella personalità.
Ciò che colpisce non è solo il ripetersi del fatto che i prodigi riempiono addirittura la sua giornata.
Le cose, il tempo e lo spazio gli obbediscono senza alcun apparato «magico».
Il Vangelo nota che giongeva a sera «stanco di guarire», avendo cioè esercitato senza interruzione il suo potere sulla realtà fisica.
(65) Ma il margine di eccezionalità di quell’uomo era tale che nasceva spontanea una domanda paradossale: «Chi è costui?».
Paradossale perché di Gesù si conoscevano benissimo l’origine, i dati anagrafici, la sua famiglia, la sua casa.
Così si domanda a Lui chi Egli sia.
Soltanto che gli amici, quando dà la risposta, credono alla Sua parola per l’evidenza dei segni indiscutibili che impongono la confidenza; i nemici, invece, non accettano quella risposta e decidono di eliminarlo.
(68s) Sulla base della convivenza con l’eccezionalità dell’essere e degli atteggiamenti di Gesù, quel gruppetto non poteva non affidarsi alle sue parole.
La continua reiterazione che la convivenza realizzava di questa impressione di eccezionalità determinava un giudizio ragionevolissima plausibilità del loro affidarsi a Lui.
Certo, il balenare di quell’eccezionalità nella folla che andava a vederlo per curiosità o per tornaconto e poi se ne andava senza affrontare quello che li aveva sfiorati non poteva determinare alcun giudizio degno di essere chiamato tale.
(69) Il giudizio richiede di affrontare l’esperienza includendovi il tempo della sua «durata».
(71) L’eccezionalità del comportamento di Gesù era tale che anche l’evidenza del suo contesto familiare, della sua storia personale non valeva più a definirlo.
(128) I suoi avversare, per faziosità, non accettavano la posizione di Nicodemo, e si impedivano così di vedere semplicemente i fatti.
La faziosità, infatti, è là dove una idea diventa una posizione, anziché obbedienza alla realtà.
Essi, così, lo abbiamo visto, tentarono di spiegare le sue opere in modo diverso: ma non potevano negarne la eccezionalità..
(134) È proprio questa percezione da parte dell’uomo d’essere scalzato come misura di sé che pone l’uomo in termini di rifiuto, con il pretesto di non voler vedere offuscata l’inaccessibilità del mistero, di non rendere impura con antropologismi l’idea di Dio, di rispettare la libertà propria.
Così, dopo lo stupore di fronte alla innegabilità e alla eccezionalità delle opere di Cristo, la resistenza al contenuto supremo del suo messaggio si è subito verificata intorno a Lui.
Nella natura nessun passo della vita è realizzato se non per passaggi infinitesimali.
Educazione – educativo
(73s) Gesù ha usato una intelligente pedagogia nel definirsi.
Lo ha fatto lentamente così da provocare negli altri una graduale evoluzione per assimilazione, attraverso processi destinati a favorire per una specie di osmosi la convinzione.
Del resto, nella natura, nessun passo della vita è realizzato se non per passaggi infinitesimali.
L’educazione migliore è quella impostata in modo che l’educazione avvenga senza che chi affronta il passaggio se ne accorga.
Meno scontro c’è, più normale è lo sviluppo.
(74) Gesù, quindi, seguì una linea educativa nella quale dapprima tradusse in espressioni implicite e concrete quell’idea che alla fine doveva esprimere apertamente.
La concretezza – l’idea che si incarna – e l’implicito – far capire senza definire astrattamente – restano la più naturale ed efficace linea educativa.
(99) Una educazione alla moralità necessaria per comprendere.
Il valor di una persona non viene da noi colto direttamente, come se lo vedessimo.
L’intimità personale si lascia comprendere nella misura in cui si rivela – e si rivela attraverso i gesti, come attraverso dei segni..
Per cogliere e giudicare il valore di una persona attraverso i suoi gesti, occorre una genialità umana.
Si tratta si una capacità psicologica.
La compongono tre fattori: sensibilità naturale, la completezza dell’educazione e l’attenzione.
(102) Grande è la responsabilità dell’educazione: quella capacità di comprendere, infatti, pur rispondendo alla natura, non è una spontaneità.
(127s) Si può dire sinteticamente che il suo operare prodigi rispondeva a una urgenza etica, costituiva un richiamo morale, realizzava una educazione ideale.
Esperienza
(35s) Se Dio avesse manifestato nella storia umana una sua volontà particolare, avesse tracciato una sua strada per raggiungerlo, il problema centrale del fenomeno religioso non sarebbe più il tentativo, che pure esprime la più grande dignità dell’uomo, di «fingersi» il dio: il problema starebbe tutto nel gesto puro della libertà che accetti o rifiuti.
Non è più centrale lo sforzo di una intelligenza e di una volontà costruttiva, di una faticata fantasia, di un complicato moralismo: ma la semplicità di un riconoscimento: un atteggiamento analogo a chi, vedendo arrivare un amico, lo individua tra gli altri.
La metodologia religiosa perderebbe in questa ipotesi tutti i suoi connotati inquietanti di un rimando enigmatico a una lontananza, e coinciderebbe con la dinamica di una esperienza, l’esperienza di un presente, l’esperienza di un incontro.
(36) Nella dinamica rivelativa di questa ipotesi l’accento primo non sarebbe più sulla genialità e sull’intraprendenza, ma sulla semplicitàe sull’amore.
Amore che rappresenta l’unica vera dipendenza dell’uomo, l’affermazione dell’Altro come consistenza di se stessi, scelta suprema della libertà.
(122) Per giungere a una definizione di libertà occorre osservare la nostra esperienza. Essa ci ottiene una impressione di libertà quando otteniamo soddisfazione di un desiderio.
Esplicitezza
(87) Il primo affiorare di una esplicitezza.
Benché ogni parola delle Scritture sembrava non aver segreti per i farisei, la loro capacità interpretativa non bastava a controbattere Gesù.
Ma qualcosa di definitivo e di solenne deve essere giunto loro dal suo ragionare perché da quel giorno non gli hanno fatto più domande.
Un inizio di esplicita risposta era dunque stato dato: la natura di Gesù si svela come divina.
Evidenza
(36) L’imbattersi in una persona presente è una evidenza facile per il bambino e per il grande.
(58) Quando si incontra una persona importante per la propria vita, c’è sempre un primo momento in cui lo si pre-sente: qualcosa dentro di noi è messo alle strette dall’evidenza di un riconoscimento ineludibile.
(66) Così si domanda a Lui chi egli sia.
Soltanto gli amici, quando Lui dà la risposta, credono alla Sua parola per l’evidenza dei segni indiscutibili che impongono la confidenza; i nemici, invece, non accettano quella risposta e decidono di eliminarlo.
(68) (Gli apostoli) Sulla base della convivenza con l’eccezionalità dell’essere e degli atteggiamenti di Gesù, quel gruppetto non poteva non affidarsi alle sue parole.
Avrebbero dovuto negare un’evidenza che da Lui emanava, molto più delle loro ipotesi.
(86) Pietro: «Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente».
Aveva raggiunto quell’evidenza che gli faceva pensare di Gesù «Se non posso fidarmi di quest’uomo, no posso fidarmi neppure di me stesso».
