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Lettera «F»
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Fascino
(113) La vita si esprime innanzitutto come coscienza di rapporto con chi l’ha fatta e la preghiera è accorgersi che in «questo momento» la vita è «fatta».
Stupore devoto, rispetto, soggezione amorosa in questo gesto di consapevolezza: ecco l’anima della preghiera.
La realtà come fascino è il primissimo grado di questo atteggiamento mistico, che è il più naturale dell’uomo, l’aspetto più elementare di una nostra consapevolezza.
Ma, nell’esempio e nell’insegnamento di Gesù, stupore, soggezione, fascino diventano trasparenza di una familiarità ineffabile.
Soltanto così la solitudine è eliminata: nella scoperta dell’Essere come amore che dona se stesso continuamente.
(130) Il fatto dell’Incarnazione è infine una trascendente risposta a una esigenza umana che il grande genio ha sempre saputo intuire.
Il canto di Leopardi Alla sua donna possiamo sentirlo come una profezia inconsapevole di Cristo 1800 anni dopo di lui, profezia che si esprime come anelito a poter abbracciare quella fonte di amore intuita dietro il fascino della creatura umana.
Fatto
(39s) Per il fatto che viene raggiunto dalla notizia che un uomo ha dichiarato: «Io sono Dio», l’uomo non può disinteressarsene, dovrà cercar di raggiungere il convincimento che la notizia è vera o è falsa.
Impedirebbe a se stesso di essere uomo colui che subito o lentamente si lasciasse portar via dalla possibilità di farsi un’opinione personale intorno al problema di Cristo.
Un fatto ha la sua inevitabilità.
Nella misura in cui il fatto ha un contenuto importante, eluderlo, con la persistente e irrazionale distrazione di cui l’uomo è paradossalmente capace, deforma gravemente la personalità umana.
(40s) L’imperativo cristiano è che i contenuto del messaggio suo si pone come un fatto.
Una insidiosa slealtà culturale ha reso possibile, per l’ambiguità e la fragilità anche dei cristiani, la diffusione di una vaga idea del cristianesimo come discorso, dottrina e perciò magari favola o morale.
No: è anzitutto un fatto, un avvenimento, un uomo che è entrato nel novero degli uomini.
L’imperativo riguarda però anche un’altra flessione del fatto: la venuta di quell’uomo è una notizia trasmessa fino ad oggi, fino a oggi quell’evento è stato proclamato, annunciato, come l’evento di una Presenza.
(41) Occorre rendersi ben conto che il problema riguarda una questione di fatti.
(43ss) C’è un fatto nella storia il quale pretende di essere la realizzazione propria della ipotesi che il mistero sia entrato nella traiettoria storica come un fattore di essa, come fatto terrestre, umano.
Noi disponiamo di un documento storico che è arrivato fino a noi a mostrarci come per la prima volta sia sorto il problema: i Vangeli.
I Vangeli non sono, come è stato ampiamente documentato, «rapporti stenografici» di quello che Gesù faceva e diceva, né vogliono essere o possono essere «resoconti o protocolli storici» dei suoi discorsi.
Gli autori sacri hanno scritto i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose fra le molte che venivano tramandate a voce o anche per iscritto, sintetizzandone alcune, spiegandone altre in rapporto alla situazione delle chiese, conservando infine il carattere di annuncio, sempre però in modo tale da riferire su Gesù con sincerità e verità.
Siamo a questo modo avvertiti di non essere messi di fronte a tutti i fatti accaduti, ma certo a dei fatti accaduti, consegnatici dal ricordo di testimoni mossi dall’urgenza e dall’imperativo di farne conoscere la portata ai singoli e all’umanità.
(45) Ci troviamo dunque di fronte a un documento che ha a che fare con la memoria e, in modo originale, con l’intenzione dell’annuncio: la forma del documento è data da questa intenzione.
Quello che si vuole percorrere è il ricordo di un fatto eccezionale trasmesso da qualcuno che ritiene vitale farlo conoscere ad altri.
(46) Ora la convinzione nasce da qualcosa che si «dimostra».
La dimostrazione di cui stiamo parlando viene offerta dall’incontro evidente con un fatto, dalla presa di contatto con un avvenimento.
Occorre a questo punto ricordare che nessun contatto potrà avvenire se non si è disposti a farsi provocare dalla totalità del fatto.
(47) Occorre essere disposti a farsi provocare dalla totalità del fatto, che non consiste nell’inventario completo dei suoi fattori.
È questo l’essenziale, l’oggetto rivelato non è concepito come una serie di proposizioni […] ma è riconosciuto nella sua unità originaria come il mistero di Cristo, la realtà di un essere personale e vivente.
(48) Il cristianesimo è fondato su un fatto, il fatto di Gesù, la vita terrena di Gesù.
E i cristiani, sono anche oggi, quelli che credono che Gesù vive ancora.
È questa l’originalità fondamentale della religione cristiana.
Un fatto è un criterio alla portata di chiunque.
Un fatto si può incontrare, nel fatto ci si può imbattere purché si sia messi nelle condizioni di poterlo vedere.
Come potremo afferrare il fatto di Cristo per valutarne la pretesa?
Cominciando a percorrerne la memoria e l’annuncio che di Lui fanno coloro che ne sono stati afferrati.
(97) L’affermazione di Gesù è semplicemente un fatto, e i fatti fanno venire a galla l’atteggiamento di fondo del cuore umano, se cioè è chiuso o aperto di fronte al Mistero dell’essere.
Il problema cristiano si risolve con gli stessi termini con cui si pone: o ci si trova davanti a una follia o quell’uomo, che dice di essere Dio, è Dio.
Fede
(125) Non c’è nulla di più anticristiano che il concepire la vita come qualcosa di comodo e soddisfatto, come una possibile felicità contingente.
Riconoscere e seguire Cristo (fede) genera così un atteggiamento esistenziale caratteristico per cui l’uomo è un camminatore eretto e infaticabile verso una meta non ancora raggiunta, certo del futuro perché tutto poggiato sulla Sua presenza (speranza); nell’abbandono e nell’adesione a Gesù Cristo fiorisce un’affezione nuova a tutto (carità), che genera un’esperienza di pace, l’esperienza fondamentale dell’uomo in cammino.
Fede e cultura
(94) Tutta la dialettica tra Gesù e i farisei è perfettamente applicabile alla tensione fede-cultura dei nostri giorni.
(105) Gesù dimostra nella sua esistenza una passione per il singolo, un impeto per la felicità dell’individuo che ci porta a considerare il valore della persona come qualcosa di incommensurabile, irriducibile.
Il problema dell’esistenza del mondo è la felicità del singolo uomo.
(116ss) La sua volontà, infatti, significa la mia completezza, la felicità suprema, quella cui ogni domanda è funzione.
Come la mia origine è in mano sua, così il mio fine è in mano sua.
(117) Se l’uomo come essere (persona) è qualcosa di più grande del mondo, come esistente (come dinamismo vivo) è parte del cosmo.
Perciò lo scopo del suo agire, se in ultima analisi è la compiutezza, o felicità, immediatamente è il servire il tutto di cui fa parte.
In quanto parte del mondo l’uomo deve servirlo, anche se tutto l’universo ha per scopo di aiutarlo a raggiungere meglio la sua felicità.
(118) L’esistenza umana si snoda in un servizio al mondo, l’uomo completa se stesso dandosi via, sacrificandosi.
Questa è la grandezza dell’uomo: così come l’Essere lo ha creato, la sua vita è di essere dono; egli è simile a Dio.
Così il suo consumarsi deve divenire dono: egli è l’unica creatura che può essere cosciente di questo elemento strutturale del reale.
«Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà»(Lc 9,24).
Ci viene così sottolineata la paradossalità di questa vita: la felicità attraverso il sacrificio.
(119) La destinazione dell’io essendo il tutto, la sua legge è darsi al tutto.
L’uomo, al di fuori della coscienza del tutto, si sentirà sempre prigioniero e perseguitato.
Felicità
(105) Gesù dimostra nella sua esistenza una passione per il singolo, un impeto per la felicità dell’individuo che ci porta a considerare il valore della persona come qualcosa d’incommensurabile, irriducibile.
Il problema dell’esistenza del mondo è la felicità del singolo uomo.
(116ss) Lo scopo del suo (dell’uomo) agire, se in ultima analisi è la sua completezza, o felicità, immediatamente però è servire il tutto di cui fa parte.
In quanto parte del mondo l’uomo deve servirlo, anche se tutto l’universo ha per scopo di aiutarlo a raggiungere meglio la sua felicità.
«Forse che fine della fine è vivere? […] non vivere, ma morire […] e dare in letizia ciò che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna! […] che vale il mondo rispetto alla vita? E che vale la vita se non per essere consumata?»
P. Claudel – L’annuncio a Maria
Fidarsi – fiducioso – fiducia
(17s) Questo atteggiamento di fiducia è già presente nelle religioni più antiche, come quella egizia.
Con lo stesso accento di fiducia in un misterioso soccorritore inizia il Corano.
In alcuni tra i più antichi passi coranici è mirabilmente espressa questa confidente convinzione nella sollecitudine del Dio verso una creatura che è «sua».
(18) E come non ricordare, nel contesto della religione di Israele, lo stupendo testo profetico di Osea, assunto anche poi dalla tradizione cristiana?
Qui il profeta proclama l’atteggiamento di fiducia assoluta nella sollecitudine divina facendo parlare così il Signore di Israele.
(50) Il moltiplicarsi dei segni riguardo alla sua persona conduce alla ragionevole conclusione che di Lui mi posso fidare.
L’uomo infatti è capace di fidarsi perché intuisce i motivi adeguati per credere in un altro e per aderire a ciò che egli afferma.
Il ragazzo che impara a nuotare deve saper ricordare, in quel preciso istante in cui gli è necessario, che ha valide ragioni per fidarsi del suo istruttore. Può venirgli d’istinto, ma può anche non essere allenato.
