Temi di “All’origine della pretesa cristiana”

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Lettera «G»



Genio/genialità

(14s) Nella dinamica della vita umana c’è un ruolo che è creativo per la società: è il ruolo del genio.

Il genio è un carisma eminentemente sociale, che esprime in mezzo alla umana compagnia i fattori sentiti dalla compagnia stessa in modo talmente più acuto degli altri che tutti si sentono più espressi dalla sua creatività che neanche dai loro tentativi.

(15) Nella storia umana il genio religioso coagula intorno a sé, esprimendo il talento della stirpe meglio di chiunque altro, tutti coloro che, partecipando al suo ambiente storico-culturale, sentono in lui valorizzati i dinamismi della loro ricerca dell’Ignoto.

(42s) Dal punto di vista della storia del sentimento religioso dell’umanità occorre osservare che la genialità religiosa dell’uomo quanto più è grande tanto più percepisce, sperimenta, la sua distanza da Dio o la supremazia di Dio, la sproporzione tra Dio e l’essere umano.

Quanto più un uomo ha il genio del religioso tanto meno sente la tentazione di identificarsi col divino.

(43) C’è un fatto nella storia il quale pretende di essere la realizzazione propria della ipotesi che il mistero sia entrato nella traiettoria storica come un fattore di essa, come fattore perciò terrestre umano.

Abbiamo visto che la genialità religiosa è tanto più vera quanto più è lontana da questa pretesa.

Ora, noi ci troviamo di fronte a un fenomeno religioso che invece si fonda su questa pretesa.

(49s) Condivisione e convivenza: due rilievi.

  • Io sono tanto più abilitato ad aver certezza su di un altro, quanto più sto attento alla tua vita, cioè condivido la tua vita.
  • Il secondo rilievo richiama il fatto che, quanto più uno è potentemente uomo, tanto più è capace di raggiungere certezze sull’altro da pochi indizi. Questo è propriamente il genio dell’umano.

Anche questa intelligenza del minimo indizio, benché l’uomo a un livello fondamentale ne disponga naturalmente per sopravvivere, ha bisogno di tempo e spazio, perché arrivi ad essere evoluta.

(50) È questa dote che la «pretesa di Gesù» richiede per essere compresa.

Il moltiplicarsi dei segni riguardo alla sua persona conduce alla ragionevole conclusione che di Lui mi posso fidare.

(93) In qualunque genio umano c’è la profezia di un compimento che la persona di Cristo assicura di incarnare.

(99s) Per cogliere e giudicare il valore di una persona attraverso i suoi gesti occorre una genialità – «una genialità umana» -.

Si tratta di una capacità psicologica più o meno sviluppata o più o meno favorita.

La compongono tre fattori: una sensibilità naturale, la completezza dell’educazione e l’attenzione.

In particolare, per verificare l’attendibilità di un fatto inerente a una personalità morale religiosa, occorre avere in sé una genialità morale e religiosa la quale permetta di interpretare i gesti di quella persona come segni significativi in questo senso.

Ma domandiamoci: che cosa è la morale?

Essendo in gioco l’elementare rapporto del particolare con il tutto, (la genialità) è più definibile come originale atteggiamento di disponibilità e di dipendenza, non di autosufficienza; come una volontà di affermazione dell’essere, non di sé.

Si tratta qui del sentimento proprio della creatura, cioè dell’essere in quanto dipendente, e si tratta della radice stessa della religiosità.

Gesù nel Vangelo nota continuamente la necessità di questa che abbiamo chiamato genialità morale per poterlo comprendere e osserva come l’abitudine a un atteggiamento autosufficiente, non disponibile, renda impossibile percepire il valore rivelatore di ciò che compie.

(102) Quella che abbiamo chiamato genialità religiosa, quello spalancamento ultimo dello spirito, pur a partire da doti naturali diverse in ciascuno di noi, è qualcosa in cui deve continuamente impegnarsi la persona.

Grande è la responsabilità dell’educazione: quella capacità di comprendere, infatti, pur rispondente alla natura, non è spontaneità.

(130) Il fatto dell’Incarnazione è infine una trascendente risposta a una esigenza umana che il grande genio ha sempre saputo intuire.

IL canto di Leopardi Alla sua donna possiamo sentirlo come una profezia che si esprime come anelito a poter abbracciare quella fonte di amore intuita attraverso il fascino della creatura amata.


Giudizio

(69) Il giudizio richiede di affrontare l’esperienza includendovi la “durata”.

Senza il tempo di questa convivenza l’oggetto reale resta inconoscibile, mentre la certezza morale, quella che nasce da una spalancata disponibilità, fedele nel tempo, è la culla di una esistenza ragionevole.


Giudizio ultimo

(84) Qui si tratta del giudizio ultimo. Ciò che agisce in esso è il principio etico: non il legislatore, ma l’origine o, meglio, la natura del bene.

Tanto è vero che chi fa il bene senza neppur accorgersi di Lui, senza averbe coscienza, fa il bene perché stabilisce, anche senza saperlo, un rapporto con Lui.

Se una azione dell’uomo è buona è per Lui ed è cattiva se esclude Lui, Gesù che si è posto come discriminante tra il bene e il male, non tanto come giudice, ma come criterio di identità.

Lui è il bene e non essere con Lui è male.

(107) Il senso della vita umana, il destino assolutamente unico e personale che in essa si gioca dipende da tale amore assolutamente unico e personale, come ci illumina Gesù circa il criterio supremo del giudizio finale.

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