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Lettera «L»
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Lavoro
(124) Il problema della conoscenza del senso delle cose (verità), il problema dell’uso delle cose (lavoro), il problema di una compiuta consapevolezza(amore), …. Mancano della giusta impostazione e perciò generano sempre maggior confusione nella storia del singolo e dell’umanità nella misura in cui non si fondano sulla religiosità nel tentativo della propria soluzione («Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù» Mt 19,29) .
Libertà
(35s) Se Dio avesse manifestato nella storia umana una sua volontà particolare, avesse tracciato una strada per raggiungerlo il problema centrale del fenomeno religioso non sarebbe più il tentativo, che pure esprime la più grande dignità dell’uomo, di «fingersi» il dio: il problema della libertà starebbe tutto nel gesto puro della libertà che accetti o rifiuti.
Non è più centrale lo sforzo di una intelligenza e di una volontà costruttiva, di una faticata fantasia, di un complicato moralismo: ma la semplicità di un riconoscimento; un atteggiamento analogo a chi, vedendo arrivare un amico, lo individua tra gli altri e lo saluta.
(36) Nella dinamica rivelativa di questa ipotesi l’accento primo non sarebbe più sulla genialità e sull’intraprendenza, ma sula semplicità e sullamore.
Amore che rappresenza l’unica vera dipendenza dell’uomo, l’affermazione dell’Altro cone consistenza di se stessi, scelta suprema della libertà.
Rimane lo spazio a una sola fuga: negare la possibilità stessa di questo Fatto.
Più libero pensiero ammettere tutte le possibilità, piuttosto che precluderne qualcuna.
(77ss) A causa Sua: il centro della libertà
Gesù incomincia a usare insistentemente la formula «a causa mia».
Si scalzano così, a poco a poco, i fattori ritenuti prima fondamentali nello stabilire una isentità, e si delinea una identità nuova, un volto diverso, per cui quello che di valiso di fa è valido non perché lo si sente o si giudica tale, ma perché lo si compie per Lui. «A causa mia».
Ma soprattutto si deve prendere atto che, agendo «a causa sua», si può essere ostracizzati dalla società, si rischia di entrare in contrasto con la mentalità comune.
(78) Lentamente Gesù colloca la sua persona al centro della affettività e della libertà dell’uomo.
E questo diventa sferzante quando Egli si pone addirittura in paragone con gli affetti più intimi dell’uomo stesso.
(79) Egli pone la propria persona nel cuore degli stessi sentimenti naturali, e si colloca a pieno diritto come loro radice vera.
La libertà dell’uomo si verifica molto di più nell’esperienza dei rapporti con ciò che gli appartiene, che neanche direttamente con sé stesso.
Un uomo accetterebbe più volentieri di perdere sé stesso piuttosto che di perdere la persona amata; la sua libertà, infatti, si incentiva nel rapporto di possesso o di preferenza.
Ecco: Gesù si colloca al centro di tali rapporti, come nel cuore che li origina e senza del quale non avrebbero vita.
Ed è qui il punto di partenza dell’ostilità nei suoi confronti.
Fino a quando Egli si dice «maestro» e chiede «seguimi», uno può riconoscerlo e andare con lui oppure non seguirlo, e c’è ancora spazio per la semplice indifferenza, ma quando la sua proposta si chiarisce come pretesa di entrare nel dominio della nostra libertà, allora o lo si accetta, e diventa amore, o lo si rifiuta, e diventa ostilità.
(87) Colloca sé stesso come il motivo per cui vale la pena giocarsi la vita, si pone come fondante i rapporti che costituiscono il cuore della nostra libertà, infini comincia ad attribuirsi gesti e prerogative che per la Bibbia e tutta la tradizione ebraica riferivamo gelosamente a Dio.
Diventa creatore della Legge, perdonatore del peccato e si identifica con la scaturigine dell’etica.
Il modo con cui Dio ci tratta asseconda una decisione già presa dalla nostra libertà, costringe a svelare meglio ciò che è disposto a fare.
Quando la libertà si dispone in atteggiamento di chiusura, tutto quanto accade la favorisce a chiudersi maggiormente, e viceversa.
«Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Mt 13,12; 25,29).
Così la prova definitiva che egli darà di sé stesso sarà per i suoi amici occasione per dimostrare un legame maggiore con lui; per i suoi amici il pretesto ultimo per eliminarlo.
(90) (Gli ebrei) obiettano a Gesù di essere sempre stati liberi, come può legare a sé stesso la loro libertà?
Gesù ribatte: «Chiunque commette peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il Figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero».
Quello che intende dire è che chi sbaglia è come schiavo del suo limite. Uno schiavo non appartiene ancora alla famiglia.
Un figlio, invece, è dentro, nella famiglia della libertà.
Dunque è come se Gesù dicesse: sarà il figlio a dovervi prendere e farvi entrare da liberi nella casa.
(92) (Gesù) ribadisce, quasi per dare una estrema possibilità alla libertà di qualche suo ascoltatore, la sua dipendenza dal Padre.
(100) Così, la più drammatica scelta della nostra libertà si colloca nella profondità del nostro essere: è la scelta tra l’autosufficienza e la disponibilità; tra quella decisiva sfumatura di chiusura, che impedirà la verifica dei fatti, e impedirà quindi di capire e diventerà infine irreligiosità da una parte; e dall’altra una semplicità naturale vissuta che nel tempo darà i suoi frutti di consapevolezza e permetterà all’intelligenza e al cuore di spalancarsi ai fatti.
(103) A Gesù dopo 3 anni che compiva prodigi, chiedono un giorno un miracolo.
Chiedono un segno che travolgesse la loro libertà.
Invece per Dio l’umanità non è qualcosa da costringere, ma da «chiamare» nella libertà.
(109s) La grandezza e la libertà dell’uomo derivano dalla diretta dipendenza da Dio, condizione per cui l’uomo realizzi e affermi sé.
La dipendenza da Dio è la prima condizione per l”interesse umano.
Per questo la dipendenza da Dio vissuta, cioè la religiosità, è la direttiva più appassionata che Gesù dà nel suo Vangelo.
(110) La coscienza è il luogo dove si percepisce la dipendenza da un Altro.
Soltanto quest’ipotesi fonda la libertà di coscienza.
La libertà, infatti, è responsabilità, cioè risposta a un Altro.
E ciò salva la libertà, libera la libertà di identificarsi con una reazione endogena o indotta, subita dall’esterno, quindi da una violenza, da un potere dominante.
(122ss) Alla libertà dell’uomo Cristo deve corrispondere la libertà dell’uomo che continuamente la accetti.
Che cos’è la libertà?
Per giungere a una definizione di libertà occorre osservare la nostra esperienza.
Essa ci suggerisce una impressione di libertà quando otteniamo la soddisfazione di un desiderio.
È nello spazio totale della nostra completezza che la libertà si realizzerà secondo la sua natura, come capacità di soddisfazione totale.
(123)
La libertà è capacità di infinito, sete di Dio.
La libertà è quindi amore, perché è capacità di qualcosa che non è in noi, è un altro.
Durante la vita la libertà non ha a disposizione l’intero suo oggetto.
È in divenire.
Gli oggetti che incontra sono come un anticipo, un riverbero del fine.
Quanto più è intensa la vita della libertà tanto più qualsiasi cosa è attrattiva.
Ma ogni oggetto non essendo adeguato all’apertura della libertà, non la impegna tutta.
Qui è la possibilità di scelta della libertà che non è ancora tutta sé stessa perché impegnata da attrattive inadeguate.
Ora, o essa riesce ad avvicinarsi al fine o, poiché inesorabilmente tende a ciò che la soddisfa di più, si ferma a ciò che la sazia maggiormente al momento.
In questo modo però si contraddice, essendo fatta per la completezza.
(Condizioni della libertà in Si può vivere così?)
Sintetizzando l’eredità cristiana sul valore della libertà è che la libertà è la capacità che l’essere cosciente possiede di realizzare completamente sé stesso.
La traiettoria che questa energia percorre verso la realizzazione integrale è attuata dalla «cose», o creature, le quali, pur contenendo per così dire un po’ del fine, hanno potere di attirare, di sollecitare la libertà, rappresentando per essa un anticipo di parziale realizzazione.
Nell’afferrare però le cose la libertà non si attua integralmente, l’attrattiva delle cose non la impegna totalmente.
Sorge così la possibilità della scelta.
Questa è libertà, ma imperfetta, in via di realizzazione.
Vi possono essere realtà che alla coscienza libera appaiono attrattive psicologicamente più forti di altre ontologicamente più vicine al fine.
(124) Normalmente l’uomo non può resistere a lungo da solo alla tentazione.
Gesù Cristo è l’essere che gli ridà continuamente il potere di scegliere bene, cioè di essere libero: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi»( Gv 8,31-32).
Gesù Cristo non è venuto nel mondo per sostituirsi al lavoro umano, all’umana libertà o per eliminare l’umana prova – condizione essenziale della libertà.
Gesù Cristo è venuto a richiamare l’uomo alla religiosità vera, senza della quale è menzogna ogni pretesa di soluzione.
(132) (Il mistero dell’Incarnazione) risponde perfettamente a:
- Alla natura dell’uomo, che è carica di esigenza di sensibilità
- Alla dignità della libertà umana, in quanto Dio la assume come collaboratrice della sua opera.
Discrezione della libertà
(97) Il problema cristiano si risolve con gli stessi termini con cui si pone: o ci si trova davanti a una follia o quell’uomo, che dice di essere Dio, è Dio.
Il problema della divinità di Cristo si riduce a questo: alternativa in cui penetra più che in altra occasione la decisione della libertà.
Una decisione che ha radice recondite e collegate ad un atteggiamento di fronte alla realtà tutta.
La libertà non è rappresentata da scelte clamorose, esse non rendono ragione del dramma della nostra vita.
La libertà è quanto di più discreto esista.
Lo spirito assume una posizione originaria di fronte al reale e poi la sviluppa, e ne prende coscienza, specialmente nelle opzioni più gravide di conseguenze, solo dopo.
Di fronte al problema di Cristo si realizza la conseguenza della posizione primordiale, più intima e originale della nostra coscienza di fronte alla totalità degli esseri e dell’Essere.
