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Lettera «M»
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Magistero
Magistero ordinario
(223s) Quelle verità supreme, che il cristianesimo comunica, sono nella Chiesa veicolate all’uomo con un metodo la cui immagine più prossima è il fenomeno della pressione osmotica.
Il primo modo di quella comunicazione vera che Cristo è venuto a portare nel mondo avviene per la stessa fedeltà alla vita della comunità ecclesiale.
Tradizionalmente questo modo si indica con l’espressione magistero ordinario.
Il cristiano arriva alle verità divine proposte dalla Chiesa per una via ordinaria, che è la vita stessa della comunità.
La condizione è che essa sia veramente ecclesiale, cioè unita al vescovo, che si suppone a sua volta unito al vescovo di Roma, il Papa.
(224) Se il magistero ordinario è la garanzia del declinarsi delle comunità in quanto vive, lo strumento più grande della comunicazione del vero nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità (tradizione).
(230) E’ ovviamente grande oggi l’ignoranza sia del metodo con cui nella Chiesa si arriva alla proclamazione di un dogma, sia del significato stesso di questa espressione: essa sta ad indicare un valore quando è coscienza certa e vissuta della comunità cristiana.
In questa prospettiva, anche una verità insegnata tramite il magistero ordinario può avere le stesse caratteristiche.
Magistero straordinario
(226s) La seconda modalità con cui le verità della fede vengono comunicate nella Chiesa è offerta da una posizione straordinaria del suo insegnamento, che si identifica in ultima analisi con il Papa, quando intenda affermare qualcosa secondo la totalità della sua autorità.
Tale magistero straordinario consiste dunque in un insegnamento eccezionale come formulazione e come precisa risposta a contingenze storiche, e ha come autorità, sia nella formulazione personale ex cathedra sia nell’evento del Concilio, che non potrebbe essere valido senza l’approvazione del Pontefice.
Tale modo straordinario riguarda una definizione di valori che si propone come clamorosamente definitiva, irreversibile e che perciò rappresenta un vertice della coscienza cristiana di fronte all’autorità.
Autorità del magistero
(227) L’autorità come funzione della vita della comunità.
L’autorità suprema del magistero è una esplicitazione della coscienza della comunità intera guidata da Cristo, e quindi è funzionale ad essa, non è una sostituzione magica o dispotica.
La verità che viene definita con uno di quei due interventi eccezionali riguarda sempre qualcosa che già fa parte della vita della Chiesa.
Matrimonio
(248) (Cristo) ha voluto essere presente alla esigenza umana di completamento dell’io e di continuità della stirpe, col matrimonio nella famiglia che procrea ed educa.
(260) Fra tutti i gesti, il sacramento è il più gratuito, perché l’unica ragione del gesto sacramentale è l’affermazione della morte e resurrezione di Cristo come senso dell’esistenza e della storia.
È significativo, per esempio, che nella liturgia del matrimonio si preghi così: «Dio, fa che questi sposi vivano nella vita questo sacramento che celebrano nella fede».
Che cosa significa celebrare un matrimonio come sacramento?
È come se gli sposi si dicessero: «Ecco, ciò che ci ha messo insieme è stata la vicendevole attrattiva, l’amore reciproco, le circostanze favorevoli di una comunanza di corpo e spirito, ma tutto questo è stato il discreto declinarsi del modo con cui Cristo ci ha presi dentro la sua azione redentrice, e la nostra unità è più profonda, collocata come è nella prospettiva di un compito che Dio ci assegna come segno del fatto che noi apparteniamo a Lui Cristo Gesù».
Perciò vivere nella vita ciò che il sacramento celebra, significa fondare l’unità del disegno di Dio per il mondo, non su una affezione o convenienza, che ne sono fragili strumenti.
Medioevo
(37ss) Il medioevo dal punto di vista di una mentalità.
La cultura medioevale favoriva la formazione di una mentalità contrassegnata da una religiosità autentica, determinata da una immagine di Dio come orizzonte totalizzante di ogni umana azione, da una concezione di Dio come pertinente a tutti gli aspetti della vita, sottendente ogni esperienza umana, nessuna esclusa, e quindi come ideale unificante.
(38) In questo senso, perciò, il Medioevo non è da considerarsi più interessante di altre epoche perché tutti allora fossero più devoti, o capaci di comportarsi in modo meno riprovevole moralmente, ma per una unitaria mentalità.
L’origine della propria personalità da una Realtà vivente è, a livello della coscienza del soggetto, il criterio con cui si guardano le cose secondo il quale poi le cose verranno manipolate.
(39) Ora, si può dire, con una espressione certo un po’ banale ma sintetica, che nel Medioevo era diffusa una mentalità religiosa, una facilità per gli uomini a rendersi conto del fatto che la religiosità coincide con l’interesse che l’uomo ha per i significato di tutta la sua vita, a rendersi conto della realtà di Dio come originante la propria umana personalità e come determinante il suo evolversi.
(41) [ … ] Dobbiamo renderci conto che proprio l’esistenza di una diffusa mentalità religiosa dava agli individui l’educazione necessaria per possedere familiarmente un criterio, il quale posseduto e assimilato, poteva essere origine di creatività, ma anche di atteggiamenti che è facile per noi uomini del 21° secolo giudicare iniqui, come le guerre o certi sistemi violenti.
Ma se determinate applicazioni potevano essere frutto di un certo livello di civiltà o della distorsione di una libertà personale, noi siamo chiamati a capire che il principio, pur alterato nell’applicazione, rispondeva a quella esigenza totale di giustizia che solo l’educazione ecclesiale sviluppava.
«Vi è sempre una considerevole diversità tra i principi morali di una società e la pratica morale degli individui, e quanto più alti sono i principi tanto più ampio è il divario, cosicché dovremmo naturalmente aspettarci che il contrasto tra i principi morali e il comportamento sociale sia maggiore nel caso del cristianesimo».
Dawson
Comunque, una mentalità autenticamente religiosa è proprio ciò che nel Medioevo rendeva più facile l’adesione e la convinzione religiosa stessa: Dio era trattato per quello che veramente è, vale a dire la sorgente di ogni cosa, perciò la presenza suprema in qualunque aspetto della vita.
Dawson: «Uno dei tratti più caratteristici della vita corporativa medioevale era la maniera con cui essa combinava attività profane e quelle religiose nello stesso complesso sociale. La cappella della Gilda, le fondazioni di preghiere e di messe per i membri defunti e la rappresentazione di spettacoli e di misteri delle grandi feste: tutte queste cose erano di competenza della Gilda allo stesso titolo del banchetto comune, della regolamentazione del lavoro e delle paghe, dell’assistenza da prestare ai soci della Gilda nelle malattie o disgrazie e del diritto di partecipare al governo della città. La vita comunale della città medioevale trovava la sua più completa espressione nella vita della Chiesa, e nel prolungamento della liturgia, che permeava anche le manifestazioni della vita comune».
Memoria
(225) La comunità cristiana, come Chiesa, è come una persona che crescendo prenda coscienza della verità che Dio le ha messo dentro e intorno.
La memoria è un elemento fondamentale della sua personalità, così come per il singolo uomo; la mancanza di memoria, al contrario, costituirebbe un grave sintomo di irrigidimento mentale, di sclerosi.
Ecco perché l’unità del cristiano con la tradizione è una delle grandi controprove della autenticità religiosa.
Egli dovrebbe essere appassionato di quella vita e di quell’insegnamento che percorrono i secoli da più di 2000 anni, e fiero di essere l’erede di tale tradizione.
L’importanza della tradizione è decisiva, perché se la tradizione ci viene attraverso la vita della comunità, essendo quest’ultima il progredire di Cristo nella storia, quanto adesso insegna non può essere in contrasto rispetto a quanto insegnava mille anni fa, non può essere, come annuncio di verità, come i significati ultimi – non necessariamente formulazioni o usi rituali – una decadenza del primitivo messaggio.
Mentalità
(172) Osservazioni analoghe a quelle che abbiamo accennato per ciò che riguarda il temperamento potrebbero essere fatte per la mentalità, il complesso cioè di quegli atteggiamenti abitualmente praticati da un individuo o da una società in risposta ai problemi della vita.
La mentalità di un uomo è il frutto sia del suo temperamento sia della sua formazione sia delle particolari vicende che hanno inciso nella sua esistenza.
Mentalità unitaria
(172) Il Medioevo non è da considerarsi più interessante di altre epoche perché tutti allora fossero più devoti, o capaci di comportarsi in modo meno riprovevole moralmente, ma per una unitaria mentalità.
L’origine della propria personalità da una Realtà vivente è, a livello della coscienza del soggetto, il criterio con cui si guardano le cose e secondo il quale poi le cose verranno manipolate.
Mentalità religiosa
(39) Ora, si può dire, con un’espressione certo un po’ banale ma sintetica, che nel Medioevo era diffusa una mentalità religiosa, una facilità per gli uomini a rendersi conto del fatto che la religiosità coincide con l’interesse che l’uomo ha per il significato di tutta la sua vita, a rendersi conto della realtà di Dio come originante la propria personalità e come determinante il suo evolversi.
(42) Comunque, una mentalità autenticamente religiosa è proprio ciò che nel Medioevo rendeva più facile l’adesione e la convinzione religiosa stessa.
Dio era trattato e concepito per quello che veramente è, vale a dire la sorgente di ogni cosa, perciò la presenza suprema in qualunque aspetto della vita.
Menzogna
(101) La stabilità cui si riferisce non è erosa dal tempo, la durata documenta la verità.
Qualcosa che sfida il tempo nella certezza di una permanenza si pone come espressione del vero.
Ancora in ebraico c’è la stessa radice per indicare l’uomo come essere mutevole, effimero, è il concetto di “menzogna”.
L’effimero è menzogna, la verità è permanenza.
L’idea di menzogna non è qui usata necessariamente in senso etico, ma nel senso proprio gnoseologico.
Merito
(50) La valorizzazione della persona che la tradizione della Chiesa propone è indicata nell’idea cattolica di merito, quell’idea per cui basta un briciolo di tempo vissuto con intensità nei rapporti ultimi che lo determinano – coscienza del destino e affezione al mondo nelle circostanze in cui Dio chiama – e in proporzione a ciò un uomo vale.
In proporzione a ciò l’uomo, dice la tradizione va in Paradiso, il che vuol dire: vive aderendo al proprio destino, correndo verso il proprio compimento.
Una tale idea pone l’utilità dell’uomo nella coscienza che genera l’azione e basta, vale a dire nel riconoscimento umano della verità e nell’amore ad essa.
È davvero impressionante riflettere bene a questa esaltazione, che è tutta cristiana, dell’istante puro, libero come valore dai condizionamenti e dalla fortuna o sfortuna delle circostanze.
Non vi è nulla che corrisponde all’uomo in modo così totale e capillare, non c’è nulla che salvi la libertà e l’impronta divina dell’io, come questa possibilità celata in ogni momento anche apparentemente furtivo e casuale.
La tradizione cristiana, così, spazza via l’idea di uomo inutile, di tempo senza senso, di azione puramente banale.
Ogni azione dell’uomo in questa prospettiva è per i mondo intero, assume una dignità cosmica, collaborando coscientemente e affettivamente al disegno in cui il mistero si rivela e compie il suo progetto: dal lavare i piatti al guidare la Chiesa, dal badare a un bambino allo stesso modo di governare un Paese.
In quest’ottica l’uomo è libero dalle circostanze, non è schiavo del caso per quanto riguarda il suo valore, può essere grande, può camminare verso la perfezione anche nelle peggiori condizioni o in quelle più umili.
(53) (Relativamente all’efficienza sociale) Come è diversa la visione proposta dalla tradizione della Chiesa, che abbiamo visto trattando del concetto di merito, dove l’uguaglianza tra gli uomini dipende dal fatto che il valore del singolo deriva totalmente dalla sua libertà!
In questo senso si sostituisce, alla irrazionalità assoluta dell’esaltazione di una forza che per caso si ha, l’esaltazione di un istante che può essere vissuto dall’io nella libertà più piena, nella consapevolezza del suo essere fatto a immagine di Dio, (cioè del suo destino), in qualunque situazione.
Vi è, come direbbe Gilson, “un ottimismo cristiano” eredità dei Padri della Chiesa, che nulla a che vedere con quell’ottimismo a oltranza nella forza dell’uomo divenuto misura delle cose.
(222) La verità che la Chiesa insegna sul valore dell’umanità redenta da Cristo è invece l’opposto: tutto vale per l’eternità, nulla cade nell’oblio, e di tutto siamo chiamati a rendere conto.
Perché annunciare Cristo risorto, tornato alla destra del Padre, significa che l’uomo è posto in compagnia di una tale forza che non c’è da dimenticare il male e la contraddizione: Egli, redime, trasforma, con il libero assenso dell’uomo, ogni cosa.
Per la tradizione autentica della Chiesa, però, tale trasformazione non è rimandata all’aldilà, è un’esperienza che già nel presente inizia.
Così che la vita acquista una proporzione interiore e l’eterno traspare nel tempo presente.
Questo richiama all’idea cristiana di “merito” cioè di una realtà umana proporzionata all’eterno svelato da Cristo.
(279) Non esiste per la tradizione della Chiesa, già lo abbiamo accennato, azione per quanto nascosta, che non sia gesto responsabile per l’universo, gesto di valore eterno.
È qui che scaturisce l’idea di “merito”.
La vita riceve valore in ogni minimo dettaglio dalla grazia che Dio fa all’uomo di essere collaboratore alla sua presenza nella azione salvifica della sua comunità.
Così ogni gesto acquista una dimensione comunitaria: l’azione è il fenomeno della personalità, il movente è quel nesso profondo con la presenza di Cristo nel mondo.
La comunità diventa così sorgente dell’affermazione della personalità.
E la Chiesa attribuisce proprio valore, “merito”, alla proporzione tra il gesto del singolo e la “gloria” di Cristo, cioè il senso del mistero comunitario vissuto come movente.
Ogni gesto ha così un valore eterno, in quanto gesto responsabile per il destino del mondo, in quanto espressione dell’individuo che diventa fattore decisivo per il senso dell’universo.
Mai la vita e la responsabilità personale sono così valorizzate come un questa visione dell’uomo e della comunità.
Merito vs efficienza sociale
(59) L’uomo è uno ma diviso.
Si tratta di ciò che la tradizione cristiana chiama “peccato originale”: non significa che l’uomo sia per natura cattivo, ma la sua natura, destinata al bene, si pone in una condizione di esistenza per cui egli non riesce a mantenere l’orientamento.
Così come si era rivelata molto più umana quell’efficienza valorizzatrice dell’istante che la Chiesa esprime nel concetto di merito rispetto all’«efficienza sociale» di Dewey, allo stesso modo, infinitamente più realistica, e perciò completa, appare questa registrazione che la Chiesa opera dell’impeto ideale che l’uomo ha dentro e della fragilità per cui è incapace di realizzarlo, rispetto alla dimenticanza che abbiamo visto compiersi nella mentalità rinascimentale.
Metodo
(14) Per trovare la soluzione di (fatti storici) la ragione dell’uomo di sente spinta dapprima a raccogliere tutti i possibili dati provenienti dal passato, i documenti, le “fonti”.
In seguito, nel classificare e valutare certe fonti, terrà presente anche, se non addirittura soprattutto, lo sviluppo del fatto che esamina, vale a dire ciò che quel fatto ha lasciato nella storia, perché anche tale elemento appartiene al complesso di documentazione che tornerà utile formare il giudizio.
Si raccoglie tutto, si paragona, si valuta e si raggiunge infine un certo giudizio che sarà di certezza su alcuni fattori, di incertezza su altri.
È il normale metodo della ragione applicata a una fatto del passato, ossia della “ragione storica”.
Metodo dell’incontro
(25) (Circa lo sguardo ortodosso-cattolico) Con Gesù potevano parlare, discutere, potevano reagire o aderire a quello che andava dicendo nelle piazze, e Lui poteva rispondere, correggere: era una realtà oggettiva che educava la soggettività dell’uomo.
Una presenza integralmente umana perciò implica il metodo dell’incontro, dell’imbattersi con una realtà esterna a sé: il termine “incontro” ha un aspetto esteriore decisivo come quello interiore.
Metodo di Dio
(107s) «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa».
Risulta chiaro in questo contesto che si tratta di una iniziativa su Pietro che non è dei discepoli: il suggerimento è del Padre, e la Chiesa è descritta come costruita da Cristo e sua, frutto di una scelta, una scelta che si inserisce nella grande storia della preferenza di Dio, che utilizza il metodo al quale Dio è sempre stato fedele.
E negli ultimi capitoli del Vangelo di Giovanni, dove sono riportate le estreme parole di Gesù ai discepoli e il suo testamento, la sua preghiera finale, sembra di avvertire quasi l’ansia per l’unità sensibile dei suoi, coloro di cui rivolgendosi al Padre dice: «Erano tuoi e li ha dati a me».
Tutta la concezione morale di Gesù si basa come legge dinamica su una forza unitiva conseguente a una preferenza, una scelta: «Io sono nel Padre e voi in me e io in voi», «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti».
Tutto corrisponde al metodo che è sempre stato di Dio e l’insistenza quasi accorata di Gesù non può non farci pensare che il problema degli uomini è quello di resistere alla sua logica.
(156) il problema capitale della Chiesa come continuità di Cristo non è comprensibile se non in quanto analogico al problema stesso di Cristo.
La Chiesa è il metodo con cui Cristo si comunica nel tempo e nello spazio analogamente al fatto che Cristo è il metodo con cui Dio ha ritenuto opportuno comunicarsi agli uomini per determinarne la modalità di salvezza.
[ … ] La verità è il Verbo e che Cristo rappresenta il metodo con cui la verità si è comunicata agli uomini, perciò è la verità incarnata, come Egli stesso dice di sé: «Sono la verità, la vita», ma a questa espressione premette: «Io sono la via».
Egli è dunque la verità in quanto via, metodo, uomo accessibile agli uomini, Dio che ad essi si accompagna.
Poteva scegliere altro per comunicarsi agli uomini: l’opinione della coscienza come afferma il razionalismo, un’esperienza interiore dettata dallo Spirito, come sottolineano i protestanti.
Ha scelto questo, ha sorpreso la mente e la fantasia dell’umanità incarnandosi, indicando sé stesso come via, come metodo.
Cristo è il metodo che Dio ha scelto per salvare l’uomo.
La Chiesa è prolungamento nella storia e nel tempo e nello spazio di Cristo.
Ed essendo tale prolungamento, è in essa la modalità con cui Cristo continua a essere particolarmente presente nella storia, e dunque essa è il metodo con cui lo Spirito di Cristo mobilita il mondo verso la verità. La giustizia , la felicità.
(165) Il comunicarsi della vita divina con i suoi doni passava attraverso l’assunzione del pane e del vino.
Non è indifferente la sensazione di banalità che l’uomo può provare di fronte a una simile prassi; l’uomo può rivelare una sottile resistenza di fronte a quel metodo misterioso, che è tutto di Dio, di voler passare attraverso l’umano (mentre l’uomo tende a codificare come divino il suo pensare e il suo fare!).
(307) Quando in Palestina, a Nazareth, ho visto la piccola, restante casa-grotta in cui viveva la Madonna e ho letto una targa di nessun conto su cui è scritto: «Verbum caro hic factum est», il Verbo si è fatto carne qui, sono rimasto stupito e come pietrificato dall’evidenza improvvisa del metodo di Dio, che ha preso il niente, proprio il niente, per entrare nella storia.
Il Verbo si è fatto carne nelle viscere di una ragazza di 15/17 anni, come ognuno di noi è stato carne nel seno di sua madre.
(310)Veni sancte Spiritus, veni per Mariam. Questa invocazione afferma il metodo scelto da Dio ed esprime il desiderio struggente di una coincidenza tra il rapporto con Cristo, che nello Spirito è generato, e la realtà, che è il seno di quella donna.
“Veni sancte Spiritus, veni per Mariam»: quello che è accaduto 2000 anni fa si ricompone e si ripete in tutti i rapporti che fissano la trama della vita degli uomini e la trama che è dentro la storia, cioè la storia di Dio dentro la storia del mondo.
Metodo di Cristo
(155) La Chiesa è i metodo con cui Cristo si comunica nel tempo e nello spazio analogamente al fatto che Cristo è il metodo con cui Dio ha ritenuto opportuno comunicarsi agli uomini per determinarne la modalità di salvezza.
Miracolo
(121) Il documentarsi della presenza della energia con cui Cristo attesta il suo dominio sulla storia: il miracolo.
La storia di Cristo tra di noi ha dovuto come imporsi con una eccezionalità di esito, con una straordinaria capacità che si chiama “miracolo” o “segno”.
(122) Ma il miracolo più grande inizia e cresce nei secoli, col tempo: quale prodigio più eccezionale e grandioso di tutta la gente che sarebbe venuta dopo e che avrebbe perpetuato il riconoscimento di Gesù nel fatto della sua Chiesa!
Quando Gesù disse a Tommaso:
«Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendomi visto crederanno!»
Giovanni 20,29
Voleva proprio indicare la eccezionalità, la miracolosità di un avvenimento di cui ognuno di noi è chiamato ad essere soggetto.
(283) Con la grazia operante del disegno di Dio, il lavoro riempie lo spazio tra la resurrezione di Cristo e la resurrezione finale.
Il lavoro è una strada tutta punteggiata dalla documentazione della presenza di Dio, che la tradizione della Chiesa chiama miracoli.
Il miracolo è il paradigma ideale per la fatica dell’uomo nel lavoro: è profezia dell’esito finale.
Non intendiamo qui per miracolo l’eccezionalità che sembra sfidare le leggi della natura a tornare con la chiarezza del suo fine.
Intendiamo la redenzione che già comincia quasi a svelarsi in un certo ambito.
Se la Chiesa è veramente Cristo presente, allora così come Cristo è stato riconosciuto dai segni, anche la Chiesa deve essere caratterizzata dagli stessi segni, cioè da miracoli.
Miracolo è un avvenimento, una mossa della realtà che di fatto, irresistibilmente richiama l’uomo creato al suo destino, a Cristo, al Dio vivente.
(287ss) Si può definire miracolo come un avvenimento, quindi un fatto sperimentabile, attraverso cui Dio costringe l’uomo a badare a Lui, ai valori cui vuole renderlo partecipe, attraverso cui Dio richiama l’uomo perché questi si accorga della sua realtà.
È cioè un modo con cui Egli impone sensibilmente la sua presenza.
Dio si è reso familiare alla vita dell’uomo: il suo modo di rapportarsi a lui si esprime in una familiarità sperimentabile attraverso il miracolo.
Il miracolo è perciò il metodo di rapporto quotidiano di Dio con noi, la modalità con cui diventa oggettivo nel contingente.
- Da questo punto di vista tutte le cose sono miracolo. Quanto più un uomo è consapevole e vivido nella sensibilità del suo nesso con l’Altro che continuamente lo crea, tanto più tutto tende a diventare miracolo per lui. In Gesù la coscienza del nesso tra l’oggetto del suo sguardo e il destino, il Padre, era di una trasparenza immediata. In Lui ogni cosa sorgeva dal gesto creatore del Padre, ed era perciò miracolo.
- Vi sono momenti particolari in cui Dio straordinariamente richiama ili singolo ad attendere alla Sua presenza, a togliersi dalla distrazione.
È questo un miracolo in senso più determinato: come un accento particolare degli avvenimenti che richiama inesorabilmente a Dio. [ … ] Per gli altri sono cose che possono anche essere banali o facilmente scontate, interpretabili come casualità, per l’individuo a cui capitano sono un potente richiamo.
(290ss) Perché sia considerabile come richiamo a Dio, l’avvenimento miracoloso a priori deve avere una caratteristica moralizzatrice, deve avere una funzione edificante della coscienza della persona.
Questo è il primo fondamentale criterio per distinguere il miracolo dal meramente straordinario, dal semplicemente prodigioso.
In questo senso condizione per cogliere la presenza di un miracolo è l’avvicinarsi al fatto non per curiosità – magari anche scientifica -, ma con spirito religioso, cioè con il senso della propria originale soggezione, che è l’opposto di uno spirito superstizioso.
Se uno non è aperto verso Dio il miracolo lo confonderà di più, che vuole essere distratto troverà nel miracolo fonte di maggiore distrazione.
Il miracolo infatti, è un confronto della libertà con Dio che crea: la sua scoperta dipende perciò dalla previa soluzione di quest’ultimo vero dramma di scelta che l’uomo compie tra l’autosufficienza e la dipendenza, fra la vita come affermazione di sé e la vita come affermazione di un Altro, fra la chiusura nelle proprie anguste misure e l’apertura all’insondabile possibilità che l’Essere ha posto all’origine di ogni esistenza.
Senza una precedente, almeno implicita simpatia per Dio, non si può cogliere un avvenimento come miracolo.
(291) Questa simpatia è necessaria anche per cogliere il miracolo nel suo senso più ristretto e proprio, la dove Dio interviene sulla sua creazione con un fatto oggettivamente inspiegabile a qualunque disanima, a qualunque procedimento indagativo della ragione.
È il caso in cui Dio vuole richiamare non solo il singolo, ma la collettività alla Sua Presenza, offrendo all’edificazione della comunità religiosa fattori oggettivi e documentabili per tutti.
(294) (Mira colo di Pietro de Rudder). Questo miracolo documenta in maniera particolarmente significativa che cosa si deve intendere per “per intervento inspiegabile dal punto di vista razionale e scientifico”.
La guarigione non avvenne contro le leggi della natura, ma grazie a un potenziamento eccezionale del metodo della natura stessa.
È come se la gamba di de Rudder fosse stata una macchina e l’Ingegnere, che l’aveva progettata, l’avesse fatta rendere all’improvviso, in un solo istante al 100%, mentre gli altri avrebbero potuto farla girare al massimo al 2\3% delle sue possibilità.
Miracolo più grande
(122s) Ora, man mano che i secoli passano, che il tempo passa, quelle prime esperienze vengono meno come apparenza quantitativa.
Ma il miracolo più grande inizia e cresce nei secoli, col tempo: quale prodigio più eccezionale e grandioso di tutta la gente che sarebbe venuta dopo e che avrebbe perpetuato ili riconoscimento di Gesù nel fatto della sua Chiesa!
Quando Gesù disse a Tommaso: «Perché mi hai veduto hai creduto! Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»(Gv 20,29), voleva proprio indicare l’eccezionalità, la miracolosità di un avvenimento di cui ognuno di noi è chiamato a essere soggetto.
Un solo grande prodigio oggi sostituisce la normalità dei miracoli e dei segni di allora, un prodigio per riconoscere il quale è richiesta però la stessa apertura dell’animo, lo stesso impeto di libertà di allora.
È il prodigio della nostra adesione di uomini alla realtà di quell’uomo di 2000 anni fa, riconosciuto realmente presente dentro il volto della Chiesa.
È il prodigio per cui lo Spirito di Cristo vince la storia, è quell’evento affascinante per cui la potenza dello Spirito attraversa la vicenda umana e Cristo si rende presente nella fragilità, nella trepidazione, nella timidità e nella confusione delle nostre persone unite.
(123) L’inizio di tale esperienza è il miracolo per cui l’uomo chiede i dono dello Spirito, lo invoca, lo mendica.
Poiché persino della iniziativa e dell’espressione di tale richiesta possiamo sentirci incapaci, ci confortino le parole di Paolo:
«Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili, e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio»
Rm 8,26-27
È l’umile e grato riconoscimento del dono dello Spirito e della Forza dall’alto – e la loro invocazione – l’albore della vittoria di Cristo, il segno del continuo miracolo.
Miracoli riconosciuti dalla Chiesa
(291) Senza una precedente, almeno implicita simpatia per Dio, non si può cogliere un avvenimento come miracolo.
Questa simpatia è necessaria anche per cogliere il miracolo nel senso più ristretto e proprio, là dove Dio interviene con la sua creazione con un fatto oggettivamente inspiegabile, a qualunque disanima, qualunque processo indagativo della ragione.
La Chiesa non bara perché si sottopone al vaglio della nostra esperienza autentica.
Molti, in questo senso, sono i miracoli di cui la Chiesa ha attestato l’autenticità, fornendo ampia documentazione.
Missione
Missione della Chiesa primitiva
(140s) I primi cristiani si sentivano come tali chiamati a comunicare l’annuncio di Cristo a chi ancora non l’aveva conosciuto.
Non esiste un momento della storia della Chiesa primitiva in cui la comunità non si sentisse determinata e giudicata dalla dimensione missionaria.
Senza l’ipotesi di un intenso fervore missionario vissuto come dimensione essenziale della Chiesa stessa
«diventa inspiegabile il fatto che già nel II secolo il cristianesimo si fosse largamente diffuso in tutti i paesi dell’area mediterranea e che fosse persino penetrato in lontanissime regioni dell’Impero romano. Accanto ai veri e propri Apostoli dovettero quindi esistere – fin dai primissimi tempi – dei missionari, vale a dire degli Apostoli in senso più ampio. Anche questi ultimi, tuttavia, non possono essere considerati gli unici rappresentanti della missione cristiana. Furono infatti i cristiani tutti insieme che operarono nel mondo e proclamarono il Vangelo di Gesù. Il messaggio di salvezza viaggiò con i commercianti, con i soldati e con i predicatori, lungo tutte le strade dell’Impero»
(Franzen, Breve storia della Chiesa).
(141s) La dimensione morale dell’uomo cristiano si misura sinteticamente dalla testimonianza che offre agli altri, si misura sinteticamente dall’amore a Cristo per gli uomini e agli uomini per Cristo.
De Lubac:
«La Chiesa è il corpo della carità sulla terra. Essa è legame vivo di coloro che sono bruciati da questa fiamma divina … Ma non si possiede la carità se non si vuole diffonderla universalmente. Non può essere un bene di cui si voglia godere per sé soli, o la sui espansione si possa trattenere entro limiti più esigui. Nessun focolare chiuso potrebbe illudersi di conservare in sé il calore».
de Lubac
Ecco perché quello do comunicare agli altri è stato e rimane un dovere determinante, decisivo della autenticità della vita cristiana.
Obiezione alla missione
(141s) Tante obiezioni nella nostra epoca si sono diffuse contro l’atteggiamento missionario, quasi che la sua stessa esistenza costituisse violenza nei confronti di coloro a cui il messaggio è portato.
(142) Ma tale atteggiamento oscura, perché non intende, proprio l’aspetto originario del problema: un fervore comunicativo che appartiene all’esperienza dell’amore.
Le forzature e le violenze sono un venir meno alla autenticità di questa esperienza e sono, purtroppo, sempre possibili.
(142) La comunicazione di una certezza è in qualsiasi caso un aiuto per chi cerca, anche se non ritenesse di aderire ancora a quella proposta: questa dà comunque testimonianza del fatto che la certezza è possibile e che la sua comunicazione può servire come ipotesi di lavoro.
Del resto Gesù è proprio Dio che è venuto per aiutare, per rendere più facile quello che da soli cercheremmo confusamente senza mai trovare o che, piuttosto, non cercheremmo più.
Mistero
(135) La parola “mistero” nella nostra mentalità indica l’inconoscibile, l’inattingibile, o ciò che ancora non è noto.
Nel linguaggio cristiano invece la parola mistero indica sì l’inattingibile e l’inafferrabile, in quanto però, pur mantenendo il suo contenuto infinito, in qualche modo si rivela alla nostra finitezza e si rende parte della nostra esperienza.
Il mistero in senso cristiano è il mistero in quanto si fa conoscere sensibilmente, sperimentalmente.
Cristo è il mistero stesso proprio in quando è Dio che si rende esperienza dell’uomo, perché Egli è l’infinito Verbo che si fa uomo, uomo che si può ascoltare, vedere, toccare, come ha detto san Giovanni nella sua prima lettera.
(307) Il cristianesimo è l’annuncio dell’avvenimento di Cristo, di Dio che è entrato nel mondo come uomo.
Il Mistero non è più l’inconoscibile.
In senso cristiano “mistero” è la sorgente dell’essere, Dio, in quanto si comunica e si rende sperimentabile attraverso una realtà umana.
Questo modo concreto non può più essere eliminato, è e resta decisivo per tutti e per sempre.
Misteri della fede
(219ss) I misteri principali della nostra santa fede sono due.
Primo: unità e Trinità di Dio; secondo: Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo.
(La Chiesa) pretende che queste due formulazioni identifichino la verità ultima sull’umano, che i significati ultimi dell’esistenza mia, tua, siano in queste espressioni.
- Ciò significa, per esempio, che il Dio uno e Trino non è una formulazione astratta, ma qualcosa che è pertinente alla radice dell’esistenza di ogni uomo che ne spiega e chiarisce il senso ultimo. Moeller: «Nell’amore la libertà si dà interamente all’essere amato. Allora soltanto l’uomo è consapevole di essere un uomo perfetto. Dio ha voluto questa “duplice creazione”, che l’uomo sia completo solo in un dialogo in cui due esseri si abbandonano l’uno all’altro. Nell’unione dell’amore – “due in una sola carne” – la persona è finalmente sé stessa, nella libertà. È così perché Dio è Trinità: le relazioni sussistenti che fanno, che sono la vita stessa di Dio, mostrano che la libertà e dono di sé sono sinonimi. C’è una famiglia divina, una paternità celeste di cui tutte le paternità terrene sono una immagine e una partecipazione». La comunicazione di verità con la quale Dio ci raggiunge nella Chiesa, il mistero dell’Essere che viene rivelato all’uomo, spiega la convergenza profonda dell’io e del tu, dell’io e del noi, dell’unità della singola persona e della presenza di altre, spiegazione senza la quale sia l’identità dell’io sia la presenza di un altro resterebbero brandelli di una esistenza assurda. Perciò il mistero della Trinità ha una “voce” che si fa sentire come chiarificante all’interno della nostra esperienza, appartiene profondamente al significato ultimo dell’esistenza o meglio è quest’ultimo che ad Esso appartiene.
- (221) Così il secondo mistero della fede cristiana. L’incarnazione, la Passione, la morte e la Resurrezione di Gesù – costituisce la più esplicativa delle ipotesi per dare unità alla storia umana. D’improvviso l’annuncio di un avvenimento – un bambino, un essere umano – che si pone come senso di tutta la storia: Egli afferma una simpateticità profonda con ogni cosa che l’uomo faccia, Egli afferma che tutto appartiene a Lui. L’annuncio cristiano del Verbo fatto carne, morto e risorto, realizza quello che nella coscienza dell’uomo emerge talora come presentimento e profezia.
Misteri pagani
(250) Il sacramento è realmente il gesto divino di Cristo risorto che batte alla porta della personalità, la urge, a meno che sia l’uomo a non volerlo accogliere, allora esso si arresta alla soglia.
Questo nesso con la libertà della coscienza è proprio ciò che distingue il mistero cristiano dai misteri pagani.
La libertà dell’uomo è condizione essenziale alla salvezza operata dal mistero cristiano, mentre è totalmente estranea all’affermarsi del mistero pagano.
Modernismo
(234) Alla fine dell’800 la Chiesa era totalmente impreparata a fronteggiare lo shock proveniente dai vari sviluppi dei metodi della critica storica e letteraria, applicati ai testi della scrittura da esegeti razionalisti e protestanti.
Era un’epoca di grandi rivolgimenti intellettuali e di nuovi passi nella ricerca scientifica, che portavano molti spiriti a domandarsi se le esigenze della scienza potessero accordarsi con le verità della fede.
All’interno della Chiesa stessa si cominciò a ritenere che la vera ricerca fosse incompatibile con ogni autorità, dalla quale non si poteva farsi imporre a priori come verità gli elementi della fede.
Fu questo allontanamento dai dati fondamentali del cattolicesimo che Pio X condannò come eresia chiamandola modernismo.
Moralismo vs dono di sé
(131) (Nel donare) l’assenza di costrizione, la gioia, quell’ilarità del cuore cui accennava Paolo non sono un fatto esteriore, una maschera superficiale di contentezza.
Si può compiere un sacrificio avvertendone la fatica fino alle lacrime, eppure con una ultima certa spontaneità, insomma volentieri, come l’ineliminabile suggerimento di qualcosa che si vuole esprimere, con passione, come espressione di qualcosa che vale la pena vivere e perciò manifestare.
Tale criterio è l’opposto del moralismo, del sacrificio concepito e fatto in nome di un formale senso del dovere: si tratta invece del dono di sé a Dio come frutto autentico della propria adesione al dato di fatto, la comunanza riconosciuta della ragione di vita.
Moralità
(183) (A proposito del fango che nasconde la pietra preziosa) Farsi ostacolare dall’errore proprio o altrui è la grande mistificazione: una reazione pienamente umana, “virile”, per dirla con santa Caterina, sarebbe quella di “tosto voler fare”.
L’impegno personale, che non esclude l’atteggiamento critico, ma ad esso non si ferma, è un problema di moralità.
Moralità cristiana
(143) Il popolo di Israele era il popolo santo.
Tanto più santo doveva essere definito colui che era coinvolto con la presenza di Gesù Cristo, compimento dell’Alleanza.
Essa, perciò, come principio e come urgenza deve camminare verso l’immedesimazione con il Dio fatto uomo, deve correre verso l’imitazione dell’umanità intera che si è realizzata in Gesù, con tutte le sue energie.
Allora la moralità cristiana prende finalmente il suo volto adeguato: un dinamismo di tensione sorgente dall’appartenenza a Cristo, l’articolarsi di un cammino dentro il mistero personale di Cristo in cui con l’aiuto del Suo Spirito si è stati eletti e in cui si realizza la propria umanità.
Mysterion
(243) La parola sacramento traduce il latino sacramentum, a sua volta, è stato il modo con cui i latini hanno reso la parola mysterion, che evocava quei culti, provenienti dalla Grecia e dall’Oriente, i cui riti erano tenuti rigorosamente segreti.
Il termine mysterion, nella cultura greca, non indicava l’inconoscibile assoluto, bensì ciò che dell’inconoscibile, con tecniche particolari, si poteva afferrare.
Nel Nuovo Testamento la parola Mysterion viene usata per indicare, in senso radicalmente mutato la novità della rivelazione, il dischiudersi delle intenzioni ultime di Dio in Gesù Cristo, e il suo parteciparsi all’esperienza umana.
Tale termine è stato reso in latino con la parola sacramentum, la cui origine è legata a una terminologia tecnica militare e si riallaccia a un solenne impegno, un giuramento dei soldati, un vincolo sacro, qualcosa di simile a un voto.
Il termine “sacramento”, dunque, nella pratica cristiana, da un lato, nel suo connettersi al mysterion, indica la dinamica della comunicazione della realtà divina della persona di Cristo; dall’altro, nel suo riferirsi all’origine latina (sacramentum), evoca un sacro patto di fedeltà, qualcosa che al cristiano non può non restare impresso come collegabile a quell’alleanza che Dio ha voluto stringere con l’uomo.
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