Temi di “Perchè la Chiesa”

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Lettera «T»


Teismo

(76) Dio non è negato.

Non lo è nel seicento, nel Settecento o nell’Ottocento, come non lo è stato nella prima tentazione del mondo.

Gli ultimi secoli della  nostra storia occidentale sono anzi governati da varie forme di teismo o deismo.

E ancora oggi è facile che si ammetta Dio, l’Ente Supremo, purché sia chiaro che con la realtà  umana non c’entra.

Non lo si nega, certo, purché sia accettato che l’uomo può fare a meno di Lui.

E se proprio qualcuno non ne può fare a meno, la religione troverà il suo diritto di espressione in un luogo appartato dalla vita sociale solita, in un luogo estraneo.

È il principio di “confino di polizia della religione”, che esprime il genio moderno in tale campo.

Autosufficienza dell’uomo, che di sé fa criterio ultimo, separazione dal Dio: l’errore è possibile per l’uomo di tutti i tempi, ma la nostra epoca è dominata da criteri, temi, preoccupazioni che censurano la sensibilità religiosa autentica.


Temperamento

(171) Molto tempo dopo, con il passare degli anni, ho capito di che cosa si trattava.

Era il mio temperamento, il mio stesso tono di voce con cui esponevo e affrontavo i problemi, che sortiva l’effetto di rischiarare alcuni e di corrucciare altri.

Così mi sono annotato di richiamare a me stesso e agli altri il rischio insito nel giudicare una predica, un annuncio, l’espressione di un valore, in base a elementi come un particolare carattere, un atteggiamento, o una capacità o incapacità espressiva.

Il rischio è quello di dimenticare che l’elemento in gioco è il proprio amore alla verità: in effetti, occorre profondamente desiderare il vero per poter superare lo scandalo dello strumento che lo comunica.


Diversità di temperamento

(169s) Inevitabilità dei particolari temperamenti e mentalità.

Se il divino sceglie l’umano come modo di comunicazione di sé, l’uomo che accoglie tale metodo, il cristiano, diventa e rimane tale, cioè strumento del divino, mantenendo il proprio temperamento particolare.

(170) Poiché Dio usa l’uomo come suo “strumento”, non si troverà mai tale valore, per così dire, allo stato puro: la comunicazione di Dio è incarnata nel temperamento dell’uomo.

Esso costituisce una “condizione” che Dio accetta e trasforma in strumento del suo disegno di salvezza.

(Ciò che conta è il valore veicolato).

(174) L’unità della Chiesa, la sua forza propulsiva verso tutti gli uomini, la sua interna necessità di essere il più efficace possibile nel portare un messaggio unico e irripetibile all’umanità sono servite da temperamenti diversi, addirittura come abbiamo visto, da progetti fenomenicamente opposti, da impronte culturali capaci di sottolineare differenti prospettive d’azione.


Tendenza – tensione

(127s) Proprio perché hanno in comune il fondamento e il senso della vita, Gesù Cristo, i primi cristiani sentono come la legge della loro convivenza la tendenza  a mettere in comune e, più profondamente, a concepire in comune le risorse materiali e spirituali.

La parola importante, in questo primo elemento di analisi, è la parola “tendenza” o “tensione”,.

Essa implica una libertà in atto sospinta da un valore ideale, che produce un dinamismo condizionato dalla storia, dal temperamento, dalla capacità, dalla disponibilità dello spirito di ciascuno, un impeto e quindi una dinamismo che solo Dio può giudicare, e nessun altro, perché ognuno sta di fronte al suo Signore ed è di fronte a Lui responsabile.

Lui conosce la situazione dell’anima.

Vi sono brani delle lettere di Paolo eccezionali per indicare il tipo di clima umano che stava nascendo tra le prime comunità dei cristiani, la radicalità e insieme la descrizione e la libertà con la quale veniva concepita questa tensione fondamentale del vivere cristiano.


Tensione morale

(212) La concezione della vita umana che la Chiesa propone è quella di una tensione come vigilanza simile a quella di una sentinella che sugli spalti bada al minimo rumore, o, secondo l’immagine del pellegrino, come cammino verso una meta.

Così Guardini descrive la tensione morale del cristiano che la Chiesa sollecita:

«La Chiesa si appella sempre in lui a quella tensione che è in fondo al suo essere: fra essere e desiderio, realtà e compito, e la risolve col mistero della immagine e somiglianza di Dio e dell’amore divino che, nella sua sapienza, dona quello che sorpassa ogni natura».

(213) (Fariseo e pubblicano) Gesù condanna l’atteggiamento morale del fariseo.

Perché? Perché egli è contento di sé, sfugge e rinnega la tensione della sua vita, mentre il pubblicano, in fondo, la esprime nella sua formula più elementare che è il disagio doloroso di sé.

In questa concezione è racchiusa la condizione morale che la Chiesa addita all’uomo.

E non c’è nulla di più contrario a questo che la figura di chi si acquieta in una soddisfazione di sé o spera in una possibile felicità contingente.


Testimone – testimonianza

(103s) L’indicazione metodologica che definitivamente emerge dall’immagine della roccia come immagine di verità è la solidità del testimone.

La figura del testimone autentico coinvolge l’adesione di tutta la tua personalità, rispetto al vedere con i tuoi occhi che ne coinvolge una parte.

Il testimone è tutta una personalità che si gioca e per questo tutta la personalità dell’ascoltatore è chiamata a giocarsi con quella: la luminosità di una evidenza rappresenta solo un aspetto della personalità.

La testimonianza è  una unità vivente, una unità esistenziale.

Il Signore, che ha fatto il mondo e l’uomo, ha scelto come strumento per facilitare il nesso tra l’uomo e la verità – cioè  Lui stesso – non il termine di una visione, ma il termine di un abbandono, di un amore, processo con cui l’uomo segue il testimone del vero.

È del resto lo stesso processo con cui la natura, espressione del Creatore, fa diventare grande un bambino attraverso la testimonianza di madre e padre, che continuamente propongono il terreno solido su cui camminare.

A tale immagine, dunque, si rifaceva innanzitutto la prima esperienza di Chiesa, connettendosi intimamente con la concezione biblica di verità, per cui la condizione umana per ottenere una convinzione, non si fonda tanto sull’emergere solitario di una evidenza – come di luce che fenda la  nebbia – quanto su una convivenza sicura.

E la testimonianza per sua natura, indica un coinvolgimento, una compagnia, così come abbiamo visto essere il punto di partenza di quella realtà allora nascente che si chiamerà Chiesa.

Il Dio vivente è testimoniato da una realtà vivente, il Dio fatto uomo nel mondo è testimoniato, e non innanzitutto fatto oggetto di una ricerca, di una indagine critica.

Naturalmente, come abbiamo già detto, il riconoscimento di una testimonianza non esclude la possibilità di una violenza quando essa sia data.

Così la comunità cristiana, al suo nascere, intendeva sé stessa come il luogo in cui la testimonianza si poneva, come il luogo in cui la solidità della rupe biblica appariva spazio alla ricostruzione dell’umano.

(145) La testimonianza dei primi cristiani ci avverte che non si può affermare una valore ideale senza desiderarlo, né desiderarlo senza cercare di applicarlo e che perciò, a lungo andare, chi sa riconoscersi peccatore, con la dolorosità che è segno dell’intensità del desiderio, non può che essere sulla strada della realizzazione del proprio essere uomo vero, uomo di Cristo.

«Chiunque ha questa speranza in Lui, purifica sé stesso, come Egli è puro».

1 Gv 3,3

Tradizione

(25) Il terzo atteggiamento (1° razionalismo, 2° protestantesimo) che prenderemo in considerazione, come modo più adeguato, cioè ragionevole per raggiungere certezza in merito all’annuncio di Gesù Cristo, è quello della tradizione cristiana come tale.

L’ho chiamato ortodosso cattolico perché sia l’ortodossia, sia il cattolicesimo vivono la medesima concezione.

È un atteggiamento che realizza tutta la tradizione.

Come si è presentato nella storia? Si è  presentato come la notizia, l’annuncio di Dio, del Mistero che si è fatto “carne”, presenza integralmente umana.

Una presenza integralmente umana perciò implica il metodo dell’incontro, con l’imbattersi in una realtà esterna a sé, è presenza oggettivamente eminentemente incontrabile, che percuote il cuore, ma che si trova “fuori” di sé: il termine”incontro” ha un aspetto esteriore decisivo come quello interiore.

(224s) Se il magistero ordinario è la garanzia del declinarsi della comunità in quanto vive, lo strumento più grande della comunicazione del vero nella vita della chiesa è la sua stessa continuità.

Si chiama tradizione.

La tradizione è la coscienza della comunità che vive ora, ricca della memoria di tutta la vicenda storica.

De Lubac commentando la Dei Verbum:

«L’idea della tradizione esposta qui deriva dall’idea della Rivelazione: tutto ciò che la Chiesa ha ricevuto, essa lo trasmette “nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto”; non si tratta dunque soltanto di una tradizione orale, ma di una tradizione concreta e vivente che fruttifica durante il tempo, così che conservando la verità rivelata, essa la attualizza secondo i bisogni di ogni epoca. La tradizione è sempre ricordata prima della scrittura, per rispettare l’ordine cronologico, dal momento che, all’origine di tutto, c’è questa tradizione che viene dagli apostoli, ed è all’interno di una comunità già costituita che i libri santi sono stati composti o ricevuti».

La comunità cristiana , come Chiesa, è come una persona che crescendo prende coscienza della verità che Dio le ha messo dentro e intorno.

La memoria è un elemento fondamentale della sua personalità, così come per il singolo uomo: la mancanza di memoria, al contrario, costituirebbe un grave sintomo di irrigidimento mentale, di sclerosi.

Ecco perché l’unità del cristiano con la tradizione è una delle grandi controprove della sua autenticità religiosa.

Egli dovrebbe essere appassionato di quella vita e di quell’insegnamento che percorrono i secoli da duemila anni, e fiero di essere l’erede di una tale tradizione.

L’importanza della tradizione è decisiva, perché se la tradizione ci viene attraverso la vita della comunità, essendo quest’ultima il progredire di Cristo nella storia, quanto essa insegna non può essere in contrasto rispetto a quanto insegnava mille anni fa, non può essere, come annuncio di verità, come significati ultimi – non necessariamente formulazioni o usi rituali, una decadenza del primitivo messaggio.

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