Temi di “Perchè la Chiesa”

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Lettera «U»


Umanesimo

(46) All’interno di questa somma di circostanze sociali (che favorirono l’insolente ostentazione dei ricchi e la miseria dei popoli) si delinea allora il profilo di una unità in via di disgregazione, cui l’Umanesimo darà un supporto culturale.

(48) L’Umanesimo non è più familiare con quella sintesi di vita che caratterizzava la mentalità medioevale: invece del “santo”, l’uomo unificato dall’ideale di Dio, il tipo ideale che subentra è l’uomo che può essere potente in un aspetto o in un altro dell’esistenza, e dell’operatività umana.

È una parzialità che subentra alla sintesi.

Con l’Umanesimo non si è consumato alcun attacco o distacco dottrinale religioso: l’umanista non è contro Dio, ma l’interesse per cui val la pena vivere non ha più a che fare con Dio, poiché non è più da Dio che sono unificati desideri e giudizi.

È l’astrazione del Dio dall’esistente.

(49) Resta dominante nell’Umanesimo, ed è la formula che meglio definisce il valore che viene attribuito alla vita, il gusto della gloria, la ricerca della Fama e della fortuna: l’interesse fondamentale del vivere come interesse di una riuscita.

(66) E’ riconoscibile un denominatore comune dei tre fattori che abbiamo individuato come responsabili di una nostra difficoltà di comprensione della realtà cristiana: l’Umanesimo nel suo aspetto efficientista e disarticolante una mentalità unitaria, il Rinascimento nel suo naturalismo, il razionalismo nella sua esaltazione dell’uomo misura di tutte le cose.

Il denominatore comune emergente di questi tre fattori è l’esaltazione a oltranza dell’uomo.

Tutta l’epoca moderna è determinata da questa esaltazione, che si è poi convertita in un distacco presuntuoso da Dio.

L’uomo è al centro di tutto, non altro.


Umiltà

(184) E’ la posizione più intensamente vera che si possa concepire dal punto di vista umano: un amore chiaro al proprio ideale nella coscienza della sproporzione, con un termine etimologicamente molto interessante, la tradizione cristiana chiama tale atteggiamento “umiltà”, che deriva da Humus, vale a dire terra, ciò da cui veniamo e di cui si vive: l’atteggiamento umile non è altro che un riconoscimento e un amore al reale, alla terra che noi siamo.


Unità

(274s) L’unità è la caratteristica prima di ciò che vive (la Chiesa), è il dogma del Dio uno e trino, ci introduce ancora una volta a quanto una vita consapevolmente vissuta  non può che evocare.

Del resto, tale caratteristica di vitalità unitaria, che siamo chiamati a verificare, proviene direttamente da quanto Gesù ci ha rivelato del suo essere e da quanto ci ha chiesto come partecipazione alla sua presenza.

(Gv 17,21) «Come Tu Padre sei in ne e io in te, siano anch’essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato». «Custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato perché siano una cosa sola come noi».

Gv 17,21

(305) Mi preme ricordare come la categoria dell’unità sia l’orizzonte in cui si situano le altre categorie elencate: la santità, l’energia realizzatrice dell’unità dell’io all’interno dell’unica Chiesa; la cattolicità, cioè universalità, per cui ogni valore rifluisce in un unico orizzonte di completa esperienza dell’umano; l’apostolicità, che colloca all’interno della vicenda umana l’origine di una nuova storia, unitaria nella sua capacità di permanente esperienza di accoglimento dell’assoluto nel tempo.


Unità concreta \ unità eccedente i limiti della nostra natura

(3) Nelle lingue semitiche “corpo” ha un significato più esteso di quello comune e indica anche ciò che viene prodotto dall’uomo, il complesso dell’espressione sensibile del mio io.

Il figlio è corpo del padre e della madre e l’opera di un artista fa corpo con lui e con la sua personalità.

Analogamente Cristo, come abbiamo già detto, investe così profondamente l’uomo che egli è parte di Lui, fa corpo con Lui.

E ne nasce una esperienza cui l’immagine del corpo, anche intesa nell’accezione ampia appena citata, solo pallidamente allude, ma di cui emergono avvisaglie nelle esperienze umana  più intense, come quella artistica e quella affettiva.

In queste esperienze si possono ravvisare presentimenti di quella esperienza di unità concreta o più concreta fra Cristo e i “suoi” unità eccedente i limiti della nostra natura, eppure in essa inscritte.

Insistendo sull’analogia, nell’esperienza amorosa, per esempio, quando essa è netta e potente, l’unità vive il trasalimento profetico di una per ora inimmaginabile unità.

È l’avventura, come nell’arte, oscura ma splendida, verso una realtà più grande, che supera.


Unità e Trinità di Dio

(219s) Quali sono i misteri principali della nostra fede?

Unità e Trinità di Dio; 2° Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo.

Ora, che cosa pretende la Chiesa, dichiarandosi portatrice del divino nella sua comunicazione di verità?.

 Pretende che queste 2 formulazioni identifichino la verità ultima dell’umano, che i significati ultimi dell’esistenza mia, tua, siano in queste espressioni.

Non si può dunque capire l’uomo se non alla luce di questo Dio uno e trino, alla luce del Fatto che l’essere ultimo  non si possa individuare come unità meccanicamente intesa, con l’«uno», così come noi possiamo estrarlo dalla nostra esperienza naturale, bensì implichi una comunionalità nella sua stessa sostanza misteriosa.

Misteriosa certo, noi non possiamo comprendere.

Ma, come Gesù disse a Nicodemo, l’influente membro del Sinedrio che, desideroso di conoscere meglio il suo messaggio era andato di notte a trovarlo: «Il vento soffia e  ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va» (Gv 3,8).

Il Mistero resta, tuttavia ne senti la voce, abbiamo cioè la possibilità di non spiegarlo, ma di sorprenderlo come capace di farci comprendere meglio la realtà stessa della nostra esperienza.

Per esempio, che l’essere da cui tutto dipende, in cui tutto finisce e di cui tutto è fatto, è l’uno assoluto e nello stesso tempo comunione, spiega come null’altro il modulo della convivenza, innanzitutto il modulo del rapporto tra l’io e il tu, tra l’uomo e la donna, tra genitori e figli.

Nessuna analisi compiuta con la sola ragione riesce a spiegare questa paradossalità dell’uno  e del molteplice che è l’esperienza dell’uomo, che non dice mai con tanta intensità la parola “io”, non percepisce con tanta passione l’unità della propria identità, come quando dice “tu”, o come quando, con lo stesso amore con cui dice “tu” dice “noi”.

(220)

Moeller: «Nell’amore la libertà si dà interamente all’essere amato. Allora soltanto l’uomo è consapevole di essere un uomo perfetto. Dio ha voluto , con questa “duplice creazione”, che l’uomo sia completo solo in un dialogo in cui i due esseri si abbandonano l’uno all’altro. Nell’unione dell’amore – “due in una sola carne” – la persona è finalmente sé stessa nella libertà –. È così perché Dio è Trinità: le relazioni sussistenti che fanno, che sono la vita di Dio, mostrano che la libertà e dono di sé sono sinonimi. C’è una famiglia divina, una paternità celeste di cui tutte le paternità terrene sono un’immagine e una partecipazione».

Moeller

Quanto si è detto per l’amore potrebbe valere per un altro anelito supremo dell’uomo, la conoscenza che tanto più potentemente è una unità quanto più restano distinti soggetto e oggetto.


Unità della coscienza

(275ss) La caratteristica dell’unità mostra la sua fecondità di “frutto” anzitutto se si documenta in una unità di coscienza, vale a dire in una semplicità unificante nel percepire, sentire e giudicare l’esistenza.

Questo l’uomo che cerca con rettitudine deve poter trovare nella Chiesa:

una sperimentabile lucidità sul senso dell’esistenza, per cui il principio di cui si giudica sé stessi e il mondo è una unica Presenza inequivocabile.

(276) Il divino nella Chiesa non ha alcun bisogno, per salvaguardare una impostazione unitaria, di negare qualcosa: è una unità di atteggiamento che valorizza tutto, senza scandalizzarsi di nulla.

L’interiore unità di visione della Chiesa proviene perciò dalla semplicità con cui essa aderisce alla sua missione, missione di salvezza per cui si richiede una cura materna, e non una sintesi astratta.

«La Chiesa è nuovamente viva e noi comprendiamo che essa è veramente l’Uno e il Tutto».

Guardini

Tale unità di atteggiamento si scontra con tutte le possibili parzialità, dal dualismo – l’insormontabile tentazione di ogni cultura – alle divisioni che giungono fino a teorizzare la dissoluzione.

La Chiesa è chiamata ad affermare, e a dimostrare, che il valore di un gesto sta nella misura in cui esso si connette con il tutto.

E per questo occorre un criterio chiaro, come appare dalle parole di Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita».

(277) Tali parole destinate a ricapitolare in  un atteggiamento unitario tutta l’esistenza dell’uomo, portano in sé una profonda possibilità di pace.

(277ss) Tale unità di coscienza, venendo a contatto con le cose, gli avvenimenti, gli uomini, organicamente tende a comprenderli, in un modo aperto a tutte le possibilità e adeguato a ogni incontro. Il suo criterio di interpretazione unitaria del reale, che non è un principio intellettuale, ma una Persona, lo rende particolarmente adeguato all’incontro, anche con realtà apparentemente distanti.


Unità come spiegazione della realtà.

(277ss) Egli è chiamato a non esserne scosso, ma ad affermare l’altro con insanabile anelito di valorizzazione, è chiamato a sapersene arricchire, proprio come un corpo sano, con la potenza di una unità organica, di una vera personalità.

(278) Quella del cristiano è infatti una vera personalità partecipe del divino.

(Gv 3,18-20): « Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati nella verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro essere e conosce ogni cosa».

Gv 3,18-20

Tale partecipazione si distingue per la certezza di essere affidati a chi è veramente grande, veramente comprensivo.

È questa radice che in quella unità di coscienza matura diventa unità di comprensione e di inclusività, diventa atteggiamento e principio di cultura, nella quale è possibile fare esperienza della novità.

La vita come novità, infatti, si sperimenta molto più nell’accadimento di qualcosa che si attende che non della differenza come tale di un presente da un passato.

Guardini: «La vera ricerca è guidata da una immagine, e ha nello stesso tempo [ .. ] la forma della mancanza e del bisogno. In realtà si può cercare solo ciò che il desiderio già anticipa, cosicché più al fondo la vera scoperta consiste in un prendere possesso, per cui anche nell’istante del vero incontro si ha la sensazione che ciò sia “dovuto” venire in quella maniera».

È da tale unità culturalmente valevole che l’uomo viene educato a una maturità critica vera, mirabilmente esplicitata dall’espressione di Paolo ai Tessalonicesi. «Esaminate ogni cosa, trattenete il valore».

La Chiesa è in grado di offrire dunque una capacità critica che, per le radici da cui fiorisce, non è rinvenibile altrove.

È ancorata infatti in una profonda e cordiale famigliarità, che ha quindi una radicale assenza di estraneità, nei confronti di cose e persone: esige di per sé stessa una apertura verso tutto e la capacità di immedesimarsi anche con chi è ostile, il senso del perdono fino alla consapevolezza della vittoria sulla morte.


Unità come impostazione di vita

(279ss) Non esiste per la tradizione della Chiesa, già lo abbiamo accennato, pensiero per quanto segreto, gesto per quanto insignificante, azione per quanto nascosta, che non sia gesto responsabile per l’universo, gesto di valore eterno.

È qui che scaturisce il concetto di “merito”.

La vita riceve valore in ogni minimo dettaglio dalla grazia che Dio fa all’uomo d’essere collaboratore alla sua presenza nella azione salvifica della sua comunità.

Così ogni gesto acquista una dimensione comunitaria:

l’azione è il fenomeno della personalità, il movente è quel nesso profondo con la presenza di Cristo nel mondo.

La comunità diviene così sorgente dell’affermazione della personalità.

E la Chiesa attribuisce proprio valore – “merito” – alla proporzione tra il gesto del singolo e la “gloria” di Cristo, cioè il senso del mistero comunitario vissuto come movente.

Ogni gesto ha così valore eterno, in quanto gesto responsabile per il destino del mondo, in quanto espressione dell’individuo che diventa fattore decisivo per il senso dell’universo.

In questa unità di impostazione di vita la comunità, come mistero di comunione, diventa fattore determinante lo stesso senso di sé, vale a dire origine delle proprie azioni e forma della personalità.

È una impostazione che esalta la personalità fin nei suoi infinitesimali aspetti espressivi.

Mai la vita e la responsabilità personale sono così valorizzate come in questa visione dell’uomo e della comunità.


Unzione

(248) Gesù ha affrontato gli aspetti della fragilità del vivere: non solo la fragilità  morale, col sacramento della confessione, ma anche la fragilità fisica, con l’Unzi one, l’olio santo destino ai malati, la cui funzione sociale come persone è sempre riconosciuta fino agli ultimi istanti di vita.


Immagine dell’unzione

(116) Emerge l’immagine dell’unzione, della realtà cioè da parte di Dio di chi vorrà veicolare il senso, della storia, così come era stato per Israele.


Uomo


Esaltazione a oltranza dell’uomo

(66s) E’ riconoscibile un denominatore comune dei tre fattori che abbiamo individuato come responsabili di una nostra difficoltà di comprensione della realtà cristiana: l‘umanesimo nel suo aspetto efficientista e disarticolante una mentalità unitaria, il Rinascimento nel suo naturalismo, il razionalismo nella sua esaltazione dell’uomo misura di tutte le cose.

Il denominatore comune emergente da questi tre fattori è l’esaltazione a oltranza dell’uomo.

Tutta l’epoca moderna è determinata da questa esaltazione, che si è poi convertita in un distacco presuntuoso da Dio.

L’uomo è al centro di tutto non altro.

(69) In conclusione: il denominatore comune emergente dai tre fattori indicati come determinanti la mentalità moderna, è l’esaltazione a oltranza dell’uomo, non però nella sua concretezza personale, ma dell’uomo, prima dimentico di fattori essenziali della sua realtà, poi inteso come contenuto di una concezione astratta, vittima designata di giochi degli umani poteri.


Uomo astratto

(67s)

  1. L’uomo posto al centro di tutto è inteso astrattamente, e sarà diverso a secondo della concezione che lo proclama. Non esiste però l’uomo “in genere”, esisti “tu”, e tu non sei proclamato come centro, anche se praticamente, io posso vivere come se fossi il centro. Così al centro di tutto è conclamata l’umanità intera e non l’uomo concreto presente. Ma l’umanità intera che cosa è? Un’astrazione. Il complesso dell’umanità è astratto, perché il soggetto umano individuabile è quello che dice “io”. È l’astrazione cui si è arrivati e si arriva a partire da una mentalità razionalista – come rileva Teilhard de Charden – ossessionata:«dal bisogno di spersonalizzare ciò che ammira di più» tanto l’io, quanto Dio. (68) L’uomo concepito astrattamente si rivela dunque una grande illusione, perché è con sé stessi che si deve vivere e con le proprie esigenze.
  2.  ……. se il fenomeno uomo non è strutturalmente inteso come qualcosa che riguardi l’io, allora facilmente si parlerà di uomo e di umanità in connessione con una logica di potere. La parola “io” si perde nell’indistinto, se l’uomo viene identificato con la collettività, e, dunque, in ultima analisi si perde. E questa collettività senza volto finisce per essere guidata da qualcuno che si pretende comunque fuori da quell’anonimato, con un volto preciso.

Valorizzazione dell’uomo

(50) La valorizzazione della persona che la tradizione della Chiesa propone è indicata nell’idea cattolica di merito, quell’idea per cui basta un briciolo di tempo vissuto con intensità nei rapporti ultimi che lo determinano – coscienza del destino e affezione al mondo nelle circostanze in cui Dio chiama – e in proporzione a ciò un uomo vale.

(61) In quest’ottica l’uomo è  libero dalle circostanze, non è schiavo del caso per quanto riguarda il suo valore, può essere grande, può camminare verso la perfezione anche nelle peggiori condizioni.


Uomo vs collettività

(68) La parola “io” si perde nell’indistinto, se l’uomo viene identificato con la collettività, e, dunque, in ultima analisi si perde.

E questa collettività senza volto finisce per essere guidata da qualcuno che si pretende comunque fuori dall’anonimato, con un volto preciso.

Nessuno può dire di avere esperienza dell’umanità in genere, tale esperienza e consapevolezza non esiste: esiste una donna che fa nascere un uomo, e ogni esperienza e consapevolezza sono legate alla dignità e all’emozione del fatto che quell’uomo esiste, all’avvenimento del soggetto presente.

Il riferimento a qualunque altra categoria che eluda l’«io»,  in nome dell’umanità sarà una ragione – storicamente più forte e la più terribile – per distruggere l’uomo.


Uomo strumento di comunicazione di Dio

(170) Il contrasto (di due temperamenti diversi), cui abbiamo accennato, propone alla nostra riflessione il fatto che Dio, avendo scelto il veicolo umano per comunicarsi e salvare l’uomo, utilizza sia l’uno che l’altro dei due temperamenti opposti.

Attraverso  l’uno esprimerà un valore, attraverso il secondo un altro.

Ciò che conta è il valore veicolato e, poiché Dio usa l’uomo come suo “strumento”, non si troverà mai tale valore, per così dire, allo stato puro: la comunicazione di Dio è incarnata nel temperamento dell’uomo.

Esso costituisce una “condizione” che Dio accetta e trasforma in strumento del suo disegno di salvezza.

La potenza di Dio passa attraverso il condizionamento del tipo umano di cui si serve.


Uomo nuovo

(239ss) Il termine che la tradizione cristiana utilizza per indicare la realizzazione di quel nuovo essere è “grazia soprannaturale» o «grazia santificante».

Questa parola “grazia”, alla quale ci siamo troppo abituati, è la più bella del nostro vocabolario cristiano.

Essa è indicativa della assoluta gratuità del fenomeno che definisce e ne segna il valore divino, perché solo il comunicarsi del divino è “assolutamente” gratuito.

E l’aggiunta della parola “soprannaturale” stabilisce il valore di nesso tra questa comunicazione di sé che Cristo opera nella nostra vita (di fronte a quello che saremmo stati) e l’atto creaturale che ci ha  messo in vita.

L‘uomo è lo stesso uomo, ma diverso.

Un altro termine domina il N.T.: l’uomo nuovo, la creatura nuova.

Paolo 2 Corinzi 5,17: «Quindi se uno è in Cristo è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove».

Galati 6,15: «Non è la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere creatura nuova».

Efeso 4, 23-24: «Dovete rinnovarvi nella vostra mente e rivestirvi dell’uomo nuovo».

Col. 3, 9-10: «Voi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo».

Chi vive il mistero della comunità ecclesiale riceve un cambiamento della sua natura.

Non si può capire come queste cose avvengano, come questo mutamento nella persona si verifichi, ma se uno di noi prende in considerazione tale fenomeno, se lo vive, se si impegna con esso, allora egli diventerà diverso in modo verificabile.

(241) Questa dovrebbe essere l’avventura cristiana, cioè del nascere e dello stabilirsi nel mondo di questa creatura nuova.

E non siamo chiamati ad annunciare solo a parole questa rigenerazione, siamo anzi invitati ad una esperienza.

Come si è dilapidata la potenzialità di questa autocoscienza nuova, di questo senso diverso della propria persona, del proprio io, da cui scaturisce tutta l’energia d’azione come luce di un giudizio.

Senza prenderne piena coscienza, per l’inimmaginabilità dell’iniziativa di Dio, l’uomo di tutti i tempi aspetta questo uomo nuovo.

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