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Lettera «V»
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Valore dell’attimo
(229) Il valore dell’attimo, cioè, non sta nella sua riuscita immediata, ma nell’amore al tutto con cui è vissuto.
Così neanche un capello del capo, andrà perduto.
È l’affermazione della dimensione vera dell’uomo, che mette alle strette l’angustia materialistica dell’uomo moderno per dilatarlo, sotto l’urto dello Spirito, all’infinito.
Vedere
(298) Per “vedere”, e per credere, gli occhi devono sapersi poggiare sul loro oggetto con uno sguardo animato da un minimo di capacità simpatetica, che è del resto la condizione naturale di ogni conoscenza.
«L’amore dà occhi per vedere: lo stesso fatto che si ama, fa vedere».
Rousselot
E nella verifica di cui stiamo trattando l’alba di questo amore è il desiderio di verità, il desiderio di accedere, se la pretesa della Chiesa si rivelasse vera, a quella nuova natura che essa annuncia.
Vedere vs ascoltare
(102) San Tommaso diceva, con grande intuito psicologico, che l’uomo è molto più persuaso da ciò che ascolta che non da ciò che vede.
È sufficiente riflettere un poco sui propri atteggiamenti per rendersi conto dell’acutezza di questa osservazione.
L’uomo prova una più intensa convinzione nel sentirsi aderire alla parola di un altro che neanche nel vedere lui stesso.
Nell’aderire a qualcuno che ascolta, infatti, l’uomo deve poggiare la totalità della sua persona sul “tu” di un altro.
(103) E mentre è molto facile per ognuno mettere in dubbio sé stessi, è molto più difficile gettare l’ombra dei propri “se” e dei propri “ma” su una presenza stimata e amata.
(104) Naturalmente come abbiamo già detto, il riconoscimento di una testimonianza non esclude la possibilità di una evidenza quando essa sia data.
La esclude solo quando il “vedere” venga estrapolato, inteso in modo disarticolato da un contesto evidente.
Verità
(100ss) Il valore culturale di un concetto nuovo di verità.
Il fenomeno nuovo (il cristianesimo) che si andava verificando aveva una sorprendente corrispondenza con le sue radice: si tratta dell’immagine che la tradizione ebraico semitica aveva della verità.
Per il mondo occidentale, qual è la metafora più facile da utilizzarsi per indicare la verità?
La luce, la luminosità del vero, dove la certezza è basata sull’evidenza di ciò che vediamo.
Si mette così l’accento su un aspetto persuasivo della verità: quando c’è luce si vede, non si può non vedere.
È perciò un’evidenza che mette in gioco i propri occhi, la propria capacità di visione, e la verità è oggetto di tale potenzialità di evidenza.
Nella tradizione biblica,però, la definizione e l’allusione alla verità più frequentemente si ritrova in un’altra metafora: la “roccia” o la “rupe”.
(101) L’uso di questa metafora rivela come il metodo supremo per la conoscenza della verità, nella mentalità semitica, non sia tanto il vedere con i propri occhi, ma il riferirsi a qualcosa di sicuro come stabilità.
In ebraico infatti, la parola “amen” ha la stessa radice della parola verità, e questa radice significa proprio stabilità, permanenza.
La parola “amen” è appunto una affermazione di sicurezza: questo sta, e perciò è vero, è proprio così.
La stabilità cui ci si riferisce, non è erosa dal tempo, la durata documenta la verità.
L’effimero è menzogna, la verità è permanenza.
(102) Ora vorrei sottolineare come questa tradizione biblica dell’immagine della roccia come metafora di verità sia radicata in una maggior completezza umana rispetto alla metafora della luce, perché in essa è indicata anche una modalità più adeguata con cui la verità viene comunicata e scoperta.
La verità ha un accento per cui, se l’animo è nella posizione originale, in cui Dio l’ha messo creandolo, suona inconfondibile.
Il contrario di questo è ciò che il Vangelo chiama durezza di cuore.
(217) L’uomo non raggiunge la conoscenza di qualcosa se non ne comprende il significato, se non coglie cioè la capacità di rapporti con il resto.
La condizione per conoscere qualunque realtà è di avere chiarezza e certezza sul significato dell’esistenza stessa.
Questa è la verità: una definizione dei significati ultimi della nostra esistenza, di quel nostro vivere così semplice e così complesso.
Amore alla verità
(171) Il rischio è quello di dimenticare che l’elemento in gioco è il proprio amore alla verità: e, infatti, occorre profondamente desiderare il vero per poter superare lo scandalo dello strumento che lo comunica.
Comunicazione di verità
(217ss) L’uomo non raggiunge la conoscenza di qualcosa se non ne comprende il significato, se non ne coglie cioè la capacità di rapporto con il resto.
La condizione per conoscere qualunque realtà è di avere chiarezza e certezza sul significato dell’esistenza stessa.
Questa è la verità: una definizione dei significati ultimi della nostra esistenza, di quel nostro vivere così semplice e così complesso.
Questo è il primo livello attraverso cui il divino nella Chiesa si comunica: come comunicazione di verità.
Dio, tramite la chiesa, aiuta l’uomo a raggiungere una obiettiva chiarezza e sicurezza nel percepire i significati ultimi della propria esistenza.
(218) La comunicazione del divino come comunicazione di verità, non risponde ad una istanza filosofica, ma ha a che fare con ili modo di concepire e di sentire la propria vita, il proprio nesso con la realtà.
(220s) La comunicazione di verità con la quale Dio si raggiunge nella chiesa, il mistero dell’Essere che viene rivelato all’uomo, spiega la convergenza profonda dell’io e del tu, dell’io e del noi, dell’unità della singola persona e delle presenza di altre, spiegazione senza la quale sia l’identità dell’io sia la presenza di altro resterebbero brandelli di un’esistenza assurda.
Perciò il mistero della Trinità ha una “voce” che si fa sentire come chiarificante all’interno della nostra esperienza, appartiene profondamente al significato ultimo dell’esistenza o meglio è quest’ultimo che a Esso appartiene.
(233) … è impossibile per l’uomo raggiungere anche soltanto una idea di pace senza dimenticare qualcosa.
La verità che la Chiesa insegna sul valore dell’umanità redenta da Cristo è invece l’opposto: tutto vale per l’eternità, nulla cade nell’oblio, e di tutto siamo chiamati a rendere conto.
Questo richiama all’idea cristiana di “merito”, cioè di realtà umana proporzionata all’eterno svelato in Cristo.
La comunicazione di verità che il divino nella chiesa fa arrivare agli uomini mostra la sua validità proprio nel non dimenticare nulla, nel valorizzare il bene, e nel giudicare o trasformare il male.
Vigilanza
(36) …. Si trattava dell’inno delle sentinelle di Assisi e il testo esortava alla vigilanza, a vegliare per difendere la città dai nemici e l’anima dagli attacchi del maligno.
Io sentivo una parte di me estranea a quel richiamo unitario sia alla difesa della città sia alla preservazione dell’anima dal peccato mortale.
Tale estraneità coincide proprio con la difficoltà a considerare il religioso come determinante di tutto.
(212) La concezione della vita umana che la Chiesa propone è quella di una tensione, come una vigilanza simile a quella di una sentinella sugli spalti che bada al minimo rumore.
Vittoria di Cristo
(123)«Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio».
Rm 8, 26-27
È l’umile e grato riconoscimento del dono dello Spirito e della Forza dall’Alto – e la loro invocazione – l’albore della vittoria di Cristo, il segno continuo del miracolo.
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