Temi di “Perchè la Chiesa”

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Lettera «C»


Cambiamento sperimentabile

(117) Quella espressione, “caparra dello spirito”, cioè inizio, pegno o primizia, indica ciò che il cristiano è chiamato a sperimentare e a dimostrare: l’alba di un mondo nuovo.

Il che richiama la frase pronunciata da Gesù, secondo la quale chi avrà investito tutta l’esistenza nel seguire Lui riceverà il centuplo quaggiù e la vita eterna:

«Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del Vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e  madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna» .

Mc 10,29-30

Un cristiano adulto, ragionevole nella sua adesione, è chiamato a intuire l’esistenzialità di questa frase, a sperimentarne l’inizio della portata.

Se la sfida di questa frase del Vangelo non viene recepita è giustificato il dubbio che si stia parlando di cristianesimo o fede in modo astratto.


Caparra


Caparra dello Spirito

(115ss)

«E’ Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori».

Paolo 2 cor. 1,21-22

Troviamo qui l’immagine dell’unzione o consacrazione – che significa nella traduzione ebraica: scelti per Dio

E l’immagine del sigillo.

Da un lato dunque, si evidenzia il marchio, il timbro impresso sulla superficie di un oggetto, crea una novità anche da un punto di vista formale, cambia la faccia di quell’oggetto.

Così per l’uomo investito dal dono dello Spirito si verifica un mutamento di volto, espressione di una ontologia nuova.

(116) L’immagine di Paolo è comunque indice di cambiamento ontologico, perché il sigillo è una realtà fisica, trasforma la fisionomia di ciò su cui è  impresso.

Emerge dall’altro lato, l’immagine dell’unzione, della scelta cioè da parte di Dio di chi dovrà veicolare il senso della storia, così come era stato per Israele.

E Paolo conclude il suo pensiero accennando alla caparra dello Spirito, cioè all’attuato inizio dell’azione efficace dello Spirito, di quell’energia con cui Gesù Cristo risorto, avendo in mano ogni cosa, sta mobilitando la realtà tutta verso il manifestarsi finale della Sua Verità, perché come dice Paolo nello splendido inno cristologico della lettera ai Colossesi: «Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui [ … ] e tutte in Lui sussistono».

(117) Questa espressione, che abbiamo messo in rilievo nella frase di Paolo “caparra dello Spirito”, cioè inizio, pegno o primizia, indica ciò che il cristiano è chiamato a sperimentare e a dimostrare: l’alba di un mondo nuovo.


Caparra del mondo nuovo

(118) Il dono dello Spirito ha come scopo di rendere palese il fatto che si è immersi in quel nuovo flusso di energie provocato da Gesù, manifesta che si è parte di quel fenomeno nuovo.

Perché il dono dello Spirito è una forza che investe gli uomini che Cristo ha chiamato nella sua Ecclesia.

Egli conferisce la loro una nuova consistenza, in funzione dello scopo immediato di quella chiamata, l’edificazione della comunità, caparra del mondo nuovo.


Cartesianesimo

(62s) Anche nel suo aspetto conclusivo, quella frammentazione di mentalità, che abbiamo visto configurarsi al suo inizio come rottura dell’unità, con il razionalismo continua il suo percorso di posizioni teoriche e di incidenza sociale.

Il cartesianesimo, per esempio, destinato ad influenzare il modo di pensare dell’uomo moderno, ebbe un successo di una rapidità considerevole.

Il fervore per la ratio che scopre la sua corrispondenza con i dinamismi della natura, che costruisce sistemi atti a rendere ragione dei suoi stessi meccanismi, non è di per sè ostile al Dio cristiano, ma, nel suo divenire un fenomeno collettivo consuma una nuova tappa dell’allontanamento di quel Dio dalla mentalità della gente, un Dio di cui il corso assolutamente determinato del mondo non aveva più bisogno, anche se teoricamente le leggi della matematica e della fisica potevano essere intese come l’opera del factor coeli e terrae, dell’architetto del mondo.

E non è inutile ribadire che tale nuova tappa di allontanamento ha trovato via libera nella diffusione di una mentalità ormai non più esercitata, nel suo contesto sociale, all’integrità dei nessi tra l’uomo e Dio, e quindi alla visione globale dell’immagine di Dio nel mondo.


Categoria della possibilità

(21) Affrontiamo ora il secondo atteggiamento: si tratta della posizione protestante, che è profondamente religiosa e come tale percepisce con chiarezza la distanza sterminata che c’è fra l’uomo e Dio: il Dio, il diverso, l’Altro, il Mistero.

Il “perché ultimo” è riconosciuto come ben più grande dell’uomo, per sua natura inimmaginabile dall’umana mente, sorgente di una possibilità, indefinita dell’umana immaginazione.

Per questo l’uomo religioso vive intensamente la categoria della possibilità.


Cattolicità

(298ss) Le sette, dicono i Padri, prendono il nome del  loro fondatore o dal luogo in cui sono nate o dalla dottrina che professano.

Così fin dal principio: “ Io sono di Paolo, e io di Apollo, e io di Cefa”.

Invece, era stato promesso alla Chiesa che non avrebbe avuto alcun signore sulla terra e che a lei spettava “riunire insieme in una sola famiglia i figli di Dio che erano dispersi”.

Il suo nome abituale, che era inteso sulla piazza del mercato e usato nel palazzo imperiale, che anche il primo venuto conosceva e che era usato negli atti ufficiali dello Stato era quello di Chiesa Cattolica.

De Lubac: «Katholicon, in greco classico, era usato dai filosofi per indicare una proposizione universale; ora l’universale è un singolare, e non deve essere confuso con una somma.

La Chiesa non è cattolica perché attualmente è diffusa in tutta la terra e conta un gran numero di aderenti.

Essa era già cattolica nella Pentecoste, quando tutti i suoi membri erano contenuti in una piccola sala, lo era al tempo in cui le ondate ariane, sembravano sommergerla; lo sarà ancora domani, se apostasie in massa le facessero perdere quasi tutti i fedeli.

Essenzialmente la cattolicità non è una questione di geografia o di cifre.

Se è vero che deve necessariamente dilatarsi nello spazio e manifestarsi agli occhi di tutti, non è tuttavia di natura materiale, ma spirituale.

La Chiesa, in ogni uomo, si rivolge a tutto l’uomo, comprendendolo con tutta la sua natura».

La cattolicità è dunque una dimensione essenziale della Chiesa, ed esprime fondamentalmente la sua pertinenza all’umano in tutte le variabili delle sue espressioni.

Che la Chiesa sia cattolica significa perciò che la verità e lo spirito della Chiesa, ciò che essa proclama e l’esperienza cui introduce, possono essere veicolati e assimilati da qualsiasi cultura e mentalità.

(300) Danielou: «Ora v’è sempre la tentazione di ridurre l’unità all’uniformità, di concepirla sotto forma di una centralizzazione, sul piano dell’organizzazione, o sotto forma d’un modo comune di espressione per quanto riguarda le formulazioni teologiche.

Ma l’unità vera è quella che è nello stesso tempo cattolicità; quella che è internamente all’unità della fede, all’unità della Chiesa, all’unità del dogma, all’unità dell’Eucarestia, si esprime attraverso il differenziarsi delle mentalità, delle culture, delle civiltà».

È un’espressione varia e differenziata, che non si qualifica come esteriore dimostrazione di grandezza, di successo o di conquista, bensì come risposta a un imperativo interiore del cuore creato, poiché come dice Karl Adam: «Cristo è apparso come redentore dell’umanità intera, perciò anche il suo corpo per essenza, tende ad includere l’umanità intera».

Se guardiamo poi a una delle realizzazioni più imponenti della storia cristiana, il monachesimo, troviamo pienamente esemplificata questa capacità di assumere dati provenienti da diverse culture.

Dawson: «La primitiva istituzione del monachesimo cristiano fu di origine prettamente orientale e nacque nel deserto egiziano durante il IV  secolo. Però, immediatamente la Chiesa accettò questa nuova forma di vita come espressione essenziale dello spirito cristiano e la diffuse in oriente e in occidente, dall’Atlantico al Mar Nero e al Golfo Persico.

E, mentre si sviluppava, essa si adattò alla vita dei diversi popoli tra i quali era arrivata, sebbene fosse perfettamente consapevole delle proprie origini e della continuità della sua tradizione».

La cattolicità, come qualità intrinseca della Chiesa, deve essere dimensione personale di ogni cristiano, anche non chiamato a una specifica vocazione missionaria.


Centuplo

(117s) …..”caparra dello Spirito”, cioè inizio, pegno o primizia, indica ciò che il cristiano è chiamato a sperimentare e a dimostrare: l’alba di un mondo nuovo.

(Mc 10,29-30): «Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del Vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna».

Mc 10, 29-30

Un cristiano adulto, ragionevole nella sua adesione, è chiamato ad intuire l’esistenzialità di questa frase e a sperimentarne l’inizio della portata.

(118) I cristiani con il dono dello Spirito Santo hanno la possibilità di incominciare a sperimentare la realtà in modo nuovo, ricco di verità e carico di amore.

Senza passare attraverso questa esperienza risulta molto difficile, per non dire impossibile acquistare una convinzione capace di costruttività.

Il dono dello Spirito ha come esito di rendere palese il fatto che si è immessi in quel nuovo flusso di energia provocato da Gesù, manifesta che si è parte di quel fenomeno nuovo.

(202) Il giusto atteggiamento potrebbe anche voler dire un distacco dal proprio punto di vista, o da quel segmento di vita che si vorrebbe afferrare come se fosse tutto, ma se tale distacco si realizza, esso genera una vera nuova ricchezza, un nuovo vero possesso delle cose e degli affetti.

La salvezza perciò operata da quel giusto atteggiamento incomincia, e con abbondanza – “cento volte tanto” – nel tempo presente, secondo la fisionomia dell’impegno e della storia di ognuno.

(268) E’ quanto Gesù intendeva con l’espressione, già citata, con cui promette ai suoi discepoli il “centuplo” su questa terra [ …  ].

Ora, il messaggio della Chiesa nella storia dell’umanità proclama di avere come unico interesse il portare a compimento l’anelito supremo.

Senza chiedergli di dimenticare alcuni dei suoi desideri autentici, delle sue esigenze prime, promettendogli anzi un risultato molto superiore alle sue capacità stesse di immaginazione: il centuplo.

Avendo lanciato da secoli questa sua inaudita scommessa, la Chiesa non può barare.

Non è quindi improvvisata questa sfida audace della Chiesa, che si rimette alla nostra esperienza di uomini, promettendo per di più, come già il Signore, una esperienza di pienezza non ipotizzabile dal punto di vista della nostra normale esperienza.

(271) Vorrei ribadire, per concludere, che al cammino di verifica affrontato con l’animo aperto e disponibile è promessa una realizzazione esistenziale che la Chiesa dichiara di saper ottenere in paragone o in sfida con qualunque altra proposta.

Ma naturalmente quella pienezza, il cento volte del Vangelo, è solo l’alba della totalità.

Il tutto incommensurabilmente di più di quanto possiamo immaginare: è il “centuplo”.

Ma questo “centuplo” è l’indicazione che il tutto si sta avvicinando, è un segno che rende manifesta la totalità. Senza passare da questa esperienza, l’uomo non sarà mai convinto


Certezza

(145) La Chiesa primitiva, dunque, non si sente certo il luogo della gente perfetta.

Lotte di opinioni all’interno della comunità che diventano reali pericoli di scissione, odi vicendevoli, gente che proponendosi con il possesso di un carisma semina confusione nella comunità, il persistere dei vizi del paganesimo e l’allontanarsi dell’annuncio degli apostoli per seguire le proprie e altrui interpretazioni, tutto questo è accaduto in quelle comunità di santi.

Ma dentro quella realtà così banalmente umana, così misera come i sintomi che abbiamo citato ci indicano, c’è la certezza di una umanità nuova, quella di Cristo, capace di trasformare qualunque povertà umana, perché ci si disponga in quella “corsa” che descrive l’Apostolo, purché ci si metta in cammino, secondo le proprie possibilità sorrette dalla grazia.

La certezza è che Gesù può attraversare le nostre impotenze con la sua forza e mutarle in una energia operosa per il bene.

Questa è la certezza che noi ereditiamo, insieme alla possibilità del male, da coloro che ci hanno preceduto.


Chiesa

(5) La Chiesa non solo è espressione di vita, qualcosa che nasce dalla vita, ma è una vita.

Una vita che ci raggiunge da molti secoli a noi precedenti.

Chi si accinge a verificare una propria opinione sulla Chiesa deve tener presente che per l’intelligenza reale di una vita come la Chiesa occorre adeguata convivenza.

La Chiesa è una realtà catalogabile – qualunque sia la posizione di chi voglia affrontarla – tra i fenomeni religiosi

(10) Chi si imbatte in Gesù Cristo, sia un giorno dopo la sua scomparsa dall’orizzonte terreno, sia un mese dopo o cento, mille, duemila anni dopo, come può essere in grado di rendersi conto se Egli risponde alla verità che pretende di essere?

Vale a dire: come può arrivare uno a comprendere se veramente Gesù di Nazareth è l’avvenimento che incarna quella ipotesi della rivelazione in senso stretto?

Questo problema è il cuore di ciò che storicamente si chiama Chiesa.

La parola “Chiesa” indica un fenomeno storico il cui unico significato consiste nell’essere per l’uomo la possibilità di raggiungere la certezza su Cristo, nell’essere risposta a quella domanda:

«Io che vengo il giorno dopo quello in cui Cristo se ne è andato, come faccio a sapere se veramente si tratta di qualcosa che sommamente mi interessa, e come faccio a saperlo con ragionevole sicurezza?».

È quindi importante che, oggi, chi viene dopo l’avvenimento di Gesù di Nazareth, possa accostarlo in modo tale da raggiungere una valutazione ragionevole e certa, adeguata alla gravità del problema.

La Chiesa si pone come risposta a tale esigenza di valutazione certa.

Ciò presuppone la serietà della domanda: «Chi è veramente Cristo?», cioè un impegno morale nell’uso della coscienza di fronte al fatto storico dell’annuncio cristiano».


La Chiesa è una vita

(5s) La Chiesa non è solo espressione di vita, qualcosa che nasce dalla vita, ma è una vita.

Una vita che ci raggiunge da molti secoli a noi precedenti.

Chi si accinga a verificare una propria opinione sula Chiesa deve tener presente che per l’intelligenza reale di una vita come la Chiesa occorre adeguata convivenza.

Conditio sine qua non per l’intelligenza della vita è la convivenza con essa.


(6) La Chiesa è vita religiosa.

Se la Chiesa è vita religiosa, nella misura in cui in me l’aspetto religioso non è attivato o è infantilmente arrestato, in quella misura sarà più difficile poter giudicare oggettivamente, criticamente, quel fatto religioso.

(224s) Se il magistero è la garanzia del declinarsi della comunità in quanto vive, lo strumento più grande della comunicazione del vero nella vita della Chiesa è la sua continuità.

Si chiama tradizione.

La tradizione è la coscienza della comunità che vive oggi, ora, ricca della memoria di tutta la sua vicenda storica.

De Lubac: «L’idea della tradizione esposta qui deriva dall’idea della rivelazione: tutto ciò che la Chiesa ha ricevuto, essa lo trasmette “nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto; non si tratta dunque soltanto di una tradizione orale”, ma di una tradizione concreta e vivente, che fruttifica durante il tempo, così che conservando la verità rivelata, essa la attualizza secondo i bisogni di ogni epoca»

De Lubac

(225) Ecco perché l’unità del cristiano con la tradizione è una delle grandi controprove della sua autenticità religiosa.

Egli dovrebbe essere appassionato di quella vita e di quell’insegnamento che percorrono i secoli da 2000 anni, e fiero di essere l’erede di una tale tradizione.

L’importanza della tradizione è decisiva, perché se la tradizione ci viene attraverso la vita della comunità, essendo quest’ultima il progredire di Cristo nella storia, quanto adesso insegna non può essere in contrasto rispetto a quanto insegnava mille anni fa.

Non può essere, come annuncio di verità, come significati ultimi una decadenza del suo primitivo messaggio. (vedere testo importante di Newman a pag. 225)

(233) Il contenuto fondamentale dell’avvenimento cristiano, ciò che teologicamente si chiama depositum fidei, si comporta nella storia della Chiesa come il contenuto dell’umanità di un bambino.

Via via che il tempo passa, nell’urto delle circostanze e nella provocazione degli avvenimenti, prende coscienza di sé sempre più.

La Chiesa infatti, è così facile non tenerlo presente, è una vita.

È la vita di Uno, il mistero della persona di Cristo, che si sviluppa nel tempo dentro l’organicità vivente del suo popolo.

La Chiesa è dunque una vita che nel tempo prende sempre più coscienza di sé.

(273) Se dunque la Chiesa è una vita, bisogna coinvolgersi con la vita per poterla giudicare.

Si tratta innanzitutto di convivere con la vita della Chiesa là dove è vissuta autenticamente, là dove essa è vissuta sul serio.

Per questo la Chiesa proclama i santi: per dare delle indicazioni di come, tramite i più diversi temperamenti e le più variegate circostanze storiche e sociali, con le più differenti sensibilità culturali, sia possibile vivere sul serio la proposta cristiana.


Chiesa popolo di Dio

(26) Storicamente parlando questa realtà si chiama Chiesa, sociologicamente parlando “popolo di Dio”, ontologicamente parlando, cioè nel senso profondo del termine, “Corpo misterioso di Cristo”.

L’energia con cui Cristo è destinato a possedere tutta la storia e tutto il mondo, l’energia con cui è destinato ad essere il Signore del mondo e della storia, è una energia per cui Egli assimila sé, in senso ontologico a noi sperimentabile direttamente, le persone che il Padre gli affida, la persona cui lo Spirito dona la fede in Lui.

Tale energia afferra il credente in modo tale da assimilare come parte del mistero della sua stessa persona.


Compagnia dei credenti

(27)

«Ciò che era fin dal principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi».

Giovanni 1, 1-33

Giovanni pronuncia così la più bella espressione del metodo dell’annuncio cristiano: la verità diventata carne, un Dio fatto Presenza che anche dopo duemila anni, ti raggiunge attraverso una realtà che si vede, se sente e si tocca.

È questa la “compagnia” dei credenti in Lui.


Incontrare la Chiesa

(28) E’ incontrando l’unità dei credenti che ci si imbatte letteralmente in Cristo; incontrando la Chiesa secondo l’emergenza fissata dallo Spirito.

E per incontrare la Chiesa io devo incontrare degli  uomini in un ambiente.

Non esiste la possibilità di incontrare la Chiesa Universale nella sua interezza, è una immagine astratta: s’incontra la Chiesa nella sua emergenza locale e ambientale.

E uno la incontra esattamente come possibilità di serietà critica, così che l’eventuale adesione – adesione grave, perché da essa dipende tutto il significato dell’esistenza – possa essere totalmente ragionevole.

È innegabile, da una parte, che questa modalità sfida la nostra ragione identicamente a come l’uomo Cristo sfidò la ragione dei farisei: è il mistero di Dio che è presente.

D’altra parte è innegabile, anche metodologicamente, che ci troviamo nella stessa dinamica verificatasi 2000 anni fa.

L’atteggiamento ortodosso\cattolico concepisce l’annuncio cristiano come l’invito a una esperienza presente integralmente umana, un incontro oggettivo con una realtà umana oggettiva, profondamente significativa per l’interiorità dell’uomo, provocativa a un senso e a un cambiamento della vita, perciò invadente i soggetto, secondo coerenza con l’esempio originale.

(29)

«Noi lo ammettiamo senza arrossire, anzi con orgoglio: il cattolicesimo non va identificato senz’altro e sotto ogni riguardo col cristianesimo primitivo o col messaggio di Cristo, allo stesso modo che la quercia adulta non è totalmente identica alla minuscola ghianda. Esso conserva la sua fisionomia essenziale non in maniera  meccanica, ma organicamente. [ … ] L’annuncio di Cristo non sarebbe un messaggio vivente, né il seme che esso gettò alla glebe sarebbe un seme vivente, se fosse rimasto eternamente il piccolo seme del 33 e non avesse messo radici e assimilato materia, non fosse cresciuto ad albero sui del quale nidificano gli uccelli del cielo».

Karl Adam

La Chiesa è un fenomeno storico

(81) La Chiesa è un fenomeno storico: è emersa, è come venuta a galla nel flusso della storia a un certo punto.

Ci domanderemo dunque quali siano i fattori decisivi di tale fenomeno, così come si possono riconoscere alle sue origini.

Nella sua storia la vita della Chiesa ha preso sempre più coscienza del peso specifico di quei fattori di cui è costituita.


Rapporto con Cristo vivo

(82s) La Chiesa si pone nella storia anzitutto come Cristo vivo.

Ogni altra riflessione ogni altra considerazione consegue a questo originario atteggiamento.

Luca, negli Atti degli apostoli, traccia il quadro di un gruppo di persone che ha continuato a sussistere come comunità dai giorni della vita terrena di Gesù nel periodo post pasquale.

Ci sarebbero invece state tutte le ragioni per un dissolvimento di quella aggregazione, nata al seguito di un uomo eccezionale.

Morto Lui, se fosse stata distrutta quella presenza attorno alla quale ruotava il loro stare insieme, sarebbe stata anche comprensibile una definitiva dispersione del gruppo di discepoli.

(83) Un devoto ricordo, però non avrebbe potuto tenere insieme quel gruppo in condizioni così difficili, ostili, neppure se fosse stato sorretto dal desiderio di diffondere l’insegnamento del Maestro.

Per quegli uomini l’unico insegnamento che non poteva essere messo in discussione era il Maestro presente, Gesù vivo.

Ed è esattamente questo che hanno trasmesso: la testimonianza di un Uomo presente, vivo.

L’inizio della Chiesa è proprio questo insieme di discepoli, questo gruppetto di amici, che dopo la morte di Gesù sta insieme ugualmente.

Perché? Perché Cristo risorto si rende presente in mezzo a loro.


Continuità di Cristo

(87ss)  Non è questo il ritratto di un gruppo che ha saputo abilmente riorganizzarsi dopo i colpi di una avversa fortuna, ma di un gruppo che non si è mai sciolto, perché il motivo della loro unione, non li ha mai abbandonati.

Per loro Gesù non è qualcuno da ricordare, magari in un tentativo di fedeltà alle sue parole,

è qualcuno da testimoniare ancora presente ed operante.

Nulla è cambiato, per un verso, da quando camminava per le strade di Galilea operando miracoli e rimettendo i peccati, scandalizzando i dottori della Legge: egli è operante come prima.

Sorge però il problema: quello della natura della sua continuità nella storia.

Sorge in tal senso il problema della Chiesa, che si lega a quello stesso di Cristo.

Il problema della Chiesa, prima di essere affrontato criticamente per valutarne la proposta, va visto nella sua radice di continuità di Cristo, così come si è posto ai primi che lo hanno vissuto, così come Gesù stesso lo ha posto dopo che tutta la missione in questo mondo era stata di rendere presente il Padre attraverso di sé.

(89) La sua opera non era dottrina, non un’ispirazione per una vita più giusta, ma Egli stesso mandato dal Padre come compagnia al cammino dell’uomo.

Concludendo potremmo dire che il contenuto dell’autocoscienza della Chiesa delle origini sta nel fatto che essa è la continuità di Cristo nella storia.

Perciò ogni dettaglio analitico, ogni passo per addentrarci in questo problema, dovrà portarci alla verifica di questa radice.


(156) Cristo è il metodo che Dio ha scelto per salvare l’uomo.

La Chiesa è il prolungamento nella storia, nel tempo e nello spazio, di Cristo.

Ed, essendo tale prolungamento, è in essa la modalità con cui Cristo continua ad essere particolarmente presente nella storia, e dunque essa è il metodo con cui lo Spirito di Cristo mobilita il mondo verso la verità, la giustizia, la felicità.

[ … ] La Chiesa si pone di fronte al mondo come realtà sociale carica di divino, vale a dire, si pone come realtà umana e realtà divina.

Qui è tutto il problema: un fenomeno umano che pretende portare il sé il divino.

(195) La funzionalità della Chiesa sulla scena del mondo è già implicita nella sua consapevolezza di essere prolungamento di Cristo:

è cioè la funzionalità stessa di Cristo.

La funzione di Gesù nella storia è l’educazione al senso religioso dell’uomo e dell’umanità, dove per religiosità, o senso religioso, intendiamo la posizione esatta come coscienza e tentativamente come atteggiamento pratico dell’uomo di fronte al destino.

(307) Il mistero non è più l’inconoscibile.

In senso cristiano “mistero” è la sorgente dell’essere, Dio, in quanto si comunica e si rende sperimentabile attraverso una realtà umana.

Questo modo concreto non può più essere eliminato, è e resta decisivo per tutti e per sempre.

La Chiesa è la continuità dell’avvenimento dell’Incarnazione nella storia, ciò che permette all’uomo di oggi di essere in rapporto con Cristo.


Autocoscienza della Chiesa primitiva

 (89) Il contenuto dell’autocoscienza della Chiesa delle origini sta nel fatto che essa è la continuità di Cristo nella storia.

«Il cristiano è colui che prima di tutto crede alla risurrezione di Cristo, la qualcosa significa che Cristo è vincitore vivente, che noi possiamo unirci a Lui attualmente vivente, e che questa unione è lo scopo della nostra vita.La risurrezione di Cristo significa ancora che Gesù Cristo non è solamente il fondatore della Chiesa, ma che rimane il capo invisibile ma attivo».

Leclerq

Comunità visibile

 (91) Un realtà comunitaria sociologicamente identificabile.

Il fatto cristiano innanzitutto si pone nella storia, cioè la Chiesa si presenta all’osservatore, come comunità.

Questo è il primo rilievo che colpisce accostando la vicenda cristiana.

Leggendo gli atti degli apostoli, il primo documento storico sulla vita primitiva cristiana, ci si imbatte subito in una immediata immagine di questo connotato comunitario dei cristiani.

At 2,42-44 . 46-48: «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme. [ … ]Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane. [ …. ] Lodando Dio e godendo la stima di tutto il popolo».

At 2,42-44 . 46-48

Chiesa totale e Chiesa particolare

(112) La Chiesa locale ha valore in quanto emergenza della Chiesa totale, la quale senza di quella non vivrebbe.

La concretezza storica.

La riflessione del termine ecclesia ci ha aiutati a comprendere il tipo di consapevolezza che i primi cristiani avevano del valore della loro comunità, valore che deriva totalmente, interamente, dalla partecipazione all’unica Chiesa retta dagli apostoli.

(111) Il valore che viene a noi dato dai documenti della prima cristianità alle singole e diverse esperienze di comunità, in quanto unite agli apostoli, è il valore stesso della Chiesa totale, proprio in quanto esprimono la sua realtà profonda e unitaria, che il Signore fa emergere in esperienze diverse.

(110) Ogni comunità, per quanto piccola possa essere, traendo il suo valore dalla Chiesa totale, la rappresenta tutta, incarna il Mistero di quella chiamata che era così presente alla coscienza dei primi cristiani.

È un’unica Chiesa che emerge in tutti i luoghi in cui si viene a trovare.


Fenomeno istituzionale

(132s) La parola “communio” o “koinonia” che abbiamo visto intendersi come condivisione vissuta nella dipendenza da Gesù Cristo, assume anche una connotazione istituzionale.

Si andava formando cioè un fenomeno istituzionale nuovo in seno alla società, provvisto di elementi qualificanti suoi propri e non semplicemente espresso da un sentimento fraterno.

Nella lettera ai Galati 2,2-9 Paolo racconta di un viaggio da lui compiuto a Gerusalemme per verificare la sua predicazione con coloro che erano ritenuti punti di riferimento per la nascente comunità cristiana: «Esposi loro il Vangelo che io predico ai pagani» e dopo questo confronto, poiché esistevano discussioni sull’obbligatorietà o meno per i pagani convertiti di sottoporsi alla circoncisione e ad altri oneri della legge Giudaica, Paolo si fa premura di dichiarare ai Galati che ha avuto il conforto di un consenso espresso: «E riconoscendo la Grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione».

È questo un gesto significativo di un fatto istituzionale, un atto di riconoscimento, formalizzato in una stretta di mano, della partecipazione comune a una medesima missione, a una stessa realtà.

È uno degli accenti più documentativi, e anche per la nostra mentalità più espliciti, del fatto che la Chiesa non è mai esistita senza ruoli oggettivi di conferma o verifica ultima.

In questo modo la parola “koinonia”, o comunione, indicava il risultato  di un modo nuovo di vita in termini di forme  sociali stabilite, indicava che i nuovi rapporti erano così evidenti e costantemente ricercati da raggiungere i primi ma fondamentali tratti di un assetto istituzionale.

(133) Così “koinonia” o “communio” vengono usate per indicare la Chiesa come tale, si pongono come sinonimi del termine ecclesia, indicando l’unità del popolo di Dio come fatto sociale che ha preso una sua forma come istituzione, struttura sociale nuova.

Nell’uso della Chiesa primitiva, tali termini, quindi, oltre che un tipo ci vita cominciarono subito a voler indicare un vincolo stabile, e a mettere in rilievo una unità sociale organica.


Ruoli oggettivi nella Chiesa

(Vedere anche cap. precedente “Fenomeno istituzionale”)

(136ss) La comunità dei cristiani non si è dunque posta come un fatto spontaneistico, cioè affidato alla soggettività di ciascuno, né come aggregazione amorfa: in essa esistono funzioni particolari.

Tutti sono chiamati a riverberare la funzione stessa di Gesù Cristo per l’umanità, ma alcuni riflettono la funzione di Gesù in modo eccezionale: come insegnamento e come potere di comunicare la realtà divina.

(137) Il Signore ha valorizzato al massimo le nostre competenze naturali.

Così ha voluto che esistesse una diversa funzionalità nell’esperienza comunitaria che in lui si sarebbe radicata e in cui Lui sarebbe stato sempre presente.

Daniel-Rops:

«Gli elementi fondamentali posti da lui si distinguono chiaramente nella comunità primitiva. Si ha l’impressione che gli apostoli, suoi primi testimoni da lui stesso designati e stabiliti, godessero, come era giusto, di grande autorità morale …. Tra i dodici Pietro sembra occupare un posto di primo piano. [ …] È colui che prende le iniziative. La sua opinione ha un peso particolare [ … ] Questa preminenza di Pietro, che avrà una importanza considerevole nella storia cristiana per le sue conseguenze, si fonda essa pure sulla dichiarazione esplicita del Maestro, che ha voluto dare alla sua formazione un principio gerarchico e che ha chiaramente designato come la pietra sulla quale avrebbe edificato la Chiesa, quest’uomo saggio dal cuore generoso, la vecchia Roccia».


Giudicare la Chiesa

(178s) Se la Chiesa dice di sé: io sono una realtà fatta di uomini, che veicola qualcosa di eccezionale, di soprannaturale, che veicola cioè il divino, quel divino che salva il mondo; se la Chiesa dunque definisce sé stessa così, e così si è definita fin dagli inizi, non la si può giudicare nel suo valore profondo elencando i delitti e le ristrettezze degli uomini che ne fanno parte.

Al contrario, se nella definizione della Chiesa entra l’umano come veicolo scelto dal divino per manifestarsi, in tale definizione potenzialmente entrano anche quei delitti.

Questo non significa che li si debba accettare per rassegnazione.

Ciò che in questo contesto intendo dire è che nefandezze e angustie non costituiscono materiale di giudizio sulla verità della Chiesa.

Dal punto di vista di una posizione intellettualmente adeguata, dobbiamo chiederci che cosa veramente la Chiesa vuole essere, per poi verificare se questa sua pretesa sia fondata.

(179) Abbiamo visto come un giudizio emesso sulla Chiesa sulla base del comportamento degli uomini parta da errate promesse e sia destinato a sfuggire a quel paradosso – il divino veicolato dall’umano – che appartiene alla definizione stessa della Chiesa.

Invece, come osserva de Lubac: «Proprio questo ci introdurrà nel suo mistero. La Chiesa umana e divina».

(180)

Osservava acutamente Fulton J. Sheen che coloro che sfuggono la Chiesa per l’ipocrisia, per l’imperfezione delle persone religiose, si scordano che, se la Chiesa fosse perfetta nel senso da loro reclamato, non ci sarebbe in essa posto per loro …

[ … ]Beato l’uomo che non rifiuta il valore per l’eventuale imperfezione di chi lo porta.

(181) Ancora oggi essere tesi alla ricerca dei difetti di chi annuncia il cristianesimo, o essere pronti a scandalizzarsene, non è altro che un alibi per non aderire mai, per non dover mai cambiare sé stessi.


Funzione della Chiesa

(195) La funzionalità della chiesa sulla scena del mondo è già implicita nella sua consapevolezza di essere prolungamento di Cristo: è cioè la funzionalità stessa di Gesù.

La funzione di Gesù nella storia è l’educazione al senso religioso dell’uomo e dell’umanità (proprio per poter salvare l’uomo) dove per religiosità, o senso religioso, intendiamo, come già si è detto, la posizione esatta come coscienza e tentativamente come atteggiamento pratico dell’uomo di fronte al suo destino.


Circostanza

(187) Il cristianesimo non è nel mondo per svuotare la dinamica della evoluzione storica, ma per comunicare quei valori – come quello della persona – salvati i quali ogni evoluzione ha gli strumenti per diventare più utile come espressione dell’uomo, non salvati i quali qualunque evoluzione torna a disdoro e a dispetto della dignità umana.

Il valore portato dal cristianesimo è qualcosa che riguarda l’uomo come uomo in qualunque circostanza, e anzi, pur non rassegnandosi alle circostanze negative, quando sa esserne cosciente,

il cristiano è capace di affermare l’umano anche nelle peggiori circostanze.

La circostanza di fronte ai valori si mobilita nel tempo e diventa valore trasformatore.


Collettività

(68) Se il fenomeno uomo non è strutturalmente inteso come qualcosa che riguardi l’«io», allora facilmente si parlerà di uomo e di umanità in connessione a una logica di potere.

La parola “io” si perde nell’indistinto, se l’uomo viene identificato con la collettività, e, dunque, in ultima analisi si perde.

E questa collettività senza volto finisce per essere guidata da qualcuno che si pretende comunque fuori dall’anonimato, con un volto preciso.

(69) Il riferimento a qualunque altra categoria che eluda l’«io» in nome dell’umanità sarà una ragione, storicamente più forte e la più terribile, per distruggere l’uomo (vittima designata degli umani poteri).


Communicantes

(124s) Quando Luca parla di alcuni pescatori della Galilea che erano comproprietari di una flotta di pescherecci dice: «Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone». E usa la parola koinonoi, in latino communicantes: assomiglia a qualcosa che noi chiameremmo cooperativa.

Indica cioè rapporti realmente reciproci tra la gente che, per un determinato motivo, ha qualcosa in comune, partecipa a un comune interesse.

Questo termine ha due informazioni da rivelarci: la prima è che “koinonoi” implicava un possesso comune; la seconda è che da questo possesso in comune conseguiva una solidarietà tra di loro.

(125) Quei pescatori della Galilea avevano in comune una flottiglia di pescherecci, e perciò si potevano chiamare koinonoi, communicantes, cointeressati in una comunione di beni, diremmo noi, in cooperativa.

Quel gruppo di cristiani, che soleva vedersi sotto il portico di Salomone, perché ha poi usato la stessa parola per indicare la comunità?

Che cosa quei cristiani avevano coscienza di possedere in comune?

Possedevano in comune un  unica ragione di vita, la ragione della vita – cioè Gesù Cristo.

Ecco la coscienza della comunione dei cristiani primitivi.

La parola koinonia indica, dunque, prima di tutto una realtà esistente, Cristo, posseduta in comune dagli uomini che la riconoscono.

Essa ha perciò prima di ogni altro aspetto un valore ontologico, vale a dire implica qualcosa che interessa e coinvolge l’essere dell’uomo, che diventa creatura nuova, un essere posseduto dal Mistero rivelato e per questo in unità di essere anche con tutti gli uomini chiamati alla scelta divina.


Communio

(124) C’è una parola con cui veniva definito il tipo di vita alla quale quella comunità animata dallo Spirito si destava.

Non è infatti il fenomeno comunitario come tale a distinguere il fatto cristiano, bensì il fenomeno comunitario assunto e vissuto in un determinato modo.

La parola che indica quel determinato modo è in greco la parola koinonia, in latino la parola communio.

Essa definisce la struttura di rapporti che qualifica il gruppo.

Rappresenta il termine che specifica nel Nuovo Testamento un modo di essere e un modo di agire, un modo di vivere proprio della collettività cristiana, una maniera di rapportarsi con Dio e con gli uomini.

(131ss) La parola communio o koinonia, che abbiamo visto tendere a esprimersi come una condivisione vissuta nella dipendenza da Gesù Cristo, assume anche una connotazione istituzionale.

(132) Si andava formando cioè un fenomeno istituzionale nuovo in seno alla società, provvisto di elementi qualificanti suoi propri e non semplicemente espresso da una sentimento fraterno.

In questo senso la parola koinonia o comunione, indicava il risultato di un modo nuovo di vita in termini di forme sociali stabilite, indicava che i nuovi rapporti erano così evidenti e costantemente ricercati da raggiungere i primi ma fondamentali tratti di assetto istituzionali.

(133) Così koinonia o communio vengono usate come sinonimi del termine ecclesia, indicando l’unità del popolo di Dio come fatto sociale che ha preso una sua forma, come istituzione, struttura sociale nuova.

Nell’uso della Chiesa primitiva tali termini, quindi, oltre che un tipo di vita cominciarono subito a voler indicare un vincolo stabile, sia per le comunità locali sia per la Chiesa universale, e a mettere in rilievo una unità sociale organica.

La tensione al condividere nella libertà è aiutata dal sorgere di forme e strutture stabili che ne costituiscono l’alveo, che ridimensionano il disordinato irrompere nell’esperienza di impeti isolati, destinati a spegnersi e facile preda di soggettivismo sproporzionante, senza pietra di paragone di un contesto sempre reperibile.

(136) (Le lettere di comunione) Hertling in “Storia della Chiesa”:

«Quando un cristiano si metteva in viaggio, riceveva dal proprio vescovo una lettera di raccomandazione, una specie di passaporto, grazie al quale, presso qualsiasi comunità cristiana arrivasse, egli veniva accolto amichevolmente ed ospitato senza pagamento. Questa istituzione, di cui troviamo traccia fin dai tempi apostolici, non recava vantaggio solo ai laici, come ad esempio ai commercianti cristiani, ma agli stessi vescovi, che potevano inviare senza eccessiva spesa, per tutto l’impero, messaggere, lettere [ ….. ]. Tali passaporti si chiamavano lettere di pace o lettere di comunione, poiché attestavano che il viaggiatore apparteneva alla communio e poteva quindi ricevere l’Eucarestia».


Compagnia di Gesù

(188ss) Accostiamoci all’esperienza della compagnia di Gesù.

In un’epoca in cui l’individualismo viene esaltato, l’esperienza cristiana della Compagnia pone un forte accento sulla individualità, valorizzando quei valori antropologici, storici e culturali che caratterizzano i suoi tempi.

Insisterà dunque sulla razionalità nella vita e nella fede e sulla volontà come fattore necessario di adesione.

In un’epoca che preludeva al razionalismo moderno non stupisce che la perenne spinta al rinnovamento della Chiesa prende anche una forma di accentua il vigore della singolarità e la forza della razionalità.

[ … ] Mentre l’individualismo nato dal Rinascimento tende a ridurre l’uomo a individuo, un’esperienza cristiana, come quella della Compagnia di Gesù, non “può” dimenticare il complesso dei fattori che rendono l’uomo uomo, e contestualizza l’individuo in una realtà organica che trascende la concezione puramente individualistica della persona.

Qualunque esperienza cristiana è indotta a questo “compimento” dalla sua stessa natura, a prescindere dalla specifica sottolineatura epocale e dalla quale si trova a partire.

(189)

«Come è provato dalla formazione dei suoi membri (scelti con cura, ben suddivisi a secondo delle loro capacità, sottoposti a molte prove) e dagli “Esercizi”, Ignazio affermò l’ideale della personalità originale e potente, peraltro egli ne escluse tutto ciò che è soggettivismo: formò i suoi discepoli, rigorosamente secondo i principi di tutta la Chiesa». «L’atteggiamento di sant’Ignazio e del suo Ordine è assolutamente conforme alla mente della Chiesa. [ …] Siamo davanti all’atteggiamento cattolico fondamentale, in tutta la sua oggettività: cioè una energica reazione al soggettivismo umanistico e protestante, l’affermazione categorica della posizione teocentrica».

J. Lotz in “Storia della chiesa nello sviluppo delle sue idee”

(190) La Chiesa non ha il compito di sostituire il lavoro dell’uomo.

L’uomo cristiano di una certa epoca della storia avrà i mezzi che altri non hanno avuto, e di altri sarà privato: questo limite è nel cuore stesso della modalità dell’annuncio cristiano.

Il Dio fatto uomo si è comunicato “dentro” una realtà umana, dentro una limitazione storico culturale precisa.

Non è facile accettarlo, ma l’annuncio cristiano si propone in questo modo.

Gesù nella sua vita terrena non ha potuto approfittare di tecnologie che solo epoche posteriori hanno dato all’uomo, ma ha valorizzato appieno la sua tradizione, il suo momento storico, e ciò non incide negativamente sulla pretesa universale dell’annuncio cristiano, anzi la esalta in modo concreto.


Comunicazione della realtà divina

(238) «E il Verbo si fece carne». Giovanni ci mostra che non ci troviamo solo di fronte a una comunicazione di verità, a una rivelazione del mistero dell’essere, che pure è vitale per cercare il significato dell’esistenza e della storia, ma a un comunicarsi della realtà divina stessa, alla partecipazione dell’umano alla vita di Dio, la cui densità ontologica è appena evocata dall’espressione “figli di Dio”.

Si tratta di una comunicazione che tocca l’essere dell’uomo e lo muta.

Nell’uomo cui Cristo si accosta e che liberamente desidera ed acconsente al rapporto con Lui – e quindi nella Chiesa – si verifica un mutamento nella sua natura di uomo.

Si tratta di una “esaltazione” ontologica dell’«io», vale a dire, di un salto di qualità nella partecipazione all’Essere.

Nella vita della Chiesa l’Essere, Dio, il Verbo fatto  uomo, Cristo, comunica all’uomo il dono di una più profonda partecipazione all’origine di tutte le cose, in modo tale che esso resta uomo, diventando qualcosa di più.

Nella Chiesa viene offerta una partecipazione soprannaturale all’Essere.

È questo l’elemento più affascinante dell’annuncio cristiano.

Il Vangelo chiama questo comunicarsi profondo della realtà “RINASCITA”.

(239) Il termine che la tradizione cristiana utilizza per indicare la realizzazione del nuovo essere è “grazia soprannaturale”, o “grazia santificante”

Questa parola “grazia” alla quale siamo troppo abituati, è la più bella del nostro vocabolario cristiano.

Essa è indicativa della assoluta gratuità del fenomeno che definisce e ne segna il valore divino, perché solo il comunicarsi del divino è “assolutamente” gratuito.

E l’aggiunta della parola “soprannaturale” stabilisce il valore di nesso tra questa comunicazione di sé che Cristo opera nella nostra vita e l’atto creaturale che ci ha messo in vita.

L’uomo è lo stesso uomo, ma è diverso.

(240) Paolo: «Ora voi siete Corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte».

Chi vive il mistero della comunità ecclesiale riceve un cambiamento della sua natura.


Comunione – comunità

(124) Notiamo anzitutto che tali espressioni (koinonia, communio), traducibili in italiano con il temine “comunione” racchiudevano un valore che la versione italiana non ci restituisce.

Il termine koinonia, infatti, così come abbiamo visto accadere per la parola ekklesia, è preso dal vocabolario comune, dal lessico normale della lingua popolare greca.

(126)

«Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane».

Paolo 1 – Cor 10,15-17

E Paolo diceva questo per introdursi a correggere gravi discordie che si stavano verificando nella comunità.

(127) Se abbiamo in comune Cristo, tanto più abbiamo in comune le cose della vita, sia materiali che spirituali: ecco l’idea guida dei rapporti  concreti dei primi cristiani tra loro.

Da una realtà ontologica scoperta e riconosciuta scaturisce il bisogno di un comportamento nuovo.

(279s) Non esiste per la tradizione della Chiesa, già lo abbiamo accennato, pensiero per quanto segreto, gesto per quanto insignificante, azione per quanto nascosta, che non sia gesto responsabile per l’universo, gesto di valore eterno.

È qui che scaturisce i concetto di “merito”.

La vita riceve valore in ogni minimo dettaglio dalla grazia che Dio fa all’uomo d’essere collaboratore alla sua presenza nella azione salvifica della sua comunità.

Così ogni gesto acquista una dimensione comunitaria: l’azione è il fenomeno della personalità, il movente è quel nesso profondo con la presenza di Cristo nel mondo.

La comunità diviene così sorgente dell’affermazione della personalità.

E la Chiesa attribuisce proprio valore \ merito alla proporzione tra il gesto del singolo e la “gloria” di Cristo, cioè il senso del mistero comunitario vissuto come movente.

Ogni gesto ha così valore eterno, in quanto gesto responsabile per i destino del mondo, in quanto espressione dell’individuo che diventa fattore decisivo per il senso dell’universo.

(280) In questa unità di impostazione di vita la comunità, come mistero di comunione, diventa fattore determinante lo stesso senso di sé, vale a dire origine delle proprie azioni e forma della personalità.

È una impostazione che esalta la personalità fin nei suoi infinitesimali aspetti espressivi.

Ma la vita e la responsabilità personale sono così valorizzate come questa visione dell’uomo e della comunità.

In questa unità di personalità e comunità viene assunta anche la natura fisica (liturgia).


Lettere di comunione

(136) Un altro esempio storico del fatto che la celebrazione dell’eucarestia fosse vissuta dai primi cristiani come un segno distintivo supremo della loro fede comune è contenuto in una prassi assai diffusa nelle comunità primitive. Le lettere di communio (vedi pag 36 capitolo “Communio” Hertling).

(138) Abbiamo già visto (vedi nota sopra) come i vescovi avessero una rete di rapporti tra loro attraverso le “lettere di pace” o “lettere di comunione“.


Condivisione/mettere in comune

(127) Proprio perché hanno in comune il fondamento e il senso della vita, Gesù Cristo, i primi cristiani sentono come legge della loro convivenza la tendenza a mettere in comune e, più profondamente, a concepire in comune le risorse materiali e spirituali.

(129s) (Episodio della colletta descritta in 2 Cor 8,7 -12; 9,7) […] ben definisce le caratteristiche della vita in tutti i suoi aspetti. L’ospitalità è il vertice della condivisione, perché in essa si mette in comune tutta la vita della persona.

(130) Non è inutile, nel concludere questa breve descrizione dell’atteggiamento etico che vivevano tra loro i primi cristiani, ripetere quanto esso, compresa la spettacolare espressione della condivisione dei beni, fosse motivato dal fatto di essere una cosa sola e avesse come condizione la libertà.


Condizionamento storico-culturale

(185s) L’uomo è condizionato dal momento storico culturale in cui si snoda la sua vicenda terrena e dall’ambiente in cui è  inscritto.

I valori che la Chiesa presenta, perciò, avranno un volto di tempo qualificato dai limiti, dalle caratteristiche della particolare visione della vita che in questo stesso tempo si afferma.

Particolarmente significativo è, a questo proposito, un esempio riguardante i primi cristiani.

Si tratta della più concisa delle epistole di Paolo, nota come lettera a Filemone.

Questa veloce “lettera di raccomandazione” mette a fuoco un argomento che interessa la nostra riflessione: l’atteggiamento dei primi cristiani nei confronti della schiavitù.

Paolo rimanda Onesimo dal ricco signore di cui era schiavo, che l’apostolo conosceva e che probabilmente era stato da lui convertito.

Non gli dice che Onesimo non ha più da essere suo schiavo, perché dall’insegnamento di Gesù si deduce l’eguaglianza di tutti gli uomini? Perché?

Perché come figlio del suo tempo – allo stesso modo che Onesimo e Filemone da lui pure la schiavitù (Marta Sordi): « … viene recepita come un fatto, che non costituisce un problema: rientra nell’ordine sociale costituito che non è, ovviamente, il migliore ordine possibile».

Paolo appare perciò qui soggetto al condizionamento sociale dell’epoca.

Tuttavia esprime il valore della persona, chiedendo al padrone di accogliere lo schiavo fuggitivo «perché tu lo riavessi per sempre; non  più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello carissimo [ … ]. Se tu dunque mi consideri amico, accoglilo come me stesso!».

Marta Sordi: «La novità vera [ … ] è nel rapporto  nuovo che schiavo e padrone hanno con Dio, e che trasforma la comune schiavitù della condizione umana davanti alla Fortuna nel razionale ossequio a Dio che libera chi lo serve per amore.

Questa concezione poteva urtare la superbia di una società orgogliosa (che era urtata del resto, anche dalle parole del romano Seneca), ma non veniva in conflitto con i diritto romano che [ … ], a differenza della filosofia greca classica, riconosceva allo schiavo una potenziale uguaglianza con il padrone, concedendogli la cittadinanza al momento dell’affrancamento».

(187) Il cristianesimo non è nel mondo per svuotare la dinamica dell’evoluzione storica, ma per comunicare quei valori – come quello della persona – salvati i quali ogni evoluzione ha gli strumenti per diventare più utile come espressione dell’uomo, non salvati i quali qualunque evoluzione torna a disdoro e a dispetto della dignità della vita.


Confessione

(210) Ogni messa, ogni giorno, in tutto il mondo, inizia con la confessione dei propri peccati, con il riconoscimento di una libertà che non si è mantenuta nel retto atteggiamento.

Fino a che il mondo ci sarà, le comunità dei credenti saranno invitate dalla Chiesa a iniziare le loro riunioni con quel Confiteor, segno della inadeguatezza della libertà umana al destino, proporzione immanente che seguirà fino all’ultima storia dell’uomo.

È la dottrina misteriosa, ma nello stesso tempo sperimentabile, del “peccato originale”.

(248) Anche noi, quando riconosciamo le nostre debolezze, vorremmo sentire la voce di Gesù che ripete ciò che così spesso diceva a coloro che guariva e che incontrava: «Và, ti sono rimessi i tuoi peccati, non ti condanno, non sbagliare più».

Ma questa parola di Cristo penetra la storia del sacramento della Confessione: esso, letteralmente, è quella parola, quel gesto di perdono di Cristo che si prolunga nella storia.

Confessione di fede

(89) Le prime comunità esprimevano ciò che dava loro consistenza e le teneva unite in formule che gli studiosi chiamano “confessione di fede”.

Kasper:

«La fede qui è sempre una fede in Gesù Cristo. La fede ha un contenuto. Questo contenuto tuttavia non è una formula astratta o una profondità senza nome della realtà, ma il Dio che nella storia e nella sorte di Gesù Cristo ha parlato e agito. Il contenuto della fede è dunque una persona, la sua opera e la sua sorte».

Kasper

Congrezionalismo

(110) Nel suo senso più compiuto, dunque, l’espressione “ecclesia dei” rappresenta il popolo di Dio nella sua totalità, proprio per l’inevitabilità di doversi riferire al gesto di Dio, alla sua scelta libera e totale.

In tal senso come afferma de Lubac, l’ecclesia è : «convocatio prima d’essere congregatio».

Non è, dunque, per una addizione di comunità che si forma la Chiesa totale, così come nel movimento protestante si concepisce, intendendo ognuna delle comunità autogenica, parlo del congrezionalismo, tentazione che si sente oggi presente anche nella Chiesa cattolica.

Invece ogni comunità, per quanto piccola possa essere, traendo il suo valore dalla Chiesa totale, la rappresenta tutta, incarna il Mistero di quella chiamata che era così presente alla coscienza dei primi cristiani.

(111) Il piccolo gruppo ha i significato della Chiesa tutta. Per questo una semplice assemblea familiare può essere citata con le grandi comunità.


Conoscenza

(217) L’uomo non raggiunge la conoscenza di qualcosa se non ne comprende il significato, se non ne coglie cioè la capacità di rapporto con il resto.

La condizione per conoscere qualunque realtà è di aver chiarezza e certezza sul significato dell’esistenza stessa.

Questa è la verità: una definizione dei significati ultimi della nostra esistenza, di quel nostro vivere così semplice e così complesso.

Questo è il primo livello attraverso cui il divino nella Chiesa si comunica: come comunicazione di vita.

Dio, tramite la Chiesa, aiuta l’uomo a raggiungere un’obiettiva chiarezza e sicurezza nel percepire i significati ultimi della propria esistenza.

 (220) Ecco perché nessuno sforzo teorico può spiegare meglio i culmini e gli aspetti più tipici dell’esperienza umana, fatta a immagine di Dio.

Quanto si è detto per l’amore potrebbe valere  per un altro anelito supremo dell’uomo, la conoscenza, che tanto più è una unità quanto più restano distinti soggetto e oggetto.

Il meccanismo ultimo di tale paradossale unità non viene individuato da alcuna filosofia, giustamente appassionata di un’ultima spiegazione, che però per attuare una riconduzione sintetica è sempre tentata di abolire l’uno o l’altro fattore dei termini in gioco.


Convinzione – persuasione

(38) Solo un Dio percepito per quello che è, cioè come consistenza ultima di tutta la vita, è un Dio credibile, perché la convinzione deriva dal legarsi di ogni aspetto dell’esistenza con un valore determinante globale.

(102) San Tommaso diceva, con grande intuito psicologico, che l’uomo è molto più persuaso da ciò che ascolta che non da ciò che vede.

È sufficiente riflettere un poco sui propri atteggiamenti per rendersi conto dell’acutezza di questa osservazione.

L’uomo prova una più intensa convinzione nel sentirsi aderire alla parola di un altro che neanche vedere lui stesso.

(103) Nell’aderire a qualcuno che ascolta, infatti, l’uomo deve poggiare la totalità della sua persona sul “tu di un altro”.

 E mentre è molto facile per ognuno mettere in dubbio sé stessi, è molto più difficile gettare l’ombra dei propri “se” e dei propri “ma” su una presenza stimata e amata.

(118) I cristiani con il dono dello Spirito hanno la possibilità di incominciare a sperimentare la realtà in modo nuovo, ricco di verità, carico di amore [ … ].

Senza passare attraverso questa esperienza risulta molto difficile, per non dire impossibile, acquistare una convinzione capace di costruttività.

E se si lascia nell’implicito il valore di questo inizio dello Spirito, cioè se non se ne prende coscienza, non si prenderà mai atto delle potenzialità culturali della propria fede, non se ne alimenterà il dinamismo critico e operativo.

(256s) La fede come convinzione, una fede più autentica e umanamente dignitosa, implica che tutta intera la personalità sia unificata dalla verità e dalla realtà in cui si crede.

La parola “convinzione”, infatti, deriva da vincire che significa legare.

L’esistenza di chi crede deve essere legata in unità all’oggetto della sua fede. Solo quando è convinto l’uomo è sé stesso: tutto illuminato e teso al suo scopo.

(257) Solo nella convinzione egli raggiunge la sua verità di uomo; ma perché tale convincimento sia viabile, occorre che tutti i fattori generativi del realizzarsi della persona vi contribuiscano, in particolare il fattore più imponente per lo svolgersi della persona verso i suo realizzarsi, cioè la dimensione comunionale, che si attua nella pazienza del tempo.


Convinzione razionale

(33) Se il divino è un incontro esistenziale, un’esperienza integralmente umana nella sua fattispecie, la convivenza con esso potenzia una evidenza risolutiva e una convinzione razionale.

L’evidenza è il modo fondamentale con cui l’uomo conosce e la convinzione si sviluppa con la familiarità dello sguardo.

Dio ha valorizzato il nostro dinamismo naturale.


Corpo


Idea ebraica di corpo

(33) Ma ciò che da tale atteggiamento (quello protestante) difficilmente può nascere è quella familiarità più intima, più concreta e rispettosa, come quella di figli con la madre, e nello stesso tempo quella razionalità ben fondata, che derivano entrambe da una appartenenza sperimentata e vissuta.

L’idea ebraica di “corpo” chiarisce questo concetto.

Nelle lingue semitiche “corpo” ha un significato più esteso di quello comune e indica anche ciò che viene prodotto dall’uomo, il complesso  dell’espressione sensibile del mio  io.

Il figlio è corpo del padre e della madre e l’opera di un artista fa corpo con lui e con la sua responsabilità.

Analogamente Cristo investe così profondamente l’uomo che egli è parte di Lui, fa parte di Lui.


Corpo di Cristo

(155) Allora le espressioni “popolo di Dio” e, soprattutto e più profondamente, “Corpo mistico di Cristo”, cioè costituito dal nesso ontologico con il mistero di Dio, segnano il contenuto della coscienza cristiana, di quella primitiva e di quella odierna, come dominato dal prolungarsi di Cristo nella storia, dalla permanenza misteriosa nel tempo e  nello spazio del Signore.

Ecco perché la gente che si radunava nelle prime comunità, pur scontrandosi quotidianamente e dolorosamente con i propri limiti, aveva la coscienza inconfondibile, irriducibile, di essere un fatto nuovo nella storia, dove lo Spirito di Cristo, attraverso la loro povera umanità, agiva per mobilitare i mondo intero secondo i suo disegno.

E per questo si ponevano come una comunità di salvezza: erano il vero popolo di Dio,posterità di Cristo, dilatazione e prolungamento della persona del Salvatore nella storia umana, e perciò la loro stessa esistenza era strumento per ogni uomo.

Ma sono popolo di Dio – e prolungano la presenza del Signore proprio in quanto “Corpo Mistico”, in quanto cioè appartenenti alla personalità di Cristo, sue “membra”,  per riprendere l’espressione di san Paolo.


Corrispondenza


Possibilità di una corrispondenza

(278) La vita come novità si sperimenta molto di più nell’accadimento di qualcosa che si attende che non nella differenza come tale di un presente da un passato.

Essa risiede anche culturalmente nella scoperta di una corrispondenza, che è possibile solo se vi è un prima di speranza, di desiderio, di attesa, di esigenza.

Allora la novità è adempimento di quella speranza, soddisfazione di quel desiderio, risposta a quell’attesa.

Essa, per il cristiano, non è nel cambiamento come tale, ma nel mutamento che interviene applicando quel principio unitario di inclusività per cui l’intera creazione è “mistero”.

«La vera ricerca è guidata da una immagine, e ha nello stesso tempo [ … ] la forma della mancanza e del bisogno. In realtà si può cercare solo ciò che il desiderio già anticipa, cosicché più al fondo la vera scoperta consiste in un prendere possesso, per cui anche nell’istante del vero incontro si ha la sensazione che ciò sia “dovuto” venire in quella maniera».

Guardini

Creazione artistica

(253) Se è vero che il nesso tra la libertà di Dio e quella dell’uomo, tra l’iniziativa dominante e invadente di Dio e la parte dell’uomo, è un nesso misterioso, è anche vero che i fattori di tale nesso sono chiari.

Diversamente dall’immagine panteistica, la creatura, nella visione cristiana, proprio perché derivante da Dio – la cui prima caratteristica è essere sé stesso – partecipando del suo essere, possiede una irriducibile identità.

Perciò, proprio perché dipende da Dio, la creatura si afferma e si distingue.

Per comprendere questo, un paragone può, sia pure fragilmente, avvicinarci: la creazione artistica.

Quanto più potentemente è la creatività di una persona, tanto più ciò che crea ha, per così dire, una personalità in sé.

Esiste, rimane, si impone nel tempo: è la caratteristica dell’opera d’arte.

Così, tutto ciò che nasce dalla genialità e potenza infinita di Dio acquista una sua identità inconfondibile per ciò stesso che partecipa a Dio.


Cresima

(248) Perciò egli continua la sua presenza e i suoi gesti di salvezza nei momenti più significativi, fondamentali, quelli che costituiscono i punti di volta della vita dell’uomo.

Negli aspetti di compimento felice: il Battesimo, l’Eucarestia; o di lotta, con la cresima, un segno quest’ultimo così solido e così potente che ricorda l’atleta o il soldato (si usavano infatti olio e profumi per irrobustire i muscoli di coloro che si preparavano all’agone, alla competizione).


Cristianesimo


(8) Mettere a fuoco l’originalità del cristianesimo.

Questo tema del senso religioso è importante per capire l’originalità del cristianesimo, che è precisamente la risposta al senso religioso dell’uomo attraverso Cristo e la Chiesa.

Il cristianesimo è una soluzione al problema religioso e di questo la Chiesa è strumento, mentre non lo è a problemi politici, sociali, economici.

Gli errori più gravi in ogni percorso dell’uomo hanno sempre origine alla radice della questione.

(9) [ … ] Dovremmo dire che vivere la soluzione proposta dal cristianesimo al problema religioso implica che questo sia così vivamente sentito che l’uomo sempre sia pronto a sorprendere l’eventuale corrispondenza di mente e di cuore con il contenuto proposto, senza la quale ogni adesione è ideologia.

Tale corrispondenza si rivela all’interno di un senso religioso vivo, e quindi favorita solo attraverso una permanente educazione di tale senso religioso.

È da esso che scaturisce l’ipotesi che il mistero che circonda tutte le cose, che penetra tutte le cose, si manifesti all’uomo.

L’annuncio cristiano è che questa ipotesi si è avverata: il mistero è diventato fatto storico, un uomo si è detto Dio.


Originalità \ novità del cristianesimo

(8) Questo tema del senso religioso è  importante per capire l’originalità del cristianesimo, che è precisamente la risposta al senso religioso dell’uomo attraverso Cristo e la Chiesa.

(19) (Qual è la novità della rivelazione cristiana)

Che Dio non è una lontananza a cui con uno sforzo l’uomo tenti di arrivare, ma Qualcuno che si è affiancato al cammino dell’uomo e ne è diventato compagno.


Difficoltà a capire il cristianesimo

(35) Le difficoltà a capire il cristianesimo, prima ancora che essere una fatica ad aderire, costituiscono una fatica a comprendere.

Lo ha ben ricordato Nietzsche, nel suo “Al di là del bene e del male” quando commentando l’insensibilità dei suoi conterranei al paradosso cristiano dell’Incarnazione e della crocefissione in particolare, parlava degli uomini dei tempi moderni, la cui intelligenza è tanto ottusa da non capire più il senso del linguaggio cristiano.

Come mai l’uomo di oggi è così poco facilitato a rendersi conto del significato di parole direttamente collegate all’esperienza cristiana?

Questa mancanza di sintonia originale crea difficoltà a capire l’espressione stessa del messaggio cristiano, in quanto viene veicolato nella storia attraverso quella forma di presenza che è l’unità dei credenti o Chiesa.


Crociate

(39) Ora si può dire con una espressione certo un po’ banale ma sintetica, che nel medioevo era diffusa una mentalità religiosa, una facilità per gli uomini a rendersi conto del fatto che la religiosità coincide con l’interesse che l’uomo ha per il significato di tutta la vita, a rendersi conto della realtà di Dio come originante la propria umana personalità e come determinante il suo evolversi.

Fenomeni apparentemente contradditori sono spiegati da questo rilievo.

Si sono verificate antinomie drammatiche: una religiosità è annuncio di pace (francescanesimo) e la religione applicata alla guerra.


Cultura

(203) La categoria della cultura convoca  nel suo orizzonte tutti i problemi connessi alla ricerca della verità e del senso della realtà.

Tale categoria svela come l’uomo si concepisca davanti al proprio destino, poiché in base alla posizione che uno ha di fronte al proprio destino che  mobilita e utilizza gli elementi della propria esistenza.


Cuore

(266) La sua (della Chiesa) materna accoglienza dell’umano, come lo sguardo e il gesto del Redentore, vuole nell’uomo provocare i moti più originali del suo cuore.

(267) La proposta della Chiesa vuole entrare nel dramma dell’universale confronto con cui l’uomo proiettato quando paragona qualunque elemento del reale con quella esperienza elementare che costituisce il cuore.

La sfida della Chiesa si può riassumere in questo modo: essa scommette sull’uomo, ipotizzando che il messaggio di cui essa è strumento, vagliato dall’esperienza elementare, rivelerà la propria presenza prodigiosa.

La risposta che il messaggio contiene alle esigenze del cuore dell’uomo sarà imprevedibilmente senza paragone più grande e vera dell’esito di qualunque altra ipotesi.

Dunque con questo supremo senso critico, continuamente da conquistare, che la Chiesa si vuole misurare, mettendo sé stessa alla mercé dell’autentica esperienza umana.

Essa abbandona il suo messaggio all’attuazione dei criteri originali del nostro cuore.


Disponibilità del cuore

(269s) Nella sua proposta la Chiesa non può barare; non può consegnare  un libro e delle formule in mano a dagli esegeti soltanto.

Essa è vita e deve offrire vita, e accogliere l’esperienza degli uomini nel seno della sua pretesa.

Anche l’uomo però non può accingersi a una verifica di questa portata senza un impegno che coinvolga la vita.

Anch’egli non potrà portare a termine il cammino che lo assicuri della attendibilità di ciò che la Chiesa proclama, senza essere disponibile a un impegno.

Se la Chiesa si pone come vita, vita pienamente umana e carica di divino l’uomo dovrà impegnarsi con la vita ad “accertare” quella sfida.

Se la Chiesa non può barare, neanche l’uomo può barare.

È un vero cammino che gli si prospetta, cui il suo cuore deve essere disponibile.

Ciò che occorre per iniziare questo cammino è, almeno, quel tipo di disponibilità all’impegno che la tradizione cristiana chiama “povertà di Spirito”.

Il centro di questo atteggiamento di accettazione, di povertà di spirito, è l’occhio teso a ciò che costituisce il cuore dell’uomo, quell’oro puro della verità e della realtà, per cui ogni altra immagine di verità e di realtà, fosse anche la propria stessa vita, è riconosciuta umilmente di minor valore.


Cupidigia

(226s)

Luca 12,13-15: «Uno della follagli disse: “Maestro dì a mio fratello di dividere con  me l’eredità”. Ma Egli rispose: “O uomo, chi mi ha costituito giudice e mediatore tra di voi”. E disse: “Guardatevi e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni”».

Luca 12,13-15

(206) Non lasciarsi dominare dal desiderio della ricchezza, ricordarsi che la propria vita dipende da Dio.

[ … ] definendo come sia più intelligente arricchire davanti a Dio che piuttosto accumulare tesori per sé.

Gesù è venuto a dirci quale sia, di fronte ad ogni problema, l’atteggiamento autenticamente religioso e perciò vero nella sua radice.

Cristo come la Chiesa – sua continuazione – non è venuto a risolvere i problemi della giustizia, ma porre nel cuore dell’uomo quella condizione senza la quale la giustizia di questo mondo potrebbe avere la stessa radice dell’ingiustizia.

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