Temi di “Perchè la Chiesa”

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Lettera «G/H»



Gemoll

(289s) Lungo racconto dell’attesa di un vocabolario per spiegare come Dio in momenti particolari, straordinariamente, richiama  l’uomo.


Gerarchia

(136s) La comunità dei cristiani non si è dunque mai posta né come un fatto spontaneistico, cioè affidato alla soggettività di ciascuno, né come aggregazione amorfa; in essa esistono funzioni particolari.

Tutti sono chiamati a riverberare la funzione stessa di Gesù Cristo per l’umanità, ma alcuni riflettono la funzione di Gesù in modo eccezionale: come insegnamento e come potere di comunicare la realtà divina.

« …. Si ha l’impressione che gli Apostoli, suoi primi testimoni da Lui stesso designati e stabiliti, godessero, com’era giusto, di grande autorità morale. Tra i dodici Pietro sembra occupare un posto di primo piano […] è colui che prende l’iniziativa. La sua opinione ha un peso particolare. [ … ]. Questa preminenza di Pietro, che avrà una importanza considerevole nella storia cristiana per le sue conseguenze, si fonda essa pure sulla dichiarazione esplicita del Maestro, che ha voluto dare alla sua formazione un principio gerarchico e che ha chiaramente designato come la pietra sulla quale avrebbe fondato la sua Chiesa.

Daniel Rops

(138) La Chiesa, dunque, in base a un preciso insegnamento di Gesù, è fondata sugli apostoli e sul particolare primato di Pietro.

Quasi subito, però, come ci trasmettono i primi documenti, gli apostoli ebbero bisogno di collaboratori.

Quello che è certo è che qui ha origine la figura autorevole su tutta la singola comunità.

(138) Abbiamo già visto come i vescovi avessero una rete di rapporti tra di loro attraverso le “lettere di pace” o le “lettere di comunione” o “lettere commendatorie”.

Queste erano di spettanza del vescovo come capo della comunità.

E se esse erano necessarie perché un individuo fosse riconosciuto come fedele e quindi ammesso all’Eucarestia nella città lontana in cui andava, ciò chiarisce l’importanza dell’autorità del vescovo nella sua comunità: al vescovo dunque spettava riconoscere un uomo come aderente alla fede o no.

(245) Abbiamo già visto come fra tutti i vescovi occupasse una particolare posizione, quello di Roma, cui si espongono le controversie, con cui si vuole assicurare una unione ultima che sappia trascendere le questioni dibattute.

Il vescovo di Roma era il perno di tutta una trama di rapporti tra vescovi, e quindi tra comunità.


Gesti sacramentali

(245) abbiamo visto come l’attenzione al sensibile, la cura dell’insegnamento concreto facessero parte della pedagogia di Gesù nel rivelarsi.

Non può stupire dunque che Gesù abbia fatto usare alla sua Chiesa nei gesti sacramentali elementi della materialità della vita.

Così come egli utilizzò il  fango, l’acqua, il vino, i pesci, il pane e persino l’ultimo lembo del suo mantello per manifestarsi in quei prodigi che sì, guarivano l’uomo, lo aiutavano nelle sue specifiche necessità, ma soprattutto lo mettevano in contatto con Lui, manifestazione completa e perfetta dell’amore di Dio per l’uomo, fonte di una energia risolutiva per i singolo e per la storia dell’umanità.

Così come Cristo, passando vicino ad un ammalato, sprigionava una forza che dava sanità, e non solo fisica, così come tale dono era per Cristo una comunicazione della sua realtà divina, allo stesso modo la Chiesa, la compagnia di Cristo che vive nel luogo da Lui creato per la sua continuità, suo Corpo – cioè sua visibilità e sperimentabilità presente – declina il prolungamento dei gesti del Signore proteggendone tutti gli elementi: dalla visibilità dei segni all’operativa efficacia che incide e determina l’essere personale del singolo.

I sacramenti ci mettono in contatto con una realtà più profonda di quanto cade sotto la nostra possibilità di osservazione, sono segno comunicativo della realtà divina, segno in cui sta e opera la presenza di Cristo.

Il sacramento, perciò, è gesto della Chiesa come tale.


Giansenismo (confutazione del Giansenismo)

(93) (L’uomo) pur con la sua impronta naturale rivolta al bene, si ritrova nelle contingenze della vita terrena incapace di mantenersi nel tempo a quegli “atti virtuosi” verso i quali resta comunque originalmente inclinato.

È per questo che la Chiesa, soprattutto nella confutazione del giansenismo, ha sempre ribadito che l’uomo senza la grazia non può a lungo resistere senza commettere peccato mortale.


Giudaismo

(93) Questo primo fattore (la Chiesa come fenomeno sociologicamente identificabile) ci porta a considerare, infatti, un concetto base dell’Antico Testamento: Israele come popolo di Jahvé.

«Il carattere nazionale del Regno di Jahvé, che contraddiceva apparentemente il suo carattere universale, ne impediva d’altronde ogni interpretazione individualistica. Spiritualizzato, universalizzato secondo l’annuncio stesso della profezie, il giudaismo trasmette al cristianesimo la sua concezione d’una salvezza essenzialmente sociale. Se, per la maggior parte dei fedeli, la Chiesa proviene soprattutto dai Gentili – ecclesia ex gentibus – l’idea della chiesa proviene soprattutto dagli ebrei».

de Lubac

(94) «Credere in un Dio unico era dunque nel medesimo tempo credere in un Padre comune di tutti, unus Deus et Pater omnium. La preghiera insegnata da Cristo lo proclamava fin dalle prime parole: il monoteismo non poteva che essere una fraternità».

de Lubac

Governo di sé

(284) La personalità che cammina consapevolmente verso la sua realizzazione, cioè la personalità caratterizzata dalla santità, si modula tutta nella chiarezza della coscienza del vero o nell’uso della propria libertà, cioè nel governo di sé.

L’attività umana diventa interamente significativa: ogni azione, anche quella apparentemente meno incidente, acquista la nobiltà di una grande gesto.

Ciò è possibile solo se l’uomo agisce essendo consapevole del motivo ultimo della usa azione.

Questo porterà con sé una presenza dell’uomo a sé stesso che faciliterà la sua collaborazione alla Grazia, cioè faciliterà i dominio di sé, orienterà la sua libertà a una tensione di fedeltà al motivo che sospinge la vita.


Grazia soprannaturale – santificante

(116) Così per l’uomo investito dal dono dello Spirito si verifica un mutamento di volto, espressione di una nuova ontologia.

Un cambiamento che in seguito, nella storia della Chiesa, verrà tradotto teologicamente e catechisticamente con le parole bellissime “grazia soprannaturale”.

(238s) Nell’uomo cui Cristo si accosta e che liberamente desidera e acconsente al rapporto con Lui – e quindi nella Chiesa – si verifica un mutamento nella sua natura d’uomo.

Si tratta di una esaltazione ontologica dell’io, vale a dire, di un salto di qualità nella partecipazione all’Essere.

Nella vita della Chiesa, l’Essere, Dio, il Verbo fatto uomo, Cristo, comunica all’uomo il dono di una più profonda partecipazione all’origine di tutte le cose, in modo tale che esso resta uomo, diventando qualcosa di più.

Nella Chiesa viene offerta una partecipazione soprannaturale all’Essere.

È questo l’elemento più affascinante dell’annuncio cristiano.

Il Vangelo chiama questo comunicarsi profondo della realtà divina “rinascita”.

(239) Il termine che la tradizione cristiana utilizza per indicare la realizzazione di quel nuovo essere è grazia soprannaturale o “grazia santificante”.

(Grazia) Essa è indicativa dell’assoluta gratuità del fenomeno che definisce e ne segna il valore divino, perché solo il comunicarsi del divino è “assolutamente” gratuito.

E l’aggiunta della parola “soprannaturale” stabilisce il valore di nesso tra questa comunicazione di sé che Cristo opera nella nostra vita.

L’uomo è lo stesso uomo, ma è diverso.

(240) Questi brani ci introducono alla seconda qualificazione della parola “santificante”.

L’idea di santo, nella nostra tradizione religiosa, indica colui che aderisce a Dio, che corrisponde a Dio.

Ecco perché nella ritualità ebraica Dio è chiamato tre volte santo.

Lui stesso ovviamente è il paradigma supremo dell’adesione alla sua realtà più intima.

Ora, per i cristiani, quella “grazia” è santificante perché Dio che ha iniziato con sé stesso e prolunga nella storia una umanità nuova, una umanità definitiva secondo il suo disegno.

Grazia santificante conferma dunque che coloro che aderiscono a quella gratuita iniziativa di Dio entrano in un rapporto più profondo con l’Essere, tanto che diventano, dice Paolo, membra del Corpo di Cristo:

«Ora voi siete Corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte»(1 Cor. 12,27).

1 Cor 12,27

Homo viator

(212) L’uomo cristiano – homo viator, l’uomo viandante, secondo la stupenda espressione della cristianità medioevale – è consapevole del fatto che la vita è un cammino, è un andare verso il proprio traguardo, e che la soluzione totale sta al fondo di tutti i problemi ed è opera di Dio, non è più la nostra.

Noi siamo incapaci di fronte alla inestinguibile sete del nostro destino e del nostro traguardo, ed è solo la potenza di Dio che ci può completare.

Ma la ricerca di una completezza sempre maggiore, la ricerca del meglio, quanto si può, questo caratterizza in ogni istante l’invito che ci fa la Chiesa, e con ciò la misura del nostro essere cristiani.

È quindi un impegno senza limite e senza tregua.

(296) L’equilibrio realizzato dalla santità cristiana ricava perciò la sua originalità da una ricchezza che non è dell’uomo, ma di Dio, che ha voluto farne partecipe l’uomo.

Non è dunque l’equilibrio che si potrebbe raggiungere attraverso tecniche finalizzate a dosare sapientemente le forze in gioco; è l’equilibrio dell’uomo viator, è una dinamica destinata a rendere più concreto e completo il cammino, più pieno il pellegrinaggio su questa terra, poiché a noi si è affiancato, camminando con noi, Colui la cui pienezza spiega la vita e la dispensa a piene mani.

(311) E poiché l’uomo è viator in questo mondo, è un viaggiatore teso alla sua meta, un camminatore comunque, meglio è che tale strada conosca e ami almeno quel tanto da  non perdere tempo e fatica.

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