L’incontro con un Altro Mi realizza (109)
(da La Chiesa di Cristo è ormai superata? – Ed. Assisi 1961, pag. 58-65)
- Le strane e tremende contraddizioni della vita
- I peccati contro la speranza
- L’ampiezza dell’umano destino
- La nostra risposta al dono dello spirito
La nota prima del fatto umano è questa: ch’esso nasce come incoercibile impeto a realizzare sé.
«Uno spron che quasi ci punge» (Leopardi) verso una attuazione del proprio originale seme.
«Realizzare sé»
il programma è chiaro per tutti, anche se con tante varie interpretazioni teoriche e pratiche.
C’è un fenomeno fondamentale che esprime questo impeto originale: la brama e il desiderio.
Così gratuito e inevitabile, il fenomeno del desiderio è, appena ci si scosti dalla originale simpatia con cui la natura ci lega a sé, una promessa di adempimento.
Anche la promessa è un fatto:
e il desiderio documenta che la promessa è il fatto che sta alla origine di tutto l’avvenimento umano.
Le strane e tremende contraddizioni della vita. (108)
Ma se la vita inizia continuamente con la promessa del desiderio, il suo svolgimento è stranamente pieno di obiezioni a quella promessa.
Il dolore e la morte riassumono queste contraddizioni della vita, strane e tremende.
I peccati contro la speranza (110)
Ma la genialità dell’umano sembra consistere proprio nel cogliere l’impotenza come consiglio ultimo della esperienza.
Per cui questa virtù della speranza è accanitamente combattuta da una tristezza o da una accidia, il risultato delle quali è una mancanza di disponibilità al senso positivo a cui natura ci introduce dall’origine.
Proprio da questa mancanza di disponibilità sorgono gli atteggiamenti contraddittori alla speranza, i peccati contro la speranza.
Il primo è una distrazione nel suo senso più solito che coincide con quella irrequietezza che caratterizza tanta gioventù d’oggi: instabilmente fragile e sperduta fra l’intrico delle subdole attrattive o delle comode insinuazioni.
Per le persone evolute e colte l’ideale etico supremo non è tanto il compimento del desiderio commosso della speranza, quanto la imperturbabilità di fronte alla cosa, all’avvenimento.
Quanto è diffusa tra i giovani questa orgogliosa disperazione della debolezza!
Perché tale posizione stoica in fondo è
la pretesa di commensurare tutto con la propria energia,
di saper misurare e affrontare il peso del tutto con la propria volontà.
L’ideale a cui l’uomo è chiamato – dicono – è
la manipolazione precisa e concreta delle cose che lo circondano.
Questo esaurisce il senso della vita umana, e a questo si deve ridurre l’uomo veramente razionale.
È la perdita del senso dell’impotenza, è la presunzione
che limita le dimensioni dell’uomo nel tentativo di affermarsi accanitamente.
Questa posizione in fondo nega quella brama originale, quella aspirazione indistruttibile alla felicità personale, e vi sostituisce l’idea del progresso collettivo cui ognuno collaborerebbe esaurendovi totalmente esistenza e significato.
Nulla v’è di più contraddittorio con la realtà umana:
perché il problema del senso della vita è problema del singolo, e al singolo deve dare adeguata risposta.
Con questa arida forma di rinnegazione l’uomo giunge al fondo della contraddizione di sé, del «peccato». E tutti i tempi hanno trovato maestri che l’hanno favorito.
L’ampiezza dell’umano destino (112)
Un avvenimento, un fatto nuovo cambia profondamente i termini del problema.
Dio si è inserito personalmente in questa drammatica situazione dell’uomo: si è inserito attraverso Cristo.
Il significato dell’esistenza, rivela Cristo, sta nel destino di un rapporto personale e soprannaturale con Dio:
«Questa è la vita eterna, che conoscano te, l’unico vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3): quella impotenza e quella contraddizione saranno risolte, esse sono già risolte in Me.
E Io divento il tuo cammino, Io sono il pegno della soluzione, così come la strada ad essa.
Gratia Dei: la realizzazione dell’uomo è dono, dono ancora molto più grande che non l’origine imprevista e imprevedibile dell’uomo stesso.
La nostra risposta al dono dello Spirito (113)
La speranza cristiana è la risposta della nostra anima alla nuova promessa di Dio che è Cristo.
Questa speranza penetra nella nostra anima con la stessa profondità, con la stessa incrollabilità con cui penetra nella mia vita il dono di quella proposta.
Questa speranza mi viene incontro da fuori di me, me la trovo all’esterno e mi penetra dentro, mi riecheggia all’orecchio, anche se mi colpisce il cuore, mi condiziona di fuori e mi libera dentro.
Il luogo si chiama Chiesa.
L’uomo si trova a sperare in quanto partecipa al mistero di questo Corpo Mistico di Cristo.
Partecipando alla Chiesa, l’uomo partecipa allo Spirito stesso di Cristo e vi fonda la certezza della sua speranza.
La speranza della mia e nostra realizzazione coincide con la speranza della vittoria di Cristo.
È speranza mia e nostra nello stesso tempo; non sarebbe mia se non fosse nostra.
Se per un aspetto non coincidesse, non sarebbe speranza cristiana, perché il motivo di questa speranza è Cristo come attore del grande disegno del Padre.
Ci sono due precisi fattori di esperienza che prova chiunque partecipi alla comunità della Chiesa, vivendone la liturgia: la sicurezza e la operosità.
Una sicurezza profondamente umile, perché il suo fondamento non è in me, ma in Uno da cui tutto è fattibile.
Un’operosità che investe ogni momento e redime nell’utilità di un nobile compito ogni più breve misura di gesto.
Un’operosità che realizza il sublime nell’apparente banalità della vita più meschina.
In questa terra non si appartiene a Cristo se non nella speranza.
Perciò è nell’educazione alla speranza che si penetra l’esperienza della redenzione.
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