Libertà di educazione (162)
(Bergamo 15-2-1985)
La parola «libertà di educazione» ha un risvolto esterno, esteriore come dice il Papa (Giovanni Paolo II):
«Senza libertà non c’è cultura, non c’è possibilità di sviluppo culturale».
Il processo formativo è un rischio proprio perché gioca tutto e sulla libertà di chi educa e sulla libertà di chi viene educato. È un gioco in cui non si può barare.
Il Papa ha detto agli uomini di cultura: «L’educazione è la matrice della cultura perché un’educazione deve tendere a realizzare nella sua piena dimensione la nostra umanità per trasformare il mondo».
Dice testualmente in quel discorso il Papa: «La vera cultura è umanizzazione, mentre la non cultura e le false culture sono disumanizzanti […] l’autentica cultura “animi” è una cultura della libertà, che sgorga dalla profondità dello spirito, dalla lucidità del pensiero e dal generoso disinteresse dell’amore. Fuori della libertà non può esserci cultura. La vera cultura di un popolo, la sua piena umanizzazione, non possono svilupparsi in un regime di costrizione».
Paolo VI ha osato parlare in un discorso di «terrorismo culturale» esistente in Italia.
«La cultura scaturendo dalla natura ragionevole e sociale dell’uomo, ha un incessante bisogno della giusta libertà per svilupparsi, e le si deve riconoscere la legittima possibilità di esercizio autonomo secondo i propri principi».
Gaudium et Spes
La cultura che nasce libera deve diffondersi in un regime di libertà;
l’uomo colto deve proporre la sua cultura, ma non la può imporre.
Continua il Papa: «… l’uomo non può essere pienamente sé stesso, non può realizzare pienamente la sua umanità, se non riconosce e non vive la trascendenza del suo proprio essere rispetto al mondo, [cioè] il suo rapporto con Dio».
Non è vera educazione quella che non sviluppi questa dimensione ultima dell’uomo, il suo rapporto col destino, perciò il suo rapporto con Dio.
L’educazione è l’agente importante che crea cultura.
Questa cultura, che può nascere e svilupparsi solo nella libertà, deve investire la totalità dell’uomo e,
se l’uomo è rapporto col suo destino, non può ignorare questo fattore, che anzi ne costituisce la spinta suprema, lo sprone supremo.
Solo dopo che questa azione totalizzante di valorizzazione dell’uomo come tale è entrata in funzione, uno comincia a pensare anche alla trasformazione del mondo.
Una vera educazione produce una missione, un impeto, una volontà missionaria, altrimenti non è educazione.
Come fa uno più grande ad aiutare uno più piccolo se non per qualche cosa che già c’è in lui?
Il presente trae tutta la sua importanza da ciò che lo ha preceduto,
perché l’intensità e la ricchezza del presente è il passato.
Si chiama tradizione questa ricchezza complessiva del passato, non possiamo offrire aiuto se non per un passato che in noi vive come presente.
Il Papa: «La tradizione è la condizione del rinnovamento».
Infatti il presente agisce usando quello che ha ricevuto, usando del passato fino all’istante presente.
La tradizione infatti è come una ipotesi di lavoro con cui la natura butta l’umo nel paragone con tutte le cose.
Senza questa dote la natura non mette al mondo nessuno.
Il punto naturale di comunicazione della tradizione al nuovo essere, all’essere che cresce, è la famiglia.
La famiglia è dunque il primo esempio di quello che noi chiamiamo autorità.
L’autorità è il luogo naturale dove la proposta del passato si pone di fronte alla coscienza dell’essere umano.
Senza autorità non c’è proposta, la tradizione non diventa proposta all’individuo se non c’è questo strumento, questo luogo naturale.
Senza autorità la gente cresce alla mercé del potere, di chi la manipola, di chi ha più forza per manipolarla.
Per questo tutta la cultura di un’epoca decisamente dispotica come la nostra odia il concetto di autorità e lo fa odiare,
come odia profondamente il concetto di padre e lo fa odiare.
Ma non è proposta se non è comunicata in modo tale che il giovane sia istruito circa il come la proposta stessa sia capace di affrontare tutti i problemi.
La realtà provoca l’uomo facendo insorgere i problemi: bisogna allora che il giovane abbia la tradizione non solo come dettato, ma sia anche aiutato a capire in che modo quel dettato affronti la sua esperienza, cioè possa risolvere tutti i suoi problemi.
«L’educazione è introduzione alla realtà totale».
Jungmann
Senza questa possibilità di verifica, cioè di confronto fra ciò che ci è dato dalla tradizione con gli insorgenti problemi che l’esperienza produce, non c’è educazione.
Non c’è educazione soltanto per dettato.
Come fa una famiglia ad operare tutto questo immenso lavoro in un momento dell’evoluzione della civiltà così scaltrito e così vasto?
Il grande strumento collaboratore, che la società ha creato e reso stabile, è la scuola, è la realtà della scuola.
Il Papa: «… in particolare [rivendica] lo stretto diritto di genitori credenti di non vedere i loro figli sottoposti, nelle scuole, a programmi ispirati all’ateismo. Si tratta in effetti di diritti fondamentali dell’uomo e della famiglia».
La scuola è lo strumento della famiglia, non solo per completare la comunicazione della tradizione, ma anche per realizzare la verifica, perché senza verifica un giovane non diventa grande.
Come fa il giovane a capire cosa è giusto e cosa no?
Senza che se ne accorga paragona quel che gli hanno detto con qualche cosa che ha dentro, la Bibbia direbbe il suo «cuore».
Se la scuola è il grande strumento di questa verifica, una scuola cattolica deve includere la volontà di formare ad una visione cristiana del mondo, perciò deve includere la volontà di questa verifica:
una scuola cattolica è un ambito di verifica del valore della proposta della tradizione cristiana.
È un aiuto, un prendere per mano il giovane per introdurlo alla verità del suggerimento umano che la tradizione cristiana dimostra di avere di fronte agli emergenti problemi.
Occorre non semplicemente «dire», ma aiutare a capire la verità di quel che si dice e
la verità è ciò che corrisponde alle esigenze originali dell’uomo in tutti i problemi che insorgono.
E voi, carissimi docenti, in quel centro privilegiato che è la scuola, avete un compito estremamente grave e delicato, una “meravigliosa vocazione”, come la definisce il Concilio: quella di comunicare innanzitutto agli alunni, che con voi sono i veri protagonisti della scuola, quel complesso di conoscenze che voi avete acquisito in tanti anni di studio e riflessione.
Il docente che è anche credente, non può “mettere tra parentesi” la sua fede, come se fosse un elemento inutile o addirittura alienante nel rapporto delicato e privilegiato con i suoi discepoli, ma, nel massimo rispetto della loro libertà e della loro personalità, deve diventare un autentico “educatore”, formatore di caratteri, di coscienze e di anime, in una continua testimonianza di limpida coerenza tra la sua fede e la sua vita professionale.
La risposta dell’educatore, del genitore, dell’insegnante,
la risposta al dono che dal passato ha ereditato, è la libertà;
ed è la libertà che l’educatore propone all’educando, cioè è il proprio impegno con l’essere,
perché la libertà è impegno con l’essere e per questo diventa proposta di essere.
Ma la questione fondamentale è che padre e madre, insegnante o prete, siano innanzitutto leali con la tradizione che devono passare al figlio o all’educando.
Il dolore che un genitore o un educatore deve vivere, nel proporre con un rispetto che non costringa mai, è la partecipazione più grande al dolore di Dio verso di noi, perché Dio è morto per proporsi a noi.
Il rapporto tra Dio e l’uomo è un immenso drammatico rischio educativo.
Ma come entrano in gioco gli attori?
I secoli non passano invano e lo strumento attivo, suggestivo, è l’adulto che raccoglie una tradizione che lo trapassa; perciò il primo fattore fondamentale dell’educazione è la lealtà dell’impegno con una tradizione.
Il luogo naturale dove tutto questo gioco avviene è la famiglia, o un fortunato incontro che ne supplisca le deficienze.
Ma la famiglia o un qualsiasi incontro non possono affrontare la questione nella sua totalità; la questione nella sua totalità è indicata dalla parola «verifica».
La scuola ne è il più grande strumento. Il dovere più grande che hanno i genitori è proprio quello di curare questo elemento e di esigere che esso sia secondo l’ispirazione del loro cuore, secondo la visione del mondo che essi hanno.
(In questi anni) noi cristiani abbiamo avuto tutto, ma non la libertà di educazione.
La tradizione è la grande ipotesi di lavoro, la grande proposta che viene dal passato e si pone davanti agli occhi e al cuore della nuova generazione.
Il vero problema della libertà sta in noi educatori, perché attraverso noi il passato deve compiere il suo passo successivo.
La lealtà verso il passato, da parte nostra, è l’impegno verso la proposta che a noi è stata fatta.
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