Realtà e giovinezza, la sfida

L’io e la grande occasione (22)

(lezione agli esercizi spirituali degli universitari, “Tracce” – marzo 1994) (pag. 21)


Indice linkato dei paragrafi

  1. La distrazione della natura umana
  2. L’io, rapporto con l’infinito
  3. La ragione e il senso del mistero
  4. La situazione in cui viviamo
  5. La grande occasione
  6. Magister adest
  7. La consistenza di ogni azione

La distrazione della natura umana (31)

Senza l’impegno della nostra libertà, nulla può comunicarsi a noi in modo tale da farci crescere, maturare, e perciò sapere e godere di più dell’essere e della vita.

Si è attaccati a sé stessi anche quando si dorme, e, invece, quando si è coscienti, padroni degli occhi, delle sensazioni, si è distratti come strappati fuori di sé.

E così per un lungo pezzo della vita, fino a quando non arriviamo ad essere “letti tra le rughe”, dimentichiamo la grandezza che abbiamo addosso, e perciò siamo lontani dal gusto di quella sorgente da cui la nostra vita trae il suo impeto originale.

«Io non sono folle e non sono mai stato così ragionevole come ora, semplicemente mi sono sentito all’improvviso un bisogno di impossibile. Le cose così come sono non mi sembrano soddisfacenti». «… ho dunque bisogno della luna, o della felicità, o dell’immortalità, insomma di qualcosa che sia forse insensato, ma che non sia di questo mondo» [Che non sia misurabile da me, oltre la mia misura].

Camus, Caligola

Forse la sintesi di questo pezzo è data da un paradosso, che potrebbe essere espresso con le parole dello stesso Camus

«Siate realisti, chiedete l’impossibile».


L’io, rapporto con l’infinito (23)

Non è realistico che l’uomo viva senza agognare l’impossibile,

senza questa apertura all’impossibile, senza nesso con l’oltre: qualsiasi confine raggiunga.

Come si dice ne “il Senso Religioso” la realtà dell’uomo è rapporto con l’infinito. L’infinito o l’impossibile.

Anche nella soddisfazione più grande, emerge quella punta, quella spina che si esprime con la domanda: «E dopo?»: la soddisfazione resta inadempiuta.

C’è, in Jeune fille Violaine di Claudel, una frase di Pietro di Craon che dice: «L’insaziabile non può che derivare dall’inestinguibile».

L’insaziabilità è il segno del Destino.

Un destino di immortalità si segnala nella umana esperienza di insaziabilità.


La ragione e il senso del mistero (24)

La natura dell’uomo, quella natura che la Bibbia chiama cuore, è esigenza di verità, di giustizia, di amore, di felicità (verità, amore ecc…sono parole senza limite, se si pone un limite le si tradisce).

E la ragione è laddove tutto questo emerge alla nostra vista, incomincia ad entrare nella nostra esperienza.

Noi definiamo la ragione come coscienza della realtà secondo la totalità dei fattori.

Per questo la più bella e profonda emozione che si prova è il senso del mistero: qui sta il seme di ogni arte, di ogni scienza.

C’è di mezzo la nostra vita quando parliamo e pensiamo al Destino.

Ricercare, andare verso il proprio Destino, è il motivo per cui ci si sveglia al mattino, premuti da ogni tipo di istintività, da ogni tipo di dinamica naturale, da ogni tipo di attrattiva che l’affezione subisce.


La situazione in cui viviamo (25)

La situazione in cui viviamo favorisce la distrazione.

Io ho avuto la fortuna di avere maestri che, per tanti anni, tutti i giorni mi hanno richiamato al Mistero.

Per questo mi avviene di sentire il Mistero quando dico «io», di sentirlo quando dico «ho sbagliato» quando dico «il mio Destino», mentre parlo di desiderio di felicità.

Tutta la fatica della vita che Dio ci dà è per farci amici in questo sentimento dell’io, per farci compagnia in questa esperienza dell’io, per non essere soli nel cammino.

Basta l’accendersi di questo sentimento e non si è più estranei.

«La Chiesa dell’era moderna non è più come un tempo, chiesa di pagani diventati cristiani, ma Chiesa di pagani che si chiamano ancora cristiani e in verità sono divenuti pagani». card. Ratzinger

Il pagano è dimentico del Destino, perciò è vuoto, perché il Destino è tutta la trama e la stoffa di cui è fatto l’umano, nel più profondo del cuore, nella profondità dei nervi.

Se si dimentica il Destino si è vuoti.

Rendere parte dell’esperienza questo «al di là» è difficile. «Una parete sottile ci separa» diceva Rilke rivolgendosi a Dio.

Senza questa ipotesi non esiste più l’uomo, esiste la bestia,

che si infischia del Destino (cioè di sé stesso) e ha come soggetto del suo muoversi il suggerimento effimero dell’istante che brandisce e si scioglie tra le mani.


La grande occasione (26)

Quanto più un uomo ha il senso del mistero, tanto più si sente piccolo di fronte all’impossibile.

Perciò tutti i grandi fondatori di religioni hanno detto: noi vi mostriamo la via, seguiteci, tentiamo la strada, e non: «Io sono la Via perché Io sono la verità e la vita».

Abbiamo avuto e abbiamo la grande occasione, esiste un punto di arrivo ed esiste la via.

 Il “pagano” di cui parla Ratzinger, echeggia la posizione strafottente e strapotente dell’uomo di oggi per il quale nulla v’è di sacro e di onorevole, se non ciò che nasca da lui, che sia fissato da lui.

Ma poi tutto si disfa: quello che quest’uomo crea crepa, e quello che gestisce si incenerisce.


Magister adest (27)

«Qui sta l’audacia del cristianesimo, che un uomo, mortale, sia l’eterno».

Severino filosofo

Tutti possono fare ipotesi diverse circa queste cose, e nessuno ha il diritto di impedire una ipotesi.

Ma quella cristiana non è considerata una ipotesi “possibile”:

è quella contro cui ci si scaglia, la si uccide come fu ucciso Cristo.

La cultura greca non la considerava un’audacia, ma una follia, una empietà, un offuscamento della ragione.

Nel nostro manifesto natalizio abbiamo scritto: «Magister adest», il maestro è qui, Redemptor Hominis, la via è qui.

È a due passi l’invisibile, non è difficile toccarlo, entra dentro la nostra esperienza, è un fattore della nostra esperienza fisica.

Dobbiamo aiutarci a capire queste cose, è per questo che siamo insieme.

Una volta che Andrea (L’apostolo dopo aver incontrato Gesù da Giovanni), dopo essere stato là a sentirLo, è tornato in famiglia, la moglie capiva che c’era qualcosa davanti alla sua faccia; non una maschera ma qualcosa che alterava il modo con cui la guardava: la guardava in modo diverso, molto più vero della sera precedente, e, quando quella sera la strinse, lei non capiva, mai l’aveva stretta così.

Se si riconosce la grande Presenza, la grande occasione, la vita cambia.


La consistenza di ogni azione (29)

Chi Lo riconosce, chi Gli dice: «Io sono quello che sono, ma Tu mi accetti, mi ami», vive le azioni che fa, alzandosi al mattino, anche le più piccole, in funzione di qualcosa di più grande, del mondo, offrendo a Dio la pagina del libro che legge, il dolore di testa che ha, o il pianto di sua madre o una scontatezza misteriosa.

«Offrire» è la parola più grande che possa esistere, perché significa che la consistenza dell’azione è Lui

e sorge spontanea la preghiera che Egli si mostri a tutti dentro questa azione.

È la passione della testimonianza, così che il nostro io, così meschino, con tutti i vermi che ha dentro, si spalanca a desiderare che il mondo intero lo conosca.

Perché la vita di tutti sia meno strozzata, meno egoista, meno «niente», meno tomba, e più «vita», più buona.

Vi auguro perciò quello che, in fondo al libro Miguel Manara, Milosz fa dire al frate:

«Il mio cuore è gioioso come il nido che ricorda e come la terra che spera sotto la neve, perché sa che tutto è dove deve essere e va dove deve andare, al luogo cioè assegnato da una sapienza, che, il Cielo ne sia lodato, non è la nostra»

Tale sapienza è quest’Uomo, che sta con noi, è Dio fatto uomo … siamo insieme per seguirLo e così imparare chi siamo, e soprattutto che cosa è il nostro destino.

Ci sia più chiaro che tutto è dove deve essere e va dove deve andare, al luogo cioè assegnato da una sapienza che non è la nostra: è come la luna per Caligola.


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